[Il 30 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo quinto della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Le Regioni e i Comuni».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Bosco Lucarelli. [...] Ed ora, prima che metta fine al mio, forse, disordinato dire, mi sia concesso che dica anche una parola in ordine alle circoscrizioni.

All'articolo 123 noi abbiamo una disposizione che dice: «I confini ed i capoluoghi delle Regioni sono stabiliti con legge della Repubblica». Io penso che non solo i confini ed i capoluoghi di Regione dovrebbero essere stabiliti per legge, ma anche la elencazione delle Regioni.

Questo, a parer mio, porterebbe a un duplice vantaggio, porterebbe non la firma di una cambiale in bianco come l'attuale, perché dire una Regione qualsiasi e non dire le Province che la compongono può domani portare a delle sorprese nella legge che le indicherà nei suoi confini e nei suoi capoluoghi; ma se deve essere rimandata ad una legge questa determinazione dei confini e dei capoluoghi, non vedo la ragione perché non dovrebbe essere demandata anche a questa legge l'elencazione e la costituzione delle singole Regioni. Allora, forse un più approfondito esame sui luoghi controversi da parte di una commissione estranea e superiore alle competizioni locali, potrebbe portare una visione diretta dei bisogni reali e potrebbe determinare una circoscrizione che deve sorgere nella concordia, per evitare che province che vanno artificiosamente ad unirsi possano diventare nemiche ed elementi di disgregazione in seno alla stessa Regione.

D'altra parte, nella nota è detto che questa non è che una elencazione esemplificativa, in quanto la Commissione è in attesa che siano raccolti gli elementi di giudizio mediante una inchiesta in corso presso gli organi locali delle Regioni di nuova istituzione.

Io non so queste parole che cosa vogliano indicare, a quale inchiesta in corso ci si riferisca e quali sono questi organi che debbono fornire queste notizie.

Ambrosini. Questo è stato fatto.

Bosco Lucarelli. Io non lo so. Noi non ne abbiamo avuto notizia né come deputati, né come rappresentanti di amministrazioni provinciali locali; quindi, deve supporsi che è tutto un lavoro fatto al di fuori e al di sopra di quelle che sono state e che sono le voci che vengono dalle amministrazioni locali.

Noi, per il momento, non abbiamo avuto nessun avviso, nessuna partecipazione, nessuna richiesta di alcun genere; ma qualora la Commissione volesse venire a questa determinazione attuale delle Regioni — io non ho presentato emendamenti perché la divisione oggi è ancora allo stato di una nebulosa — visto che allo stato ufficiale degli atti parlamentari nessuna definitiva comunicazione è stata fatta all'Assemblea, sottopongo delle preghiere, che potrebbero domani divenire proposte.

Quindi per ora la mia non è che una raccomandazione che io rivolgo in nome del riconoscimento a Regione del mio Sannio. Sul Sannio dirò pochissime parole, perché, in tema di discussione generale, mi sembrerebbe di abusare della pazienza dell'Assemblea, ove io mi attardassi in questioni le quali, per chi non conosce i problemi, potrebbero anche sembrare delle questioni campanilistiche.

Faccio presente che il Sannio non è semplicemente un ricordo storico, perché, se fosse un ricordo storico, basterebbe osservare che questo ricordo storico è nel pensiero di tutti gli italiani che hanno fatto per lo meno le scuole elementari. Io intendo viceversa affermare che il Sannio, nella sua struttura, nella sua economia, è un qualche cosa di reale, etnicamente a sé stante, nettamente distinto dalla Campania.

Diversi i sistemi di agricoltura, diversa la feracità del suolo, diversa la conduzione agraria, diverso il regime dei fondi, diversa la divisione estensiva che, nella zona della Campania, ha un'altissima percentuale di unità culturali che non superano l'ettaro, quindi tutte unità culturali ortilizie, e le terre non ortilizie danno due prodotti all'anno. La Campania è una Regione dalla terra feracissima che fu chiamata la Campania felice: Campania felix.

Vi è dunque una struttura economica diversa, il corso delle acque completamente diverso, giacché il Sannio ha numerosissimi corsi d'acqua a carattere torrentizio così da determinare problemi di bonifica e di arginatura completamente diversi, che in Campania non esistono.

A proposito della struttura economica, mentre nel Sannio e cioè nelle Province di Campobasso, di Benevento e di Avellino, domina l'artigianato, viceversa nelle Province di Napoli, Salerno e Caserta — mi riferisco ai rilievi statistici contenuti nella memoria della Camera di commercio di Benevento, che è pervenuta a tutti i deputati della Costituente — predomina invece l'operaio della grande industria.

