[Il 21 novembre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con gli altri ordinamenti.]

Il Presidente Tupini ricorda che, come si era in precedenza stabilito, la presente riunione deve essere dedicata ad un riassunto quanto più conciso possibile delle relazioni degli onorevoli Cevolotto e Dossetti.

Dà la parola al primo relatore onorevole Cevolotto.

Cevolotto, Relatore, non crede che occorra riassumere la sua relazione, perché in essa sono esposti concetti alla portata di tutti. Quello che gli importa è di porre in evidenza i punti di convergenza e di divergenza tra le sue proposte e quelle dell'onorevole Dossetti. Per la parte che si riferisce allo Stato alcuni punti di divergenza sono più che altro formali, in quanto, mentre nella sua formulazione ha cercato di ridurre al minimo gli articoli, in quella dell'onorevole Dossetti si è abbondato in affermazioni come quella dell'articolo 1, di carattere teorico, o filosofico-morali. È questa una questione di metodo e di impostazione, su cui crede sarà facile trovare un punto di intesa.

Rileva in particolare che nella prima parte l'onorevole Dossetti ha innestato questioni che dovrebbero invece essere trattate nella seconda parte, cioè in quella relativa alla libertà di culto e alle relazioni tra Chiesa e Stato, come nell'articolo 4, che tratta del riconoscimento da parte dello Stato dell'ordinamento della Chiesa, e nell'articolo 6 nel quale si stabilisce che le norme di diritto internazionale, come gli accordi attualmente in vigore tra lo Stato e la Chiesa, fanno parte dell'ordinamento dello Stato. Secondo questo ultimo articolo, il principio affermato dallo stesso oratore, che le norme di diritto internazionale universalmente riconosciute possono far parte del diritto interno dello Stato, viene ad essere esteso anche agli accordi tra lo Stato e la Chiesa, che invece hanno piuttosto carattere di convenzioni particolari tra due Stati. In relazione a tali convenzioni particolari, sorge quindi il problema se esse possano essere richiamate nella Costituzione come facenti parte del diritto interno dello Stato italiano. Questa affermazione viene maggiormente accentuata dal successivo articolo 7, nel quale si fa un esplicito richiamo agli Accordi del Laterano, che rimangono confermati non solo come base del diritto nelle relazioni tra Stato e Chiesa, ma anche come riaffermazione del principio contenuto nell'articolo 1 del Trattato Lateranense, che la religione cattolica è la religione dello Stato[i].

Da quanto ha esposto discendono due punti sostanziali di divergenza con l'onorevole Dossetti, sui quali molto probabilmente non tenterà nemmeno di giungere ad un accordo e su cui forse si discuterà meno di quello che potrebbe credersi, perché le rispettive posizioni sono state chiarite già tante volte che nessuno potrà pensare di poter addurre nuovi argomenti per convincere la parte avversa.

Non ha richiamato nelle sue proposte il principio che la religione cattolica è la religione dello Stato, che era sancito nell'articolo 1 dello Statuto Albertino, ma che l'evoluzione del diritto costituzionale in Italia aveva messo in realtà in desuetudine. Ricorda a tale proposito una monografia dello Jemolo che, subito dopo la prima guerra mondiale, sosteneva che il suddetto articolo era stato addirittura abrogato da leggi posteriori in contrasto con il principio in esso contenuto. Lo Stato italiano, quindi, da confessionale si era messo sulla strada di divenire aconfessionale, quando è intervenuto il Trattato del Laterano, che ha rimesso in vita l'articolo 1 dello Statuto Albertino.

Si domanda a questo proposito se nel fare la nuova Costituzione si è o meno vincolati da questo Trattato. Personalmente ritiene che un trattato, sia pure di carattere internazionale, non possa vincolare l'Assemblea Costituente.

Tiene poi a precisare che l'omissione del principio di cui sopra non è stata motivata dall'intento di rinviare la questione in sede di discussione di trattati, ma perché, riferendosi il Trattato Lateranense all'articolo 1 dello Statuto Albertino, per il fatto stesso che la nuova Costituzione non contenesse più la enunciazione dell'articolo 1 dello Statuto medesimo, il richiamo del Trattato Lateranense non avrebbe più una base e verrebbe automaticamente a cadere.

A suo avviso, la Costituzione dovrebbe essere quella di uno Stato aconfessionale, sia nella forma che nella sostanza, sull'esempio della Costituzione francese, che pure è stata deliberata da una Assemblea nella quale il partito popolare aveva una parte notevole. Di proposito non parla di Stato laico, potendosi a questa definizione dare, per ragioni quasi storiche, un significato di anticlericalismo, al quale si dichiara invece assolutamente contrario. In primo luogo, perciò, non bisognerebbe ripetere l'articolo 1 del Trattato del Laterano. In questo campo è profondamente diviso dall'onorevole Dossetti e reputa che l'accordo non potrà essere raggiunto. È convinto infatti che se si ripetesse il concetto di quell'articolo, si verrebbe di nuovo a creare uno Stato confessionale, anche se si ammettessero poi tutte le possibili disposizioni sulla libertà di culto e di propaganda per le altre religioni. La sua posizione parte, invece, dal principio della libertà di religione e della parità dei diritti delle minoranze. Se si ammette questo principio essenziale della libertà umana, cioè il diritto delle minoranze, si deve logicamente venire alla conclusione che tale diritto è uguale a quello delle maggioranze e quindi la regolamentazione giuridica deve essere per ambedue fondamentalmente la stessa. Riconosce che la regolamentazione amministrativa nei riguardi della religione cattolica dovrà essere diversa da quella per altre religioni, perché incide su fenomeni di portata diversa, ma ciò non toglie che il principio costituzionale debba essere eguale per tutti. Inoltre, creando uno Stato confessionale, si dovrebbero poi lamentare le stesse conseguenze che si sono già avute nel passato. Cita due casi in particolare. Il Codice penale — che è posteriore al Trattato del Laterano — regola negli articoli 402 e seguenti i reati contro la religione dello Stato, fissando le relative pene. Nell'articolo 406 si prevede però che per i delitti contro i culti ammessi, tali pene possano essere diminuite. Questa norma può essere giusta finché la religione dello Stato ha una sua particolare preminenza, ma non è giusta, e non deve essere tale, secondo i suoi principî, se tutte le religioni devono avere diritto di uguaglianza di trattamento.

Il secondo caso, che desidera citare, riguarda una sentenza della magistratura, la quale, nell'assolvere per mancanza di dolo un sacerdote accusato di aver strappato ad un ministro valdese e fatto bruciare delle Bibbie di traduzione protestante, afferma chiaramente che i diritti di propaganda degli altri culti devono essere considerati sotto il riflesso che vi è una religione preminente dello Stato. Ora lo Stato non è una persona fisica che possa avere una o l'altra religione e quindi la religione dello Stato non può avere altro significato che quello dello Stato confessionale. Allora, qualunque sia la libertà che si vuole dare agli altri culti, per quanto larghi si voglia essere nelle concessioni, vi sarà sempre il presupposto della religione predominante di Stato, alla luce della quale soltanto dovrà essere interpretata la libertà garantita alle altre religioni.

Per questo motivo, se per caso la Costituzione dovesse — per volere della maggioranza — ammettere il principio della religione di Stato come posizione di ripiego, gli articoli che stabiliscono la garanzia e la libertà dei vari culti ammessi, dovrebbero essere molto più ampliati di quello che in origine egli aveva ideato.

Passa quindi ad un altro punto di dissenso, vale a dire al richiamo che nella formulazione dell'onorevole Dossetti è stato fatto al Concordato e in genere ai Patti Lateranensi.

Rileva innanzi tutto che si deve ammettere la possibilità di modificare, sia pure senza volerli denunciare, il Trattato del Laterano e il Concordato per quanto riguarda certe statuizioni che non possono essere più ammesse. Il suo partito non soltanto non può consentire che siano richiamati nella Costituzione né il Trattato né il Concordato, né l'affermazione che essi rimangono in vigore, dovendo a questo provvedere il Governo in sede di relazioni internazionali, ma non può neanche lasciare immutato il Concordato stesso. A parte la questione dell'insegnamento religioso nelle scuole che sarà oggetto di discussione successiva[ii]; a parte la rinunzia di sovranità rappresentata dal fatto che lo Stato italiano abbia abdicato a una delle sue maggiori funzioni, cioè a decidere sulle cause relative al matrimonio[iii], vi è una questione a cui, a suo avviso, si dovrà per forza provvedere ed è quella relativa all'articolo 5 del Concordato, affinché non si possa ripetere che un cittadino, per il solo fatto di essere stato privato dell'abito talare, non possa essere assunto, né conservato in un insegnamento, in un ufficio o impiego, nei quali sia a contatto col pubblico[iv]. Non ha nessuna simpatia per i preti spretati, ma quando si tratta di uomini dell'altezza morale di un Buonaiuti o della scienza di un Bertrando Spaventa, non può assolutamente ammettere che siano messi al bando della società.

Riassumendo, due sono i punti di maggiore disaccordo: cioè, la riaffermazione del principio dell'articolo 1 del Trattato Lateranense ed il richiamo alle norme del Concordato. Crede che, a prescindere da questi due punti, in tutto il resto sia facile trovare un punto di intesa, trattandosi di questioni più di forma che di sostanza.

Dossetti, Relatore, non crede che sia il caso di rispondere punto per punto alle osservazioni particolari fatte dall'onorevole Cevolotto, per quanto le sue argomentazioni siano tutte abbastanza discutibili. Enuncia semplicemente il principio fondamentale al quale si è ispirata la sua articolazione, che è volutamente più esplicita e più esauriente di quella dell'onorevole Cevolotto, in quanto contempla la libera esplicazione della vita religiosa interiore ed esteriore, le manifestazioni individuali ed associate della fede, l'esercizio del culto sia pubblico che privato. I democristiani in questo campo sono stati coerenti con la tesi basilare alla quale hanno ispirato ogni loro presa di posizione in ordine ai vari problemi della Costituzione, vale a dire al riconoscimento di quella che è la realtà sociale. Per questo motivo, esplicitamente, nella maniera più decisa e nella convinzione di rispecchiare un pensiero genuinamente cristiano, nella dizione proposta affermano il riconoscimento di questa pluralità della vita religiosa. Anche se come cattolici si riservano un giudizio di valore in ordine alla vera religione, come riconoscimento costituzionale non hanno alcuna riserva in ordine al pluralismo delle varie religioni. Ritiene che, sia l'onorevole Cevolotto, che tutti i fautori della libertà di coscienza e di culto, dovrebbero sentirsi tranquillizzati da questa dichiarazione.

Passando al problema fondamentale delle relazioni con la Chiesa cattolica, reputa che, pur restando fermo il principio dell'eguaglianza e della libertà religiosa di tutti i cittadini, non si possa negare che la Chiesa cattolica si pone di fronte allo Stato in generale, e in particolare in Italia, come una realtà sociale evidentemente molto diversa dai fenomeni religiosi che si concretano in altre confessioni e in altre associazioni religiose. Non è soltanto un problema della parità di diritti di maggioranze o di minoranze, a cui alludeva l'onorevole Cevolotto, ma si tratta di una realtà che l'uomo politico non può assolutamente ignorare, il fatto cioè che la Chiesa cattolica è veramente una istituzione con tutti i caratteri e tutte le funzioni fondamentali di un ordinamento giuridico autonomo, vale a dire le funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria.

Questo stato di fatto è non solo un dato politico, che per gli italiani ha un particolare significato, ma è anche un dato scientifico dal quale non si può assolutamente prescindere. I più illustri e moderni cultori del diritto italiano e straniero, cattolici e non cattolici, cristiani e non cristiani, hanno infatti riconosciuto che l'ordinamento canonico è l'esempio tipico e più caratteristico di un ordinamento giuridico, non riconducibile nell'ordinamento dello Stato. Dunque, indipendentemente da un giudizio di valore religioso, non può negarsi di essere di fronte a questo fenomeno della Chiesa che è un ordinamento giuridico originario, non riducibile all'ordinamento dello Stato, avendo una sfera di competenza propria in cui esso si esprime con assoluta libertà di movimento.

Quando l'ordinamento dello Stato entra in contatto con questo ordinamento giuridico, non può comportarsi come se fosse di fronte ad altre forme embrionali che non sono ancora arrivate a consolidarsi, ma deve invece porsi sullo stesso piano di relazioni come quando si trovi in contatto con l'ordinamento giuridico di altri Stati e con quello internazionale. Da questa constatazione discende la conseguenza giuridica e politica che i rapporti tra Chiesa e Stato non possono essere regolati unilateralmente per un atto diretto di una delle due parti, ma soltanto attraverso un atto bilaterale, che sia il reciproco riconoscimento della originarietà autonoma dei due ordinamenti. Nel momento in cui la Chiesa da una parte e lo Stato dall'altra presumessero di regolare questi rapporti unilateralmente, cesserebbe ogni distinzione tra i due ordinamenti e si avrebbe o la teocrazia o il giurisdizionalismo.

Pertanto, se si vuole affermare il principio della distinzione dei due ordinamenti, evidentemente si deve riconoscere in entrambi il carattere di originarietà e la necessità di accordi bilaterali.

Questa premessa teorica non incide, a suo avviso, sul giudizio di valore nei riguardi della Chiesa cattolica, perché ammette la possibilità che quando lo Stato si trovi nei confronti di un altro culto nella stessa situazione in cui si trova con la Chiesa cattolica (cioè di un'istituzione con un proprio ordinamento giuridico) possa entrare in contatto anche con essa attraverso un atto bilaterale, come del resto è previsto in alcune Costituzioni.

In Italia, in particolare, stima che si debba tenere conto del fattore politico, nel senso cioè di ammettere che la Chiesa cattolica rappresenta un fenomeno che non può essere messo su un piano di parità di fatto, restando fermo il principio della parità di diritto, nei confronti delle altre religioni.

Ripete che se si ammettesse che attraverso la Costituente si possa incidere su quello che è stato un regolamento bilaterale di rapporti, si verrebbe a distruggere la distinzione tra i due ordinamenti, annullando quel principio di libertà che si vuole affermare.

Circa l'obiezione che il Concordato contenga principî che alla coscienza di taluno possono essere totalmente o parzialmente estranei, rileva che nulla impedisce che lo Stato chieda alla Chiesa di modificare determinate disposizioni del Concordato.

Per riassumere, crede che due siano i pilastri da mettere come fondamento dell'edificio che si vuole costruire. Da un lato il principio della libertà piena, completa, delle diverse confessioni religiose; dall'altro il principio della necessaria bilateralità della disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa. Sul primo ritiene già raggiunto l'accordo, in quanto da parte democristiana, che poteva essere sospettata di elevare delle difficoltà, si è riconosciuto che non vi è alcuna difficoltà. Sul secondo principio deve invece raggiungersi l'accordo, e si augura che possa, dal seguito della discussione, trovarsi una soluzione.

Conclude affermando che, se si giungesse ad un riconoscimento pieno del principio fondamentale della distinzione dei due ordinamenti, per tutto il resto sarebbe facile trovare un punto di intesa.

Il Presidente Tupini apre la discussione generale.

Cevolotto, Relatore, precisa che la sua proposta di non fare menzione nella Costituzione dei rapporti tra Stato e Chiesa, non impedisce che il Governo regoli e continui a regolare con un Concordato le sue relazioni con la Chiesa, essendo anche quella in vigore una convenzione che potrà durare — attraverso opportune modificazioni parziali — fino a quando una delle due parti non reputi opportuno di denunziarla.

La Pira, riassunti i punti di divergenza, si dichiara favorevole incondizionatamente ai concetti esposti dall'onorevole Dossetti.

Tralasciando le questioni particolari, che potranno essere risolte in sede di revisione di Concordato, si pone la domanda se si possa disconoscere l'esistenza di quell'ordinamento giuridico originario rappresentato dall'ordinamento giuridico canonico. Se esiste questo ordinamento giuridico originario, che è essenziale nella struttura del Cattolicesimo, lo Stato, nel disciplinare costituzionalmente i suoi rapporti, non può non tener conto della sua esistenza. Quindi il problema preliminare è quello di pronunziarsi sulla esistenza di tale ordinamento giuridico.

Il secondo problema è quello di sapere attraverso quale lente debba essere guardato il fenomeno della Chiesa cattolica. A suo modo di vedere, esistono due diverse lenti: una illuminista e l'altra anti-illuminista. La lente illuminista è una lente dissodante, per la quale la religione è un fatto privato, interiore della coscienza, che, come tale, non ha alcuna rilevanza costituzionale nella società e quindi nello Stato. La lente anti-illuminista è invece di concretezza storica, che potrebbe quasi definire di aperto materialismo storico, secondo la quale la religione non è un fatto puramente privato e interiore di coscienza, ma è anche un fatto associativo, come è dimostrato dallo stesso nome del cattolicesimo: Ecclesia.

Ora, se si riconosce che la Chiesa cattolica è essenzialmente una società rilevante per la struttura sociale e per quella dello Stato, ne viene come conseguenza che deve avere un suo ordinamento giuridico, da cui lo Stato non può prescindere.

Premessa la necessità che l'ordinamento dello Stato deve riflettere la struttura reale della società in tutti i suoi elementi, se si abbandona la mentalità illuminista e si guarda la realtà con l'occhio della concretezza storica, gli pare logico affermare che nella Costituzione dello Stato deve essere rispecchiato anche l'ordinamento della Chiesa cattolica. Si dichiara convinto che nel futuro, quando a poco a poco si sarà perduta la mentalità illuminista, nessuno Stato potrà prescindere dal rispecchiare nella sua Costituzione l'ordinamento della Chiesa.

Conclude dichiarando di aderire alla tesi dell'onorevole Dossetti, non soltanto come credente, ma in quanto si sarebbe in contraddizione con la realtà sociale se si volesse fare una Costituzione moderna sulla base delle vecchie concezioni illuministe, sorte dalla riforma protestante.

Su tutte le altre questioni ritiene che possano trovarsi punti di intesa, ma due pilastri — ripete — desidera siano affermati; libertà religiosa per tutti; rapporti bilaterali fra i due ordinamenti originari della Chiesa e dello Stato.

Togliatti riconosce che il problema è di difficile soluzione. La Sottocommissione si trova di fronte ad uno stato di fatto costituito dai Patti Lateranensi e ad una esigenza di principio relativa all'indipendenza dello Stato dalla Chiesa e quindi della completa libertà di coscienza e di culto.

Circa lo stato di fatto, premessa l'indissolubilità del Trattato e del Concordato, ritiene che nessun partito abbia l'intenzione di volerlo modificare, annullando i due suddetti atti. Per quanto riguarda l'esigenza di principio, non può trascurarsi che essa è in contraddizione con alcune affermazioni dei suddetti patti, specialmente nei riguardi della parità di diritto di tutti i culti (e quindi di tutte le chiese di fronte allo Stato), la quale dovrebbe tradursi in una parità di fatto, che invece non può aversi, in quanto esiste il Concordato.

Si domanda come sia possibile uscire da questa contraddizione senza da un lato dare motivo ad una lotta politica nel Paese, e dall'altro essere obbligati a inserire nella Costituzione dei principî che contrastino con la sua coscienza civile e giuridica. Crede che la soluzione si potrebbe trovare in una formula da studiarsi di comune accordo, nella quale si riconoscesse essenzialmente l'indipendenza della Chiesa dallo Stato, enumerando specificatamente quali sono i suoi diritti. Personalmente sarebbe però contrario ad inserire nella Costituzione un simile principio di carattere generale che troverebbe una sede più adatta e opportuna in un trattato di diritto pubblico o di filosofia.

Dichiara, poi, di non comprendere il significato del riconoscimento dell'ordinamento primario giuridico degli altri Stati e della Chiesa. A suo avviso, una affermazione di questo genere sarebbe priva di contenuto concreto sia politico che costituzionale, perché è come se si volesse riconoscere che tutti gli Stati sono in sostanza degli Stati con parità di diritti.

Tutto considerato, non sarebbe contrario ad inserire nella Costituzione un articolo in cui si dica che la Chiesa cattolica, che corrisponde alla fede religiosa della maggioranza degli italiani, regola i suoi rapporti con lo Stato per mezzo dell'esistente Concordato. Una formulazione di questo genere reputa che potrebbe essere di gradimento dei democristiani.

Dossetti, Relatore, non starà a dimostrare, per quanto facile, il contrasto che lo divide dall'onorevole Togliatti, ma si limita a fargli osservare che proponendo di dichiarare nella Costituzione l'indipendenza dello Stato dalla Chiesa e della Chiesa dallo Stato, senza volerlo, richiama in vita una formula che già una volta ha garrito sull'orizzonte italiano: «Libera Chiesa in libero Stato». Senza entrare nel merito di questa formula, mette in evidenza che da parte democristiana si tiene piuttosto ad affermare l'originarietà dei due ordinamenti, da cui deriva naturalmente l'indipendenza dell'uno e dell'altro potere nel campo di competenza proprio a ciascuno. Questo principio è assolutamente pacifico ed è dimostrato da tutta la dottrina degli ultimi decenni, dalla enciclica Immortale Dei di Leone XIII, fino ai pensatori più recenti. Però, se nella Costituzione si affermasse solo che lo Stato è indipendente dalla Chiesa e viceversa, crede che non si sarebbe detto niente per garantire da un lato l'indipendenza della Chiesa e dall'altro la indipendenza dello Stato, contro tutte le possibili rispettive invasioni, che in pratica si sono sempre verificate. Dichiara perciò di non potere accettare tale formula, anche se teoricamente esprime dei concetti che i democristiani potrebbero condividere. Bisognerebbe quindi, a suo avviso, usare una formula nuova nella quale si affermasse in primo luogo il riconoscimento della originarietà dei due ordinamenti giuridici per mettere in evidenza il concetto della irriducibilità di un potere all'altro — su cui anche l'onorevole Togliatti è d'accordo — ed in secondo luogo i modi concreti con cui si regolano i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.

Ritiene inoltre inutile, superfluo e praticamente vano il tentativo di un'elencazione dei diritti della Chiesa che da un lato potrebbe essere incompleta, e dall'altro costituirebbe una elencazione di attività esteriori, senza tener conto di quella che è la realtà interna e strutturale della Chiesa stessa.

Se l'onorevole Togliatti ritiene di proporre che nella Costituzione sia affermato nettamente il principio dell'indipendenza rispettiva dei due poteri, troverà i democristiani pienamente concordi, purché si aggiunga il concetto che questi due distinti poteri, che hanno ciascuno una sfera ben definita di rapporti e di competenza, entrano in contatto attraverso quel determinato ordinamento concreto costituito dai Patti Lateranensi. Questa precisazione non contrasta né in linea di diritto, né in linea di fatto, con il riconoscimento della libertà degli altri culti perché, come ha detto precedentemente, ove si presentasse un'altra Chiesa che avesse non soltanto la base e il numero dei credenti della Chiesa cattolica, ma anche la sua struttura e il suo ordinamento giuridico, lo Stato dovrebbe fare un concordato anche con questa Chiesa.

Mastrojanni osserva che la formula proposta dall'onorevole Dossetti gli fa sorgere serie preoccupazioni. Ritiene che l'intento dell'onorevole Dossetti nell'affermare che lo Stato si riconosca membro della comunità internazionale, sia quello di arrivare al riconoscimento dell'ordinamento della Chiesa, attraverso il riconoscimento di tale comunità internazionale.

Poiché secondo le concezioni del suo partito sarebbe felicissimo se si addivenisse agli Stati Uniti di Europa e anche di altri continenti, non avrebbe nulla da obiettare alla formula dell'articolo 4, proposto dall'onorevole Dossetti: «Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l'ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l'ordinamento della Chiesa».

Gli sembra però inopportuno che sia proprio l'Italia a incominciare a rinunciare alla sua autonomia di Stato per riconoscersi parte della comunità internazionale, con la conseguenza di considerare come relativa la sua autorità statale e come invece preminente quella della sua funzione di partecipe della comunità internazionale. Da un punto di vista etico e giuridico in ordine alla concezione dello Stato, non crede di potere accettare questa formulazione, secondo la quale, sullo stesso piede, la Chiesa e lo Stato, come Stati diversi, sono egualmente partecipi della comunità internazionale.

La Chiesa, a differenza degli Stati, poiché i suoi ordinamenti si estendono in tutto il mondo cattolico, dovrebbe esercitare la sua sovranità e l'esercizio dei suoi diritti non solo nello Stato italiano, ma in tutti gli Stati cattolici del mondo. La proposta contenuta nell'articolo 4 dell'onorevole Dossetti sarebbe accettabile solo se da parte degli altri Stati appartenenti al mondo cattolico, venisse fatto alla Chiesa quel riconoscimento che si propone debba fare lo Stato italiano.

Può essere d'accordo sull'ultimo comma dell'articolo 7, in quanto, essendo le funzioni della Chiesa e dello Stato separate, ed anche diverse, è logico che le rispettive relazioni siano regolate da un concordato, ma non vede per quale motivo si dovrebbe fare un'affermazione come quella contenuta nell'articolo 4, a meno che non si voglia ratificare una situazione di fatto e di diritto già esistente, che cioè la Chiesa e lo Stato hanno ciascuno un proprio ordinamento naturale. In conseguenza della coesistenza contemporanea in Italia di due ordinamenti giuridici egualmente indipendenti, i relativi rapporti, identificandosi con quelli di due diversi Stati, è chiaro che debbano essere regolati da un concordato, come previsto dall'ultimo comma dell'articolo 7, ma, ripete, non vede la ragione dell'affermazione dell'articolo 4.

Dossetti, Relatore, osserva all'onorevole Mastrojanni che, riconoscendo che i rapporti tra Chiesa e Stato debbano essere regolati dagli Accordi Lateranensi, cioè da un atto di diritto esterno e non di diritto interno, si viene a riconoscere alla Chiesa anche una personalità giuridica di diritto internazionale. Poiché i rapporti tra Chiesa e Stato si sviluppano su un piano che è di diritto esterno, con l'articolo 4 ha inteso precisamente affermare il principio che lo Stato riconosce gli ordinamenti giuridici esterni, cioè: l'ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l'ordinamento della Chiesa cattolica. Una volta che l'onorevole Mastrojanni ha dichiarato di accettare l'ultimo comma dell'articolo 7, non vede il motivo della sua preoccupazione, a meno che non sia contrario al riconoscimento che verrebbe dato da parte dello Stato alla comunità internazionale. Ma questo riconoscimento, a suo giudizio, è indispensabile, se non si vuole mettersi al di fuori del diritto internazionale.

Indipendentemente dal diritto internazionale positivo, vi sono, infatti, norme di diritto internazionale generale, come quelle relative al diritto di guerra o al diritto di navigazione, che debbono essere riconosciute per il semplice fatto che anche l'Italia fa parte della comunità internazionale.

Premesso che in questa affermazione la sua posizione, anche se espressa in altri termini, è perfettamente analoga a quella dell'onorevole Cevolotto, precisa che la sua formula rappresenta l'adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale generale. Gli sembra che in questo momento il non riconoscere la necessità di questa partecipazione alla comunità internazionale sarebbe andare contro a quella solidarietà internazionale che si vuole riedificare. Una volta ammessa tale necessità, l'affermazione relativa al riconoscimento dell'ordinamento della Chiesa non è che un'applicazione specifica dello stesso principio, in relazione alla quale l'onorevole Mastrojanni non dovrebbe avere alcuna esitazione, dal momento che ha dichiarato di accettare il concetto contenuto nell'ultimo comma dell'articolo 7.

Mastrojanni dichiara di non essere soddisfatto dei chiarimenti, perché non vede la necessità di giungere alle conclusioni dell'onorevole Dossetti attraverso delle premesse che nella Costituzione non avrebbero ragion d'essere. È logico, infatti, che uno Stato, in quanto tale, partecipi necessariamente alla vita internazionale e riconosca l'ordinamento giuridico degli altri Stati, senza che vi sia bisogno di affermarlo nella Costituzione. Sotto un certo aspetto, potrebbe anche affermarsi che uno Stato è tale in quanto è riconosciuto dagli altri Stati, ma in conseguenza della originarietà dei suoi diritti uno Stato può esistere anche prescindendo dal riconoscimento altrui. Quindi la Chiesa, anche se non venisse riconosciuta come Stato, esisterebbe sempre come ordinamento giuridico originario. Ora la sua preoccupazione deriva dal fatto che avendo messo sullo stesso livello tutti gli Stati, in quanto la loro esistenza si fonda sopra un diritto originario che non ha bisogno di un riconoscimento altrui, la Chiesa, sia che venga o non venga riconosciuta come Stato, esercita lo stesso i suoi diritti in base all'originarietà del suo ordinamento giuridico e può imporli a coloro che aderiscono ai suoi principî. Si domanda allora quali gravi conflitti potrebbero sorgere se la Chiesa, oltre quanto consentitole dai trattati internazionali, volesse esercitare i suoi diritti nello Stato, anche nei riguardi di coloro che non aderissero alle sue concezioni.

Dichiara che, essendo cattolico, non è spinto da determinati preconcetti contrari ai principî della Chiesa; ma desidera porre in evidenza la possibilità di conflitti di natura gravissima che potrebbero derivare dal fatto che la Chiesa, per il raggiungimento delle sue altissime finalità, potrebbe imporre leggi alle quali dovrebbero soggiacere non solo i credenti ma anche i non credenti.

Di fronte alle gravi conseguenze che potrebbero derivare da una dizione che si presta a tutte le interpretazioni, non vede la possibilità di dare la sua adesione, a meno che non si specifichi chiaramente il contenuto dell'articolo 4, in modo da evitare ogni degenerazione nel campo legislativo.

Il Presidente Tupini ritiene che quando verrà in discussione l'articolo 4, l'onorevole Mastrojanni potrà fare proposte concrete.

Merlin Umberto dichiara di essere d'accordo con i colleghi Dossetti e La Pira, e di prendere atto con vivissima soddisfazione delle dichiarazioni dell'onorevole Togliatti relative sia alla inscindibilità dei Patti Lateranensi, sia alla affermazione di non voler turbare la pace religiosa che esiste in Italia. Non è, invece, affatto d'accordo con il collega Cevolotto, il quale, sotto l'apparenza di non voler fare ciò, di fatto ha dichiarato che il Concordato merita di essere completamente distrutto o quasi, in quanto ha attaccato una materia fondamentale, quale è quella relativa al matrimonio e alla competenza dei tribunali ecclesiastici nelle cause matrimoniali.

Fa innanzi tutto osservare all'onorevole Cevolotto, che l'articolo 1 dello Statuto Albertino non è mai stato considerato come inesistente, né vi è mai stata in Italia una legge che abbia avuto il coraggio di abrogarlo. Riconosce che la scuola liberale sosteneva l'inesistenza di tale articolo in quanto sarebbe stato superato dalle condizioni di fatto esistenti; ma tale affermazione non rispondeva a verità, perché se lo Stato nel 1848 poteva essere confessionale, non era tale soltanto per l'articolo 1 dello Statuto, ma per tutto l'insieme delle disposizioni di legge come, in particolare, quelle relative ai tribunali ecclesiastici o alla ammissione nelle carriere statali in relazione al requisito della confessione religiosa. Per eliminare qualsiasi dubbio, precisa di essere nettamente contrario a ricostituire uno Stato confessionale, ma ritiene che tale non possa considerarsi lo Stato che riconosca una realtà come quella che la religione cattolica è la maggiore religione, perché professata dalla quasi totalità dei cittadini italiani. Non comprende, poi, perché l'onorevole Cevolotto voglia discutere l'articolo 1 dello Statuto Albertino, che in sostanza è l'articolo 1 del Trattato tra la Santa Sede e l'Italia, dal momento che egli stesso ha scritto nella sua relazione che quando in una qualsiasi cerimonia ufficiale dovesse essere celebrato un rito religioso, tale rito si dovrebbe svolgere nelle forme e nei più grandi templi della Chiesa cattolica.

Data questa affermazione e la dichiarazione che non si tende a far rivivere uno Stato confessionale, ma veramente libero, non comprende l'opposizione alle proposte avanzate dai democristiani. La prova che si voglia creare uno Stato veramente libero è negli articoli della sua relazione dove, a proposito della libertà di coscienza e della cultura, sono contenute disposizioni così ampie da tacitare tutte le possibili preoccupazioni di parte avversa.

Circa i ritocchi che l'onorevole Cevolotto desidererebbe apportare ai Patti Lateranensi, concorda nella necessità di modificazioni in relazione alla mutata forma costituzionale dello Stato e può assicurare che la Chiesa, la quale si è sempre dimostrata saggia e tempista, ha già cominciato essa stessa a modificare alcune disposizioni del Concordato, come quelle relative al giuramento dei Vescovi e alle preghiere per il Capo dello Stato.

Cevolotto, Relatore, precisa di avere inteso dire che la parte relativa al matrimonio e alla competenza dei tribunali ecclesiastici avrebbe potuto, in separata sede, essere oggetto di nuove trattative, onde addivenire a modificazioni opportunamente concordate tra la Santa Sede e lo Stato italiano.

Merlin Umberto obietta che è proprio su questo punto che la Santa Sede si dimostrerà assolutamente intransigente.

Tiene a porre in evidenza che nel rinvio che lo Stato fa alle norme del diritto canonico ed ai tribunali ecclesiastici non deve ravvisarsi una rinuncia ad una sua supremazia, perché, in base all'articolo 17 del Concordato, le deliberazioni delle autorità ecclesiastiche in materia matrimoniale vengono dallo Stato fatte proprie, previa sentenza di delibazione. Crede che se non si vuole annullare il Concordato lo si deve dire chiaramente, ma allora non lo si deve colpire proprio in un punto fondamentale, come è quello riguardante la materia matrimoniale.

Rileva che quando l'onorevole Togliatti si preoccupa di affermare l'indipendenza reciproca dello Stato e della Chiesa, non fa che affermare un principio della dottrina cattolica, la quale non ha mai aspirato alla supremazia della Chiesa sullo Stato, ma insegna che sia l'una che l'altra hanno pieno diritto di supremazia e di indipendenza nell'ambito degli ordinamenti propri a ciascuno. Poiché però il matrimonio è un contratto che ha un fine fondamentalmente etico e religioso, la Chiesa giustamente rivendica a sé la regolamentazione di questo istituto, con quei controlli da parte dello Stato che sono previsti nel Concordato.

Concludendo, ritiene possibile un accordo con l'onorevole Cevolotto solo quando egli accetti di riconoscere che il Concordato ed il Trattato non vanno toccati, salvo, si intende, le necessarie eventuali revisioni che però dovranno essere effettuate unicamente mediante trattative tra le due parti contraenti e non con deliberazioni prese unilateralmente dallo Stato italiano, mettendo l'altra parte di fronte al fatto compiuto.

Reputa, infine, assolutamente necessario che le dichiarazioni dell'onorevole Togliatti — le quali rispondono in pieno al suo convincimento — che cioè non si deve rimettere in discussione in Italia la pace religiosa, siano consacrate nella Costituzione con un articolo come quello proposto dall'onorevole Dossetti, che corrisponde in pieno alle convinzioni ed ai sentimenti dei rappresentanti della democrazia cristiana.

Basso desidera, prima di entrare nel merito della discussione, chiedere alcuni chiarimenti all'onorevole Dossetti. È convinto che nessuno pensa di rimettere in discussione il Trattato e il Concordato, ossia la pace religiosa, ma prima di dare valore costituzionale ai due suddetti atti, ritiene necessario domandarsi se alcune norme di essi non feriscono alcuni principî che gli sono cari. Intende riferirsi in modo particolare all'articolo 1 del Trattato, dove si parla della religione ufficiale dello Stato, e più ancora all'articolo 5 del Concordato, per il quale la Chiesa si attribuisce il diritto di impedire allo Stato di assumere o mantenere al suo servizio, in impieghi a contatto col pubblico, persone che abbiano rivestito l'abito ecclesiastico. In questa limitazione non può non vedersi una limitazione dell'indipendenza dello Stato.

Dossetti, Relatore, obietta all'onorevole Basso che la sovranità dello Stato è fatta salva per il fatto stesso che ha accettato questa limitazione, allo stesso modo che non è intaccata la sovranità della Chiesa quando ammette che i suoi Vescovi prestino giuramento al Capo dello Stato. Si tratta quindi di una autolimitazione che lo Stato o la Chiesa si pongono, come può avvenire in un qualsiasi contratto bilaterale.

Basso osserva che in certi casi lo Stato, anche se è sovrano quando volontariamente accetta delle limitazioni, non lo è più quando le abbia accettate, come nella ipotesi che rinunziasse alla sua indipendenza per diventare colonia di un'altra Nazione. È chiaro che nel momento in cui dichiara di voler rinunciare alla sua indipendenza è ancora Stato sovrano, ma non lo sarà più quando tale dichiarazione sia stata fatta ed accettata dall'altra parte contraente. A suo avviso, quando nel 1929 lo Stato ha accettato questa limitazione, ha rinunciato alla sua indipendenza, ma non è detto che non possa oggi riacquistarla.

Dossetti, Relatore, fa rilevare all'onorevole Basso che se avesse voluto portare un esempio più adatto alla sua tesi avrebbe dovuto, se mai, citare non l'articolo 5 del Concordato, ma l'articolo 34, il quale porta effettivamente una limitazione più concreta dei poteri dello Stato. Ma anche quest'ultimo articolo non ferisce, a suo giudizio, la sovranità dello Stato. Ricorda in proposito la chiara e netta opinione espressa dal professore Chiovenda, la cui autorità in materia non può essere disconosciuta, che lo Stato non distrugge la sua sovranità quando si pone delle autolimitazioni in vista di contrattazioni con altri Stati. La legislazione ecclesiastica ha vigore in Italia appunto in quanto nella legislazione italiana vi è un esplicito rinvio ad essa. È questo il principio del rinvio che non menoma affatto la sovranità dello Stato. Cita l'esempio dello Stato della Città del Vaticano, il quale fa rinvio addirittura a dei codici dello Stato italiano.

Basso domanda all'onorevole Dossetti se egli non crede che l'articolo 5 non ferisca anche il principio fondamentale della uguaglianza di tutti i cittadini, che è stato già approvato in un articolo della Costituzione. Afferma che nessuno pensa di toccare il Trattato ed il Concordato, ma si vuole che essi non entrino a far parte della materia costituzionale.

Il Presidente Tupini ricorda all'onorevole Basso che quando si fanno dei concordati non solo è riconosciuta reciprocamente la sovranità delle due parti contraenti, ma si definiscono chiaramente la sfera e i limiti rispettivi delle due sovranità.

Per quanto riguarda l'articolo 5 del Concordato, il potere che la Chiesa esercita sui suoi ministri trova, da parte dello Stato, un riconoscimento che non costituisce una rinunzia alla sovranità, ma è stato accordato invece in funzione della sua stessa sovranità.

Basso insiste nel ritenere che il Concordato ed in particolare l'articolo 5, non debbano essere richiamati nella Costituzione.

Dossetti, Relatore, desidera ribadire quanto già affermato dall'onorevole La Pira. Come il fenomeno familiare si è ritenuto talmente importante da giustificare l'intervento costituzionale, così il fenomeno ecclesiastico è di tali dimensioni che quasi tutte le Costituzioni se ne occupano, sia nel senso di ammettere, che di negare l'organizzazione originaria della Chiesa. È quindi necessario che la Costituzione prenda posizione in questo campo e l'unica soluzione è quella di riconoscere i Patti Lateranensi che regolano già tutta la materia.

Risponde all'onorevole Basso che l'articolo 5 del Concordato non ferisce il principio dell'eguaglianza di tutti i cittadini, perché riconoscendosi la Chiesa come ordinamento giuridico, si viene anche a riconoscere in particolare la sua gerarchia e quindi il legame che stringe ad essa i suoi ministri.

Colui che accetta liberamente di essere ordinato sacerdote sa a quali obbligazioni va incontro e quale è lo status giuridico che acquista nel momento che riceve il sacramento dell'ordine. Nell'articolo 5 del Concordato, lo Stato ha riconosciuto appunto il rapporto interno che lega i sacerdoti alla Chiesa. È evidente che in questo caso non si intacca il principio della libertà dei cittadini, in quanto si tratta di persone che si pongono volontariamente su di una posizione di differenziamento dagli altri cittadini nel momento in cui liberamente accettano quel determinato status giuridico.

Il Presidente Tupini, allo scopo di rendere più spedita la risoluzione di tutte le questioni, prega gli onorevoli relatori di volersi riunire con gli onorevoli Togliatti, Mastrojanni, Basso e Lucifero e di tentare l'elaborazione di una formula concordata da sottoporre alla discussione nella prossima riunione.


 

[i] L'articolo 1 del Trattato tra la Santa Sede e l'Italia (11 febbraio 1929) è il seguente:

«L'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell'articolo 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato».

L'Articolo 1 dello Statuto Albertino è il seguente:

«La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi».

[ii] L'articolo 36 del Concordato tra la Santa Sede e l'Italia (1929) recita:

«L'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l'insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d'accordo tra la Santa Sede e lo Stato. Tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti e religiosi approvati dall'autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall'ordinario diocesano. La revoca del certificato da parte dell'ordinario priva senz'altro l'insegnante della capacità di insegnare. Pel detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati dalla autorità ecclesiastica».

[iii] L'articolo 34 del Concordato tra la Santa Sede e l'Italia (1929) recita:

«Lo Stato italiano, volendo ridonare all'istituto del matrimonio, che é a base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili. Le pubblicazioni del matrimonio come sopra saranno effettuate, oltre che nella chiesa parrocchiale, anche nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione il parroco spiegherà ai coniugi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi, e redigerà l'atto di matrimonio, del quale entro cinque giorni trasmetterà copia integrale al Comune, affinché venga trascritto nei registri dello stato civile. Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici.

I provvedimenti e le sentenze relative, quando siano divenute definitive, saranno portate al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale controllerà se siano state rispettate le norme del diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. I detti provvedimenti e sentenze definitive coi relativi decreti del Supremo Tribunale della Segnatura saranno trasmessi alla Corte di appello dello Stato competente per territorio, la quale, con ordinanze emesse in camera di consiglio, li renderà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che siano annotati nei registri dello stato civile a margine dell'atto di matrimonio. Quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede consente che siano giudicate dall'autorità giudiziaria civile».

[iv] L'articolo 5 del Concordato tra la Santa Sede e l'Italia (1929) è il seguente :

«Nessun ecclesiastico può essere assunto o rimanere in un impiego od ufficio dello Stato italiano o di enti pubblici dipendenti dal medesimo senza il nulla-osta dell'ordinario diocesano. La revoca del nulla-osta priva l'ecclesiastico della capacità di continuare ad esercitare l'impiego o l'ufficio assunto. In ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un insegnamento, in un ufficio od in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti