[Il 12 aprile 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».]

Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Iniziamo l'esame dell'articolo 14:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di principî o riti contrari all'ordine pubblico o al buon costume».

Sono stati presentati numerosi emendamenti. Il primo è quello dell'onorevole Mastino Pietro ed è stato già svolto:

«Sopprimerlo in relazione all'emendamento sostitutivo dell'articolo 9».

Segue l'emendamento dell'onorevole Binni:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto.

«Le confessioni religiose sono eguali di fronte allo legge e hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano».

L'onorevole Binni ha facoltà di svolgerlo.

Binni. Durante la discussione dell'articolo 7, se vi fu una lunga e dura battaglia, tutti però, mi sembra, concordarono nel riconoscimento generale della libertà di religione e della libertà di culto; e, anzi, proprio i colleghi democratici cristiani affermarono la loro volontà di non legare, in alcun modo, l'inserzione dei Patti lateranensi ad una qualsiasi, possibile menomazione o violazione della libertà generale di religione. E proprio l'onorevole De Gasperi accennò esplicitamente alla buona volontà con cui il suo partito sarebbe venuto incontro a tutte le possibili modifiche, in sede legislativa, contro ogni limitazione o violazione possibile di questa libertà.

Ora io penso che qui, in sede di Costituzione, sarebbe il caso di attuare questa buona volontà generale e di attuarla soprattutto e anzitutto col togliere dalla nostra Costituzione quelle limitazioni che, secondo me, sono o inutilmente offensive o realmente dannose: e accenno all'ultima parte del primo comma dell'articolo 14, là dove si parla di «atti di culto, purché non si tratti di principî o riti contrari all'ordine pubblico o al buon costume».

È vero che l'onorevole Mortati, nel suo intervento nella discussione generale, fece rilevare che in effetto queste limitazioni sarebbero pur sempre rimaste valide nei decreti, nella legge comune e nei provvedimenti di polizia. Ma questo non mi pare un buon motivo per inserire queste limitazioni nella nostra Carta costituzionale; anzi mi sembra che, appunto perché si tratta di provvedimenti contenuti in decreti, in testi di polizia, appunto per ciò noi dovremmo risparmiare la loro inserzione nel testo della Costituzione, che deve avere massima sobrietà e solennità e, secondo me, non deve portare neppure l'ombra di qualsiasi irrispettosità, di qualsiasi offesa per culti o religioni delle quali noi abbiamo il massimo rispetto. Anche qui è il caso di ricordarci dell'ambiente storico in cui viviamo; ricordiamo che non siamo nell'Africa centrale, ma siamo in Italia; siamo una nazione in cui direi che perfino il più rozzo senso del numinoso ha trovato sempre la maniera di sublimarsi, in qualche modo, in forme comunque innocenti, entro il cerchio potente della religione tradizionale e non ha dovuto sceglier nessun culto di quelli che l'onorevole Nobile potrebbe chiamare forme e riti stravaganti. Anzi mi pare che questa proposta, onorevole Nobile, indichi ancora più questo carattere che mi pare sia offensivo e che può anche allargare l'arbitrarietà di una definizione di questi culti. Tra l'altro, a parte il fatto che a me sembra impossibile che ci siano fra noi questi culti stravaganti, questa adorazione, per esempio, dei serpenti o simili, sarebbe molto difficile dare una definizione di questo carattere di stravaganza. Se colui che giudica partisse da una mentalità arretratamente illuministica o strettamente razionalistica, dove si arriverebbe nella definizione di queste stravaganze? Mi pare che se anche questo punto del buon costume non sia così grave come l'altro punto dell'ordine pubblico, noi dovremmo rendere comunque in questo caso un comune omaggio allo spirito religioso che tutti ci può legare, al carattere serio della parola religione e della parola culto quale dobbiamo volere nella nostra Costituzione.

Quanto poi al punto dell'ordine pubblico, questa formula mi pare ancora più pericolosa, più rischiosa. È una di quelle formule che, pure essendo consuetudinarie in alcune Costituzioni — per quanto non si trovi nelle Costituzioni dei più grandi paesi democratici — appare estremamente pericolosa e direi ricca di tentazioni per chi ha il potere e può servirsene per i suoi scopi particolari.

L'onorevole Preti, nel suo intervento, ha portato numerosi esempi dello zelo inopportuno che durante il passato alcuni ministri di culto, sia pure periferici, sia pure dei bassi strati ecclesiastici, hanno dimostrato servendosi di questa formula dell'ordine pubblico per impedire la libertà di culto di alcune denominazioni protestanti. E, anche se questo non è il caso preciso, noi non possiamo dimenticare che con questa formula così generica e così insidiosa anche ad un uomo, che tutti ricordiamo con rispetto e alcuni di noi con venerazione, cioè ad Ernesto Buonajuti, fu impedito più volte di tenere delle pubbliche conferenze di carattere religioso, che non erano atti di culto, ma erano certamente una manifestazione di libertà di pensiero.

Labriola. È il Concordato!

Presidente Terracini. Non interrompa, onorevole Labriola.

Binni. Con la formula dell'articolo 14 si può impedire una manifestazione di libertà di pensiero, di libertà di religione. Epperciò io credo che questi pericoli ci siano veramente e che noi potremmo dare prova di generosità e di coraggio moderno, escludendo dalla nostra Costituzione quelle due limitazioni.

Quanto poi al secondo comma dell'articolo 14, esso risulta — come tutti sappiamo — dal trasferimento, proposto dall'onorevole Lucifero, dall'articolo 7 all'articolo 14. È evidente — ed io l'ammetto senza altro — che questo trasferimento porta con sé dei grossi inconvenienti dal punto di vista dell'armonia generale dell'articolo; porta degli inconvenienti, in quanto si può sentire una incongruenza, una certa contraddittorietà fra l'affermazione generale che qui noi facciamo (e che vogliamo fare, senza equivoci, perché questo è il nostro spirito ed è anche lo spirito per cui abbiamo votato contro l'articolo 7), cioè l'affermazione generale che le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge, e l'inserzione dei Patti lateranensi che si è avuta con la votazione dell'articolo 7.

Ora, in verità, se questa contraddizione c'è — né potrebbe essere diversamente sanata — essa ad ogni modo non dipende certamente da noi che abbiamo votato contro l'articolo 7 e che prevedevamo questo caso e forse anche altri casi che potessero avvenire, cioè che lo strascico di questo articolo si sentisse anche in altre occasioni. Ad ogni modo, non spetta a noi di abbandonare un principio generale, e secondo noi essenziale ad uno Stato moderno, come quello della libertà e dell'uguaglianza delle confessioni religiose. Anzi, vorrei dire che in questo caso noi offriremmo alla Democrazia cristiana l'occasione di dimostrare praticamente quella volontà da essa enunciata di non legare l'inserzione dei Patti ad una limitazione delle altre confessioni religiose. Anche se, come ripeto, ci potrebbe essere qualche formulazione più adatta — e fin d'adesso mi dichiaro disposto, anche a nome del gruppo che qui rappresento, ad accettare una formulazione che potesse essere più adatta, e che secondo me potrebbe essere quella che so esser stata proposta dall'onorevole Cianca — quello che a noi preme, malgrado le formulazioni leggermente differenti che si possono adottare, è l'affermazione chiara e recisa dell'uguaglianza delle confessioni religiose, dell'eguaglianza dei culti. Ciò costituisce per noi un aspetto essenziale della nostra libertà, affinché la libertà scenda un po' da quell'Olimpo di buone intenzioni, da quegli appelli magnanimi che risuonano più volte, di derivazione cristiana, o illuministica, o risorgimentale, e si precisi in garanzie per tutti i cittadini, affinché essi possano vivere e svolgersi in condizioni effettivamente libere ed effettivamente democratiche. (Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Pajetta Giancarlo e La Rocca:

«Sostituirlo col seguente:

«Tutti hanno diritto di professore liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di riti contrari all'ordinamento giuridico dello Stato o al buon costume.

«Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge e si reggono sulla base dei propri statuti. I loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, mediante intese con le rispettive rappresentanze».

Non essendo presente l'onorevole Pajetta, l'onorevole La Rocca ha facoltà di svolgerlo.

La Rocca. Credo che non sia il caso di svolgere questo emendamento, già ampiamente prospettato dall'onorevole Pajetta. Ritengo che qui si tratti di trasportare sul piano religioso un principio già affermato, riconosciuto e sancito sul piano politico. D'altra parte credo che non si possa in alcun modo contestare questo: che vi sarebbe veramente libertà religiosa, soltanto se tutte le organizzazioni religiose fossero poste sul medesimo piano, in condizioni di perfetta eguaglianza.

Io so, peraltro, che è stato proposto all'emendamento dell'onorevole Pajetta e mio un altro emendamento, dell'onorevole Laconi, che accetto in pieno, e al quale mi rimetto, aspettando che l'onorevole Laconi svolga questo concetto.

Presidente Terracini. Sono stati poi presentati, i seguenti emendamenti:

«Sopprimere le parole: principî o.

«Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Pieri, Costantini, Grazi, Merighi, Tonello, Tega, De Michelis».

«Sopprimere le parole: all'ordine pubblico.

«Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Pieri, Costantini, Grazi, Merighi, Tonello, Tega, De Michelis, Tomba».

«Aggiungere come secondo comma il terzo comma dell'articolo 5 del progetto, con i seguenti emendamenti:

«Soppressione della parola: altre, e delle parole: in quanto contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.

«Sostituzione dell'ultima proposizione con la seguente: i loro rapporti con lo Stato sono regolati, se del caso, per legge, previa intesa con le rispettive rappresentanze.

«Basso, Nobili Tito Oro, Giua, Pieri, Costantini, Grazi, Merighi, Tonello, Tega, De Michelis».

Essendo dei firmatari presente l'onorevole Nobili Tito Oro, egli ha facoltà di svolgerli.

Nobili Tito Oro. Mi pare, onorevoli colleghi, che la lettera del primo emendamento da noi proposto spieghi sufficientemente lo spirito e la portata delle modifiche che noi tendiamo ad apportare al testo del progetto. Esse mirano a rendere concreta, operante ed effettiva la libertà di culto che si garantisce a tutti i cittadini e partono dalla preoccupazione che questa garanzia non sia sufficientemente accordata dal testo del progetto; il quale riconosce bensì la libertà a tutti i cittadini di compiere pubblicamente e privatamente tutti gli atti del loro culto, ma la subordina alla condizione che non si tratti di principî e di riti contrari all'ordine pubblico ed al buon costume.

Qui è da domandarsi quale sarà l'organo che dovrà decidere del concorso degli estremi per l'attuazione di questa eccezione al diritto della libertà di culto. Non v'è dubbio che dovranno essere necessariamente gli organi di polizia; ma noi rimetteremo agli organi di polizia, onorevole Tupini, il decidere e il giudicare intorno ai principî di una fede religiosa? Ammetteremo noi che i principî di una fede religiosa, i quali si consustanziano con la fede stessa, possano costituire oggetto di esame da parte di elementi estranei a quella fede? Questo è assurdo e contraddice all'essenza della stessa libertà religiosa e pertanto mi pare che l'espressione «principî» debba essere senz'altro esclusa dalla formula del testo.

Ma questo soggiunge che principî e riti non debbano essere contrari all'ordine pubblico. Sennonché, quello dell'ordine pubblico è criterio troppo evanescente e troppo spesso preso a pretesto da funzionari di polizia per non permettere quelle manifestazioni che ad essi fa comodo di non permettere, e che potrebbero essere anche sconsigliate e non volute dai Governi del tempo.

È dunque troppo soggettivo, troppo elastico e troppo facilmente invocabile questo criterio, perché si possa ad esso affidare il regolamento di una libertà che interessa la grande maggioranza dei cittadini. Noi crediamo pertanto che debba essere soppresso anche il criterio discriminativo dell'ordine pubblico.

Ho visto che in altro emendamento si propone di sostituire al criterio dell'«ordine pubblico» quello dell'«ordinamento giuridico»; ma la situazione non verrebbe migliorata, in quanto resterebbe sempre in potere del Governo promuovere riforme legislative atte a impedire manifestazioni di culti ad esso non accetti.

Io ho svolto l'emendamento proposto dal nostro gruppo, ma il fatto di aver trasferito in questa sede l'ultimo comma dell'articolo 5, oggi 7, del progetto di Costituzione, mi pone innanzi ad un'altra considerazione, che io sottopongo ora al giudizio dell'onorevole Commissione: l'ultimo comma dell'articolo prevede che i rapporti tra lo Stato e le chiese siano regolati da leggi. Basteranno dunque queste leggi ad eliminare tutti i dubbi che possano sorgere in ordine ai riti, così che, presentandosi casi di riti ritenuti contrari al buon costume, possano in tale sede esser presi gli accordi al riguardo necessari fra Stato e chiese interessate.

Parmi pertanto che si possa sopprimere addirittura l'intero inciso che riguarda l'eccezione e fermare il testo del progetto alla parola: «culti». Questa è la mia personale proposta. (Applausi a sinistra).

Resta il secondo emendamento; la sua portata è evidente. Per rispetto al principio che alla libertà di culto debba corrispondere la libertà della Chiesa, si propone che la regolazione dei rapporti collo Stato mediante la legge prevista avvenga soltanto «se del caso»; ossia, o a richiesta della chiesa interessata, o per gravi ragioni lasciata alla valutazione del Governo.

Presidente Terracini. L'onorevole Lucifero ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma dell'articolo 7 (già articolo 5 del Progetto), divenuto secondo comma dell'articolo 14, sostituire le parole: Le altre confessioni, con le parole: Tutte le confessioni».

Ha facoltà di svolgerlo.

Lucifero. Io non ho da insistere sul mio emendamento, che fu semplicemente una correzione di forma allorquando proposi lo spostamento del capoverso, che era quello che mi premeva e che l'Assemblea ha ritenuto di accogliere. Oggi, l'unico concetto che fondamentalmente mi interessa è l'affermazione di uguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge. Quindi, il mio emendamento non ha ragione di essere e voterò per uno di quegli emendamenti che mi sembrerà meglio corrispondente al mio pensiero in questo senso.

Presidente Terracini. L'onorevole Nobile ha già svolto il suo emendamento: «dopo la parola: riti, aggiungere la parola stravaganti». Egli però ha successivamente proposto di modificare come segue l'ultima proposizione dell'articolo 14: «purché non si tratti di principî o riti contrari alla civiltà, all'ordine pubblico o al buon costume».

Chiedo all'onorevole Nobile se intende svolgere questa modificazione apportata all'emendamento già presentato.

Nobile. Non avrei nulla da aggiungere. Convengo perfettamente con le ragioni addotte poco fa dai colleghi che mi hanno preceduto, per quanto riguarda forse la opportunità di fermarsi alle parole «buon costume»; ma se si mantiene, come è stato proposto dalla Commissione, questo inciso, quest'ultima proposizione, cioè di escludere i riti contrari all'ordine pubblico o al buon costume, in questo momento a me sembra indispensabile che si considerino anche quegli altri riti, e ce n'è una quantità enorme, soprattutto nell'America del Nord, che sono delle vere e proprie aberrazioni, e sono contrarie al buon senso, all'intelligenza, alla civiltà.

Io potrei mostrare proprio qui, in una rivista che è giunta qualche settimana fa dall'America, delle fotografie dove si vedono delle giovani donne che sono ministri di questo culto, che già da molti anni si osserva nello Stato del Texas, e che portano recinti al collo dei serpenti. Questo Stato, soltanto in questi giorni, ha sentito la necessità di reprimere l'uso dei serpenti; ma ricordo di avere assistito in America ad altre manifestazioni più stravaganti di queste.

Coi contatti avuti in questi ultimi tempi con gli americani e soprattutto con i negri, non ci sarebbe da meravigliarsi che si ammettessero queste aberrazioni! Ecco perché io mantengo il mio emendamento.

Presidente Terracini. L'onorevole Laconi ha presentato un emendamento al quale l'onorevole La Rocca ha detto di aderire, rinunciando al proprio:

«Sostituire l'articolo col seguente:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato ed in pubblico atti di culto, purché non si tratti di riti contrari all'ordinamento giuridico dello Stato o al buon costume.

«Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge.

«Le confessioni religiose si reggono sulla base dei propri statuti, e i loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, mediante intese con le rispettive rappresentanze, salvo quanto disposto dall'articolo 7».

L'onorevole Laconi ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

Laconi. Come è stato giustamente rilevato, il mio emendamento riprende essenzialmente i motivi dell'emendamento degli onorevoli Pajetta Giancarlo e la Rocca, ed inoltre tiene conto di alcune preoccupazioni emerse durante la redazione del testo in seno alla Commissione.

Per quanto riguarda le variazioni introdotte con l'emendamento Pajetta Giancarlo, ne dirò le ragioni, dato che l'onorevole La Rocca vi ha rinunciato.

La prima di queste modificazioni è quella relativa alla soppressione della parola «principî». Io non credo di dover esporre diffusamente i motivi di questa variazione, perché già lo ha fatto l'onorevole Nobili Tito Oro. Qui si tratta, in sostanza, di precludere la possibilità all'Autorità di pubblica sicurezza di intervenire in una valutazione, che dovrebbe essere puramente ideologica, del contenuto delle diverse religioni e della loro aderenza o meno ai principî generali che informano l'ordinamento dello Stato. Un'indagine di questo genere uscirebbe dalla possibilità e dalla competenza dello Stato.

La seconda modificazione consiste nel trasportare la frase «contrari all'ordinamento giuridico» nella prima parte dell'articolo. Tutti hanno infatti rilevato che non può mettersi in una parte «ordinamento giuridico» e in un'altra parte «ordine pubblico».

Vi è finalmente il punto sostanziale, cioè l'affermazione nuova che viene introdotta in questa formulazione e che concerne l'eguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge.

Tutti conoscono la storia di questa nuova introduzione. Una richiesta in questo senso è stata avanzata dalle principali confessioni religiose che vi sono oggi in Italia oltre quella cattolica; particolarmente è stata avanzata dagli israeliti e dagli evangelici. Noi riteniamo che questa richiesta sia giusta e che abbia la sua ragion d'essere. Io vorrei rilevare che quando noi abbiamo disciplinato i rapporti con la Chiesa cattolica nell'articolo 7, abbiamo inteso disciplinare dei rapporti giuridici con un'organizzazione giuridica. Qui noi siamo in tutt'altra sede: siamo nella parte che concerne i diritti e i doveri dei cittadini in ordine ai rapporti civili, e si tratta di stabilire quale sia il riconoscimento o meno che lo Stato dà alle diverse confessioni religiose, in quanto tali e non ancora in quanto organizzazioni giuridiche. Per questo mi pare che l'affermazione dell'eguaglianza di tutte le confessioni religiose, senza distinzione di sorta, valga ad affermare quel principio di laicità dello Stato che noi non crediamo compromesso dai riconoscimenti fatti all'articolo 7.

Nell'emendamento Pajetta vi è un'altra modificazione ed è la frase «i loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge». Anche questa modificazione è stata richiesta da determinate confessioni religiose, le quali intendono e desiderano considerarsi come delle associazioni private.

Queste sono le modificazioni introdotte dall'emendamento Pajetta. Nel corso della discussione in seno al Comitato di redazione sono state avanzate delle preoccupazioni.

Si è osservato — e con una certa legittimità — che lo spostamento dall'articolo 7 all'articolo 14 di questa parte, verrebbe a stabilire principî che appaiono in contraddizione con altri stabiliti con l'articolo 7. Si è detto che con l'articolo 7 si sono disciplinate le relazioni con una particolare confessione religiosa, i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica, e che questo regolamento potrebbe costituire una contraddizione con quanto disposto nell'articolo 14.

Io non credo che questa contraddizione ci sia, o per lo meno non credo che ci sia del tutto. Perché mi pare che quanto è stabilito dall'articolo 7 riguardi la Chiesa cattolica come ordinamento giuridico. Infatti, si stabilisce che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Si badi: la Chiesa cattolica, non la confessione cattolica, e alla Chiesa cattolica, si fa anche riferimento più sotto là dove si riconoscono i Patti lateranensi, alla Chiesa cattolica e alla Città del Vaticano che è uno Stato sovrano.

Non credo dunque che vi sia contraddizione tra l'articolo 7 e l'articolo 14. Perché nell'articolo 14 non siamo ancora, per quanto riguarda le confessioni religiose, al momento giuridico in cui le comunità dei fedeli si organizzano e, quindi, richiedono che siano regolati i loro rapporti con lo Stato. Ci troviamo invece ancora nel momento originario, quando gli individui come singoli costituiscono una comunità di fedeli. Ed a questo punto la nostra affermazione di eguaglianza di tutte le confessioni religiose nei loro rapporti con lo Stato deve essere piena e totale.

Su questa materia non possiamo stabilire diversamente, perché dobbiamo renderci conto del grave significato che avrebbe ogni limitazione. Se noi, infatti, introducessimo una eccezione per la Chiesa cattolica, questa eccezione significherebbe voler costituire un privilegio per una determinata confessione religiosa, il che si tradurrebbe nella confessionalità dello Stato.

Si è detto che lo Stato italiano non può disconoscere che differenze di fatto esistono fra una confessione religiosa e l'altra. Ma queste differenze esistono per tutte le confessioni egualmente. Mentre, se un'eccezione si facesse per la Chiesa cattolica in questo articolo, noi stabiliremmo una distinzione particolare per una confessione, a cui si verrebbero a riconoscere, in quanto tale, particolari diritti.

Giusta è l'eccezione per quanto riguarda la seconda parte di questo comma. È esatto che vi è una coincidenza d'argomento quando si abbandona il terreno della confessione religiosa e si entra nel terreno della confessione già organizzata. A questo punto noi non possiamo ignorare che in altri articoli della Costituzione abbiamo stabilito delle eccezioni a favore della Chiesa cattolica, ed è quindi giusto che a questo punto sia stabilito un richiamo all'articolo 7. È per questo che io propongo la seguente formulazione:

«Le confessioni religiose si reggono sulla base dei loro Statuti, e i loro rapporti con lo Stato sono regolati, ove sia richiesto, per legge, mediante intese con le rispettive rappresentanze, salvo quanto disposto dall'articolo 7».

Per tutte queste ragioni ho presentato l'emendamento.

Presidente Terracini. È stato presentato il seguente emendamento, a firma degli onorevoli Cianca, Calamandrei, Foa, Schiavetti, Giua, Lombardo Ivan Matteo, Bonomi Ivanoe, Paris, Buffoni, Cevolotto, Vischioni, Conti e Natoli:

«Sostituire l'articolo col seguente:

«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato e in pubblico atti di culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

«Tutte le confessioni religiose sono uguali di fronte alla legge.

«Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti. I rapporti con lo Stato, ove esse lo richiedano, sono regolati per legge sulla base di intese con le rispettive rappresentanze».

L'onorevole Cianca ha facoltà di svolgerlo.

Cianca. Nella prima parte dell'articolo noi proponiamo di sopprimere le parole «principî» ed «ordine pubblico».

Ci rendiamo perfettamente conto delle ragioni esposte dai colleghi onorevoli Binni e Nobili Tito Oro, circa l'opportunità che l'articolo termini con le parole «atti di culto».

Per questo aderiamo all'emendamento, più comprensivo, da loro proposto.

In quanto alla seconda parte dell'articolo, appare evidente il nostro sforzo di conciliare le diverse tendenze ed esigenze, che si sono manifestate in questo dibattito. Per le ragioni dette dall'onorevole Laconi, abbiamo voluto ed intendiamo riaffermare il principio dell'eguaglianza di tutte le fedi religiose; principio contro il quale nessun oratore in quest'Aula ha osato levarsi. Chi avesse fatto una eccezione di questo genere, avrebbe dato la sua adesione al principio dello Stato confessionale.

D'altronde, l'affermazione dell'eguaglianza delle confessioni scaturisce dalla prima parte dell'articolo 14, il quale afferma che ogni cittadino ha diritto di esercitare liberamente la propria professione religiosa.

Noi ci preoccupiamo, però — e qui rispondo anche all'osservazione dell'onorevole Laconi — di tener conto di uno stato di fatto.

Lo abbiamo detto durante il dibattito svoltosi per l'articolo 7 e lo ripetiamo oggi. Questo stato di fatto mostra che la maggioranza degli italiani professa la religione cattolica.

L'articolo 7 riguarda i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, in una formulazione risultante dalla volontà della maggioranza.

Noi abbiamo esposto le ragioni per le quali siamo contrari all'articolo 7; il quale include, a nostro giudizio, un pericolo contro la eguaglianza delle fedi religiose, che, in linea teorica, è qui da tutti accettata.

È perché teniamo conto del fatto storico, per cui la religione cattolica è professata dalla grande maggioranza degli italiani, che nel nostro emendamento prendiamo atto del trattamento che la maggioranza di questa Assemblea ha fatto alla Chiesa cattolica votando l'articolo 7. E, per quel che riguarda le altre confessioni religiose, proponiamo di disciplinare la materia secondo la formula contenuta nell'ultima parte del nostro emendamento.

Siamo d'accordo con l'onorevole Laconi: bisogna prima affermare in linea di principio l'eguaglianza di tutte le fedi religiose; quanto all'organizzazione giuridica di tale principio, mentre da un lato si riconosce l'opportunità del regime concordatario nei rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano, d'altro lato si deve assicurare a tutte le altre confessioni religiose il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti. In conclusione, noi crediamo che (salvo a concordarci con i colleghi per un unico emendamento che esprima in una formula più opportuna il pensiero comune a tutti) votare contro il nostro emendamento, cioè contro il principio informatore di esso, significhi votare contro l'eguaglianza e la libertà di cui parlava il collega Lucifero, significhi votare per lo Stato confessionale ai danni della pace religiosa. (Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. Il seguito della discussione è rinviato alle ore 16.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti