[Il 19 dicembre 1946, nella seduta pomeridiana, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulla libertà di opinione, di coscienza e di culto.]

Il Presidente Tupini apre la discussione sul quarto ed ultimo articolo proposto dall'onorevole Dossetti nella sua relazione e così formulato: «Il carattere ecclesiastico o lo scopo di religione o di culto di una associazione o di una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative per la sua costituzione od attività, per la sua erezione in persona giuridica e per la sua capacità di acquistare, di possedere ed amministrare beni mobili ed immobili, come non possono essere causa di speciali gravami fiscali».

Dossetti, Relatore, fa presente che vi sono degli Stati in cui la personalità giuridica degli enti ecclesiastici non è mai stata contestata, anche se ha subìto rare o lievi compressioni in linea di fatto. Invece nello Stato italiano, in seguito a vicende a tutti note, è stata tolta agli enti ecclesiastici la personalità di diritto. Questo articolo vuole, quindi, affermare un concetto negativo, che cioè il carattere ecclesiastico o lo scopo di culto non possono essere causa di un trattamento odioso a danno degli enti stessi. La norma si giustifica non solo come esigenza particolare degli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, ma anche degli enti religiosi non appartenenti alla Chiesa cattolica, tanto è vero che essa è stata invocata da appartenenti a Chiese non cattoliche.

Moro dichiara di aderire alle considerazioni svolte dall'onorevole Dossetti.

Cevolotto, Relatore, propone che all'ultima proposizione dell'articolo in discussione, la quale dice: «come non possono essere causa di speciali gravami fiscali», sia fatta la seguente aggiunta: «Tali limitazioni possono essere però sancite dalla legge quando l'ente e i suoi titolari siano sussidiati dallo Stato o da altri enti pubblici, o godano esenzioni tributarie».

Osserva che il principio generale affermato nell'articolo proposto dall'onorevole Dossetti è giusto, ma per gli enti religiosi sussidiati dallo Stato o da altri enti pubblici vi dovrebbe essere una norma speciale, essendo logico che, se lo Stato paga, può imporre delle limitazioni.

Dossetti, Relatore, riconosce che l'osservazione dell'onorevole Cevolotto, il quale dice che nell'eventualità in cui sussista un onere a carico dello Stato a favore di un ente ecclesiastico, lo Stato avrà un diritto di intervento nel regime dell'ente stesso, diritto che egli esclude quando quest'onere non c'è, è fondata e risponde all'attuale disciplina degli enti ecclesiastici.

La limitazione riaffermata nell'aggiunta proposta dall'onorevole Cevolotto non è in contraddizione con la norma posta nell'articolo in discussione, perché questo non riguarda le eventuali restrizioni o il diritto di intervento dello Stato là dove lo Stato dà una contropartita all'ente stesso, ma riguarda il principio della riconoscibilità, per cui si vuole assicurare che non ci siano esclusioni di riconoscibilità fondate sul carattere ecclesiastico e lo scopo dell'ente.

Marchesi domanda all'onorevole Dossetti se, a queste associazioni ecclesiastiche che in qualità di persone giuridiche possono avere il possesso e l'amministrazione di beni mobili ed immobili, sia consentita la proprietà di larghe estensioni di terreno, che restino immuni da riforme legislative.

Dossetti, Relatore, risponde che anzitutto va tenuto presente che esiste una legge la quale disciplina gli acquisti degli enti morali, legge che è alla base del nostro ordinamento giuridico. Questa legge stabilisce che un ente morale non può acquistare beni se non entro determinate condizioni e entro certi limiti; e precisamente stabilisce che non possa acquistare beni mobili mortis causa o per atto di donazione o per compravendita se non con l'autorizzazione governativa la quale è un atto discrezionale che può essere dal Governo dato o rifiutato. Il Governo ha quindi in mano un'arma per garantirsi che questi enti non si espandano eccessivamente.

Fa osservare in secondo luogo che la norma dell'articolo 4 in discussione non preclude allo Stato la possibilità di introdurre ulteriori limitazioni. Vuole soltanto stabilire che queste eventuali limitazioni devono essere adottate per tutti gli enti e non soltanto per gli enti aventi scopo o finalità di culto. Se lo Stato in futuro decidesse che le persone giuridiche non possono possedere la terra, la norma in discussione non contraddirebbe a tale decisione e non verrebbe a garantire agli enti ecclesiastici un trattamento particolare.

Marchesi torna a domandare se la norma non mira a stabilire oasi ferme di proprietà, escluse dalle vicende delle legislazioni sociali.

Dossetti, Relatore, ripete che la norma in esame mira soltanto a escludere un privilegio negativo e odioso. La personalità giuridica degli enti ecclesiastici può essere colpita da tutte le leggi restrittive in vigore per gli altri enti morali; ma, in base a questo articolo, non può essere colpita in modo speciale per il semplice fatto di essere persona ecclesiastica.

Cevolotto, Relatore, fa osservare all'onorevole Marchesi, che dopo il Concordato, in realtà è cessato il divieto di possedere e che quindi esiste la possibilità di una ricostituzione della manomorta, ricostituzione che l'articolo in esame né facilita né contrasta. Non resta ora che vedere come essa si svilupperà, e se diverrà una questione che andrà risolta. Allo stato attuale non ravvisa la possibilità di tornare a imporre quei divieti che sono stati tolti.

Marchesi domanda se non si ritengano sufficienti, allo scopo che si propone l'articolo dell'onorevole Dossetti, le disposizioni del Concordato.

Cevolotto, Relatore, risponde che nell'articolo proposto dall'onorevole Dossetti non v'è niente di sostanzialmente diverso dalle disposizioni concordatarie. È da osservare, inoltre, che la norma è richiesta anche da associazioni religiose appartenenti ad altre Chiese. Non si possono certo porre le associazioni cattoliche in una situazione peggiore delle associazioni protestanti o di altre religioni.

Marchesi obietta che si potrebbero applicare allora le disposizioni concordatarie.

Cevolotto fa presente che si tratta di arrivare ad una norma comune per tutte quante le associazioni dei diversi culti. Se questa presenterà dei pericoli, lo si vedrà nel corso della sua applicazione.

De Vita osserva che, secondo la legge civile, quando viene a cessare lo scopo per cui l'ente morale è stato costituito, il patrimonio va devoluto allo Stato. Per quel che riguarda gli enti morali non religiosi il pericolo della manomorta è dunque evitato; invece per quanto riguarda gli enti ecclesiastici, questo pericolo esiste perché non c'è per essi la possibilità di devoluzione del loro patrimonio allo Stato. Con l'articolo in esame gli enti morali ecclesiastici potranno costituire patrimoni, anche vistosi, e attraverso la costituzione di questi patrimoni si può creare quella situazione giuridica che comunemente si chiama manomorta.

Dossetti, Relatore, ricorda che la legge del 1855 prescrive che un ente morale, sia esso ecclesiastico o no, per acquistare determinati beni, specialmente immobili, ha bisogno dell'autorizzazione governativa. C'è quindi un controllo. Se lo Stato, in futuro, notasse un fenomeno di eccessivo afflusso di beni specialmente immobili agli enti in genere, può non dare l'autorizzazione a nuovi acquisti.

Osserva quindi non essere esatta l'affermazione dell'onorevole De Vita che i beni delle persone giuridiche estinte vadano allo Stato. Ci vanno solo in ultima istanza, giacché nel caso di estinzione di un ente morale il suo patrimonio andrà ad enti che si prefiggono scopi analoghi e, in mancanza di questi, allo Stato. Ma tale questione non interessa la norma in esame, perché, restino o no quei beni nell'ambito di un determinato tipo di ente, ciò non significa che attraverso estinzioni successive si aumenti il patrimonio globale di un determinato tipo di ente. Ciò non può avvenire, perché alla base di tutto il sistema vi è un controllo da parte dello Stato.

De Vita obietta che la sua osservazione rimane valida nonostante le delucidazioni dell'onorevole Dossetti. La legge civile, per quanto riguarda la disciplina di questa materia, non è applicabile agli enti ecclesiastici.

Dossetti, Relatore, replica che per tutti gli enti vale la stessa norma, e fa notare che vi è una vasta dottrina sul principio della estinzione delle persone giuridiche e la conseguente assunzione dei beni.

Il Presidente Tupini conferma che le finalità dell'articolo in discussione sono quelle indicate dal Relatore, onorevole Dossetti.

De Vita spiega il suo rilievo precedente nel senso che, mentre per tutti gli altri enti morali c'è la possibilità che i loro beni a lungo andare vadano a finire nelle mani dello Stato, per gli enti ecclesiastici ciò non avviene. Lo Stato quindi può concedere agli enti morali l'autorizzazione ad acquistare immobili, ma non conviene che lo conceda agli enti ecclesiastici, perché altrimenti vi è la possibilità che si ricostituisca la manomorta attraverso il patrimonio degli enti ecclesiastici stessi.

La Pira ricorda che lo Stato controlla tutti gli enti giuridici. Quando lo Stato si accorge che per le persone giuridiche si forma la cosiddetta manomorta, non dà l'autorizzazione e quindi il patrimonio non cresce e può anche essere eliminato. Non comprende pertanto le difficoltà sollevate dall'onorevole De Vita.

De Vita dichiara di aver compreso lo spirito della disposizione, ma insiste sul fatto da lui indicato.

Dossetti, Relatore, sostiene con un esempio concreto che in ogni caso il patrimonio non si accresce. Infatti, supponendo che gli enti ecclesiastici in Italia abbiano un patrimonio complessivo di un miliardo, e che questo miliardo sia distribuito tra cento enti ecclesiastici, se ad un determinato momento novanta di questi enti si estinguono e ne restano soltanto dieci, è chiaro che il patrimonio di un miliardo va a concentrarsi nei dieci enti superstiti, ma non per questo aumenterà.

De Vita obietta che possono sorgere nuovi enti ecclesiastici, e che lo Stato deve anche ad essi accordare l'autorizzazione; per questa via il patrimonio degli enti ecclesiastici può certamente aumentare.

Dossetti, Relatore, precisa che le sue osservazioni in risposta all'onorevole De Vita volevano sottolineare il fatto che il regime di evoluzione degli enti ecclesiastici non costituisce ragione per l'espansione del loro patrimonio. La Chiesa avrebbe altrimenti un sistema molto semplice per aumentare il suo patrimonio: distruggere gli enti ecclesiastici.

Grassi osserva che attualmente gli enti ecclesiastici possono possedere ed acquistare e che l'articolo proposto dall'onorevole Dossetti potrebbe anche essere superfluo, poiché la materia è già regolata dal Concordato. Se mai, la norma può valere per gli enti religiosi non cattolici.

L'unico inconveniente è che i beni religiosi sono sottratti alla successione e quindi, mentre gli altri patrimoni nel giro di poche generazioni fatalmente si disperdono, quelli degli enti ecclesiastici non si estinguono. D'altra parte, la legge fissa al posto della tassa di successione quella di manomorta.

De Vita fa presente che la sua osservazione mirava proprio a segnalare il pericolo di una possibile ricostituzione della manomorta.

Grassi rileva che, in questo caso, lo Stato si difenderà con le sue leggi.

Il Presidente Tupini mette ai voti l'articolo 4 nel testo proposto dall'onorevole Dossetti, di cui ripete la formulazione:

«Il carattere ecclesiastico o lo scopo di religione o di culto di una associazione o di una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative per la sua costituzione od attività, per la sua erezione in persona giuridica e per la sua capacità di acquistare, di possedere ed amministrare beni mobili ed immobili, come non possono essere causa di speciali gravami fiscali».

Cevolotto dichiara che rinuncia alla sua proposta aggiuntiva e voterà a favore di questo articolo, tenendo però presenti i chiarimenti dati dall'onorevole Dossetti.

(L'articolo è approvato con 13 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astenuti).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti