[Dalla relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della relazione.]

L'affermazione del «diritto al lavoro», e cioè ad una occupazione piena per tutti, ha dato luogo a dubbi da un punto di vista strettamente giuridico, in quanto non si tratta di un diritto già assicurato e provvisto di azione giudiziaria; ma la Commissione ha ritenuto, ed anche giuristi rigorosi hanno ammesso che, trattandosi di un diritto potenziale, la costituzione può indicarlo, come avviene in altri casi, perché il legislatore ne promuova l'attuazione, secondo l'impegno che la Repubblica nella costituzione stessa si assume.

Al diritto si accompagna il dovere di lavorare; come è nel grande motto di San Paolo, riprodotto anche nella costituzione russa: «chi non lavora non mangia». Ad evitare applicazioni unilaterali, si chiarisce che il lavoro non si esplica soltanto nelle sue forme materiali, ma anche in quelle spirituali e morali che contribuiscono allo sviluppo della società. È lavoratore lo studioso ed il missionario; lo è l'imprenditore, in quanto lavoratore qualificato che organizza la produzione. Posto il dovere del lavoro, è inevitabile sanzione — e la larga accezione toglie il pericolo di abusi — che il suo adempimento sia condizione per l'esercizio dei diritti politici.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti