[Il 28 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Schiavetti. Onorevoli colleghi, è stato giustamente osservato in una delle passate sedute che questa discussione sul Titolo I costituisce una specie di beneficiata degli avvocati e dei cultori di discipline giuridiche, che sono numerosissimi in questa Assemblea. È inutile dirvi che io, occupandomi dell'articolo 16, il quale regola il regime di stampa, mi porrò invece da un punto di vista prevalentemente politico e in un certo senso professionale...

Le Costituzioni sono per solito elaborate dopo dei profondi sconvolgimenti politici e sociali. E in ognuna di queste elaborazioni è quasi sempre evidente una doppia ispirazione: c'è la preoccupazione di redigere una Charta che possa valere per i tempi di normalità e c'è l'esigenza di redigere una Charta che serva anche a difendere i valori politici e morali che sono stati affermati nello sconvolgimento da cui ha tratto origine la Costituzione stessa. Un caso storico tipico di questa doppia ispirazione nell'elaborazione delle Costituzioni è quello famoso della Costituzione francese dell'anno I, durante la grande rivoluzione, la quale assicurava le più ampie autonomie ai francesi — era una di quelle Costituzioni che noi diremmo oggi «autonomistiche» — e tuttavia, poche settimane dopo averla votata, la Convenzione dovette rinviarla indefinitamente, appunto perché obbediva a questa seconda esigenza di tutti i costituenti, obbediva cioè all'esigenza di difendere i valori politici, i valori storici che la Rivoluzione francese doveva opporre in quel momento a tutta l'Europa che si era coalizzata contro di lei.

Leggendo i resoconti delle riunioni della Commissione preparatoria di questo progetto, ho notato, per quel che riguarda l'articolo 16, appunto la presenza di questa duplicità di ispirazione. E ne è venuto fuori il testo che è sottoposto oggi al nostro esame; un testo nel quale, mentre da una parte si afferma e si esalta la libertà assoluta della stampa, da un'altra parte invece, al capoverso quarto, si tollera l'intervento della polizia, l'intervento del potere amministrativo per disciplinare gli eventuali eccessi della stampa. Si consente, in altre parole, il sequestro preventivo della stampa periodica, operato per via amministrativa con l'intervento della polizia.

Ora, onorevoli colleghi, io appartengo ad un partito il quale sente molto profonda l'esigenza di difendere i valori politici che sono emersi nella lotta contro il fascismo e nella rivoluzione — o, per meglio dire, nella mezza rivoluzione — che si è affermata il 25 aprile 1945 a Milano. Tuttavia, nonostante il sentimento di questa profonda esigenza, noi non intendiamo in nessun modo di valerci, al di sopra dello strettamente necessario, dell'intervento della polizia per quello che riguarda la disciplina della stampa. Il nostro punto di vista — io non so se posso impegnare anche l'opinione dei miei colleghi — è che la stampa, qualora se ne debba consentire il sequestro preventivo, debba essere sottoposta all'esclusiva vigilanza del potere giudiziario. Del resto, questa opinione l'afferma pure, con alcune cautele, il Presidente della Commissione, onorevole Ruini. Egli dice ad un certo punto della sua relazione: «È da sperare che si realizzi un assetto tale da offrir il modo al magistrato di intervenire sempre tempestivamente». Questo è ciò che noi ci auguriamo: che si trovi cioè il modo di costituire un organo, affidato all'autorità giudiziaria, il quale possa, qualora sia necessario, intervenire per sequestrare immediatamente quei giornali, che si presume possano portare un turbamento all'ordine pubblico o alla pubblica morale.

Questo monopolio affidato alla magistratura, per quello che riguarda la disciplina della stampa, ci garantisce che non si verificheranno i soliti casi di sconfinamento, che sono estremamente graditi al potere esecutivo. Quando il sequestro preventivo di un giornale dovrà essere non più affidato ad un funzionario di pubblica sicurezza, ma ad un magistrato, il quale dovrà giustificarlo con una sua ordinanza, noi crediamo che le garanzie per la tutela della libertà della stampa saranno maggiori. Noi diffidiamo a questo proposito della iniziativa del potere esecutivo e della fertilità della sua fantasia: quelli che hanno vissuto venticinque anni or sono la lotta di ogni giorno contro il fascismo, ricorderanno a quale artificio ricorresse l'onorevole Federzoni nel 1925 per giustificare la soppressione della libertà della stampa, allorché ricorse all'articolo 19 della legge provinciale e comunale. Era un arbitrio totale. La sua naturale ipocrisia non consentì al Ministro Federzoni di assumere un atteggiamento aperto e chiaro, come in una circostanza di ben altro rilievo ebbe ad assumere nel 1914 il Ministro tedesco Bethmann Hollweg, quando giustificò l'invasione del Belgio con il motto: «Not kennt kein Gebot», la necessità non conosce legge.

Nei rapporti interni il potere esecutivo non può assumere un atteggiamento così brutale e così sfrontato come i Governi assumono spesso nei rapporti internazionali, facendosi usbergo delle necessità superiori dello Stato e della Nazione.

Recentemente qui a Roma noi abbiamo assistito, ad esempio, al sequestro di un foglio anticlericale, sotto il pretesto che questo foglio facesse della pornografia; ma il processo che ne è seguito alcune settimane or sono ha portato ad una assoluzione totale dell'imputato dalla accusa di pornografia, mentre è rimasta l'altra accusa, dal punto di vista morale molto più lieve, dell'offesa al Pontefice. Evidentemente la polizia aveva agito qui a Roma per ordine superiore ed aveva pensato che il solo pretesto valido per poter sequestrare quel giornale, che dava fastidio da un punto di vista politico, fosse di accusarlo di fare della pornografia.

Ora, noi non vogliamo dar modo per l'avvenire al potere amministrativo della polizia di adottare provvedimenti di questo genere. Vogliamo che la libertà della stampa, la vigilanza sulla stampa, sia affidata esclusivamente al potere giudiziario.

Una voce a destra. Siamo d'accordo.

Schiavetti. Noi sappiamo benissimo che la Repubblica ha bisogno di difendersi: è una necessità che noi sentiamo altissima. Ma pensiamo che si possa difendere anzitutto con le leggi. In un certo senso, la Repubblica si difende con l'azione, con la volontà, con lo spirito di sacrificio, con l'iniziativa dei repubblicani; ma, sul terreno giuridico, si difende con le leggi.

Noi dobbiamo fare il minor uso possibile degli interventi di polizia. È naturale che, da un punto di vista astratto, vi sia un regime di libertà della stampa che può apparire il più perfetto: è il regime per cui si può intervenire contro un giornale soltanto in seguito ad una sentenza irrevocabile dell'autorità giudiziaria. È il regime che ho sentito esaltato recentemente da quei banchi, il regime che in questo momento fa molto comodo ai nostri avversari dell'estrema destra.

Permettete che io vi dica che quando sentivo uno dei nostri colleghi difendere in questo modo l'assoluta libertà della stampa, non potevo fare a meno di ricordare tutto quello che molti di noi hanno sofferto 20 e 25 anni or sono per la difesa della libertà di stampa. E vorrei che tutti coloro che in questo momento si entusiasmano per l'assoluta libertà di stampa potessero vantare nel loro passato delle battaglie per la difesa di questa libertà che si avvicinino a quelle combattute dai socialisti, dai repubblicani e dai comunisti! (Applausi a sinistra).

Non è la prima volta, onorevoli colleghi, che il sacro nome della libertà è usato per manovre politiche di questo genere: basti ricordare che, quando nel 1920 le squadre fasciste cominciavano a scorrazzare per il nostro Paese — e trovavano allora il conforto e l'aiuto da parte dei giornali di quella parte là — esse parlavano in nome della libertà. E c'era anche nell'inno fascista un appello, appunto, alla difesa della «nostra» libertà.

Per tanti anni abbiamo sentito parlare in questo senso di libertà e i nostri colleghi di quella parte dell'Assemblea ci consentiranno, quindi, di essere alquanto diffidenti quando essi fanno queste esaltazioni della libertà.

Per quello che riguarda il regime della stampa, un regime di assoluta libertà in questo periodo dello sviluppo economico e sociale del nostro paese non mi pare possibile, soprattutto per due ordini di motivi. Voglio spiegare che quando parlo di assoluto regime di libertà della stampa intendo dire regime di libertà per cui il sequestro dei giornali sia consentito soltanto in seguito a sentenza irrevocabile dell'autorità giudiziaria.

Vi sono dunque due ordini di motivi per i quali non si può consentire la formazione di un regime di questo genere. Innanzitutto, e questo lo dico con profondo dolore, per lo scarso livello di educazione politica di una parte dei giornalisti italiani; e non solo dei giornalisti italiani, ma anche dei giornalisti di altri paesi. Le peripezie politiche di questi ultimi decenni hanno mostrato in Italia una classe giornalistica la quale non ha saputo resistere con dignità e con fermezza agli assalti della reazione e della dittatura. Io non parlo di quei giornalisti che erano giovani quando il fascismo s'impadronì del potere. Per molti di quelli noi possiamo avere della simpatia e quasi un senso umano di pietà e di comprensione. Ma parlo soprattutto di quegli avanzi della vecchia classe politica italiana i quali si piegarono e si afflosciarono come cani davanti alla frusta del dittatore. Molti di quegli elementi sono ancora rimasti. Possiamo dire che molti di essi ricoprono ancora nel giornalismo dei posti di alta responsabilità. In seguito alla recente amnistia molti di quei giornalisti sono tornati in circolazione e hanno ripreso la loro opera di avvelenamento della vita italiana.

E allora bisogna, onorevoli colleghi, tener conto di questo fatto, che è un fatto altamente triste per il nostro paese. Bisogna tenerne conto, perché l'assoluta libertà richiede anche la massima educazione politica e il più alto senso di responsabilità. Se avessimo nel nostro passato esempi sicuri di coscienza civile e di educazione politica, noi potremmo fare oggi l'esperimento di un'assoluta libertà nella stampa. Ma poiché questi esempi non li abbiamo, noi siamo costretti a tenere un contegno di realistica prudenza.

A proposito di questa indegnità di una parte dei giornalisti italiani e perché voi non crediate che vi sia della avventatezza da parte mia, voglio leggervi alcune poche righe di una pubblicazione recente — in certo senso non recente, perché si tratta in gran parte di una ristampa — dovuta ad uno dei nostri maestri in giornalismo, maestri non solo dal punto di vista professionale ma anche dal punto di vista morale. Intendo parlare di Mario Borsa. Nella ristampa del suo volumetto sulla libertà di stampa Mario Borsa scrive ad un certo punto queste parole nei riguardi del giornalismo italiano:

«Bisognerà dire cosa che sanno tutti. La maggior parte dei giornalisti di questa stampa asservita al regime non era in buona fede!... Presi ad uno ad uno i giornalisti dicevano corna del regime e del loro «duce». E vada per quei poveri diavoli che dovevano stare attaccati ai seggiolini per poter mangiare, loro e le loro famiglie; ma i denigratori — a quattr'occhi e molto sottovoce — del regime dell'amato «duce» erano in molti casi i giornalisti che andavano per la maggiore, direttori di quotidiani e di riviste; burattini che passavano come i più fervidi sostenitori della politica pazza e rovinosa che doveva portare l'Italia al disastro! Gli uomini sono responsabili della sincerità e del disinteresse delle loro opinioni, non della loro giustezza.

«Si può essere nel vero o nel falso, pur di esservi in buona fede e non per calcolo. Ora la cosa più obbrobriosa ed insieme più odiosa, più umiliante, più grave, dell'epoca ignominiosa attraverso cui è passata la stampa italiana, è che molti, troppi giornalisti non credevano affatto in ciò che scrivevano e non avevano alcuna fede nell'uomo e nel regime che sostenevano. Questo è il vero, il grande avvilimento; perché tutto si può scusare, meno la insincerità e la mancanza di carattere».

Vi è poi un secondo ordine di considerazioni per cui non riteniamo possibile un regime di assoluta libertà, ed è il formidabile pauroso potere che è venuto ad assumere in questi ultimi tempi la stampa periodica. Essa è venuta ad assumere questo potere a causa del suo progresso tecnico, ma soprattutto a causa dell'enorme ed accresciuta moltitudine dei lettori ai quali essa si rivolge.

Bisogna, onorevoli colleghi, tener sempre presente, nell'esame di molti dei fenomeni più caratteristici di questo nostro tempo e di questa nostra società, le enormi conseguenze che sono state prodotte e che continueranno a esser prodotte nel Paese dalla inserzione nella vita politica nostra d'una moltitudine enorme di italiani, che prima ne erano assenti e lontani.

Prima del 1882, il paese legale, costituito dagli italiani che avevano facoltà di nominare i loro rappresentanti e di governare il Paese attraverso i loro rappresentanti, era rappresentato, su 27 milioni di abitanti, soltanto da 570.000, da poco più di mezzo milione. Il paese legale era dunque circa un cinquantesimo del paese reale. Dopo la riforma elettorale del 1882, realizzata dall'avvento della sinistra al potere, gli elettori furono da 2 a 3 milioni: il paese legale fu portato da un cinquantesimo ad un decimo. Trent'anni dopo, nel 1912, con la famosa riforma del suffragio universale voluto da Giolitti, gli elettori divennero 8.000.000 su 40.000.000 di abitanti. Il paese legale passava da un decimo ad un quinto. E, finalmente nel 1946, con le ultime elezioni, su una popolazione di circa 45.000.000 si sono avuti oltre 22.000.000 di elettori: siamo a metà; il paese legale è la metà del paese reale.

Ho voluto ricordare queste cifre perché voi possiate comprendere quale profondo cambiamento sia avvenuto nella vita politica del nostro Paese. E notate che la inserzione di questa vasta moltitudine di italiani nella vita politica attiva, è avvenuta attraverso due cataclismi successivi, quali sono quelli rappresentati dalle due ultime guerre mondiali.

Ora voi capite benissimo che il giornalismo, il quale parla a questa moltitudine di italiani, ha un potere enormemente più forte e più penetrante di quello che non potesse avere il giornalismo di 60-70 anni fa, giornalismo che parlava a mezzo milione di italiani, i quali rappresentavano una piccola minoranza del Paese, una minoranza che, dal punto di vista della cultura e della preparazione politica, aveva senza dubbio un livello maggiore di quello che non abbia oggi questa vasta moltitudine di 22-23 milioni d'italiani.

Il giornalista oggi, quando scrive una sola parola nel suo giornale, dovrebbe sempre tener presente questo infinito potere che ha nelle sue mani. Il giornalista dovrebbe esser consapevole del fatto che ha, in un certo senso, cura di anime.

Orbene, io vi posso dire che nel costume della pratica quotidiana si è ancora lontani dall'affermazione di questa coscienza.

Cosattini. Solo la libertà può sanarla.

Schiavetti. Siamo d'accordo, ma vi sono delle necessità politiche per cui si può graduare la libertà, soprattutto quando questa graduazione non avviene da parte di un potere paternalistico o esterno al popolo, ma da parte dei rappresentanti stessi della volontà popolare.

Il potere di questa stampa è un potere enorme ed è naturale quindi che vi siano delle cautele di ordine legislativo e di ordine giuridico per cui in una situazione come l'attuale non si possa consentire un regime di assoluta libertà della stampa. È necessario che ci sia una tutela più vigile della stampa, una tutela che può essere esercitata in certi casi dagli stessi organismi del giornalismo organizzato. È necessario anche che vi sia una difesa della indipendenza e della dignità del giornalismo da un altro punto di vista. La stampa deve infatti difendere la propria indipendenza e la propria dignità anche contro la potenza del denaro, contro le minoranze plutocratiche faziose le quali si vogliono servire della stampa per introdurre dei veleni nel cuore del Paese, per giovare a interessi particolari sotto la veste, come avviene sempre, di una difesa degli interessi nazionali. Ed è a questa necessità che si ispira il capoverso dell'articolo 16, là dove dice che la legge può stabilire controlli per l'accertamento delle fonti di notizie e dei mezzi di finanziamento della stampa periodica. Una proposta di questo genere ha provocato una reazione netta e precisa da parte di un oratore dell'estrema destra...

Badini Confalonieri. ...che ricordava il discorso del senatore Ruffini in difesa della libertà di stampa del 1926, ed il senatore Ruffini era liberale e non azionista.

Schiavetti. Questa è, se è riferita esattamente, un'opinione del senatore Ruffini. Non è la mia. La cosa non mi fa né caldo né freddo.

Si tratta dunque di esercitare il controllo finanziario sulle fonti di certi giornali, un controllo che purtroppo è di una efficacia relativa, perché è impossibile, per ragioni pratiche, di esercitare un controllo assoluto; ma è un controllo il quale, ad ogni modo, porrà a disposizione della pubblica opinione delle cifre e dei dati per mezzo dei quali sarà più difficile, a coloro che vogliono compiere queste specie di manovre, di muoversi a loro piacimento.

Questo controllo non significa affatto che si voglia impedire a certi interessi particolari di farsi valere.

Purtroppo, data la società attuale e la sua organizzazione economica, non è assolutamente pensabile che si possa togliere il diritto ad un interesse particolare di creare un giornale e di affermarsi in mezzo al Paese sotto veste di difendere l'interesse generale. Ma quello che importa è che la buona fede del pubblico possa essere difesa, quello che importa è porre a disposizione del pubblico il maggior numero possibile di dati per cui esso possa sapere di che genere è il giornale che legge. Quando si saprà, ad esempio, come è avvenuto nel passato, che un giornale finanziato dagli industriali dello zucchero difende delle tesi protezionistiche e anti-liberistiche, allora il pubblico saprà orientarsi e capirà benissimo quale valore morale e politico si possa attribuire agli argomenti di quel giornale; oppure quando si saprà che gli industriali siderurgici finanziano un certo giornale, il pubblico apprezzerà con precisione quale è il grado di moralità e di sincerità che si possa dare agli argomenti del giornale che sostiene una politica nazionalistica e di provocazione alla guerra. (Interruzioni a destra).

Nessun giornale può sostenere e difendere, da un punto di vista obiettivo, gli interessi generali, perché è soltanto Iddio, in un certo senso, che può difendere gli interessi generali. Ciascuno di noi, in un giornale, difende i propri interessi particolari; ma vi è una bella differenza fra gli interessi particolari di un partito politico, il quale esprime gli interessi di alcuni ceti della popolazione, e gli interessi invece di un giornale, dietro cui ci sono dei gruppi finanziari e degli uomini i quali ogni giorno, si può dire, cercano di frodare la semplicità e la buona fede del pubblico, affermando di parlare per degli interessi generali, mentre difendono esclusivamente degli interessi particolari, interessi che sono spesso in contrasto con quelli generali e preminenti della nazione.

Bellavista. La libertà vigilata del giornalismo!

Schiavetti. Noi ci auguriamo, in ogni modo, che vi possa essere un regime, la cui attuazione è riservata all'avvenire, in cui la stampa divenga una specie di servizio pubblico e ogni partito possa vedersi attribuire dallo Stato una quota parte di questa possibilità di esprimere la propria opinione.

L'organizzazione attuale della nostra società non permette una cosa di questo genere; ma voi consentirete, io spero, che vi esprima la speranza che si possa addivenire, in un futuro più o meno prossimo, ad una riforma di questo genere.

Il fatto che i partiti politici vengono ad assumere, nella evoluzione dei nostri costumi democratici, un'importanza sempre maggiore, e che possano esser loro attribuite delle funzioni di carattere costituzionale, mi fa pensare che una riforma di questo genere possa essere meno lontana di quella che alcuni non vogliono vedere.

Prima di finire, vorrei accennare ad un aspetto di questo problema il quale, credo, ci troverà tutti consenzienti. Finora io ho parlato della stampa come portatrice di valori politici; ora intendo parlare della stampa come portatrice di valori, in un certo senso, morali. Voi sapete che ci sono delle preoccupazioni gravissime per i turbamenti che la stampa, una certa stampa, può portare alla moralità e al buon costume.

È una cosa di cui abbiamo parlato più volte e su cui io credo tutti siamo d'accordo. A questo proposito vorrei notare che l'articolo 16 del nostro progetto di Costituzione parla quasi esclusivamente di libertà di stampa e dei problemi della stampa, mentre vi sono altre Costituzioni, come quella di Weimar del 1919 e quella irlandese del 1937, in cui si parla non soltanto della stampa ma, tenuto conto dei progressi tecnici di questi ultimi decenni, si parla anche del cinema e della radio, di questi mezzi potentissimi di avvicinamento al pubblico e di propaganda.

Orbene, noi vogliamo considerare un aspetto della libertà di stampa che deve trovarci tutti consenzienti: l'aspetto per cui questa libertà di stampa ci preoccupa dal punto di vista della morale pubblica e soprattutto dal punto di vista della difesa e della protezione della gioventù. Ho visto che questa preoccupazione è apparsa nelle discussioni della Commissione; ma poi, nell'ultimo capoverso di questo articolo 16, non si è voluto parlare di protezione della gioventù. Badate, onorevoli colleghi, che questo è uno dei problemi più gravi del nostro tempo: questa gioventù è insidiata o, per meglio dire, la rinascita, la risurrezione morale di questa gioventù è insidiata non soltanto — e credo, in un certo senso, in minima parte — dalle pubblicazioni di carattere pornografico, ma anche da altre pubblicazioni. Quando vedo dei settimanali i quali hanno per unico scopo della loro pubblicazione l'illustrazione e lo sfruttamento dei fatti di cronaca nera per presentarli dinanzi ai giovani, e in generale dinanzi ai loro lettori, in modo affascinante e tale da esercitare una specie di suggestione sullo spirito, quando penso che, nella stessa letteratura dedicata ai ragazzi, vi sono dei periodici, dei piccoli giornali, i quali esaltano continuamente gli istinti di violenza, gli istinti della forza cieca e brutale, l'istinto in una parola, e cercano di suscitare il bisogno di eroismo nei ragazzi, facendo appello a imprese che non hanno nulla di eroico e nulla di morale, quando penso a tutto questo, e vedo che nel nostro Paese si consentono simili pubblicazioni, credo che fatti di questo genere debbano interessare e preoccupare profondamente l'Assemblea Costituente italiana. (Applausi al centro).

Io ritengo che, pur tutelando sempre la libertà della stampa, noi dobbiamo trovare il modo per difendere la nostra gioventù dalle insidie di questi veleni che le sono quotidianamente propinati. È una cosa assolutamente necessaria; è un provvedimento che si impone e il fatto che noi ci manteniamo sul terreno dell'intervento esclusivo dell'autorità giudiziaria nella disciplina della stampa ci permette di pensare che si possa trovare facilmente la possibilità di rimediare a questo gravissimo inconveniente e di difendere l'anima, difendere la vita morale dei nostri figli e di tutta la gioventù italiana.

Onorevoli colleghi, vorrei ripetervi, a chiusura del mio intervento, l'abusata frase carducciana «Noi troppo odiammo e soffrimmo»; e ancora odiamo e soffriamo perché è necessario odiare e continuare a soffrire; tuttavia permettete che aggiunga che noi vogliamo preparare ai nostri figli una vita migliore, se non proprio dal punto di vista economico e materiale, almeno dal punto di vista della atmosfera morale che essi saranno destinati a respirare. (Applausi).

[...]

Della Seta. [...] Nulla dirò sull'articolo 16, per quanto concerne la libertà della stampa. Chi si è dibattuto, come scrittore, sotto il passato regime, tra gli artigli della censura, sa quale valore debba attribuirsi a questa libertà, con la quale si immedesima lo spirito stesso della democrazia. Ne ha parlato, or ora, ampiamente ed eloquentemente, l'amico onorevole Schiavetti, e tornerà a parlarne un collega del mio Gruppo, l'onorevole Facchinetti, quale relatore della nuova legge sulla stampa. La stampa è davvero il quarto potere, come espressione dell'opinione pubblica, di quella opinione, che il vero uomo di governo, lungi dal disprezzare, ascolta, vigila e segue, come il pilota tien d'occhio la bussola nella non facile navigazione. Tutto è questione di misura. Né illegittimi interventi, da una parte, dell'autorità giudiziaria e tanto meno degli ufficiali di polizia giudiziaria, che sappiano di reazione e di vessazione; né, dall'altra, una libertà che non è libertà, in quanto si identifica con la licenza. Licenza tanto più condannabile quando, in nome di una presunta libertà dell'arte, si vorrebbero autorizzare spettacoli, pubblicazioni e illustrazioni, che sono contrarie al buon costume. L'articolo 16 bene ha fatto ha consacrare tutto questo nella Costituzione.

Ma l'articolo 16 ha un'ombra o, per meglio dire, si proietta sulla sua luce l'ombra di un altro articolo ormai famoso. L'articolo 16 proclama la libertà del pensiero. La libertà del pensiero è diritto di ogni libera critica. Critica religiosa, filosofica, scientifica, letteraria, storica e via dicendo. Oh, se io non fossi in un'Assemblea vorrei innalzare un cantico alla gloria di questa libertà! Ma come armonizzare con questa libertà di pensiero, come armonizzare con la libertà dell'insegnamento, sancita nell'articolo 27 del progetto e che con l'altra è strettamente connessa, come armonizzare con queste due libertà — è la terza volta che lo pongo in rilievo — il famoso articolo 5 del Concordato (Commenti al centro), cioè con l'articolo che pone il divieto, nella scuola pubblica, del pubblico insegnamento ad un uomo, al quale si fa una colpa di essere giunto, nelle sue indagini, serenamente, obiettivamente, a date conclusioni scientifiche? Qui emerge, chiara, quella contraddittorietà, che già rilevai, nel mio primo discorso, come una nota negativa di questo progetto di Costituzione. (Commenti al centro Interruzione dell'onorevole Micheli).

[...]

Fusco. [...] Né diversamente è a dire della libertà di stampa, di cui nella seconda parte dell'articolo 16 sostengo che la stampa deve veramente riacquistare, se non l'ha già riacquistata, piena libertà, intesa e diretta ad una funzione di educazione, di critica, di controllo e di vigilanza.

Ma che la stampa possa anche essa cadere sotto l'arbitrio dell'ufficiale di pubblica sicurezza, o dell'ufficiale di polizia giudiziaria, il quale non ha sempre la visione giusta della stampa delittuosa, vuoi per incompetenza, vuoi per ignoranza, quando non lo animi il capriccio o l'eccesso di zelo, è una stortura giuridica e politica. La stampa va invece interamente affidata alla imparzialità del magistrato, se essa sconfina dai suoi limiti e dalla sua funzione.

Le osservazioni fatte ex adverso non hanno, a mio modo di vedere, una opportunità vincolante di orientamento. Quando si dice, per esempio, che in casi di delittuosità della stampa periodica sia necessario l'intervento (sequestro) della polizia, perché potrebbe scomparire il corpo del reato, non solo si afferma cosa assurda in via di fatto, ma non si oppone che una parvenza di argomento.

Vuole l'ufficiale di polizia giudiziaria compiere il suo dovere? Raccolga la copia di un giornale e la consegni al magistrato; provvederà il magistrato a tutto il resto, magari cominciando con un atto di sequestro.

Io certo non difendo la stampa oscena e desidero che essa sia subito sottratta alla malsana curiosità del pubblico, e non avrei alcuna difficoltà che ciò avvenisse per mezzo dell'ufficiale di polizia giudiziaria, per impedire la diffusione dell'oscenità, ma si dica che il sequestro della polizia è facultato quando la stampa è palesemente oscena. Può darsi che l'ufficiale di polizia giudiziaria scambi come osceno un nudo artistico: una stampa riproducente un amplesso carnale non può dar certo luogo a dubbi ed in questo caso ognuno intende che l'intervento della polizia sequestrante è non solo giustificato, ma logico e doveroso.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti