[Il 10 settembre 1946 la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro avviata da una relazione dell'onorevole Colitto.]

Il Presidente Ghidini avverte che si riprende la discussione sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro.

Colitto, Relatore, rileva che altro è il diritto che ogni cittadino ha di lavorare senza che gli si frappongano limitazioni o riducendosi queste all'indispensabile, altro è il diritto del cittadino al lavoro. Nel primo caso il lavoro è già trovato dai cittadini e solo si discute delle condizioni della sua esplicazione, mentre nel secondo il cittadino va alla ricerca di un lavoro che non trova e che, pur ammettendosi il suo diritto, dovrebbe trovare. Ora, poiché è assurdo parlare in una Costituzione, che è documento soprattutto di carattere giuridico, del diritto del cittadino, senza che si possa insieme parlare di un corrispondente dovere dello Stato a garantirne la soddisfazione, pensa che le formule proposte non siano da approvarsi, in entrambe proclamandosi il diritto al lavoro del cittadino senza che insieme si proclami il corrispondente dovere dello Stato di assicurarlo. Costituisce per lui una vera irrisione all'enorme massa dei disoccupati che non diminuisce, ma purtroppo aumenta, di inserire nella Carta costituzionale che lo Stato ha il dovere di trovare lavoro ai disoccupati quando è certo che, per tradurre tale dovere in pratica, sono necessari provvidenze e istituzioni estremamente complesse e soprattutto possibilità finanziarie che non l'Italia soltanto, ma la più parte degli Stati, è ben lungi dal possedere.

Canevari si dichiara, in linea di massima, d'accordo con la formula proposta ieri dal Presidente, che preciserebbe nel seguente modo:

«Il lavoro è un dovere e un diritto da parte di ogni cittadino, conforme alla propria scelta e alla propria idoneità».

Aggiungerebbe poi:

«È compito dello Stato, con le sue leggi, facilitare il collocamento del lavoro, disciplinarne le forme, i limiti e le condizioni affinché esso sia realizzato nel modo più soddisfacente e più vantaggioso per il singolo e per la collettività».

Togni adotterebbe una formula più semplice e più chiara.

Taviani non accetta la tesi sostenuta dall'onorevole Colitto e si domanda perché se questi si preoccupa di non dichiarare il diritto al lavoro, in quanto ne deriverebbe un dovere per lo Stato di dare a tutti il lavoro, non si preoccupa viceversa di dichiarare il dovere al lavoro, per il quale, ragionando allo stesso modo, lo Stato potrebbe obbligare tutti a lavorare.

Rileva che un'affermazione di principio vincola lo Stato a una determinata politica, ma non a rispondere caso per caso, sicché è necessario trovare una formula la quale parli appunto di questo indirizzo che deve avere lo Stato nella sua politica economica. A questo proposito si dichiara favorevole alla formula prospettata ieri dall'onorevole Noce o ad altre simili che dicessero che «primo fine della politica economica dello Stato deve essere il pieno impiego», cioè non «garantire a tutti il diritto al lavoro», ma piuttosto «creare condizioni tali perché possa esplicarsi il diritto al lavoro».

Di Vittorio concorda con le affermazioni dell'onorevole Taviani, aggiungendo tuttavia che sarebbe preferibile precisare maggiormente l'enunciazione del diritto al lavoro. Una Costituzione non è una legge che serve a soddisfare soltanto le esigenze immediate, ma segna invece una tappa che si proietta nell'avvenire e indica una prospettiva politica e storica.

Bisogna, pertanto, affermare il diritto al lavoro; ciò significa che lo Stato deve seguire un indirizzo politico-sociale tale da assicurarne l'esercizio, quando le condizioni economico-sociali lo consentiranno.

Si limiterebbe, quindi, a fare la seguente affermazione pura e semplice: «Lo Stato riconosce il diritto al lavoro per tutti i cittadini italiani». Si potrebbe poi aggiungere: «La legislazione deve tendere a realizzare condizioni tali da poter assicurare concretamente questo diritto».

Fanfani in base ai rilievi fatti ieri sera e a quelli fatti nella riunione odierna, pensa di poter proporre una nuova formula così concepita: «Ogni cittadino ha il dovere e il diritto di dedicare la sua opera manuale o intellettuale ad un'attività produttiva conforme alle sue attitudini e nei limiti delle sue possibilità. La Repubblica riconosce al cittadino il diritto ad una occupazione continua e proficua o almeno ad un'assistenza che la surroghi e con norme apposite ne predisporrà il godimento, incoraggiando e coordinando l'attività economica promossa dai privati, svolgendo una politica di pieno impiego, stipulando accordi internazionali per l'emigrazione e determinando le modalità dell'indennizzo ai disoccupati involontari».

Di Vittorio dichiara di essere contrario a questa formula ritenendola eccessivamente lunga. Fa presente che la Commissione deve fissare i principî generali e non sostituirsi al legislatore.

Togni dopo aver constatato che si è di massima d'accordo che lo Stato deve riconoscere in linea di principio il diritto al lavoro, così come si è d'accordo nel riconoscere che per realizzare questo diritto lo Stato deve fare quanto è possibile, propone di aggiungere alla formula proposta dal Presidente: «Lo Stato, riconoscendo il diritto al lavoro da parte dei cittadini, interviene affinché l'ordinamento giuridico e le condizioni sociali ed economiche ne assicurino la possibile realizzazione».

Giua adotterebbe la seguente enunciazione sintetica: «La Repubblica afferma il diritto al lavoro per ogni cittadino ed all'uopo ne assicura l'attuazione pratica».

Marinaro presenta il seguente ordine del giorno:

«La terza Sottocommissione, dopo l'ampia discussione svoltasi, ritiene che le disposizioni da includere nella Costituzione debbano conciliare le giuste esigenze delle classi lavoratrici con la situazione economica generale del Paese ed i compiti essenziali di uno Stato democratico.

«E pertanto, fondendo e precisando gli articoli formulati dai vari oratori, delibera di predisporre la seguente unica disposizione:

«Il lavoro è un diritto e nello stesso tempo un dovere di ogni cittadino, che li esercita in conformità della propria idoneità e della propria scelta.

«Lo Stato creerà, con tutti i mezzi a sua disposizione, le più vaste possibilità di lavoro e ne tutelerà i rapporti in modo da assicurare il maggior vantaggio ai singoli cittadini e alla collettività».

Di Vittorio è contrario alla formula proposta che, nella sua genericità, non segnerebbe un progresso nel campo sociale.

Ribadisce il concetto che la Costituzione, prendendo la situazione attuale come punto di partenza, deve sforzarsi di indicare una prospettiva storica, e quindi deve tener aperta la via al progresso legislativo. Il valore dell'affermazione risiede nel fatto che lo Stato e la società nazionale italiana devono essere organizzati in modo tale da determinare concretamente le condizioni che assicurino il diritto al lavoro a tutti i cittadini.

In base a questo concetto cade la preoccupazione che lo Stato non possa, nel momento attuale, assicurare il lavoro a tutti i cittadini.

Togni è d'accordo con l'onorevole Di Vittorio che lo Stato debba proiettare la sua azione nel futuro; di fronte alle difficoltà pratiche che l'affermazione di un principio impegnativo determina, bisogna graduarne la realizzazione.

Di Vittorio nota che la formulazione da lui proposta è moralmente impegnativa e demanda al potere legislativo il compito di realizzarne le condizioni.

Taviani vorrebbe tener distinti i due problemi. Circa l'enunciazione di carattere generale relativa al diritto e al dovere del lavoro la Sottocommissione, tranne l'onorevole Colitto, è d'accordo. Si potrebbe, in proposito, adottare la formula proposta nella precedente riunione dal Presidente.

Quanto al secondo punto la dizione proposta dall'onorevole Fanfani è completa, ma forse troppo scientifica, mentre l'altra dell'onorevole Togni, con le parole: «ne assicurino la possibile realizzazione», viene, a suo parere, a limitare troppo il concetto del diritto al lavoro. Si potrebbe in conclusione dire: «Lo Stato provvede a porre le condizioni economiche e sociali per assicurare a tutti i cittadini il lavoro», aggiungendo, se del caso: «oppure, ove questo non sia possibile, una assistenza che lo surroghi».

Fanfani fa presente che nella formula da lui proposta ha riprodotto le esigenze manifestatesi nella discussione di ieri. È, peraltro, convinto che nelle Costituzioni non si fanno solo affermazioni di principî generici. Una Costituzione aderisce alla realtà in quanto scende a qualche individuazione di cose fattibili.

Di Vittorio accetterebbe la formulazione dell'onorevole Fanfani in un progetto di legge, ma non nella Costituzione, per quanto ritenga anch'egli che la Costituzione non debba consistere in una serie di enunciazioni generiche.

Togni modificherebbe la sua proposta in questi termini: «Lo Stato, riconoscendo il diritto al lavoro da parte dei cittadini, provvede affinché l'ordinamento giuridico e le condizioni sociali ed economiche ne consentano la realizzazione».

Sarebbe contrario ad unire la questione previdenziale a quella del lavoro, trattandosi di affermazioni in campi diversi.

Molè osserva che lo Stato non provvede, ma provvedono i governi. Richiama la Sottocommissione alle considerazioni svolte nella relazione Pesenti.

Paratore rileva l'enorme importanza dell'argomento in discussione. Oggi lo Stato interviene in questo campo attraverso l'assistenza. Si tratta ora di trasformare l'intervento dello Stato da assistenziale in intervento attivo. Una volta messo avanti il principio di questo diritto, il problema consiste nel vedere se ci si debba limitare a questa affermazione o se si debba fare un passo più avanti.

Poiché ritiene che fare un passo più avanti sia pericoloso, propone la seguente formula:

«La Repubblica riconosce il diritto al lavoro di tutti i cittadini. La politica economica e finanziaria dello Stato tenderà a creare le condizioni che permettano d'assicurare tale diritto».

Merlin Angelina propone la seguente dizione:

«Lo Stato riconosce il diritto ed il dovere dei cittadini al lavoro ed è tenuto a promuovere i piani economici che assicurino il minimo necessario alla vita, e se non è possibile, l'assistenza».

Il Presidente Ghidini avverte che l'onorevole Togni ha così modificato la formula proposta:

«Lo Stato riconosce il diritto al lavoro da parte dei cittadini ed interviene affinché l'ordinamento giuridico e le condizioni sociali ed economiche ne consentano la realizzazione».

Taviani assocerebbe il diritto al lavoro al dovere.

Propone, intanto, che si passi alla votazione delle proposte fatte.

Canevari è anch'egli d'avviso che si adotti una formula in cui si parli del dovere e del diritto al lavoro.

Di Vittorio osserva che l'affermazione del lavoro quale dovere sociale ha un valore esclusivamente etico, mentre l'affermazione del diritto al lavoro rappresenta una conquista delle masse lavoratrici ed un progresso della legislazione. Se si vuole porre l'accento su questa ultima affermazione bisogna precisare che la Repubblica riconosce il diritto al lavoro a tutti i cittadini italiani. Se poi vi fossero degli scrupoli sulla applicabilità di tale norma, si potrà aggiungere che la legislazione tenderà a creare condizioni economiche e sociali tali che permettano di assicurare questo diritto.

A suo parere, bisognerebbe limitarsi alla prima affermazione.

Molè si associa osservando che sarebbe scorretto, dal punto di vista giuridico, anticipare in un testo costituzionale la materia propria della legislazione e tanto meno di parlare di politica economica e finanziaria.

Di Vittorio rileva tuttavia che molte Costituzioni moderne si soffermano su tali particolarità.

Molè nota che si tratta evidentemente delle Costituzioni di quei paesi in cui già esiste un'economia statizzata.

Colitto insiste perché si accetti la formulazione da lui già proposta e cioè: «Ogni cittadino ha il dovere di dedicare la sua opera, manuale o intellettuale, ad una attività produttiva da lui liberamente scelta conforme alle sue attitudini e nei limiti delle sue possibilità».

Taviani propone la seguente formula: «Ogni cittadino ha il diritto e il dovere di lavorare conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta».

Il Presidente Ghidini ritiene che quest'ultima formulazione dell'onorevole Taviani possa raccogliere l'unanimità dei consensi.

Si potrebbe porre ai voti, salvo poi ad integrarla con una delle enunciazioni proposte.

Colitto ritiene che si debba tener presente tutto l'articolo, per fissare una buona coordinazione fra le diverse parti.

Il Presidente Ghidini osserva che vi è un nesso logico fra le varie parti dell'articolo: si vota cioè una prima affermazione sul riconoscimento del diritto e del dovere di lavorare; seguirà una seconda affermazione sul riconoscimento del diritto al lavoro; sarà in seguito posta ai voti una terza parte, sulla quale vi sono già quattro formulazioni, che saranno lette a suo tempo.

Pone ai voti la formula proposta dall'onorevole Taviani:

«Ogni cittadino ha il dovere e il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

(È approvata all'unanimità).

Pone ora ai voti la seconda parte dell'articolo:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro».

Marinaro ritiene superflua questa enunciazione.

Taviani non è dello stesso avviso, in quanto una cosa è il diritto di lavorare e altra cosa è il diritto al lavoro.

Colitto dichiara di votare, nonostante quanto ha detto, favorevolmente, perché, in sostanza, il concetto espresso in modo generico nella parte messa in votazione (si afferma un diritto naturale), è precisato sotto forma di tendenza nella parte che si dovrà votare in una delle formulazioni che saranno lette.

Marinaro dichiara di votare favorevolmente, pur ritenendo tuttavia superflua una tale affermazione.

(La formula è approvata all'unanimità).

[Presidente Ghidini.]

Per la terza parte sono stati presentati diversi testi di cui dà successivamente lettura.

Marinaro: «Lo Stato creerà, con tutti i mezzi a sua disposizione, le più vaste possibilità di lavoro e ne tutelerà i rapporti in modo da assicurare il maggior vantaggio ai singoli cittadini ed alla collettività».

Togni: «... e provvede affinché l'ordinamento giuridico e le condizioni sociali ed economiche ne consentano la realizzazione».

Paratore: «La politica economica e finanziaria dello Stato tenderà a creare le condizioni che permettano di assicurare tale diritto».

Merlin: «... ed è tenuta a promuovere l'attuazione di piani economici e finanziari che ne consentano l'esercizio».

Taviani invita l'onorevole Paratore a sostituire all'espressione «politica economica e finanziaria» la parola «Stato».

Paratore si tratta di un concetto del tutto differente.

Fanfani propone che alla formula già approvata: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro» siano aggiunte le parole: «e predispone tutti i mezzi necessari al suo godimento».

Giua chiede che sia posta in votazione la formula proposta dall'onorevole Fanfani, in quanto più semplice e ampia.

Taviani chiede che in luogo di dire «tutti i mezzi necessari» si dica: «i mezzi necessari».

Fanfani accetta l'emendamento proposto dall'onorevole Taviani.

Il Presidente Ghidini pone ai voti la proposta dell'onorevole Fanfani di aggiungere alla formula già approvata: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro» le parole:

«e predispone i mezzi necessari al suo godimento».

Paratore dichiara di votare contro la formula Fanfani perché ritiene, in base a personale esperienza, che sia equivoca e soverchiamente impegnativa.

Colitto dichiara di astenersi per le stesse ragioni dette dall'onorevole Paratore. Egli avrebbe preferito l'ordine del giorno Marinaro.

Molè dichiara di astenersi perché desidera una formulazione generica, senza determinazioni, in maniera che sia lasciata la più ampia facoltà di emanare provvedimenti legislativi ai governi repubblicani legittimi che si succederanno.

Votano sì: Di Vittorio, Fanfani, Federici Maria, Ghidini, Giua, Marinaro, Merlin Angelina, Noce Teresa, Rapelli, Taviani, Togni.

Vota no: Paratore.

Si astengono: Colitto, Molè.

(La formula è approvata).

Presidente Ghidini. L'articolo approvato risulta così formulato:

«Ogni cittadino ha il dovere e il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta.

La Repubblica riconosce il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti