[Il 25 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli delle «Disposizioni generali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 7 per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Dobbiamo esaminare l'articolo 5 del progetto, che diventerà l'articolo 7 del Testo definitivo.

«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

«I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale.

«Le altre confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

A questo articolo sono stati presentati numerosi emendamenti, dei quali i seguenti sono stati già svolti:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutte le confessioni religiose sono eguali di fronte alla legge.

«I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati in termini concordatari in armonia con la presente Costituzione.

«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti. I rapporti con lo Stato, ove queste confessioni lo richiedano, sono regolati per legge sulla base di intese con le rispettive rappresentanze.

«Calamandrei, Cianca, Lussu, Schiavetti, Foa, Codignola, Mastino Pietro, Lombardi Riccardo, Valiani».

«Far precedere al primo comma il seguente:

«La religione cattolica è la religione professata dalla enorme maggioranza del popolo italiano.

«Rodinò Mario, Coppa Ezio».

«Prima delle parole: Lo Stato e la Chiesa cattolica, aggiungere le parole: Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge.

«Ruggiero».

[...]

Trasferire il terzo comma, opportunamente coordinato, all'articolo 14, in funzione di garanzia della libertà religiosa.

«Nobili Tito Oro».

L'onorevole Della Seta ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Lo Stato e le singole Chiese sono, ciascuno nel proprio ordine interno, indipendenti e sovrani.

«I rapporti tra lo Stato e ogni singola Chiesa sono disciplinati per legge.

«Per i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica potranno essere mantenute, in termini di concordato, quelle norme dei Patti lateranensi che, nello spirito e nella lettera, non contrastino con le norme fondamentali della Costituzione repubblicana».

Ha facoltà di svolgerlo.

Della Seta. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l'emendamento a quello che fu l'articolo 5 e che oggi è divenuto l'articolo 7, l'emendamento, che, più che a nome del mio Gruppo, mi onoro di presentare a nome della scuola repubblicana italiana, non è certo un emendamento che, lasciando immutato il concetto, si limiti a sostituire una qualche parola ad un'altra, una qualche locuzione ad altra locuzione; ma è un emendamento — per chi voglia e sappia leggerlo senza prevenzioni — che, in fondo, non tende ad annullare radicalmente quanto è consacrato nell'articolo 5 del progetto di Costituzione.

È superfluo che io faccia una personale dichiarazione. Non parlo né come apologeta di questa o di quella confessione religiosa, né come difensore di questa o di quella Chiesa; parlo per rivendicare la bellezza morale di un principio, che io, per il primo, rivendicherei in difesa degli stessi cattolici, se ai cattolici, qualora fossero in minoranza, venisse fatto quel trattamento che ancora oggi, in Italia, è fatto alle minoranze religiose. Conforme ai principî della pura democrazia, conforme a quelli che sono i pronunciati ultimi della scienza giuridica e politica, conforme soprattutto al dettato della coscienza morale, di quella coscienza, che moralmente, giuridicamente e politicamente, rivendica, come sua conquista immarcescibile, il risultato di tutto il processo storico, io intendo solamente riportare sopra un piano spirituale più alto, sopra un piano più squisitamente etico — più alto che non sia quello unilateralmente ed egoisticamente confessionale — il fondamento della soluzione del formidabile e secolare problema dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato.

In verità, un popolo che, nel pieno esercizio della sua sovranità, si accinge a dare a se stesso la propria Costituzione repubblicana, non dovrebbe sentire alcun bisogno di consacrare nella Costituzione la sovranità dello Stato; al modo stesso che una più alta educazione morale e civile e un più alto grado di maturità politica dovrebbero non far sentire alcuna necessità di consacrare nella Costituzione la indipendenza e la sovranità della Chiesa.

Verrà un tempo nel quale i tardi nepoti — salvo l'interessamento che potranno avere come documento storico — si meraviglieranno di queste nostre discussioni, come noi oggi ci meravigliamo che vi sia stato un tempo nel quale spiriti illuminati abbiano potuto seriamente discutere se l'uomo per natura nasca libero o schiavo.

Ma una Costituzione è una Costituzione. Non può non riflettere il momento storico nel quale viene elaborata; e troppe, in Europa, in ogni paese civile, e, per ragioni particolari, in questa nostra Italia, troppe sono state e sono le preoccupazioni da parte dello Stato di una possibile invadenza della Chiesa e da parte della Chiesa di una possibile invadenza dello Stato, perché non siasi potuto ritenere naturale e legittima la necessità di consacrare nella Costituzione l'indipendenza e la sovranità dello Stato, nonché l'indipendenza e la sovranità della Chiesa.

Ora, poiché il problema specifico, che con l'articolo 5 del progetto si è posto, non è quello generico della libertà religiosa, ma bensì il problema dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, mi sia permesso di fare talune dichiarazioni che non rispondono ad espedienti tattici suggeriti dalla contingenza del momento, ma si riferiscono a principî fondamentali che fanno parte della dottrina di tutta la scuola repubblicana.

La critica religiosa, in sede teologica e filosofica, può discutere tutti i dogmi; ma la Chiesa — ogni Chiesa — è libera, liberissima di considerare quei dogmi di cui essa si ritiene depositaria come l'assoluta verità religiosa; col conseguente diritto — un diritto però pericoloso perché radice di tutte le intolleranze — di condannare quelle opinioni, quelle dottrine che, a suo insindacabile giudizio, essa ritiene eterodosse, ereticali.

In sede morale e giuridica si può discutere l'ordinamento istituzionale di una data Chiesa; si può valutare se, con spirito più o meno democratico o aristocratico, un dato ordinamento ecclesiastico sia più o meno conforme al codice religioso di cui essa, la Chiesa, si dichiara depositaria. Ma la Chiesa — ogni Chiesa — è libera, liberissima di dare a sé stessa quell'ordinamento istituzionale che ritiene il migliore.

Si potrà, al modo stesso, valutare quanto una data liturgia abbia, più o meno, di materialismo o di spiritualismo; ma la Chiesa — ogni Chiesa — è libera, liberissima di disciplinare, come crede, l'esercizio del culto.

Dico di più. La Chiesa, ogni Chiesa, dovrebbe essere spiritualmente così gelosa della propria indipendenza da non volere essere sussidiata dallo Stato, da dovere essere solo sorretta dal contributo spontaneo, generoso e davvero religioso, dei suoi fedeli.

In tutto questo campo, piena indipendenza dunque della Chiesa, di ogni Chiesa. Lo Stato non ha qui nessun titolo per nessuna ingerenza. Esso non ha che il dovere di vigilare onde, sotto la maschera della religione, non si professino principî e non si celebrino riti contrari all'ordine pubblico e al buon costume.

Tutto questo, salvo errore, sancisce l'articolo 5 del progetto nei riguardi della Chiesa cattolica. E noi ce ne compiacciamo; noi teniamo che sia riconosciuta per la Chiesa cattolica questa indipendenza, questa sovranità; se fosse disconosciuta saremmo noi i primi a rivendicarla.

Quale la differenza allora tra l'articolo 5 ed il primo comma del nostro emendamento?

Noi affermiamo che quella indipendenza e quella sovranità che sono riconosciute per la Chiesa cattolica, debbono del pari essere riconosciute per tutte le altre Chiese, per le Chiese cui appartengono le minoranze religiose. Questo il punto.

Anche le altre Chiese, cui appartengono le minoranze religiose, noi consideriamo istituti originari e non derivati. Il loro essere non deriva dal riconoscimento dello Stato; sono in quanto anche esse sentono il loro fondamento mistico in Dio; sono per la stessa libera volontà dei credenti di associarsi.

La Chiesa valdese, ad esempio, ha un suo statuto, che non può non essere riconosciuto e rispettato.

Anche le comunità israelitiche hanno norme istituzionali e disciplinari che hanno sfidato i secoli attraverso tutte le persecuzioni; anche queste debbono essere riconosciute e rispettate.

Se poi, sottilizzando, si vuol fare la distinzione tra una questione di fatto ed una questione di principio, rispondo che questi statuti, quando nel fatto esistono, debbono essere riconosciuti come già consacranti la indipendenza e la sovranità di queste Chiese; quando non esistono, rimane il principio, che non può non essere consacrato nella Costituzione, come diritto potenziale per ogni comunità religiosa costituita o costituenda.

Questo, dunque, e non altro, il significato del primo comma del mio emendamento: «Lo Stato e le singole Chiese sono, ciascuno nel proprio ordine interno, indipendenti e sovrani».

Nessun disconoscimento, teniamo a ripeterlo, della indipendenza e della sovranità della Chiesa cattolica; ma come attuazione, anche in questo campo, del principio democratico della eguaglianza, riconoscimento della indipendenza e della sovranità delle altre Chiese, delle Chiese cui appartengono le minoranze religiose.

Il secondo comma si ispira ad una constatazione di fatto di ordine etico e sociologico; ad una constatazione per cui, a meno di non peccare di astrazione, non possono i due attributi della indipendenza e della sovranità essere considerati come un qualcosa di assoluto.

Voi, democristiani, avete, nella discussione, troppo accentuato la esigenza della separazione e della distinzione. Voi dovreste essere con me nel riconoscere che la nota seducente formula cavouriana: «libera Chiesa in libero Stato», con la successiva immagine delle due parallele che si prolungano senza incontrarsi mai, sono formule e immagini contingenti, esprimenti un periodo di transizione e di transazione, per cui la separazione poteva presentarsi come la soluzione più prudente e più pratica, nel momento nel quale i due istituti, la Chiesa e lo Stato, erano in aperto e forte contrasto.

Ma ben altra è la realtà etica e sociologica. V'è una interdipendenza insopprimibile tra i due istituti, non solo esplicabile col fatto che la loro attività si esplica, simultaneamente, sullo stesso territorio. La interdipendenza è spirituale. Al modo stesso che non è dato all'individuo, se ha una fede, di operare in sé uno sdoppiamento della personalità, onde se si conforta in una visione religiosa della vita non può non trasfondere questa sua religiosità in ogni campo della sua attività, onde non riuscirete mai a disgiungere, ad esempio, il credente dal legislatore e dall'educatore, così, quando una Chiesa sia una vera Chiesa, cioè una Chiesa docente e non politicante, così lo Stato non può non avvantaggiarsi del magistero spirituale della Chiesa, la di cui funzione pedagogica si risolve, dovrebbe risolversi, in un maggiore potenziamento del senso etico, al modo stesso che una Chiesa si avvantaggia nel compimento del suo magistero spirituale, se questo può svolgersi in uno Stato rettamente ordinato, in una società non turbata da continui mutamenti e sconvolgimenti.

Tra i due istituti, lo Stato e la Chiesa, non possono quindi non stabilirsi continui contatti e rapporti. E se rapporti vi sono, non possono non essere disciplinati. E poiché una tale disciplina non può trovare la sua particolare formulazione nella Costituzione, essa non può non essere disciplinata per legge.

Legge, teniamo a ripeterlo, che non è il titolo legittimante la ragion d'essere delle diverse Chiese, delle diverse comunità religiose. Ma legge che esprime la necessità di precisare e di garantire, in termini giuridici, in norme di diritto pubblico interno, quei rapporti tra i due istituti che ritrovano il loro fondamento in più alte esigenze di ordine etico e spirituale.

Non è in contrasto col principio democratico il ritenere che questa disciplina dei rapporti per mezzo della legge non è una facoltà lasciata all'arbitrio delle parti, ma è una necessità di ordine morale, giuridico e politico, nella quale i due istituti ritrovano, ciascuno, una maggiore garanzia di vita e di un più sereno e sano svolgimento.

Tutto questo e nulla più, vuol significare il secondo comma del mio emendamento: i rapporti tra lo Stato e ogni singola Chiesa sono disciplinati per legge.

Ma questo principio di eguaglianza che, di fronte allo Stato, recisamente rivendichiamo per tutte le Chiese, non ci porta, come politici e come legislatori, a chiudere gli occhi alla realtà.

[...]

Noi siamo contro la confessionalità dello Stato. Siamo per la libertà di coscienza sancita, nella Costituzione, come la prima, la fondamentale tra le pubbliche libertà. La libertà di coscienza è più ampia della semplice libertà religiosa. Questa ci fa pensare più ai credenti di date religioni storiche, tradizionali, più agli appartenenti ad una data Chiesa; la libertà di coscienza, nello stesso campo religioso, rivendica un diritto che non può non essere riconosciuto anche a favore dei liberi credenti, cioè di quelli che, al di fuori di ogni Chiesa costituita, celebrano la loro religiosità nel mistico immediato rapporto della loro anima con Dio.

Noi siamo contro la confessionalità dello Stato. Ed esserlo non è rivelare sentimenti ostili alla religione, tanto meno è mostrarsi ostili alla Chiesa cattolica. Stato laico, quello che noi rivendichiamo, non significa affatto, come una certa interpretazione tendenziosa vorrebbe far credere, non significa Stato ateo, irreligioso o antireligioso. Noi, per un alto sentimento di educazione civile, non ci siamo mai macchiati di certe forme volgari di anticlericalismo. Più di una volta, con la parola e con la penna, nella stessa Voce repubblicana, abbiamo richiamato al rispetto verso i sacerdoti. Stato laico, per noi è quello nel quale, in piena libertà e nel rispetto reciproco, tutti i credenti, senza mortificanti discriminazioni confessionali, possono, individualmente e collettivamente, privatamente e pubblicamente, testimoniare la loro fede.

[...]

C'è di più ancora. Noi abbiamo un Codice penale — dedico queste mie parole a lei, onorevole Ministro della giustizia — noi abbiamo un Codice penale che costituisce questa mostruosità morale: un Codice che si fa istigatore del reato che si prefigge di reprimere; un Codice che, pel reato di offesa al sentimento religioso, commina una pena diversa, secondo la confessione religiosa dell'offeso. Pena più grave, se l'offesa ferisce il sentimento religioso della maggioranza, meno grave se ferisce il sentimento religioso delle minoranze. Anzi vi è un'azione, il pubblico vilipendio, che viene punita solo se va ad offendere la religione dello Stato, cioè il sentimento religioso della maggioranza.

Tutto questo — come già si è fatto per la pena di morte — tutto questo, non solo a rispetto delle minoranze, ma a difesa del buon nome della patria, deve essere dalla legge abolito.

Noi non conosciamo che una norma. Lo Stato, quale istituto giuridico e politico, rappresenta tutti i cittadini. I cittadini riconoscono se stessi nello Stato; lo Stato riconosce se stesso nei cittadini. Se volete ricercare un motivo etico-religioso nello Stato, questo lo ritroverete nel principio della giustizia. Giustizia che, come sua prima attuazione, reclama il rispetto del principio della eguaglianza. Eguaglianza intesa non come utopistico egalitarismo livellatore, ma come negazione di ogni privilegio. In vera democrazia, come non si ammettono privilegi di casta, di classe, di partito o di censo, così non si possono ammettere privilegi confessionali.

A parità di doveri, parità di diritti. Quando lo Stato, senza discriminazioni confessionali, chiama ogni cittadino ad alimentare con le proprie ricchezze il pubblico erario; quando, per testimonianza inoppugnabile, vi sono stati appartenenti alle minoranze religiose che, col loro nome, nelle arti, nelle scienze, nelle lettere, hanno tenuto alto il nome della patria all'estero; quando lo Stato, senza discriminazioni confessionali, chiama ogni cittadino a difendere la patria, a versare il suo sangue per essa — e quanti e quanti, nella prima guerra mondiale, accorsero volontari e caddero sul campo dell'onore e si distinsero in fulgidi episodi di eroismo! — quando tanti e tanti degli appartenenti alle minoranze religiose caddero in quelle Fosse Ardeatine, che Ella, ieri, onorevole Presidente, con sì nobili parole ha rievocate, in quelle fosse ove, nella comunanza del martirio, fu celebrata la comunione della fede in un sacro ideale di giustizia e di libertà, quando tutto questo avviene, allora, lasciatemelo dire, non è umana, non è cristiana, non è giusta una legge la quale basa il privilegio e il prestigio di una Chiesa sulla mortificazione morale e sulle menomazioni giuridiche delle minoranze religiose.

Se voi cattolici mi obiettate che giusto è il privilegio della vostra Chiesa, perché la vostra fede rappresenta la verità religiosa e quella degli altri è l'errore, allora non risponderò che l'argomento si potrebbe facilmente ritorcere, ma dirò che in voi, senza condividerlo, rispetto il dogma come un punto della vostra fede, ma che non v'invidio questo atto di presunzione spirituale.

Se poi mi obiettate che democrazia è rispetto della maggioranza, che voi nel paese siete la maggioranza e che perciò, rivendicando il privilegio della Chiesa, siete dei perfetti democratici, vi risponderò che certi problemi dello spirito non si risolvono a colpi di maggioranza o di minoranza; e che c'è una logica più logica della logica ed è quella che, come premessa maggiore del sillogismo, ha il principio supremo del giusto e dell'onesto.

Questi i principî che hanno indotto a formulare il terzo comma del mio emendamento, nel quale si afferma che, nel nuovo Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica potranno essere conservate dei Patti lateranensi quelle norme che non contrastino con le norme fondamentali della Costituzione repubblicana.

Presidente Terracini. La prego di concludere, onorevole Della Seta.

Della Seta. Concludo rilevando che la pace religiosa, che in quest'aula dai vari settori è stata tante volte invocata e in nome della quale si son volute legittimare le prese di posizione le più antitetiche, non è quella che, incuneando un elemento disgregatore, divide la nazione in reprobi ed in eletti, ma quella che trova la sua garanzia in quel sentimento così mirabilmente espresso nel Nathan il Savio, nel capolavoro di Ephraim Lessing. Esso dice ai credenti: ricordatevi che siete tutti figli dello stesso Dio e che primo articolo di ogni fede sinceramente e onestamente professata è il rispetto della fede altrui. Esso dice ai cittadini: ricordatevi — e quanto alla educazione di questo sentimento deve contribuire la scuola! — ricordatevi che, al di sopra di tutte le divergenze confessionali, siete tutti figli della stessa Madre, della Patria comune, cui avete il dovere, con spirito di dedizione, di offrire il contributo della vostra opera.

Onorevoli colleghi, questa discussione non si svolge esclusivamente entro il recinto di quest'aula e neppure entro la cerchia tra le nostre Alpi e il nostro mare. Il mondo ci guarda. Esso attende dal risultato della nostra votazione un criterio per giudicare se la nostra sia o non sia una vera democrazia, e quale il grado della nostra educazione civile, della nostra maturità politica.

Cancellando dalle leggi una qualsiasi discriminazione giuridica tra le varie confessioni religiose, consacrando nella Costituzione il grande principio della libertà di coscienza, non solo contribuiremo ancor più a cementare la unità spirituale e morale della patria, ma saremo ancor più stimati e rispettati nel consesso delle nazioni. (Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. L'onorevole Lami Starnuti ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Carboni, Preti, Binni, Bennani, Piemonte, Persico, Fietta, Villani, Vigorelli:

«Sostituirlo col seguente:

«La Repubblica riconosce la Chiesa cattolica, nel suo ordine, indipendente e sovrana.

«La condizione giuridica della religione cattolica è disciplinata mediante concordati con la Chiesa.

«La condizione giuridica delle altre confessioni religiose è disciplinata per legge, previe intese, ove richieste, con le rispettive rappresentanze».

L'onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

Lami Starnuti. [...] Il capoverso del nostro emendamento è invece sostanziale: modifica profondamente l'articolo 5 del progetto di Costituzione. Dico profondamente, perché è dovere di onestà e di lealtà non infingere quelli che sono i nostri sentimenti, i nostri pensieri. Noi avevamo pensato e avevamo sperato che su questa materia ardente vi fosse stata la possibilità di una intesa che garantisse tutte le fedi, tutti i pensieri, tutti i sentimenti religiosi.

[...]

Presidente Terracini. L'onorevole Badini Confalonieri ha presentato i seguenti emendamenti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«I loro rapporti continueranno ad essere regolati da patti concordatari».

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«Le altre confessioni religiose hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordine pubblico o con il buon costume. I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

Non essendo presente l'onorevole Badini Confalonieri, s'intende che vi abbia rinunciato.

L'onorevole Pajetta Giancarlo ha presentato il seguente emendamento, firmato anche dagli onorevoli Laconi e Mattei Teresa:

«Al terzo comma, nella prima parte, sopprimere le parole: in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano».

«Sostituire la seconda parte con la seguente:

«I rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».

L'onorevole Pajetta Giancarlo ha facoltà di svolgerlo.

Pajetta Giancarlo. Abbiamo presentato un emendamento al terzo comma dell'articolo 7, perché sia chiara non soltanto la necessità del rispetto assoluto della coscienza dei fedeli a qualsiasi Chiesa appartengano, ma sia esplicitamente dichiarata l'eguaglianza e la libertà di tutte le Chiese di fronte allo Stato. Per quello che riguarda la prima parte del nostro emendamento noi chiediamo che sia tolta la dichiarazione: «In quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano», facendosi riferimento alla organizzazione delle confessioni religiose non cattoliche. Pensiamo che, quanto poteva essere richiesto dallo Stato onde cautelarsi, per quello che si riferisce all'ordine pubblico e al buon costume, è previsto a sufficienza dall'articolo 14. Mantenere la dizione proposta nel progetto di Costituzione, vorrebbe dire porre in una condizione particolare le altre confessioni religiose, sarebbe creare per le altre Chiese una sorta di discriminazione che apparirebbe come un ingiusto sospetto o almeno come una minorazione che non può essere certo opportuna. Poiché qui da tutte le parti si è dichiarato di non voler fare riferimento all'articolo primo del vecchio Statuto albertino, e poiché non si è voluto parlare di culti tollerati od ammessi ma enunciare un'esplicita eguaglianza, pensiamo che questo nostro emendamento possa essere accettato.

Per quello che riguarda la seconda parte, nel progetto è detto che «i rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

Ora, pare a noi che la necessità della richiesta non si debba riferire alle intese, ma debba riferirsi invece alla stessa legge che, per essere di tipo concordatario, deve essere richiesta e accettata dalle parti. Diciamo questo non soltanto perché non intendiamo che lo Stato possa ingerirsi e intervenire con la legge anche contro la volontà dei fedeli, ma perché ci sono comunità religiose che non intendono che sia fatta una legge nei loro confronti, mentre altre non soltanto accettano, ma desiderano avere statuti giuridici riconosciuti dallo Stato. Proponiamo quindi che si dichiari che ci sarà la legge qualora sarà richiesta e che sempre — la conseguenza è naturale — quando ci sarà la legge, essa debba essere preceduta da un'intesa con la comunità religiosa alla quale si riferisce.

Permettetemi di rivolgere qui, mentre si tratta di questo argomento, un pensiero alle minoranze religiose italiane. In quest'aula si è fatto più di una volta riferimento alla unità della nazione e alla necessità della pace religiosa. Ebbene, io credo che nessuno abbia voluto che quel riferimento all'unità della Nazione e alla pace religiosa fosse dettato dal calcolo di quanti sono i cittadini di questa o di quella fede, che possono essere chiamati domani a dare il loro voto a quelli che sono oggi i deputati, che stabiliscono la nuova Costituzione italiana.

È certo che noi non intendiamo fare un calcolo di quantità, ed è per questo che vogliamo siano riconosciuti i diritti delle confessioni religiose che rappresentano piccole minoranze, ma che hanno legato la loro vita e la loro storia alla vita e alla storia del nostro Paese, anche nei momenti più difficili.

Ricordiamo i Valdesi, una piccola minoranza. Ma non può il nostro pensiero riconoscente non andare agli abitanti di quelle valli del Piemonte, che, quando i tedeschi scesero nel nostro Paese, accesero per quelle valli la guerriglia partigiana, rifacendosi non soltanto al sentimento nazionale di tutti gli italiani, ma riallacciandosi alla loro tradizione religiosa di ribelli, di ribelli in nome della giustizia e della libertà, e alle loro lotte gloriose contro i duchi di Savoia.

E vogliamo ricordare qui la sofferenza ed il martirio degli israeliti italiani i quali, nella persecuzione prima e nella tragedia poi, non sono stati soltanto testimoni, al modo antico, della loro fede, ma hanno dato una più alta testimonianza. Gli israeliti italiani sono stati primi ad essere colpiti quando alla tirannia nostrana si aggiunse la tirannia straniera. Essi, con la sofferenza, col martirio, hanno ammonito, hanno messo in guardia, hanno fatto aprire gli occhi anche a coloro che prima non vedevano ancora che cosa il fascismo rappresentasse, anche a coloro che non avevano inteso appieno cosa avrebbe significato per un Paese perdere la sua indipendenza nazionale.

Perciò appunto — per questo ricordo di lotte, di resistenza e di martirio — noi chiediamo che sia dato il riconoscimento dovuto a queste minoranze.

Quanto si tratta di fede, di libertà e di coscienza non è il numero, ma la qualità che conta.

Per questo ci rivolgiamo a tutti gli italiani, perché sentano italiani, come gli altri, questi nostri fratelli. (Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. L'onorevole Lucifero ha presentato il seguente emendamento:

«Trasferire l'ultimo comma all'articolo 14, sostituendo le parole: Le altre confessioni, con le seguenti: Tutte le confessioni.»

L'onorevole Lucifero ha facoltà di svolgerlo.

Lucifero. Onorevoli colleghi, dopo una discussione così profonda e così elevata, come quella sentita finora, il mio emendamento può apparire, ed è effettivamente, cosa molto modesta.

Ma io ripropongo in questa sede un emendamento già proposto in sede di Commissione per la Costituzione.

Questo ultimo capoverso dell'articolo 5 trae origine da un emendamento aggiuntivo presentato dal nostro Presidente, onorevole Terracini.

In quella sede io proposi — per le ragioni che esporrò — che l'emendamento fosse spostato come secondo comma, all'articolo 14.

La Commissione all'unanimità quella sera approvò e l'emendamento e la mia proposta, che l'onorevole Terracini aveva accettato.

Per una evidente omissione, io devo pensare, ritrovo il capoverso in questa sede. Ora, io penso, dopo la discussione che abbiamo sentita, dopo tutto quello che si è letto sulla stampa e le polemiche fatte anche fuori di quest'aula, che il collocamento di questo capoverso debba andare all'articolo 14, dove si parla di libertà religiosa.

Quale che possa essere il giudizio sul contenuto dell'articolo, non vi è dubbio che i rapporti tra Santa Sede e Stato italiano non sono soltanto di natura confessionale, ma sono anche rapporti di natura politica. L'articolo 7 quindi, a parer mio, regolarizza, chiarisce i rapporti politici fra la Chiesa cattolica, la Santa Sede e lo Stato italiano.

La libertà che hanno le altre confessioni di organizzarsi e di svolgere la loro attività entra indubbiamente nelle libertà religiose e non è un rapporto politico che esse costituiscono con lo Stato italiano, anche allorquando le loro rappresentanze con lo Stato italiano prendono degli accordi.

È evidente allora che l'articolo 14, il quale stabilisce la libertà di professione e di associazione religiosa per il singolo, debba contenere, nella sua seconda parte, la libertà anche delle organizzazioni e le modalità per cui queste organizzazioni possano vivere e svolgersi. Prego quindi, per la chiarezza della Costituzione, di voler spostare nuovamente al secondo comma dell'articolo 14 quanto erroneamente oggi vediamo al terzo comma dell'articolo 7.

Presidente Terracini. L'onorevole Grilli ha proposto un emendamento inteso a sopprimere tutto l'articolo 7. (Commenti al centro). Ha facoltà di svolgerlo.

Grilli. Rinunzio all'emendamento e aderisco a quello svolto dall'onorevole Lami Starnuti. Nel caso che questo emendamento non abbia fortuna, mi riservo di fare una dichiarazione in sede di votazione dell'articolo 7.

Presidente Terracini. Onorevole Grilli, mi permetto però di farle presente che per manifestare la volontà di sopprimere un articolo basta votare contro l'articolo stesso. Desidero fare questa precisazione in ordine alla riserva da lei fatta.

Grilli. Onorevole Presidente, forse non mi sono bene espresso. Ho detto soltanto che mi riserbo di fare una dichiarazione di voto, quando si porrà in votazione l'articolo 7.

Presidente Terracini. È così esaurito lo svolgimento degli emendamenti.

Si tratta ora di raggrupparli per facilitare le successive votazioni.

Fra gli emendamenti ve ne sono tre, quelli degli onorevoli Della Seta, Calamandrei e Lami Starnuti, che sono sostitutivi dell'intero articolo.

Quelli proposti dagli onorevoli Crispo, Basso, Bassano e Patricolo sono sostitutivi dei primi due commi.

L'onorevole Lucifero e l'onorevole Nobili Tito Oro hanno invece proposto di trasferire all'articolo 14 il terzo comma dell'articolo, salvo alcune piccole modificazioni del testo.

Vi sono poi le proposte degli onorevoli Ruggiero e Rodinò Mario, le quali hanno un carattere esclusivamente aggiuntivo, trattandosi di premettere ai tre commi dell'articolo 7, un altro comma.

Infine i due emendamenti dell'onorevole Pajetta Giancarlo contengono proposte soppressive e sostitutive di una parte del terzo comma.

Io credo che dovremo anzitutto votare sulle proposte aggiuntive, quelle cioè degli onorevoli Rodinò Mario e dell'onorevole Ruggiero. Esse, se accettate, modificherebbero l'impostazione generale del testo proposto dalla Commissione.

A proposito degli emendamenti sostitutivi di tutto il comma, vi è tuttavia qualche cosa in comune fra le proposte stesse ed il testo della Commissione, ed è che questi stessi emendamenti sostitutivi si dividono ciascuno in tre commi in correlazione col testo della Commissione; sicché sarà opportuno votarli comma per comma, contrapponendo i testi sostitutivi a quelli della Commissione, per valutare meglio le diversità sostanziali delle proposte.

Comunque, prima di passare alle votazioni, darò la parola a coloro che la richiedono per fare delle dichiarazioni di voto le quali, onorevoli colleghi, per facilitare il nostro lavoro e per la sua maggiore chiarezza e dato che le proposte sono numerosissime e si intrecciano fra loro, potrebbero essere opportunamente raggruppate, mano mano che i singoli emendamenti e le diverse formulazioni saranno poste in votazione.

D'altra parte, dai discorsi che abbiamo udito nei giorni passati e dallo svolgimento degli emendamenti, abbiamo tutti compreso che il centro di equilibrio di questo articolo è costituito da una o due questioni fondamentali e ritengo (può essere una supposizione errata) che i colleghi che chiederanno di parlare, per dichiarazione di voto, intenderanno essenzialmente riferirsi a questi problemi centrali.

[...]

De Gasperi. E veniamo alla questione delle minoranze. È stato parlato di menomazione morale di minoranze religiose. Noi, se è necessario, al momento opportuno siamo disposti a votare con voi per togliere dal Codice penale qualsiasi umiliazione alle minoranze. (Applausi al centro).

Riguardo ai cosiddetti culti minoritari, aggiungo che non solo aderisco al pensiero di devozione e di ammirazione per le vittime delle minoranze, sia israeliti, sia valdesi, pensiero espresso dall'onorevole Pajetta Giancarlo, ma dico che questo non è un pensiero di tolleranza, di collaborazione con le minoranze, che mi viene in questo momento per ragioni di opportunità, ma è mia profonda convinzione.

L'onorevole Calamandrei si è riferito al mio viaggio in America e alle dichiarazioni che ho fatto, o che avrei fatto, al Direttorio delle Chiese protestanti o delle Chiese non cattoliche. Difatti, in una riunione importante, questi venerandi signori mi espressero la loro preoccupazione, chiedendo se noi intendevamo di inserire nella Costituzione la garanzia della libertà religiosa per il culto delle minoranze. E, poi, mi aggiungevano, con molta cortesia, alcune obiezioni riguardo al Trattato, dicendo: ma come fate a garantirci questa libertà? Ed io ho detto, e mi pareva in quel momento essere interprete, più di quello che non sono, del Paese: badate, in Italia vi sono molti che criticano sia il contenuto sia l'origine del Trattato; però esso ha rappresentato la chiusura di un periodo che è costato all'Italia tante umiliazioni e tante rovine, e anche coloro che non sono d'accordo voteranno e accetteranno.

Una voce a sinistra. No, no. (Commenti).

De Gasperi. Mi sono sbagliato se ho abbondato; però credo di averlo fatto con senno politico, ed aggiungo che oggi ai protestanti d'America deve giungere la nostra nuova assicurazione che in quest'articolo e nell'articolo 16 è garantita piena libertà, piena eguaglianza, e che non vi è da temere, da parte nostra, nessuna persecuzione, nessun ritorno ai tempi superati.

I Patti lateranensi tengono conto della realtà storica, ma non limitano la libertà per i non cattolici.

Alla fine della discussione, un venerando pastore, rettore di una Chiesa vicina, che si vedeva dal grattacielo, mi disse: «Ho sentito il suo discorso. Quando passa dinanzi a quella Chiesa ricordi che là dentro c'è un'anima che prega per lei e per l'Italia». Ho sentito profonda commozione da questa promessa di preghiera che veniva al Padre comune da uno che non è legato dal vincolo di religione con la Chiesa cattolica. E mi sono detto, perché è la verità, che tollerante è e deve essere chi crede. Lo scettico non dà nulla, non sacrifica nulla del suo per la convivenza sociale e per la carità cristiana. (Applausi al centro Commenti a sinistra Interruzione dell'onorevole Tonello). Credo solo di poter pronunciare con la stessa forza le convinzioni mie che sono venute non soltanto dalla educazione familiare, ma attraverso una lotta per riconquistare la fede; e venute soprattutto dall'esperienza di uomo politico e di uomo di Stato. Su questa esperienza fatta qui e in altri paesi mi sono fatta la convinzione che senza la fede e senza la morale evangelica le nazioni non si salvano, siano o non siano socialiste. (Vivissimi applausi al centro e a destra Commenti a sinistra).

Tonello. Cosa c'entra questo col Vangelo? (Commenti Rumori).

De Gasperi. Amici, siamo in un momento di grande solennità e di grande responsabilità, che non può venire menomato da qualche benevola interruzione dell'amico Tonello; siamo in un momento in cui noi costituenti della Repubblica italiana dobbiamo votare nell'interesse della Nazione e nell'interesse della Repubblica. Dobbiamo votare in modo che sia fatto appello al mondo libero degli Stati, al mondo che anche io so e dico che ci guarda. Il mondo che ci guarda si preoccupa che qui si crei una Costituzione di uomini liberi; il grande mondo cattolico si preoccupa che qui la Repubblica nasca in pace e in amicizia col Pontefice romano, il quale durante la guerra rivendicò la dignità umana contro la tirannia e stese le mani protettrici sui perseguitati di tutte le nazioni e di tutte le fedi e in modo particolare su coloro a cui si è riferito l'amico Lami Starnuti. (Vivissimi applausi al centro — Interruzioni a sinistra).

Amici, si è accennato qui alla comunanza che ci ha uniti nel momento del combattimento tra uomini di diversi partiti e qui ci sono parecchi che con me hanno trascorso un periodo insieme nel sottosuolo, come si usava dire. Ma c'è un fatto ancora più grandioso, ed è che nei momenti più difficili, nei momenti delle persecuzioni, soprattutto il Capo della Religione cattolica ci ha aiutato a salvare protestanti e israeliti. Ma c'è ancora di più: in certi conventi erano ammassati e nascosti cattolici, protestanti ed ebrei insieme. Si trovavano uniti la sera, nei momenti tragici e nei momenti delle minacce, da una preghiera suprema che è quella del Padre nostro comune. Questa è la nostra forza: se in Italia creeremo una norma di tolleranza per tutti, ma soprattutto una norma in cui si riconosca questa paternità comune che ci protegge e che protegga soprattutto la Nazione italiana. (Vivissimi, prolungati applausi al centro e a destra).

[...]

Presidente Terracini. È inscritto a parlare, per dichiarazione di voto, l'onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

Crispo. Onorevoli colleghi, anche a nome dei colleghi liberali onorevoli Villabruna, Fusco e Bellavista, riassumo in una breve dichiarazione le ragioni per le quali noi, anche in disaccordo con gli altri colleghi del Gruppo liberale, respingeremo l'articolo 7. Premesso che il nostro voto non vuole avere alcun significato antireligioso, e non è informato a spirito di avversione alla Chiesa cattolica; considerato:

a) che i Patti lateranensi non sono materia costituzionale;

b) che la inserzione di essi nella Costituzione è in funzione di immutabilità, sia per la impossibilità di revisione costituzionale di Patti bilaterali, sia per la impossibilità di revisione concordata, non consentita, ove l'accordo si raggiungesse, dal carattere rigido della Costituzione;

c) che non poche delle disposizioni contenute nei Patti sono in contrasto con lo spirito e con alcune norme della Costituzione;

d) che la concezione di uno Stato confessionale cattolico, pone gli acattolici, e, in genere, gli agnostici in una condizione di evidente inferiorità;

e) che l'articolo 7 riconduce i rapporti tra il nuovo Stato italiano e le Chiese entro lo spirito superato dell'articolo 1 dello Statuto albertino, del quale, sin dal 10 marzo 1848, Cavour auspicava la revisione, o una evoluzione che lo informasse al principio della libertà e della eguaglianza religiosa;

f) che l'articolo 7 imprime un carattere retrivo all'atto di costituzione della Repubblica italiana, ed incide sulla sovranità dello Stato, menomandola;

g) che del tutto immaginario è il pericolo della disgregazione morale del popolo italiano, e meno ancora sussiste quello di un conflitto religioso, già da tempo felicemente superato e composto;

per questi motivi dichiariamo di votare contro l'articolo. (Applausi).

[...]

Presidente Terracini. Prima di passare alle votazioni chiederò ai presentatori dei singoli emendamenti se essi, dopo udite le dichiarazioni di voto, intendano di mantenere integralmente o in parte i loro emendamenti.

Onorevole Della Seta, ella mantiene il suo emendamento?

Della Seta. Ho voluto, col mio emendamento, porre una questione di principio; ma, dopo il carattere che ha assunto questa discussione, ritiro il mio emendamento (Approvazioni), associandomi al mio Gruppo e votando contro l'articolo 7; dando a questa parola «contro» il significato della necessità inderogabile e improrogabile di assicurare alle minoranze religiose quella disciplina giuridica che risponda ad un alto principio di giustizia.

Presidente Terracini. Onorevole Lami Starnuti, ella mantiene il suo emendamento?

Lami Starnuti. Onorevole Presidente, in conformità agli accordi intervenuti fra i vari gruppi noi ritiriamo il nostro emendamento; ma, coerentemente alla sostanza di esso, voteremo contro l'articolo 7 del progetto.

Presidente Terracini. Onorevole Calamandrei, ella mantiene il suo emendamento?

Calamandrei. Ritiriamo l'emendamento e votiamo contro l'articolo 7.

[...]

Presidente Terracini. Onorevole Ruggiero, ella mantiene il suo emendamento?

Ruggiero. Ritiro l'emendamento, dichiarando di votare contro.

Presidente Terracini. Onorevole Rodinò Mario, ella mantiene il suo emendamento?

Rodinò Mario. Dichiaro di ritirare l'emendamento, in quanto l'affermazione storica che esso enuncia è la base della dichiarazione che costituisce il primo comma dell'emendamento Patricolo, emendamento a favore del quale il nostro gruppo voterà.

[...]

Presidente Terracini. Onorevole Nobili Tito Oro, ella mantiene il suo emendamento?

Nobili Tito Oro. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Onorevole Pajetta Giancarlo, ella mantiene il suo emendamento?

Pajetta Giancarlo. Mantengo il mio emendamento e, se non sarà accolto, farò mia la terza parte dell'emendamento dell'onorevole Calamandrei che, simile nella sostanza, mi pare migliore per la forma.

Presidente Terracini. Onorevole Lucifero, ella mantiene il suo emendamento?

Lucifero. Mantengo il mio emendamento e chiedo che l'articolo 7 sia votato per divisione, separando l'ultimo comma dai due precedenti.

[...]

Presidente Terracini. [...] Vorrei chiedere ora alla Commissione il suo avviso a proposito dei due emendamenti presentati dall'onorevole Pajetta Giancarlo ed altri, relativi al terzo comma del testo proposto dalla Commissione, poiché dalle dichiarazioni degli onorevoli Deputati, che hanno parlato anche favorevolmente al testo dell'articolo, mi è parso comprendere che non sarebbero forse contrari a che tali emendamenti possano essere presi in considerazione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Le proposte presentate divergono dal testo della Commissione in questo: mentre conservano l'affermazione fondamentale che le altre confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, sopprimono con l'emendamento Pajetta l'espressione «in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano». La Commissione aveva ritenuta necessaria questa espressione, che non intacca il rispetto agli ordinamenti giuridici interni delle singole confessioni, e si limita a richiedere che non vi sia contraddizione con l'ordinamento giuridico dell'Italia. Non è da dimenticare che oltre alle confessioni — venerate, rispettabilissime, che tutti conosciamo — potrebbero sorgere culti strani, bizzarri (l'America insegna) che non corrispondessero all'ordinamento giuridico italiano. Mi pare che la frase non ferisca la dignità ed il rispetto per i culti tradizionali. La seconda variante sposta una frase. La Commissione aveva ritenuto di stabilire che i rapporti fra queste confessioni e lo Stato «sono regolate con legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze». Le richieste riguardano le intese, non la regolazione per legge. Si propone ora, spostando al principio «ove siano richieste», di subordinare appunto la emanazione della legge alla richiesta delle rappresentanze.

La variante desta fondati dubbi. Bisogna bensì andare incontro ai desideri delle minori confessioni, ed assicurarne la libertà. La Commissione non ritiene che debbano sempre, nei loro rapporti con lo Stato, essere regolate da legge. In molti casi non occorrerà che intervenga una legge: le confessioni saranno lasciate interamente libere. Ma il giudizio e la decisione se si debba o no provvedere con legge, non può essere rimesso alla rappresentanza della confessione: spetta logicamente e necessariamente allo Stato; che ha tuttavia il dovere di procedere, ove sia richiesto, a trattative con tali rappresentanze. Questo sembra il sistema, indubbiamente migliore fra tutti, che risponde al pensiero della Commissione. La sua applicazione potrà aver luogo con piena soddisfazione delle Chiese interessate.

Presidente Terracini. Pongo in votazione il primo emendamento dell'onorevole Pajetta Giancarlo:

«Al terzo comma, nella prima parte, sopprimere le parole: in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano».

(Dopo prova e controprova, l'emendamento non è approvato).

Pongo in votazione ora il secondo emendamento dell'onorevole Pajetta Giancarlo.

Il testo della Commissione è così concepito:

«I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

L'onorevole Pajetta propone la seguente formula:

«I rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».

Si tratta di una piccolissima differenza. Praticamente l'emendamento mira a che queste intese fra lo Stato e le confessioni religiose, che non siano la Chiesa cattolica, debbano essere regolate con legge solo se le confessioni ne fanno richiesta, mentre, a tenore dell'articolo proposto dalla Commissione, lo Stato deve sempre regolare per legge i rapporti.

Fabbri. La differenza non risulta dalle due formule. L'interpretazione del testo della Commissione data dall'onorevole Presidente sarà stata nelle intenzioni di chi l'ha redatta.

Presidente Terracini. Ho partecipato anch'io alle discussioni sia della prima Sottocommissione come della Commissione plenaria ed ho inteso bene il significato del comma. D'altra parte, confesso che il testo è stato redatto anche da me in concorso coll'onorevole Dossetti.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Presidente della Commissione. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero chiarire che il testo della Commissione «sono regolati», è diversa da «possono» come da «devono» essere regolati. Se si fosse voluto stabilire l'obbligo che fossero sempre regolati, si sarebbe detto «devono».

«Sono» significa che, quando occorre, i rapporti vengono regolati per legge, ma non è prescritto in modo tassativo.

Questa è l'interpretazione che io do, e che è conforme allo stile della tecnica giuridica e legislativa. Si possono dare interpretazioni diverse. Ma la Commissione col suo testo intendeva ed intende che non è obbligo tassativo di regolare per legge le confessioni religiose.

Leone Giovanni. Chiedo di parlare per mozione d'ordine.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Leone Giovanni. A me sembra che, prima di votare una legge, se ne debba chiarire l'interpretazione, ove questa risulti equivoca. Chiederei pertanto alla Commissione che, prima della votazione, chiarisca se il «sono» significhi «debbono» o «possono».

Presidente Terracini. Invito l'onorevole Ruini a manifestare se la Commissione ritenga di poter risolvere subito la questione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione, per decidere, dovrebbe raccogliersi e non lo può fare improvvisamente. Ripeto, onorevole Leone, che a mio avviso «sono» si possa interpretare correttamente e tecnicamente nel senso che ho spiegato poc'anzi. Se l'Assemblea vorrà dire invece «possono» io e, credo, la Commissione non ne faremo questione. La sostanza è insomma nel fatto che il giudizio se le confessioni debbano essere regolate per legge spetti allo Stato o alle confessioni stesse.

Pellizzari. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Pellizzari. Se lei, onorevole Presidente, lo permette, vorrei osservare che, così in questo caso come in tutti i consimili, il verbo «sono» costituisce una affermazione perentoria. (Rumori). Quindi se noi voteremo il verbo «sono», vorremo intendere che «debbono».

Leone Giovanni. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Non è necessario, onorevole Leone che lei sostenga quanto ha già chiaramente espresso, con nuovi argomenti. Mi permetto inoltre di osservarle che, per tutte le leggi che si votano, possono sempre sussistere delle diversità di interpretazione; ma tutti i lavori preparatori — e lei sa quanti volumi abbiano riempito i lavori delle Sottocommissioni — servono appunto a spiegare il significato che si è voluto conferire alle formule adottate. Se comunque ella desidera di presentare una proposta formale, ha facoltà di farlo.

Leone Giovanni. Io non desidero, onorevole Presidente, di presentare una proposta formale; desidererei solo che si concedesse qualche minuto di tempo per potere addivenire ad una soluzione di questa questione.

Presidente Terracini. Onorevole Leone, lei ha troppa esperienza di queste cose per poter ritenere che in pochi minuti si possa risolvere una questione di questo genere.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. È bene distinguere sostanza e forma. Di comune, fra la interpretazione che la Commissione dà al suo testo, e la nuova formula Pajetta, è il punto che le confessioni possano anche non essere regolate per legge. La differenza sta se a decidere che occorre la legge sia lo Stato o la confessione.

Come forma, non si tratta, onorevole Pellizzari, di questione grammaticale, ma di tecnica e consuetudine giuridica.

A me pare che il «possono» non sia necessario e forse sia meno corretto; ma se lo preferite per togliere ogni dubbio, potete adoperare questa o altra dizione diversa dalla nostra, purché ne convalidi il concetto.

Presidente Terracini. A me pare che, anche accettando quanto ha detto ora l'onorevole Ruini — e certamente, se la Commissione è di questo avviso, credo che si debba senz'altro modificare in tal senso il testo — non sia risolto il problema della diversità del concetto espresso dalla Commissione rispetto a quello che costituisce l'emendamento dell'onorevole Pajetta.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Certamente.

Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento dell'onorevole Pajetta Giancarlo.

(Non è approvato).

Pajetta Giancarlo. Non insisto nella proposta di far mio il terzo comma dell'emendamento Calamandrei.

Presidente Terracini. C'è ora da risolvere la questione relativa alla proposta dell'onorevole Lucifero, il quale ha proposto di trasferire l'ultimo comma all'articolo 14, sostituendo le parole: «Le altre confessioni» con le seguenti: «Tutte le confessioni».

Ma per ora si potrebbe restare al problema dell'emendamento dell'articolo.

Lucifero. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Lucifero. Ho fatto quella variazione del testo, perché è necessaria se il capoverso è trasportato alla fine dell'articolo 14.

Qui invece si crea una voluta distinzione fra la religione cattolica e le altre confessioni, che io col mio emendamento tendevo ad eliminare.

Presidente Terracini. Allora bisognerebbe mettere in votazione la proposta dell'onorevole Lucifero di trasferire il terzo comma dell'articolo 7 all'articolo 14. Qual è il parere della Commissione?

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Credo che si possa prendere nota di questo desiderio dell'onorevole Lucifero, ma non sia inopportuno, per decidere definitivamente al riguardo, attendere che sia esaminato ed approvato l'articolo 14.

Presidente Terracini. Secondo le dichiarazioni dell'onorevole Lucifero, in tanto il trasferimento è giustificato, in quanto sia accettato l'emendamento; perché appunto con l'emendamento e con il trasferimento si mira ad impostare in maniera diversa il problema del terzo comma dell'articolo 7. Pertanto la questione del trasferimento deve essere risolta immediatamente.

Lucifero. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Lucifero. Mi permetto di ricordare all'onorevole Ruini che già la Commissione dei Settantacinque alla unanimità deliberò questo spostamento; e poi in sede di coordinamento la deliberazione non ebbe seguito.

Dato che io credo si tratti di una questione sostanziale, perché si tratta di distinguere determinati rapporti da altri rapporti, devo insistere nel mio emendamento.

Presidente Terracini. Pongo in votazione la proposta dell'onorevole Lucifero di trasferire l'ultimo comma dell'articolo 7 all'articolo 14.

(Dopo prova e controprova, è approvata).

L'emendamento proposto dall'onorevole Lucifero al testo del terzo comma trasferito sarà discusso e votato quando esamineremo l'articolo 14.

Pertanto anche il seguente emendamento presentato dagli onorevoli Dugoni, Basso, Vigna e De Micheli, si intende rinviato:

«Al terzo comma, sopprimere l'ultimo periodo:

I rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di intese, ove siano richieste, con le rispettive rappresentanze».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti