[24 gennaio 1947, Commissione per la Costituzione. Seduta plenaria. — Esame degli articoli delle disposizioni generali del progetto di Costituzione.]

Presidente Ruini. [...] Segue l'articolo 3:

«Le norme del diritto delle genti, generalmente riconosciute, sono considerate parte integrante del diritto italiano».

Avverte che su questo articolo, gli onorevoli Perassi, Ambrosini, Cevolotto, Tosato, Mortati, Targetti, Terracini, Grassi e Bozzi hanno presentato un emendamento tendente a sostituire l'articolo con il seguente:

«L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute».

Perassi dà ragione dell'emendamento facendo presente anzitutto come da esso esuli qualsiasi significato politico. L'articolo 3, comunque formulato, tende ad istituire quello che si può chiamare un dispositivo di adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale generale. Questo concetto — sul quale ritiene che tutti siano d'accordo — è stato espresso nell'articolo 3, proposto dalla Sottocommissione e dal Comitato di redazione adottato, riprendendo testualmente la formulazione dell'articolo 4 della Costituzione di Weimar.

L'emendamento sostitutivo presentato da lui e da altri colleghi non ha se non una portata formale. Osserva al riguardo che la stessa dottrina tedesca rilevò che l'articolo 4 della Costituzione di Weimar ha una formulazione impropria, in quanto non è esatto che una norma di diritto internazionale passi così come è nel diritto interno di uno Stato. Porta il tipico esempio di una di quelle poche norme internazionali generalmente riconosciute, quella cioè che obbliga gli Stati ad esentare gli agenti diplomatici dalla giurisdizione civile e penale. Ora, qual è la norma che in corrispondenza con quella norma del diritto internazionale si inserisce automaticamente nell'ordinamento giuridico interno per effetto dell'articolo della Costituzione, del quale si discute? È una norma processuale che si indirizza agli organi giurisdizionali dello Stato ed ai privati. Non si tratta, quindi, di un passaggio della stessa norma da un ordinamento all'altro. Si ha, invece, la creazione nel diritto interno di una norma che è bensì correlativa a quella internazionale, ma non è identica. Infatti, l'articolo 4 della Costituzione di Weimar, nonostante la sua formulazione, è stato definito un «trasformatore permanente».

Ciò posto, ferma restando l'idea fondamentale, cioè che si vuole fare in modo che l'ordinamento giuridico italiano si adatti automaticamente, ossia senza bisogno di un atto legislativo al diritto internazionale generale, è opportuno che questo concetto sia espresso con una norma formulata in maniera tecnicamente appropriata. A ciò i proponenti dell'emendamento hanno ritenuto provvedere con la formulazione proposta: «l'ordinamento giuridico italiano si conforma (è sottinteso automaticamente) alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute». Rileva che è stata adottata la dizione «diritto internazionale», anziché quella di «diritto delle genti», perché quest'ultima non corrisponde alla nostra terminologia usuale. Anche la Francia, in cui più generalmente è usata questa espressione, nella sua Costituzione usa invece la dizione di diritto internazionale. La formula proposta si trova anche nel Preambolo della nuova Costituzione francese.

Ritiene che la Commissione, tenute presenti le spiegazioni date, vorrà accogliere l'emendamento che, per ragioni di pura tecnica giuridica, egli ed i suoi colleghi hanno creduto opportuno presentare.

Dossetti premette che egli non ha alcuno speciale attaccamento alla formula proposta dalla prima Sottocommissione, facendo presente che, come correlatore su questo argomento, aveva presentato una formula diversa che avrebbe evitate le giuste osservazioni fatte dall'onorevole Perassi alla formula definitivamente adottata. Tale formula era modellata sullo schema di quella proposta dai professori Ago e Morelli nella relazione su questo argomento della Commissione del Ministero della Costituente.

Esprime peraltro il dubbio che la formula proposta con l'emendamento affermi sì l'adattamento necessario del diritto interno al diritto internazionale, ma non serva invece all'adattamento automatico, se per adattamento automatico, si intenda un adattamento del diritto interno al diritto internazionale che operi senza bisogno di una norma specifica che trasporti la norma del diritto internazionale nel diritto interno. Gli sembra che la formula che viene ora proposta affermi la necessità di una conformazione del diritto interno al diritto internazionale, senza operare necessariamente un adattamento automatico sì da far ritenere necessaria una norma la quale operi il trapasso per la singola disposizione.

Se l'onorevole Perassi esclude questo dubbio, si rimette al suo giudizio; purché sia ben chiaro che si vota per un adattamento automatico che operi all'infuori di una norma specifica che travasi la norma del diritto internazionale nel diritto interno.

Einaudi osserva che nelle parole «si conforma» non v'è niente di automatico; e gli sembra che con la dizione proposta nell'emendamento si richieda sempre una legge interna che di volta in volta operi questo travasamento.

L'espressione potrebbe dunque, a suo avviso, dar luogo in avvenire a dei dubbi.

Dossetti ricorda che la formula accennata, da lui ripresa nella relazione, era approssimativamente la seguente:

«Le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute fanno parte dell'ordinamento interno dello Stato, senza che occorra emanarle con apposito atto».

Gli sembra questa una formula forse anche un po' contorta, ma che riproduce il principio non solo dell'adattamento necessario ma anche quello dell'adattamento automatico.

Togliatti ricorda che la questione fu discussa lungamente nella prima Sottocommissione, e ne sottolinea l'importanza per l'avvenire dello Stato italiano, in quanto si tratta di adottare una formula che, automaticamente, porta alcune norme di diritto internazionale ad entrare a far parte del nostro diritto.

A suo avviso, la formula dell'onorevole Perassi che si riferisce al diritto internazionale, è più elastica, e — in sostanza — lascia aperta la possibilità di un atto interno di volontà sovrana; mentre adottando la formula Dossetti, riferentesi al diritto delle genti in generale, e non a norme concrete di diritto internazionale quali possono risultare da strumenti internazionali di altre Potenze o anche di una associazione di altre Potenze, occorrerà un atto della nostra volontà per l'adesione.

Perassi osserva che sostanzialmente non vi è differenza tra le due espressioni: con esse si intende alludere esclusivamente alle norme del diritto internazionale generale, non alle norme che siano poste da accordi internazionali bilaterali o collettivi. L'adattamento del diritto interno italiano a norme derivanti da trattati bilaterali o collettivi non è regolato da questo articolo; sarà attuato secondo altri procedimenti.

Ciò che si vuole qui stabilire — e su questo punto non comprende perché sia sorto equivoco — è precisamente l'adattamento automatico del diritto interno a quello internazionale generale. Questo era il significato dell'articolo 4 della Costituzione di Weimar. Ed egli crede che nel suo emendamento sia espressa in maniera sufficientemente chiara il carattere automatico dell'adattamento, nel senso che questo si compie per effetto diretto della norma della Costituzione, senza, cioè, che occorra di volta in volta un atto interno di legislazione. L'articolo, che si inserisce nella Costituzione, è un dispositivo tale che, funzionando automaticamente, tiene l'ordinamento giuridico in un equilibrio continuo e perfetto col diritto internazionale generale. Per modo che, il giorno in cui per ipotesi si avesse una modificazione della norma citata come esempio, cioè dell'obbligo internazionale di concedere le esenzioni dalla giurisdizione civile e penale agli agenti diplomatici, automaticamente l'ordinamento interno italiano si conformerebbe alla nuova disposizione.

Tosato è d'accordo con l'onorevole Perassi.

Ritiene che il termine «diritto internazionale» sia più esatto che non quello «diritto delle genti» e che vi sia il concetto di adattamento automatico nelle parole «si conforma». Soltanto per maggiore chiarezza, domanda se non sarebbe opportuno modificare le parole «si conforma» nelle altre «è conforme».

Grassi crede che il termine «si conforma» dia maggiormente l'idea della continuità del dispositivo.

Leone Giovanni è d'avviso che per affermare il concetto dell'ingresso automatico delle norme di diritto internazionale riconosciute nel nostro ordinamento giuridico, la formula più idonea sia quella adottata nel testo della prima Sottocommissione, sostituendo peraltro l'espressione «diritto delle genti» con quella «diritto internazionale».

Il Presidente Ruini chiede all'onorevole Perassi se accetta la modifica proposta dall'onorevole Tosato: «è conforme», anziché «si conforma».

Perassi non accetta la modifica in quanto ritiene più rispondente l'espressione «si conforma», facendo rilevare che essa si riferisce all'ordinamento giuridico interno, non allo Stato, onde esprime in maniera indubbia il carattere automatico dell'adattamento.

Lussu è favorevole alla proposta di tornare al testo proposto dalla Sottocommissione che ritiene esprima meglio il pensiero dell'onorevole Perassi che non l'emendamento dallo stesso presentato. Il diritto internazionale non è infatti una creazione estranea alla volontà, nella fattispecie, dello Stato italiano, perché, quand'anche ciò fosse, lo Stato italiano avrebbe un dovere interno di farlo suo. Osserva che i trattati internazionali possono influire sul diritto internazionale senza che siano la stessa cosa: così, nel 1815, il Congresso di Vienna; così, nel 1919-20, il trattato di Versailles hanno influito sul diritto internazionale, pur essendo distinti da esso. Il diritto internazionale è una creazione alla quale prendono parte tutti gli Stati civili; ma se anche uno Stato civile non vi intervenisse, esso ha l'obbligo verso la civiltà di un adattamento interno, e non già di una applicazione automatica. È chiaro allora che l'emendamento dell'onorevole Perassi risponde sì al pensiero che ha espresso, ma ciò è chiarito già nell'articolo 3 proposto. Dichiara pertanto che voterà a favore dell'emendamento dell'onorevole Perassi, interpretandolo però nel senso che esso non abbia valore di automatismo.

Perassi fa presente che può essere strano che il presentatore di un emendamento debba essere costretto a fare una dichiarazione di voto. Ma, dopo la dichiarazione dell'onorevole Lussu, dichiara a sua volta di votare l'emendamento presentato da lui e da altri colleghi, precisando che con esso si è precisamente inteso creare un dispositivo di adattamento automatico del diritto italiano al diritto internazionale generalmente riconosciuto.

Il Presidente Ruini pone ai voti l'emendamento dell'onorevole Perassi, tendente a sostituire l'articolo 3 proposto con il seguente:

«L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute».

(È approvato).

[...]

Presidente Ruini. [...] Segue l'articolo 10:

«La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero cui vengono negati nel proprio paese i diritti di libertà garantiti dall'Italia, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Avverte che su questo articolo l'onorevole Perassi ha presentato un emendamento, proponendo di sostituire le parole: «diritti fondamentali di libertà» oppure «i diritti di libertà sanciti dalla presente Costituzione», alle altre «i diritti di libertà garantiti dall'Italia».

Lucifero preferirebbe la formula «i diritti di libertà garantiti dalla presente Costituzione», che ritiene tecnicamente più esatta e che è del resto la dizione classica che si ritrova in tutte le Costituzioni moderne.

Bozzi propone «i diritti di libertà sanciti dalla Costituzione», togliendo «presente».

Terracini sottolinea la necessità di esaminare attentamente, nei suoi risultati concreti e possibili, la disposizione dell'articolo.

Dirà subito che egli è per il più largo diritto di asilo. Pensa, tuttavia, che questa latitudine non debba essere assolutamente senza confini. Si domanda chi possa vedersi negati nel proprio Paese i diritti di libertà garantiti dalla nostra Costituzione e risponde che, oggi non si tratta soltanto di uomini che abbiano combattuto per questi diritti di libertà. È nota la situazione dell'Italia, e si sa quanto numerose siano le persone le quali, avendo combattuto nei loro Paesi contro i diritti di libertà democratica, e non trovandosi perciò a loro agio in quei Paesi dove questi diritti hanno finito per trionfare, hanno cercato invece asilo in Italia ove legalmente od illegalmente, sono tollerate.

Esprime il timore che con una formula della Costituzione così ampia ed indeterminata, praticamente ci si ponga nella condizione di essere obbligati ad accogliere in Italia tutti quegli elementi i quali, in altri Paesi, avendo combattuto contro la democrazia, vengano poi in Italia a cercare protezione.

Richiama l'attenzione sulla formula contenuta nel Preambolo della Costituzione della Repubblica francese. La Francia è sempre stata terra di asilo, e di questo anche innumerevoli italiani, che hanno combattuto contro il fascismo, hanno goduto. Non c'è da preoccuparsi quindi che in quel Paese si debba restringere questo diritto. Ora, la formula adottata nel Preambolo della Costituzione francese dice: «Ogni uomo il quale è perseguitato a causa della sua azione a favore della libertà ha diritto di asilo sul territorio della Repubblica». Questa dizione — che egli adotterebbe — autorizza eventualmente a quelle discriminazioni che ritiene saranno necessarie proprio per garantire agli italiani quelle libertà democratiche che altri possano venire giustamente od ingiustamente ad invocare da noi.

Uberti teme che una discriminazione in materia di libertà non sia possibile. La libertà non si può difendere che integralmente e senza alcuna limitazione. Il giorno in cui il potere politico potesse in qualsiasi modo discriminare, si aprirebbe la tomba alla libertà.

Terracini osserva che l'onorevole Uberti ha sbagliato l'oggetto della discussione: qui si parla non della libertà ma del diritto di asilo.

Cappi chiede all'onorevole Terracini se la sua preoccupazione non potrebbe svanire di fronte a questa considerazione: l'Italia può concedere il diritto di asilo a tutti, ma questo non significa che sia concessa allo straniero piena libertà di esplicare attività politiche nel nostro Paese. Nulla vieta che si adotti, come in Svizzera, una norma per cui lo straniero, e particolarmente quello a cui è stato dato un asilo politico, non possa esplicare attività politiche nel Paese che lo ospita.

Lussu osserva che chi è stato in esilio è particolarmente sensibile alla questione ed è d'avviso che la nostra Costituzione non possa contenere un articolo più restrittivo di quello contenuto nella Costituzione francese. Questa dice che qualunque uomo perseguitato a causa della sua azione a favore della libertà ha diritto di asilo sul territorio della Repubblica. Lo stesso pensiero è nell'articolo 10 proposto. Ritiene che la nostra Costituzione debba adottare un ampio criterio al riguardo, rimanendo naturalmente, per tutti, l'obbligo di rispettare la legge del Paese che concede l'asilo.

È pertanto favorevole al testo Perassi.

Laconi, in aggiunta a quanto ha esposto l'onorevole Terracini, nota che nella nostra Costituzione sarà negata una libertà che nella Costituzione di altri Paesi, per diverse ragioni storiche, è riconosciuta: la libertà cioè per i fascisti e per il fascismo. In altri Paesi, per le diverse situazioni storiche in cui sono venuti a trovarsi, questa libertà, nei confronti del fascismo, o di altri movimenti politici, non è e non sarà negata. Ed egli si domanda come si possa non tener conto di particolari esigenze storiche che, come hanno costretto l'Italia ad introdurre nella sua Costituzione una misura del genere, possano costringere altri Paesi ad introdurre altre misure di un genere analogo. Ritiene impossibile non prospettare l'eventualità che, ad un determinato momento, l'Italia, vincolata da un articolo della sua Costituzione, debba costituire asilo per determinati gruppi politici i quali rappresentano un pericolo per il loro Paese. Ciò rende indispensabile l'introduzione nella Costituzione di una modificazione, che la stessa Francia — che non ha avuto l'esperienza fascista — ha introdotto, che renda positiva la valutazione dei casi particolari che possono essere oggetto di esame.

Non si può riconoscere a chiunque, per qualsiasi atteggiamento politico, il diritto di asilo indiscriminato nel nostro Paese. Si può riconoscerlo a coloro che si sono battuti per la libertà, a coloro che hanno partecipato alla lotta contro istituzioni reazionarie che legavano o vincolavano la libertà, contro le dittature, ma non è opportuno introdurre nella Costituzione una formula che sia assolutamente indiscriminata.

Il Presidente Ruini avverte che l'onorevole Terracini ha così formulato la sua proposta di emendamento della seconda proposizione dell'articolo: «Lo straniero perseguitato a causa della sua azione in favore della libertà, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

Comunica inoltre che l'onorevole Perassi ha proposto il seguente comma aggiuntivo: «Non è ammessa l'estradizione per reati politici».

Lussu osserva che questo comma aggiuntivo è pleonastico, in quanto è una conseguenza del diritto di asilo.

Terracini sottopone alla Commissione un esempio pratico. Nella eventualità di un crollo del regime franchista, se si stabilisse in Italia un diritto di asilo indiscriminato, vi sarebbero migliaia di spagnoli compromessi in qualche modo col franchismo che abbandonerebbero la Spagna inondando il nostro Paese. Ritiene che, per fronteggiare tale eventualità, bisognerebbe adottare misure precauzionali; e poiché non vorrebbe fossero misure di polizia, pensa che sarebbe opportuno inserire nella Costituzione una norma generale limitativa.

Lussu osserva che l'esempio dell'onorevole Terracini non è sufficiente a chiarire il problema, poiché è certo che se il regime franchista cade, non verrà negato nella Spagna il diritto di libertà; altrimenti sarebbe inutile che cadesse il regime franchista.

Uberti ritiene pericolose le esemplificazioni. L'onorevole Terracini ha fatto l'esempio della Spagna, egli potrebbe fare quello della Jugoslavia. Cittadini jugoslavi fuggono dal loro Paese; ed allora bisognerebbe discutere se v'è o no la libertà in Jugoslavia. Si domanda come lo Stato italiano potrebbe dichiarare se esiste o meno la libertà in un determinato Paese.

Grassi pensa che la libertà o si concepisce per tutti, o non ha alcun senso ed alcuna ragione politica. Come ha giustamente osservato l'onorevole Lussu, se il regime franchista in Ispagna crolla, dovrà stabilirsi in quel Paese un regime di libertà e non un sistema totalitario in senso diverso. Sostiene l'impossibilità e l'inopportunità di addentrarsi in una discussione sui sistemi totalitari di destra o di sinistra: occorre dire nella Costituzione che il diritto d'asilo vige per tutti i perseguitati politici nel loro Paese, o non parlarne affatto. Se si vuole però fare un passo avanti nella Costituzione e mostrarsi generosi, si deve ammettere che tutti gli uomini, di qualunque credo politico, perseguitati nel loro Paese, possano trovare asilo nel nostro Paese. Altrimenti, è meglio non parlare affatto della questione perché si verrebbe a vulnerare il principio fondamentale della libertà, compiendo un atto anti-giuridico ed anti-politico.

La Pira aderisce alle osservazioni dell'onorevole Grassi, anche per una ragione umana. Ricorda l'origine del diritto d'asilo: come anticamente tutte le persone, qualunque fosse il loro colore, appena giungevano in quel tale recinto della chiesa, avevano la vita garantita, così anche ora vi deve essere questo senso di libertà per ogni creatura. Il concetto d'asilo è legato a questo concetto del valore sacro degli uomini.

Il Presidente Ruini pone ai voti l'emendamento Perassi, che riguarda una semplice chiarificazione, nella seguente formulazione definitiva: sostituire le parole «i diritti di libertà sanciti dalla Costituzione italiana», alle altre «i diritti di libertà garantiti dall'Italia».

(È approvato).

Pone ai voti l'emendamento Terracini, tendente a sostituire l'ultima proposizione dell'articolo con la seguente:

«Lo straniero, perseguitato a causa della sua azione in favore della libertà, ha diritto di asilo nel territorio italiano».

(Non è approvato).

Vi è infine il comma aggiuntivo proposto dall'onorevole Perassi: «Non è ammessa l'estradizione per reati politici»; avverte che alcuni commissari suggeriscono, e l'onorevole Perassi accetta, di completarlo così: «Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici». Ricorda che l'onorevole Lussu ha osservato che nella concessione del diritto di asilo è compresa anche l'esclusione dell'estradizione. La formula — egli ha detto — potrebbe essere pleonastica e toglierebbe qualche cosa all'ampiezza del diritto d'asilo, con tutto il suo alone giuridico, sentimentale e politico. Comunque, pone in discussione l'emendamento aggiuntivo Perassi così formulato: «Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici».

Laconi domanda che cosa si intenda per reati politici, osservando che non è chiara la dizione in quanto potrebbe far pensare anche a reati commessi in Italia.

Perassi dà ragione del suo emendamento, ricordando come nel Codice penale Zanardelli, questo principio fosse solennemente affermato, mentre è scomparso nel Codice attuale, dovuto al regime fascista. Oggi, dunque, secondo il Codice, l'estradizione per reati politici sarebbe ammessa. Questa affermazione, fortunatamente, non ha trovato riscontro nella prassi, in quanto tutti i trattati internazionali, stipulati dopo l'entrata in vigore del Codice fascista, hanno espressamente incluso nelle loro disposizioni il principio che l'estradizione per reati politici non è consentita.

Per rispondere ad una domanda fatta dall'onorevole Laconi, ricorda che l'estradizione ha luogo soltanto nell'ipotesi di un reato commesso o nello Stato che richiede l'estradizione o in un terzo Stato; non mai in Italia, perché in questa ipotesi è lo Stato italiano che punisce il fatto secondo la sua legge penale. Su questo non vi è dubbio.

Dichiara di aver fatto la sua proposta non sapendo se in sede di prima Sottocommissione la questione sia stata sollevata o meno.

Corsanego osserva che la questione non fu nella prima Sottocommissione sollevata, perché il principio è così universalmente ammesso, che non si ritenne necessario occuparsene.

Cappi si associa alle ragioni esposte dall'onorevole Perassi. Fa presente che il diritto d'asilo oltre a riguardare stranieri venuti in Italia perché perseguitati per ragioni politiche, può comprendere anche stranieri da anni trasferitisi nel nostro Paese, e per i quali potrebbe essere richiesta l'estradizione per un reato politico anche a distanza di anni.

Il Presidente Ruini osserva che con l'aggiunta delle parole «dello straniero», non si contempla il caso dell'italiano che abbia commesso reati politici.

Corsanego fa presente che l'estradizione del cittadino è proibita dal Codice anche nel caso di reati comuni.

Perassi ricorda che nel vecchio Codice Zanardelli il principio era stabilito in maniera assoluta: «non è ammessa l'estradizione del cittadino». Nel Codice attuale questo principio è stato attenuato, disponendosi che: «Non è ammessa l'estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali». Osserva che, in massima, i trattati internazionali escludono l'estradizione dei rispettivi cittadini; e anche quelli conclusi dopo l'entrata in vigore del Codice nuovo, contengono questo principio. Non è però esclusa in maniera assoluta la possibilità che si faccia qualche trattato di estradizione con Paesi esteri nei quali questo principio non vige. Recentemente, anzi, un'eccezione a questo principio è stata introdotta nei confronti degli Stati Uniti, in quanto si è chiarito un accordo internazionale, già esistente da tempo e che di questa questione non parlava, nel senso di ammettere reciprocamente l'estradizione dei cittadini. Questo si ricollega a tutto il sistema penale anglo-americano, che è diverso dal nostro.

Comunque, è una questione che merita di essere posta, qualunque ne sia la soluzione, tanto più se essa non è stata ancora sollevata in sede di prima Sottocommissione. Si tratta, pertanto, di due problemi diversi: uno riguarda il divieto dell'estradizione per reati politici, l'altro l'affermazione o meno del principio dell'esclusione dell'estradizione, in qualunque caso, per il cittadino.

Moro chiarisce che il secondo problema, quello cioè dell'estradizione del cittadino, è stato sollevato in sede di prima Sottocommissione e risolto in senso negativo per una ragione di opportunità, in quanto all'atto stesso in cui esso veniva sancito, si sarebbero dovuti consegnare i criminali di guerra; e quindi il principio sarebbe stato infirmato nello stesso momento in cui veniva formulato.

Il Presidente Ruini osserva che la questione potrà essere sollevata in altra sede. Pone ai voti il comma aggiuntivo dell'onorevole Perassi:

«Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici».

Einaudi e Nobile dichiarano che voteranno a favore dell'emendamento.

Lussu sottolinea la necessità di un riferimento alla attività per cui è stato concesso il diritto di asilo.

Lucifero dichiara di astenersi dalla votazione. È d'accordo sulla necessità di concedere il diritto d'asilo per colui che sia perseguitato, per colui a cui sia negata la libertà. Ma di fronte alla questione del reato politico ci si trova in una posizione dottrinale ampiamente discussa. È difficile definire dove il reato diventa essenzialmente politico o dove resta essenzialmente reato.

Pensa comunque che si tratti più di una materia riguardante i Codici che non la Costituzione.

(L'emendamento aggiuntivo dell'onorevole Perassi è approvato).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti