[Il 12 settembre 1946, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, nell'ambito della discussione degli articoli proposti dai relatori La Pira e Basso sui principî dei rapporti civili, analizza l'articolo 3 dei relatori.]
Il Presidente Tupini comunica che i Relatori La Pira e Basso, conformemente al mandato ricevuto, hanno concretato una serie di articoli ricavati dalle loro relazioni, che formano, con i due articoli approvati ieri, un compendio di sette articoli.
Il primo di questi articoli, che dovrà prendere il numero 3, è così formulato:
«Art. 3. — Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto della autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge.
«La privazione della libertà personale può essere disposta anche dalla autorità di pubblica sicurezza; tuttavia in questo caso l'individuo non può essere trattenuto per più di quarantotto ore, a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all'autorità giudiziaria e questa non l'abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori quarantotto ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente secondo quanto dispongono le leggi.
«Ogni forma di rigore e di coazione che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione morale o brutalità fisica, specialmente durante l'interrogatorio, è punita».
Chiarisce che la prima parte di questo articolo non è che un'affermazione di un principio di carattere generale e riproduce testualmente la prima parte dell'articolo 1, proposto dall'onorevole Basso nella sua relazione e accettato anche dal relatore La Pira.
Dossetti fa due proposte preliminari di carattere sistematico e tecnico circa la redazione degli articoli.
La Costituzione russa, ricordata dalla Sottocommissione durante le sue prime sedute, potrebbe servire di modello. In essa per ogni principio o norma è distinto il diritto riconosciuto dalle norme che ne garantiscono la realizzazione.
Propone che in questo primo articolo, il quale tratta della libertà personale, sia seguita la proposta fatta dalla Commissione di studi del Ministero per la Costituente, cioè di far precedere una dichiarazione generale circa l'inviolabilità della persona umana e stabilire successivamente le varie norme pratiche a garanzia del diritto enunciato. Sarebbe in sostanza una enunciazione più o meno analoga al capoverso dell'articolo 8 della relazione La Pira. Questo diritto alla libertà personale viene poi garantito dagli elementi concreti che sono nella stesura dell'articolo 1 del progetto Basso.
La Pira, Relatore, afferma che nel formulare l'articolo aveva pensato allo stesso criterio metodologico della Costituzione russa.
Grassi, partendo dal concetto che sia opportuno sfrondare di qualunque ideologia le affermazioni degli articoli della Costituzione, ritiene necessario stabilire in forma lapidaria concetti che garantiscono questo diritto. Preferisce la formula dell'onorevole Basso accettata dall'onorevole La Pira, in cui, prescindendo dalla definizione, si stabiliscono i concetti fondamentali.
Togliatti non vede contrasto fra le due proposte.
Il Presidente Tupini riconosce che non vi è contrasto. L'onorevole Dossetti fa proprio un criterio che avrebbe seguito il relatore La Pira e che è contenuto nella prima parte dell'articolo 8 da lui proposto.
Caristia crede che se si deve accennare ad una garanzia, basterebbe dire: questo diritto è garantito conforme alla legge. Con ciò si rimanderebbe alle leggi apposite che si dovranno promulgare per permettere l'esercizio di questo diritto. È questa una materia che non può entrare in sede di Costituzione; la Costituzione può affermare il principio, ma non deve dare le norme per garantirlo.
Dossetti afferma che la sua osservazione riguarda essenzialmente la impostazione sistematica che va seguita nella stesura degli articoli. Così non si verrebbe a cadere in quella ideologia cui accennava l'onorevole Grassi e si avrebbe il vantaggio di dare ad ogni norma concreta la sua giustificazione positiva. Questo da un punto di vista redazionale, programmatico ed educativo dovrebbe essere il tono della nostra Costituzione rispetto alle Costituzioni redatte anche negli ultimi tempi.
Lo schema, ad esempio, della dichiarazione dei diritti della Costituzione francese, dal punto di vista redazionale e tecnico non rappresenta — a suo avviso — un progresso rispetto alle Costituzioni precedenti. Occorre fare cosa che abbia valore sostanziale non solo, ma anche dare alla nostra Costituzione, che nasce in un Paese il quale certamente ha una certa superiorità quanto a tecnica giuridica e ad eleganza di impostazioni giuridiche, una fisionomia caratteristica che potrebbe essere questa: di ogni diritto viene enunciato il concetto, poi vengono enunciati i mezzi tecnici di garanzia senza affermazioni negative o complicazioni ideologiche.
Lombardi Giovanni pensa che una specificazione di pretto carattere penalistico non sia conveniente.
[...]
Lombardi Giovanni afferma che in uno statuto non si può che enunciare i principî generali, senza scendere al dettaglio. Ora, nell'articolo si stabilisce che si può essere arrestati e che questo arresto può durare 48 ore. Se poi non interviene la denuncia all'autorità giudiziaria, l'individuo dovrebbe essere messo in libertà. Tutte queste specificazioni, a parte il fatto che in pratica non hanno alcun valore, non debbono essere fatte in sede costituzionale.
In sede di Statuto, si dovrebbe semplicemente sancire la liberà della persona che è inviolabile nei modi e nelle forme che le leggi speciali affermeranno. E ciò anche per evitare le conseguenze di un contrasto insanabile con quello che sarà il testo del futuro Codice penale e del Codice di procedura penale della Repubblica.
Qui non si debbono fare affermazioni che limitino la libertà di coloro che dovranno poi procedere alla sistemazione delle leggi penali. Propone quindi che si dica più semplicemente: «La libertà della persona è inviolabile nei modi e nelle forme che le leggi speciali stabiliranno».
In linea subordinata, nel caso che la Sottocommissione volesse procedere a dettagli, ritiene che il termine di 48 ore sia eccessivo.
Moro rileva che l'onorevole Lombardi ha delle idee singolari sui rapporti tra Costituzione e leggi speciali. Qualche giorno fa, ad esempio, egli chiedeva che fossero promulgati i Codici prima della Costituzione. Invece è il Codice che deve prendere ispirazione dalla Costituzione e quindi anche il Codice penale deve seguire alla Costituzione. La funzione della Costituzione è appunto quella di determinare il supremo indirizzo della legislazione. Perché inviare alla legge la determinazione di una materia come questa, che tocca così profondamente la libertà individuale? È proprio la Costituzione che deve garantirla ponendo i limiti alla legge penale futura. Quanto ai limiti di tempo stabiliti perché l'autorità di pubblica sicurezza presenti denuncia all'autorità giudiziaria, si potranno anche discutere, ma pensa che debbano essere mantenuti per una ragione di fatto.
Lombardi Giovanni ricorda che la legge penale dice: «salvo i casi di flagranza».
Moro osserva che si può discutere se il termine debba essere fissato in 24 o 48 ore, ma l'esperienza dice che non bisogna restringere eccessivamente i limiti di tempo, per non costringere l'autorità di pubblica sicurezza a violare le disposizioni di legge. Non ritiene invece discutibile la competenza della Costituzione a prendere posizione su questo punto. Rimettersi alla legge significherebbe autorizzare la legge a determinare il limite di detenzione, per esempio, fino ad un anno.
Mancini non entra nel merito dell'articolo. Osserva che la discussione verte sulla proposta dell'onorevole Dossetti che non è in contrasto col concetto del collega Basso, anzi lo ribadisce ancora di più. La proposta Dossetti — a suo avviso — non solo deve essere accolta dal punto di vista programmatico, tecnico ed ideologico, ma anche da un punto di vista pratico. Trattandosi di libertà personale, la quale deve essere il fondamento della nostra Costituzione, è meglio che preceda una norma positiva e segua poi la norma negativa.
Togliatti è d'accordo con quanto ha proposto l'onorevole Dossetti. È opportuno far precedere la formulazione del principio e quindi quella della garanzia costituzionale, giuridica: ciò dà maggior rilievo alla Costituzione.
Per quanto riguarda il contenuto dell'articolo, richiama l'attenzione dei colleghi su questo punto della Costituzione che è l'habeas corpus dei cittadini. La formulazione è difettosa proprio per gli argomenti portati dal collega Moro. Rinviare tutto alla legge apre una quantità di eccezioni che devono essere risolte specificatamente dalla legge. E allora sarà la legge che deciderà dell'habeas corpus e non la Costituzione.
In un punto dell'articolo si dice che è vietato ogni maltrattamento degli arrestati, specialmente in sede di interrogatorio. La sua esperienza in questo campo, crede sia superiore a quella dei colleghi, ed egli fa presente di essere stato sottoposto a quelle forme di pressione a cui fa riferimento l'articolo.
Per quanto riguarda la questione di rinviare alla legge o specificare in sede costituzionale, è d'accordo con l'onorevole Moro. Tutti questi rinvii distruggono l'habeas corpus, il quale non verrebbe più ad essere quello che tutti vogliono.
Il Presidente Tupini, poiché vi è accordo fra i colleghi Togliatti, Dossetti, Lombardi e Moro nel ritenere che un'affermazione di principio debba essere fatta prima di arrivare ad una specificazione, prega il collega Dossetti di formulare la sua proposta.
Dossetti propone di far precedere la prima parte dell'articolo 3 da queste parole: «La libertà personale è inviolabile».
Basso, Relatore, non sarebbe contrario a questa aggiunta; però, essendo contrario alle ridondanze che diminuirebbero il valore della Costituzione, fa notare che con l'aggiunta proposta si esprime due volte lo stesso concetto.
Grassi è d'accordo con il collega Basso. Gli sembra inutile l'aggiunta proposta dal collega Dossetti. Infatti, mentre in principio si fa un'enunciazione generale, subito dopo si ha una parte negativa nella quale si stabilisce che nessuno può essere privato della libertà personale se non per atto dell'autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. Sarebbe meglio allora dirlo apertamente, senza mantenere una parte positiva e poi un'altra negativa.
Dossetti non è d'accordo su questo concetto: infatti il contenuto giuridico della norma è l'inviolabilità della libertà personale; poi segue non un'eccezione a questa libertà, che trova la sua garanzia completa nel primo capoverso dell'articolo proposto dal collega Basso, ma una modificazione formale che toglie anche l'apparente contraddizione di cui si preoccupa l'onorevole Grassi. Infatti l'atto dell'autorità giudiziaria non è una violazione della libertà personale. La violazione suppone la illegittimità, la ingiustizia; dove non vi è injura non vi è più violazione. Il contrasto è soltanto tra i termini, ed ecco perché non si dovrebbe parlare di privazione della libertà, ma si dovrebbe parlare, come parlano di solito le altre Costituzioni, di detenzione o di arresto. Si dovrebbe, perciò, dire che la libertà personale è inviolabile e poi aggiungere che «nessuno può essere trattenuto o arrestato se non ecc.».
Uno schema simile del resto lo si trova nell'articolo 14 della Costituzione di Weimar e nell'articolo 127 della Costituzione russa.
D'altra parte, anche se fosse mantenuta la dizione attuale, si tratterebbe solo di una contraddizione formale. Non si può parlare di una violazione della liberà, quando questa avviene nei casi e nei modi previsti dalla legge per una superiore esigenza della comunità sociale.
Marchesi è d'accordo che il principio da stabilire sia questo, che cioè quando la libertà personale viene a ledere l'ordine giuridico o la libertà altrui non è più inviolabile.
Il Presidente Tupini ritiene che, poiché nessuno fa osservazioni, si intende approvato che l'articolo 3 cominci con la seguente affermazione:
«La libertà personale è inviolabile».
Passando alla prima parte dell'articolo 3 nella formula proposta dai relatori Basso e La Pira, fa osservare che per legare la prima parte dell'articolo all'affermazione che precede, invece di dire: «Nessuno può essere privato della libertà personale», sarebbe meglio dire: «La libertà personale è inviolabile. Questa può essere limitata solo per atto dell'autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge». Si tratta soltanto di una questione di forma.
Lucifero osserva che dal momento che si entra nella formulazione delle norme concrete dei diritti, sarebbe meglio usare termini più specifici. Pertanto, invece di dire: «Nessuno può essere privato della libertà personale», si potrebbe dire: «Nessuno può essere arrestato».
Aggiunge che nella prima parte dell'articolo si dice che nessuno può essere privato della libertà personale se non per atto dell'autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge; nella seconda parte invece si dice che la privazione della libertà personale può essere disposta anche dall'autorità di pubblica sicurezza, ma non si aggiunge: «nei casi e nei modi previsti dalla legge». Pensa che questo vincolo dovrebbe essere mantenuto anche nel secondo caso, altrimenti potrebbe sembrare che la pubblica sicurezza avesse una certa elasticità, una specie di facoltà discrezionale nel privare il cittadino della libertà personale, mentre ciò non sarebbe consentito all'autorità giudiziaria. Pertanto bisognerebbe dire che la privazione della libertà personale può essere disposta dall'autorità giudiziaria e dall'autorità di pubblica sicurezza, sempre però nei casi e nei modi previsti dalla legge.
Nel caso venisse accolta la proposta di sostituire alle parole: «privato della libertà personale», l'altra: «arrestato», raccomanda anche di aggiungere la parola: «fermato». Cioè si dovrebbe dire: «Nessuno può essere arrestato o fermato»; altrimenti la pubblica sicurezza potrebbe fermare e nessuna disposizione lo vieterebbe.
Togliatti è d'accordo nell'indirizzo proposto dal collega Lucifero, cioè di usare la massima concretezza. Pertanto propone che si dica: «Nessuno può essere arrestato se non per avere violato la legge e per mandato dell'autorità giudiziaria».
Il Presidente Tupini osserva che è difficile stabilire un criterio di valutazione della violazione della legge. Si presume che quando l'autorità giudiziaria interviene si sia violata la legge.
La proposta dell'onorevole Lucifero muove dal presupposto che ponendo nell'articolo il limite soltanto valido per l'autorità giudiziaria, implicitamente si venga a dire che questo limite non è obbligatorio per la pubblica sicurezza. Si dovrebbe cioè dire che: «Nessuno può essere arrestato se non per atto dell'autorità giudiziaria e dell'autorità di pubblica sicurezza nei casi e nei modi previsti dalla legge», per non dare adito al dubbio che si voglia conferire all'autorità di pubblica sicurezza un'estensione di poteri maggiore di quella dell'autorità giudiziaria.
Lucifero ripete la sua proposta di aggiungere esplicitamente che non è consentito neppure il fermo di polizia.
De Vita è d'accordo nel ritenere che si debba limitare al massimo il potere dell'autorità di pubblica sicurezza, stabilendo che nessuno può essere fermato o arrestato dall'autorità di pubblica sicurezza tranne casi determinati che si dovrebbero specificare.
Lucifero insiste nel proporre che si debba fissare con una disposizione precisa il concetto che non esiste nel nostro ordinamento un fermo di polizia, senza stabilire alcuna eccezione.
De Vita ritiene eccessivo abolire senz'altro il fermo.
Il Presidente Tupini fa rilevare la necessità di limitare la discussione alla prima parte della proposta Lucifero, quella cioè che considera il caso della limitazione della libertà personale, anche in riferimento alla autorità di pubblica sicurezza.
La questione di mantenere, oppure no, il fermo di polizia potrà essere discussa in un secondo tempo.
Basso, Relatore, non ritiene facile limitarsi nella discussione, perché si tratta di questioni collegate.
Se si ammette che la pubblica sicurezza ha la facoltà di arrestare, non è possibile toglierle la possibilità di disporre il fermo, e ciò tanto più se si tiene conto dei casi di delinquenza comune.
Pertanto pensa che la formula da lui suggerita sia la migliore. Essa infatti è così ampia che comprende l'arresto, il fermo e qualsiasi altra ipotesi presente e futura. Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per un atto dell'autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. La pubblica sicurezza, che ha preso un individuo sia a titolo di arresto, sia a titolo di fermo, entro 48 ore deve denunciarlo all'autorità giudiziaria, qualunque sia la motivazione. Gli sembra che questo sia veramente il solo modo concreto di prendere tutte le precauzioni.
Così pure non può accettare la proposta del collega Togliatti, che vorrebbe aggiungere il criterio della violazione della legge per poter effettuare l'arresto. Non è facile stabilire subito quando c'è la violazione della legge. Evidentemente l'autorità giudiziaria procederà soltanto nei casi e nei modi previsti dalla legge, come è detto nell'articolo.
Il Presidente Tupini fa presente che, essendo stata approvata la dizione da preporre all'articolo 3 «La libertà personale è inviolabile», il primo capoverso dell'articolo stesso è il seguente: «Nessuno può essere privato della libertà personale, se non per atto dell'autorità giudiziaria, nei casi e nei modi previsti dalla legge».
In questo primo capoverso il collega Lucifero vorrebbe aggiungere anche per l'autorità di pubblica sicurezza i limiti posti all'autorità giudiziaria. Quindi il capoverso sarebbe modificato nel modo seguente: «Nessuno può essere arrestato se non per atto dell'autorità giudiziaria e dell'autorità di pubblica sicurezza nei casi e nei modi previsti dalla legge.
Lucifero vorrebbe che gli stessi vincoli che legano l'autorità giudiziaria debbano anche legare l'autorità di pubblica sicurezza per evitare fermi abusivi e prolungati, dei quali anche egli fu vittima. Insiste perché questa facoltà di fermare le persone sia esclusa dalla nostra legislazione.
Il Presidente Tupini fa presente che l'autorità giudiziaria non va confusa con l'autorità di pubblica sicurezza. L'intervento della pubblica sicurezza ha un carattere preventivo e quindi questo argomento va trattato in un capoverso a parte. Se il collega Lucifero sente la opportunità di questa distinzione, le sue osservazioni potranno trovare sede adatta quando si parlerà delle limitazioni dei poteri della pubblica sicurezza.
Dossetti vuole distinguere nettamente l'arresto giudiziario da quello di pubblica sicurezza. Non si tratta di una questione di parole, ma della natura giuridica di questi due atti. Il fermo ha una natura giuridica diversa, che è dovuta alla diversa autorità che lo dispone. Premesso questo, i due atti dovrebbero essere regolati da due capoversi distinti: il primo capoverso dovrebbe essere enunciato in maniera generica e contemplare l'atto dell'arresto, e non direbbe privazione della libertà personale, per non mettersi in contraddizione anche solo apparente col principio dell'inviolabilità della persona umana. Pertanto propone la dizione: «Nessuno può essere arrestato o detenuto se non per atto dell'autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge».
In un successivo capoverso potrebbe essere contemplato il fermo di pubblica sicurezza.
A tale proposito ritiene evidente che la esclusione del fermo sia impossibile, perché di questa esclusione beneficerebbe specialmente la delinquenza comune. Non rimane dunque che stabilire una garanzia perché il fermo di pubblica sicurezza non sia indebitamente prolungato. Per questo basterà stabilire che il fermo deve avere una durata brevissima e che, da un certo momento in poi, deve intervenire l'autorità giudiziaria per convalidarlo in base ai motivi che solo essa può accertare.
Pertanto, dopo aver detto: «Nessuno può essere arrestato o detenuto, se non per atto dell'autorità giudiziaria, e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge», si dovrebbe aggiungere: «Per ordine della pubblica sicurezza l'individuo non può essere fermato o trattenuto per più...». E qui basterebbe stabilire il termine entro il quale l'autorità giudiziaria deve intervenire e la natura di questo intervanto.
Il Presidente Tupini pensa che intanto vada tenuta ferma la prima parte dell'articolo che riguarda l'autorità giudiziaria. Poi, parlando del fermo e dell'arresto o della privazione della libertà personale saranno stabiliti i criteri e i limiti di questo intervento.
Pone in discussione la formulazione proposta dall'onorevole Dossetti per il primo comma dell'articolo 3.
Lucifero pensa che si possa stabilire subito nella Costituzione una differenziazione terminologica dell'arresto, della detenzione e del fermo, che è un provvedimento della pubblica sicurezza da convalidarsi e trasformarsi in arresto dall'autorità giudiziaria entro un determinato termine. Questa differenziazione potrebbe essere fatta nel secondo capoverso.
Corsanego è favorevole a conservare nel primo capoverso dell'articolo la formula proposta dai Relatori. La libertà personale non si viola soltanto coll'arresto e con il fermo di polizia; vi sono state o vi sono altre forme di violazione della libertà personale, quali ad esempio obbligare un individuo a recarsi alla sede del fascio per essere interrogato, imporgli di non rientrare nella sua casa sotto pena di morte, vietargli di aprire un negozio perché è di un partito contrario. Queste sono forme di privazione della libertà personale che recano al cittadino spesso più danno che non il fermo per due o tre giorni.
Basso, Relatore, insiste per la formula proposta da lui e dal collega La Pira, facendo presente che, poiché è stata premessa all'articolo la frase: «La libertà personale è inviolabile», il primo capoverso dell'articolo andrebbe così modificato: «Nessuno può esserne privato se non per atto dell'autorità giudiziaria, ecc.».
Di fronte a tutta la casistica di polizia occorre una formula generica ed ampia per evitare che qualche nuovo espediente poliziesco venga a limitare la libertà personale.
Moro non è d'accordo con l'onorevole Corsanego, in quanto i casi da lui indicati costituiscono reati previsti dalla legge.
Riconosce, col collega Basso, che è preferibile una formula generica per evitare ogni possibile nuovo espediente ai danni della libertà. Ma quando si stabilisce che l'autorità di pubblica sicurezza può fermare un individuo solo per il fondato sospetto di reato e limitatamente alle 48 ore, perché oltre questo limite deve seguire la denuncia all'autorità giudiziaria, si può stare tranquilli: nessuna legge speciale potrà inventare nuove forme di limitazione della libertà.
Dossetti, per andare incontro alle preoccupazioni dell'onorevole Basso e in parte a quelle dell'onorevole Corsanego, aggiunge nella dizione da lui proposta dopo la parola «arrestato», l'avverbio «o comunque».
Lombardi Giovanni preferisce la formula dei Relatori. Le altre proposte gli sembrano troppo specifiche, più conformi ad una legge speciale che ad una legge statutaria. La formula «Nessuno può essere privato della libertà personale» è la più ampia, comprende l'arresto, la detenzione, il fermo e qualunque altra forma vessatoria che possa venire in mente all'autorità di pubblica sicurezza. Inoltre risulta dalla formula Basso-La Pira che questo diritto di privazione della libertà personale appartiene anzitutto all'autorità giudiziaria; si fa poi una concessione accordandolo all'autorità di pubblica sicurezza.
La Pira, Relatore, riconosce l'utilità della specificazione; però, adottando una formula generale comprendente il fermo, l'arresto e la detenzione, le preoccupazioni dell'onorevole Corsanego dovrebbero cadere. Questa formula è più conforme ad una Costituzione e consente tutte le garanzie.
Mancini dichiara di essere favorevole alla dizione dei Relatori che è più comprensiva. Aggiunge che, dal punto di vista del diritto penale, chi è arrestato è detenuto, quindi si domanda che cosa significhi arrestato o detenuto. La formula più chiara e più comprensiva è quella che dice «essere privato della libertà».
Dossetti spiega il concetto ispiratore della sua proposta: fare cioè un articolo che sia, anche dal punto di vista formale, coerente nelle sue diverse enunciazioni.
Se si dice «La libertà personale è inviolabile», e poi si aggiunge che si può esserne privati per atto dell'autorità giudiziaria, effettivamente si pone in essere una contraddizione, qualche cosa che intacca la forza dell'enunciato, mentre con la sua proposta la forza dell'enunciato generale è accresciuta. Si dichiara che la libertà personale è inviolabile e poi si prevede un fatto giuridico, che una persona sia messa in stato di detenzione per un atto dell'autorità giudiziaria e si dice: «La detenzione può avvenire per solo atto dell'autorità giudiziaria e solo nei casi previsti dalla legge». Di qui si passa alla eccezione concessa all'autorità di pubblica sicurezza. È tutto un succedersi di concetti che rafforza e non attenua il valore di quanto è stato affermato in primo posto.
Qui si parla di violazione della libertà personale in seguito ad arresto o detenzione; altre forme di privazione non rientrano in questo articolo. La libertà a cui allude l'onorevole Corsanego è una libertà più complessa che va fino a quella di aprire un negozio, mentre in questa sede si considera soltanto quella libertà che si concreta nella capacità e possibilità di dislocarsi da un posto all'altro.
Lombardi Giovanni fa rilevare che la discussione non verte sul concetto, ma sulla espressione e la formula «privato della libertà personale» non è in contrasto con la progressione indicata dall'onorevole Dossetti; è solo una espressione più precisa.
Lucifero, quale proponente della formula, fa presente al collega Basso che gli italiani, ma non solo essi, escono da una serie di esperienze che insegnano come siano state trovate delle formule che danno la possibilità di violare il diritto alla libertà personale. Occorrono quindi formule-catenaccio che non diano possibilità di evasione.
Insiste perché sia mantenuto il termine «detenzione». Arresto e detenzione sono due cose diverse.
Mancini osserva che non vi può essere l'arresto senza che vi sia anche la detenzione.
Il Presidente Tupini ritiene necessario, perché rimanga traccia del pensiero del legislatore, di coloro cioè che prepararono la Costituzione, che si fissi il concetto sul quale tutti sono d'accordo, che, cioè, la libertà personale non deve essere violata. Le varie proposte mirano a stabilire con parole diverse l'identico concetto.
Secondo lui, la formula «privazione della libertà personale», poiché non dà luogo a nessuna casistica e comprende tutti i casi, è in sostanza la più comprensiva. Comunque, vi sono due proposte distinte: quella dei Relatori e quella dell'onorevole Dossetti.
Metterà ai voti prima la formulazione proposta dall'onorevole Dossetti, poiché essendo innovatrice, deve avere la precedenza nel voto. È chiaro che se questa non viene approvata, resta approvata la proposta dei Relatori.
Pone ai voti la proposta Dossetti:
«Nessuno può essere arrestato o detenuto, se non per atto dell'autorità giudiziaria, e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge».
(La proposta non è approvata).
Dichiara allora approvata la formula dei Relatori:
«Nessuno può esserne privato, se non per atto dell'autorità giudiziaria, nei casi e nei modi previsti dalla legge».
Pone in discussione il successivo capoverso dell'articolo 3 il quale dice:
«La privazione della libertà personale può essere disposta anche dall'autorità di pubblica sicurezza; tuttavia in questo caso l'individuo non può essere trattenuto per più di 48 ore, a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all'autorità giudiziaria e questa non l'abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente, secondo quanto dispongono le leggi».
Cevolotto ritiene con questa dizione superato quel dubbio che era stato formulato anche da lui a proposito del capoverso precedente circa il fermo di polizia, perché in questo capoverso vengono posti dei limiti inderogabili e delle formalità da espletare. Si supera anche la questione, più di forma che di sostanza, che faceva l'onorevole Dossetti, raccolta anche dall'onorevole Moro, e cioè che si autorizzasse la pubblica sicurezza ad operare il fermo in casi di flagranza. Il fermo sarà poi trasformato in arresto dall'autorità giudiziaria. Una formulazione troppo generica inciderebbe sul Codice di procedura penale. Con l'espressione: «La privazione della libertà personale», si comprende qualsiasi forma di privazione di libertà personale.
L'onorevole Lombardi ha proposto la riduzione del termine a 24 ore, ma considerando che occorre del tempo perché l'autorità di pubblica sicurezza riferisca all'autorità giudiziaria e questa convalidi l'arresto, evidentemente 24 ore sono troppo poche; forse anche il termine di 48 ore è assai ristretto. È opportuno mettere dei termini ristretti, ma non occorre eccedere per non costringere l'autorità di pubblica sicurezza a ricorrere ad altri espedienti.
Osserva che nel capoverso si specificano delle norme che sono proprie del Codice di procedura penale e non debbono essere trasferite in una carta costituzionale. Quando si dice «con proprio atto motivato», è d'accordo nella sostanza, ma non ritiene sia questo il posto per dirlo; e altrettanto ripete per l'altra norma secondo cui la convalida deve essere fatta entro le ulteriori 48 ore e ripetuta periodicamente.
Propone quindi la soppressione dell'ultima parte del capoverso: «con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore. La convalida deve essere ripetuta periodicamente, secondo quanto dispongono le leggi».
Lombardi Giovanni aggiunge che non è giuridicamente esatta la frase «la convalida deve essere ripetuta periodicamente». L'autorità giudiziaria ha in un primo tempo convalidato l'arresto; ogni ulteriore procedimento spetta all'autorità stessa. Questo fa parte di quelle tali norme per cui entro 6 mesi l'autorità deve convalidare o meno il proprio mandato di cattura. È una disposizione specifica della legge penale e non deve trovare posto nello statuto.
Lucifero ritiene che la frase «la convalida deve essere ripetuta periodicamente ecc.» sia stata ispirata da considerazioni di ordine pratico. Quando il magistrato riceve un voluminoso pacco di segnalazioni di arresto da parte della pubblica sicurezza, e entro 48 ore deve esaminarlo, finirà col convalidare tutto, salvo poi, in un secondo tempo, esaminare specificamente caso per caso. Questo è quello che avverrà in pratica. Queste ulteriori convalide hanno effettivamente il significato che, dopo la prima convalida di urgenza, l'esame deve essere approfondito; e qui occorrerebbe — a suo avviso — stabilire un termine per rendere efficiente la norma.
Cevolotto risponde che a questo provvederà il Codice di procedura penale.
Lucifero osserva che il Codice di procedura penale non è una legge costituzionale.
Dichiara che se l'intendimento dei relatori era quello da lui esposto, voterà per il mantenimento della frase.
Mancini ricorda che nel Codice di procedura penale vi è una disposizione la quale stabilisce che l'autorità di pubblica sicurezza deve presentare entro 24 ore i propri verbali all'autorità giudiziaria. Praticamente, se non interviene l'avvocato, l'autorità giudiziaria non sollecita dagli organi di polizia la presentazione dei verbali. Perciò alla frase «tuttavia in questo caso l'individuo non può essere trattenuto per più di 48 ore», dovrebbe esserne sostituita un'altra del seguente tenore: «tuttavia in questo caso l'individuo deve essere messo immediatamente in libertà, tranne che l'autorità giudiziaria non intervenga con atto motivato entro 48 ore». Sostituirebbe inoltre la frase: «a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia all'autorità giudiziaria e questa non l'abbia convalidata, con proprio atto motivato, entro le ulteriori 48 ore», con la frase: «a meno che entro tale termine non sia intervenuta denunzia alla autorità giudiziaria e questa non l'abbia convalidata con proprio atto motivato entro le ulteriori 48 ore, e questo non sia seguito in altre 48 ore da un ordine o da un mandato di cattura». Si eviterebbe così di parlare di «convalide», che è un termine fuori del diritto.
Il Presidente Tupini osserva che, ammesso l'intervento della pubblica sicurezza, questo non va sottoposto a casistiche che sono più proprie di una legge speciale o del Codice di procedura penale che non della Costituzione. La Costituzione deve andare per vie maestre. Dapprima afferma che la libertà personale è inviolabile poi aggiunge che potrà essere tolta soltanto dall'autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge. È ammessa anche la privazione della libertà personale disposta dall'autorità di pubblica sicurezza, ma questa facoltà deve essere chiaramente limitata. Propone perciò di sostituire alla formula dei relatori la seguente: «Il fermo o l'arresto di polizia non può avere una durata superiore a 48 ore. Oltre questo limite è necessaria la convalida motivata dell'autorità giudiziaria». Questo è un principio semplicissimo; le leggi speciali stabiliranno le norme esecutive.
Mancini chiede perché si vuol dare alla autorità giudiziaria quel potere che si vuol togliere all'autorità di pubblica sicurezza. Quando si dice che per togliere la libertà personale basta la convalida dell'autorità giudiziaria si afferma una cosa molto grave. Solo un ordine o un mandato di cattura dovrebbe privare il cittadino della libertà personale.
Il Presidente Tupini spiega che la formula da lui proposta va interpretata facendo riferimento al precedente capoverso, il quale prevede che l'autorità giudiziaria nei suoi interventi sia legata ai casi e ai modi previsti dalla legge. Il fermo o l'arresto non può avere una durata superiore alle 48 ore; oltre questo limite sarà sempre necessaria la convalida motivata dell'autorità giudiziaria.
Mancini ricorda che nel Codice di procedura penale si parla di ordine o mandato di cattura e non di convalida, quindi si dovrebbe dire che, dopo quel termine, deve seguire un ordine o un mandato di cattura.
Cevolotto rileva che con la formula proposta dal Presidente: «Il fermo o l'arresto non può durare più di 48 ore a meno che ecc.», è ammesso il fermo di polizia. Poi si aggiunge che dopo quel termine occorre una convalida dell'autorità giudiziaria e così si avrebbe un fermo convalidato dall'autorità giudiziaria.
Il Presidente Tupini consente che invece di «convalida», si dica «ordine o mandato di cattura».
La consacrazione poi, nella Costituzione, del fermo come istituto di fatto della polizia non gli sembra così pericolosa, perché il fermo non può durare più di 48 ore e questa è una garanzia sufficiente per il cittadino.
Quindi si potrebbe dire: «Il fermo o l'arresto non può avere una durata superiore alle 48 ore; oltre a questo limite sarà sempre necessaria la convalida motivata per mezzo di un ordine o di un mandato di cattura dell'autorità giudiziaria».
Dossetti dichiara che riproporrà in seconda istanza il concetto che è stato respinto.
Innanzi tutto propone che la frase «la privazione della libertà personale, ecc.» venga soppressa, perché in contraddizione col principio che egli tiene a riaffermare, che nessuno, cioè, può essere privato della libertà personale, se non per ordine dell'autorità giudiziaria.
Fatta questa affermazione, potrebbe accettare la formula proposta dal Presidente con una variante più radicale, non accennando al fermo; dopo aver detto che può essere disposta la privazione della libertà personale solo per ordine dell'autorità giudiziaria, aggiungerebbe che, per ordine dell'autorità di pubblica sicurezza, nessuno può essere trattenuto per più di 48 ore. Dopo tale termine deve essere rimesso in libertà, a meno che prima sia intervenuta una denunzia all'autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori 48 ore, abbia disposto l'arresto.
Mancini propone che si dica che l'individuo deve essere rimesso in libertà se non segue, dopo questo termine, un mandato di cattura.
Moro domanda se non sia il caso di affrontare anche il problema del confino di polizia.
Mancini mantiene la sua prima proposta, che il fermo o l'arresto di polizia non possono avere durata superiore alle 48 ore. Accetta la precisazione del collega Dossetti che, dopo tale termine, il fermato deve essere rilasciato a meno che non sia intervenuta una denuncia all'autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia disposto l'arresto.
Basso, Relatore, anche per la prima parte adotterebbe la formula Dossetti. Qualunque specificazione rappresenta una diminuzione. Comprende le preoccupazioni del collega Moro di dare qualche specificazione per quanto riguarda i provvedimenti che può prendere la polizia; quindi accetta il testo proposto dal collega Dossetti integrato da una disposizione che garantisca di fronte ad un arresto non motivato.
Al collega Lucifero, che teme che il mandato di cattura emesso in fretta senza una sufficiente motivazione o informazione possa avere come conseguenza la permanenza in carcere per molti mesi, osserva che si tratta di materia di competenza del Codice di procedura penale. Il limite di tempo oltre il quale, se non interviene un nuovo provvedimento, l'arrestato non può essere trattenuto, dovrebbe essere stabilito come lo è nella Costituzione francese.
Aderisce quindi alla proposta del collega Dossetti con l'aggiunta della specificazione del motivo per cui si procede all'arresto.
De Vita vorrebbe che si trattasse anche del confino di polizia.
Il Presidente Tupini risponde che ne sarà trattato in un secondo tempo.
Cevolotto richiama l'attenzione dei colleghi sul punto che ha trattato l'onorevole Basso: è una norma del Codice di procedura penale che si introduce e va esaminata a fondo, perché recherebbe un enorme lavoro alle procure e ai giudici istruttori. Non è bene, d'altra parte, specificare troppo in sede costituzionale.
Il Presidente Tupini insiste sulla sua formula, la quale — a suo avviso — non pregiudica nulla e che si riferisce alle garanzie che per legge dovranno regolare il funzionamento dell'autorità giudiziaria. La precisa nei seguenti termini: «Il fermo e l'arresto di polizia non può avere durata superiore a 48 ore; oltre questo limite è necessaria la convalida motivata dell'autorità giudiziaria per mezzo di ordine o mandato di cattura». Il Codice penale e quello di procedura penale stabiliranno poi i modi concreti di attuazione. In tal modo si garantisce la libertà personale e si viene incontro a tutte le preoccupazioni espresse durante la discussione.
Dossetti fa rilevare che, secondo questa proposta, la convalida deve avvenire prima che siano scadute le 48 ore. Invece nella proposta La Pira-Basso vi è un primo termine di 48 ore entro cui le autorità di pubblica sicurezza debbono fare la denunzia alla autorità giudiziaria, la quale entro le ulteriori 48 ore dovrà convalidarla. Osserva che accadrà di frequente che il giudice non potrà nelle prime 48 ore fare l'interrogatorio.
Il Presidente Tupini ritiene giusta questa osservazione e così corregge la sua proposta: «Oltre questo limite, e in ogni caso entro le 48 ore successive, è necessario, ecc.».
Basso, Relatore, direbbe: «Il fermo o l'arresto di polizia non può durare più di 48 ore; dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà», — affermazione precisa che è bene fare — «a meno che prima non sia intervenuta denuncia all'autorità giudiziaria e questa entro le successive 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».
Cevolotto trova accettabile la formula; ma l'obiezione del collega Moro è questa: l'autorità di pubblica sicurezza può fermare un individuo per varie ragioni; per esempio per non farlo votare. Lo tiene dentro 24 ore, poi lo rimette in libertà e dopo qualche giorno lo ferma di nuovo e così di seguito senza incorrere nei termini prescritti e senza darne conto a nessuno. Ora questo è un po' grave.
Il Presidente Tupini osserva all'onorevole Cevolotto che la Sottocommissione prepara una Costituzione democratica e non un a Costituzione di uno Stato totalitario. In uno Stato democratico ci sono i Deputati, c'è una libera stampa, che possono intervenire quando la legge sia violata e quando si commettono abusi. In regime democratico le cose andranno diversamente che in regime fascista.
De Vita fa notare che anche in regime democratico vi è la possibilità del sopravvento di una funzione.
Marchesi risponde all'osservazione e al monito del Presidente che la Costituzione non è fatta per l'eternità e che ogni regime politico e ogni Costituzione hanno in sé, se non i germi necessari, quelli probabili di degenerazione. Va sempre garantito il cittadino contro la temerarietà e l'arbitrarietà dell'azione di polizia e perciò si associa interamente alle preoccupazioni sollevate dall'onorevole Moro. Bisogna specificare che questo fermo o arresto preventivo di polizia non deve essere né temerario né arbitrario e stabilire bene le sanzioni nel caso che lo sia.
Il Presidente Tupini propone che si dica: «Il fermo o l'arresto di polizia non può avvenire che per il fondato sospetto di reato e non può avere durata superiore a 48 ore, ecc.».
Moro proporrebbe: «per fondato o serio sospetto di reato».
Lombardi Giovanni chiede chi è che giudicherà della fondatezza.
Ricorda il sospetto che circonda l'operato della pubblica sicurezza. Anzi, a questo proposito, invece di pubblica sicurezza direbbe polizia giudiziaria, della quale fa parte la pubblica sicurezza. La terminologia generica è «polizia giudiziaria».
Il Presidente Tupini osserva che la polizia giudiziaria è quella che interviene nell'applicazione della sentenza e che esegue i mandati di cattura.
Lombardi Giovanni rileva che la polizia giudiziaria è un complesso di cui fa parte la pubblica sicurezza. Evitare ogni sospetto non è possibile neanche con la proposta del collega Moro. Il solo modo per evitare qualunque sospetto consiste nel dare un solo diritto alla pubblica sicurezza o polizia giudiziaria: quello di arrestare soltanto in caso di flagranza di reato.
In uno Stato veramente democratico dovrebbe essere così; ed egli presenta formale proposta perché in qualunque altro caso l'autorità giudiziaria debba decidere sul rapporto dell'autorità di pubblica sicurezza. Non deve essere consentito alla pubblica sicurezza di arrestare per sospetti, siano pure fondati; essa deve intervenire per mandato dell'autorità giudiziaria.
Propone pertanto la seguente formula:
«L'autorità di pubblica sicurezza può arrestare solo nei casi di flagranza. Per ogni sospetto o denunzia, siano pure fondati, occorre l'ordine o il mandato di cattura dell'autorità giudiziaria».
Il Presidente Tupini pone ai voti la proposta dell'onorevole Lombardi, dichiarando però di essere contrario a questa formula.
(La proposta non è approvata).
A cura di Fabrizio Calzaretti