Le cifre sono le seguenti: le aziende con più di cento operai sono appena 7 nella Provincia di Campobasso, 2 in quella di Benevento e 7 in quella di Avellino, di fronte alle 162 comprese nel territorio delle province di Napoli e Caserta e alle 55 comprese nel territorio della provincia di Salerno.

Si tratta quindi di una struttura economica diversa ed è evidente che, quando noi dovremo fare una legislazione locale, essa non potrà essere uniforme per le due province del Sannio e per le altre tre della Campania. Napoli ha poi il problema del mare, Napoli ha i problemi turistici, Napoli ha una viabilità diversa, Napoli ha un regime di autotrasporti diverso.

Che le tre province di Campobasso, Avellino e Benevento costituiscano un'unità etnica a sé, stanno inoltre a dimostrare tutti i precedenti storici. Nel disegno di legge Minghetti, il Sannio era riconosciuto una Regione a sé; nel progetto di legge del partito popolare, il Sannio era riconosciuto una Regione a sé; nel progetto Micheli per le Camere regionali di agricoltura, il Sannio era riconosciuto una Regione a sé.

L'unica divisione regionale che in Italia esista, quella ecclesiastica, riconosce essa pure il Sannio come una regione a sé; anzi l'archidiocesi di Benevento comprende paesi delle tre Province; per cui noi abbiamo già un affratellamento di animi, attraverso gli interessi spirituali delle tre Province. Ma io ricordo altri fatti: vi è una Deputazione di storia patria regionale sannita stabilita dal Ministero della pubblica istruzione, vi sono organi a base regionale per le tre Province come l'ispettorato del lavoro, il Circolo di finanza; non parlo del monopolio della coltivazione dei tabacchi, perché a Benevento c'è una Direzione compartimentale che abbraccia un territorio più vasto della Regione. Ricordo anche che gli studiosi ed i rappresentanti delle amministrazioni delle tre province, nell'aprile del 1922, si riunirono a congresso a Benevento e istituirono la Società storica del Sannio, della quale fu acclamato a Presidente un illustre irpino, il senatore Enrico Cocchia, professore di lingua latina alla Università di Napoli. E voi avrete anche letto nel «numero unico» sul Sannio la protesta che egli, in nome del Sannio, fece perché fra le statue che circondano l'Ara della Patria il Sannio non era stato tenuto presente, e in cui affermava l'unità etnica delle tre province del Sannio che egli voleva ricostruire.

Ma quando dal campo degli studi, dal campo del pensiero si passa alla vita pratica, allora sorgono altre interferenze che tolgono, che tagliano la linea d'insieme e di armonia che nel campo intellettuale e spirituale si era andata formando.

Io non aggiungo altro; non chiedo privilegi; non sono un campanilista, non lo sono mai stato. Dico all'Assemblea e alla Commissione: «Osservate e studiate, perché per noi il riconoscimento del Sannio a Regione è una opera di giustizia, nell'interesse delle tre Province, le quali oggi forse saranno divise da gelosie locali, ma che domani dovranno sentire dalla loro esperienza che fu un errore essere discordi assorbite in altra Regione, ove non giungono loro che le briciole dalla mensa dei ricchi, cadute dalla tavola».

Ricordo inoltre che nel 1944 furono distolti i fondi specificamente assegnati per le opere pubbliche alle province di Avellino, di Benevento e di Campobasso, per venire incontro ai bisogni di Napoli.

Ora, di fronte a questa realtà noi rivendichiamo la nostra unità regionale del Sannio. Se ce la concederete, farete opera di giustizia; se non ce la concederete, con costanza sannita continueremo a combattere fino a che giustizia sarà fatta. (Applausi al centro Molte congratulazioni).

[...]

Cicerone. [...] Qui invece non si crea, a mio modo di vedere, un pericolo per l'unità del Paese, perché questa unità è collaudata e nessuna forza al mondo, io credo, la potrà infrangere; ma si crea un pericolo più grave. Io sono convinto che le crisi quando vengono sono benedette da Dio, perché permettono di tagliare netto in una difficile situazione preesistente e di crearne un'altra migliore. Ma qui noi avremmo un dilagare di campanilismo, di orgogli, di vanità che voi non avete forse ben misurato! Questi organi pletorici, per le attribuzioni che sono loro affidate, finirebbero per cozzare contro quest'organo centrale, e quindi per creare situazioni di permanente disagio nel Paese. Questa è la nostra preoccupazione: può anche darsi che ci sbagliamo — ci si sbaglia tante volte nella vita — ma noi abbiamo paura più che di una crisi unitaria, di una crisi che ci porti verso uno stato di «spagnolismo». Io sono meridionale, e ho dovuto accennare a questa questione perché ad essa hanno accennato altri prima di me, ma non capisco come una riforma come questa che riguarda tutta l'Italia, che sarebbe destinata ad operare egualmente tanto al Nord quanto al Sud, possa accontentare di più il Sud che non il Nord. Comunque non ritengo che la ripartizione delle Regioni, così come è stata fatta nel progetto di Costituzione, avvantaggerebbe il Mezzogiorno e ne dirò il perché. Il perché consiste nel fatto che voi avete preso come unità di misura territoriale nel Nord, nella maggior parte dei casi, il tracciato dei vecchi stati. Avete preso così un Piemonte, una Lombardia, una Liguria, una Toscana e via di seguito. Ora il centro di queste Regioni è la vecchia capitale statale che, nella fattispecie, è Milano, Torino e Genova. Volete forse che di fronte ad esse le Province si ribellino e pongano delle pregiudiziali? Questo non accadrà. L'unità piemontese, lombarda sarà perfetta perché i centri minori si raccoglieranno attorno ai loro centri secolari, e riunite tutte queste energie, costituiranno un complesso potentissimo nello Stato. Pensate alla Lombardia e al Piemonte stretti attorno a Torino e a Milano ed avrete una somma di energie uguale alla somma di energie del Belgio e dell'Olanda. Ma cosa si è fatto nel nostro Mezzogiorno? C'era ben poco da scegliere: o si andava verso l'unità del vecchio Stato così come era stato fatto nel Nord, o si andava nel Mezzogiorno ad una riunione attorno a Napoli, oppure si doveva andare alle vecchie distinzioni amministrative del napoletano. Ma queste non sono le Regioni che oggi ci si vuol dare. Non è mai esistita una regione Lucana, non è mai esistita una regione Calabra, non è mai esistita una regione Pugliese; sono veramente espressioni geografiche, sono veramente creazioni artificiose da paragonarsi ad alcuni Stati del Nord America, tagliati su meridiani e paralleli. Non c'è un sentimento regionale in queste Regioni: noi abbiamo solo un sentimento meridionale, di cui siamo fieri, ma non abbiamo un sentimento più particolare, perché siamo abituati, da mille e più anni, a considerarci un'unità, e quindi non comprendiamo perché ci si vuol fare a fette come una torta, mentre nessuno di noi lo ha richiesto. D'altra parte, oggi si esercitano e giocano intorno alla Capitale, a Roma, delle influenze: c'è l'influenza dei grandi centri del Nord che è irreggimentato nelle industrie, influenza che in un domani sarebbe molto più grande quando avesse intorno a sé tutte le Regioni compatte e unite. Che cosa abbiamo nel Mezzogiorno? Quel poco che c'è, che si poteva riunire e lasciare intorno a Napoli, alla vecchia capitale, alla nostra metropoli, voi l'avete spezzettato in Regioni miserabili, senza forza economica e senza potenzialità industriale, perché non possono averla, perché voi state amputando un arto di un corpo unito. Come si risolve la questione meridionale non starò io certo a dire, perché questa non è la sede opportuna. Io ho sentito i pareri più discordi su questa questione meridionale e vi sono stati quelli che hanno detto che era un paradiso terrestre. Veramente, fino al 1700, il Mezzogiorno era ritenuto un po' come la terra promessa, tanto che imperatori e sovrani ne hanno fatto luogo dei loro soggiorni. Ma ho sentito raccontare anche scene macabre di contadini simili a bruti ed altra roba del genere. Ora, occorre riportarsi al tempo cui si riferisce il giudizio. Il Mezzogiorno è una terra marinara, è un molo proteso verso le terre d'oltre Mediterraneo; come tutte le terre marinare, è prosperata quando ha avuto da assolvere una funzione in quel mare, ed è decaduta quando quella funzione è venuta meno. Vi sono stati momenti terribili nella sua storia, quando nelle sue campagne si scontravano eserciti saraceni, arabi, spagnoli e francesi: vi era la guerra, ma vi era anche il benessere perché tutti portavano qualche cosa nelle nostre terre. E vi dirò che anche per la marcia degli Alleati si è verificata una situazione simile: tutto in una volta questo Mezzogiorno è diventato il centro dell'attività strategica alleata, ed abbiamo visto anche una grande ricchezza, ricchezza che a noi più eruditi e più consci ha fatto pensare che cosa potrebbe essere questa terra, se il traffico vi confluisse di nuovo.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti