[Il 21 settembre 1946, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione discute l'articolo 2-bis della proposta dei relatori La Pira e Basso.]

Il Presidente Tupini [...] pone in discussione l'articolo 2-bis, nel seguente testo proposto dai Relatori:

«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome. Nessuno può essere privato della cittadinanza come sanzione anche indiretta di carattere politico».

Propone che sia esaminata anzitutto la prima proposizione dell'articolo stesso: «Ogni uomo è soggetto di diritto».

Marchesi propone di aggiungere l'aggettivo «capace» dopo la parola «soggetto» tenendo conto che la Costituzione è indirizzata anche a chi non ha una perizia profonda nelle frasi e nelle formule giuridiche, e che si dica pertanto: «ogni uomo è soggetto capace di diritto».

Mastrojanni fa osservare che bisogna distinguere tra «soggetto di diritto» e «capace di diritto». Tutti sono soggetti di diritto, ma non tutti sono capaci di diritto.

Marchesi dichiara di consentire nell'osservazione dell'onorevole Mastrojanni, sapendo bene che vi è una capacità di diritto e un soggetto di diritto, che cioè vi è differenza tra una capacità di diritto e una capacità di agire.

Mastrojanni rileva che la capacità di diritto deriva dal complesso delle condizioni fisiche e psichiche per cui il soggetto di diritto diviene capace di diritto.

Moro osserva che si tratta di una questione essenzialmente di terminologia, e ritiene che l'onorevole Marchesi abbia colto perfettamente il significato della questione. Quando si dice «soggetto di diritto» s'intende la capacità di diritto. Se si vuole ampliare l'espressione per renderla più accessibile a tutti aggiungendo «capace», si userà una espressione che nella terminologia giuridica non è coerente, ma che per il significato educativo che deve avere la Costituzione si può accettare.

Dossetti osserva che, a proposito della questione sollevata dall'onorevole Marchesi, si possono fare molte distinzioni e si sono verificati negli ultimissimi anni sviluppi importantissimi nella scienza giuridica.

Bisogna distinguere quella che è l'oggettività del diritto (che è possibilità generica e può riguardare la totalità dei diritti indeterminabili) dalla capacità giuridica, che è la possibilità di esercitare una complessità maggiore o minore di diritto. Vi è poi la capacità di agire, che è la possibilità di esercitare quei diritti e di essere soggetti concreti di diritti e di doveri. L'oggettività del diritto è precisamente quella considerata nella prima proposizione dell'articolo in esame.

Ritiene che, per il caso in esame, si debbano fare affermazioni distinte. Anzitutto occorre affermare la possibilità di una capacità generica, cioè che ogni uomo in quanto è uomo è soggetto di diritto. Poi, in un articolo successivo, dovrà essere contenuta l'affermazione che ogni uomo soggetto di diritto ha una piena capacità di diritto. A questo punto la questione si biforcherà in una piena capacità o titolarità di diritto privato, e in una capacità di diritto pubblico in ordine alle funzioni pubbliche, cioè alla possibilità di ammissione ai pubblici impieghi, ecc. Fa rilevare che, come affermazione generica, ritiene accettabile la formula «integrità giuridica» consigliata dall'articolo 5 del progetto La Pira.

Ogni uomo, per il fatto di essere uomo e quindi soggetto di diritto, ha diritto ad una sua integrità giuridica. Si tratterebbe soltanto di trovare la formula più adatta.

Mancini, concordando con le osservazioni dell'onorevole Marchesi, ritiene che «soggetto di diritto» e «capace di diritto» non siano due termini reciprocabili, ma distinti. Infatti soggetto di diritto è un termine specifico. Soggetti di diritto sono tutti, riguardati in se stessi; capaci di diritto sono quegli uomini che vivono in società e diventano titolari di un diritto; dal bambino incapace fino al capace. Quindi la differenza tra soggetto di diritto e capace di diritto esiste e si deve farla risultare nella disposizione statutaria.

Lombardi Giovanni propone che l'articolo 2-bis preceda quello che già era l'articolo 2, perché è dalla soggettività del diritto che nascono poi tutte le altre conseguenze che nell'articolo 2 sono elencate.

Per quanto riguarda la capacità di diritto, osserva che questa è una cosa a sé, che non ha a che fare con la soggettività del diritto. Non si può affermare in uno Statuto quello che deve essere enunciato dalle leggi speciali riguardanti gli uomini, i bambini minori o maggiori di età, ecc. Tutte queste questioni rientrano nella capacità di diritto. Solo la soggettività di diritto è quella che deve essere affermata nella Costituzione.

Propone infine che, invece di dire «ogni uomo», si dica «ogni persona», dovendosi intendere individui dei due sessi.

Cevolotto osserva che la proposta dell'onorevole Lombardi, riguardante la precedenza dell'articolo 2-bis, potrà essere esaminata in sede di coordinamento.

Per quello che si riferisce alla sostanza della proposizione in esame, ritiene che essa possa essere soppressa perché superflua. Non fa però una proposta concreta, e non desidera che sia messa in votazione.

Marchesi dichiara che la sua proposta di aggiungere la parola «capace» dopo la parola «soggetto», mirava ad un chiarimento della frase, non ad un mutamento sostanziale.

Dichiara di accettare la formula del relatore.

Il Presidente Tupini mette ai voti la chiusura della discussione.

(È approvata).

Moro fa osservare all'onorevole Lombardi che, quando si parla di uomo, si parla anche di donna; e se v'è un punto dove la sostituzione terminologica non ha ragione di essere fatta è proprio questo. Se si dice «persona» si corre il rischio di creare degli equivoci.

Per quanto riguarda la collocazione dell'articolo 2-bis prima dell'articolo 2, aderisce alla proposta dell'onorevole Lombardi. E poiché la discussione ha mostrato che questo articolo si presenta con un carattere d'impostazione generale, ritiene che sarebbe forse bene scindere le due parti dell'articolo stesso: la prima che riguarda il riconoscimento della soggettività dei diritti, e la seconda che fa un'applicazione particolare dei diritti al nome e alla cittadinanza.

Per quanto riguarda la sostanza del problema, è del parere di conservare l'espressione di carattere generico contenuta nella proposta dei relatori.

Caristia si dichiara dello stesso parere.

Il Presidente Tupini mette ai voti la proposizione così come è stata proposta dai Relatori:

«Ogni uomo è soggetto di diritto».

(È approvata all'unanimità).

Pone in discussione la seconda proposizione dell'articolo:

«Nessuno può essere privato del proprio nome».

Mastrojanni desidera un chiarimento, perché non sono a sua conoscenza casi nei quali si possa privare un uomo del proprio nome.

Corsanego ricorda che nel periodo fascista alcune persone sono state obbligate anche a cambiare il proprio nome.

Il Presidente Tupini cita l'esempio degli ebrei.

Lucifero aggiunge che un caso analogo fu quello degli allogeni.

Il Presidente Tupini mette ai voti la seconda proposizione dell'articolo 2-bis.

(È approvata all'unanimità).

Pone in discussione la terza proposizione dell'articolo 2-bis nella formula proposta dai Relatori: «Nessuno può essere privato della cittadinanza come sanzione anche indiretta di carattere politico».

Marchesi propone che, invece di «come sanzione» si dica «per sanzione», oppure «La privazione della cittadinanza non è ammessa quale sanzione anche indiretta di carattere politico».

Caristia ritiene che la formula sia un po' esuberante e poco concreta e propone di dire: «Nessuno può essere privato della cittadinanza nemmeno per motivi politici».

Basso, Relatore, fa osservare che si può perdere la cittadinanza per altri motivi, ed è questo che i Relatori hanno voluto sottintendere nella formula da loro proposta.

Dossetti fa presente che il principio ha valore soprattutto come misura contro eventuali interventi di carattere politico; ma ci possono essere delle ipotesi di perdita, o meglio di privazione della cittadinanza, per esempio per acquisto di un'altra cittadinanza, o per avere accettato un incarico da un Governo straniero senza il consenso del Governo italiano.

Caristia osserva che questi sono effetti della legge.

Dossetti replica che, con la dizione proposta, si viene a vietare la privazione per legge della cittadinanza, quando sia motivata solo da ragioni di carattere politico.

Caristia fa osservare che nei casi contemplati dall'onorevole Dossetti la cittadinanza non viene tolta, essa viene meno. In altre parole la perdita della cittadinanza non assume il carattere di sanzione, bensì quello di applicazione di una legge.

Dossetti afferma che è necessario intendersi sul valore della parola «sanzioni». Se si intende in un senso specifico, condivide il punto di vista dell'onorevole Caristia; ma se invece si intende come effetto giuridico generico, si deve dire che questa privazione è già nella legge, e in tanto la si può ammettere nella legge in quanto non venga ad avere significato politico.

Comunque la si chiami, se questa privazione della cittadinanza ex lege dovesse essere ispirata a considerazioni di carattere politico, non potrebbe essere accettata.

Il Presidente Tupini ritiene che si potrebbero superare tutte le difficoltà se si togliesse la parola «sanzioni», e si dicesse invece: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per ragioni anche indirette di carattere politico».

Cevolotto fa osservare che, se si adotta la parola «ragioni», non si regge più l'inciso «anche indirette».

Il Presidente Tupini suggerisce si dica «per motivi».

Cevolotto propone che si dica brevemente «per ragioni di carattere politico».

Il Presidente Tupini propone la sospensione della seduta per alcuni minuti onde dare modo di esaminare le proposte presentate.

(La Commissione approva — La seduta è sospesa per alcuni minuti).

Riapre la seduta, riassumendo la discussione.

Dossetti osserva che la dizione «per motivi di carattere politico» supera le obiezioni fatte. Però fa rilevare che si può aprire, in sede di interpretazione della Costituzione, un problema molto importante. Si supponga che una legge sulla cittadinanza stabilisca la perdita della cittadinanza per acquisto di una cittadinanza straniera, oppure per avere prestato dei servizi ad uno Stato straniero senza consenso dello Stato italiano. Sorgerebbe allora il problema interpretativo se la seconda ipotesi possa essere considerata come privazione della cittadinanza per motivi politici, e si potrebbe arrivare anche alla dichiarazione di incostituzionalità della legge.

Ritiene che questa possibilità debba essere affermata e fatta salva. Per evitare inconvenienti interpretativi bisogna o mutare la formula, o specificare espressamente, come fanno alcune Costituzioni. Sarebbe pertanto favorevole a una formula che dicesse: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico»; ma aggiungerebbe che: «È prevista la perdita della cittadinanza per accettazione di impieghi o di incarichi presso Stati stranieri senza l'autorizzazione dello Stato italiano».

Il Presidente Tupini chiede all'onorevole Dossetti se è d'accordo con gli altri nell'accettare la formula: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico».

Dossetti dichiara di essere d'accordo qualora si eccettuino le ipotesi da lui specificate; altrimenti no.

Basso, Relatore, fa presente che, se si introducono nell'articolo le ipotesi fatte dall'onorevole Dossetti, si solleverà l'altro problema della negazione a carattere tassativo o esplicativo.

Ritiene che la formula originaria fosse la migliore. Il dire «come sanzione» toglieva questi dubbi.

Dossetti ritiene sia possibile trovare una formula che risolva anche questa eccezione.

Cevolotto dichiara di non essere favorevole all'aggiunta proposta dall'onorevole Dossetti. Si viene in tal modo ad aprire una questione che dovrebbe essere esaminata a fondo. Per esempio, se un professore universitario accetta una cattedra all'estero, dovrà essere privato della cittadinanza italiana, anche nel caso che vi possa essere un qualche addentellato politico? Si dovrebbe esaminare allora in questa sede la portata della legge sulla cittadinanza e sarebbe molto pericoloso specificare questi casi di esclusione.

Accetta pertanto la formula scaturita dalla discussione: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di carattere politico».

De Vita propone la formula seguente: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, tranne il caso di acquisto della cittadinanza straniera», facendo osservare che in essa possono essere compresi tutti i casi previsti ed esaminati.

Lombardi Giovanni propone che si dica: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge che riguarda la cittadinanza stessa».

Se vi fossero altri dubbi si potrebbe completare la formula in questo modo: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, salvo per i motivi indicati tassativamente dalla legge escludendo i motivi politici».

Togliatti dichiara di accettare la formula che è stata proposta dal Presidente, e di non comprendere la formula proposta dall'onorevole Dossetti. La Commissione vuole affermare unicamente che la cittadinanza non si può togliere per motivi politici, e l'onorevole Dossetti propone un'eccezione per motivi di diritto comune e amministrativo che investono i rapporti tra cittadino e lo Stato, ma non rapporti necessariamente politici.

Quando si è affermato che per motivi politici non si può privare una persona della nazionalità, questo significa che per altri motivi lo si può fare.

Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta di chiudere la discussione sulla terza proposizione dell'articolo 2-bis, salvo il diritto di parlare a coloro che si sono già iscritti.

(La proposta è approvata).

Mancini ritiene che, nel corso della discussione, si sono dimenticate le ragioni politiche della disposizione in esame, e si è invece indugiato a sottolineare le ragioni giuridiche. Il motivo che ha determinato gli onorevoli Relatori a formulare in questo modo l'articolo, è per chi vuole intenderla squisitamente politica. Essi hanno avuto presente alla memoria il precedente della legge fascista che sanciva la perdita della cittadinanza per motivi politici. Con ciò tutte le osservazioni sottilissime dell'onorevole Dossetti restano al di fuori della disposizione in esame. Egli afferma che ci sono dei casi in cui il cittadino può e deve essere privato della cittadinanza. Ai casi da lui suggeriti l'oratore ne potrebbe aggiungere altri tre. Ma tutte queste ipotesi escogitate fanno parte di un capitolo del Codice civile il quale si intitola precisamente: «Acquisto e perdita della cittadinanza».

Per queste ragioni insiste nell'accettazione della formula redatta dal Presidente. Se poi si volessero fugare le preoccupazioni esposte dall'onorevole Dossetti, si potrebbe mantenere la parola «sanzione» così come era stata proposta dai Relatori.

Basso, Relatore, dichiara di rendersi conto della preoccupazione dell'onorevole Dossetti, riposta nel significato giuridico della parola «politico». Questa parola può avere due sensi, sia che con essa si vogliano indicare parti e fazioni, sia che con essa si voglia ricollegare etimologicamente alla parola greca polis, nel quale ultimo caso verrebbe a indicare interessi pubblici della comunità. Ha perciò formulato un nuovo testo così concepito: «La privazione della cittadinanza può essere stabilita in conseguenza dell'assunzione di un impiego o incarico da parte di uno Stato estero, senza l'autorizzazione dello Stato italiano, o nelle altre ipotesi tassativamente indicate dalla legge, esclusi però in ogni caso motivi di carattere politico».

Togliatti, essendovi nuove proposte, chiede che si riapra la discussione.

(Così rimane stabilito).

Dossetti dichiara di associarsi alla formula proposta dall'onorevole Basso.

Mastrojanni dichiara di avere delle preoccupazioni circa l'estensione della dizione: «motivi politici». In essa può essere fatta rientrare ogni e qualunque manifestazione contrastante in pieno con le necessità e le ragioni etiche dello Stato. È pericoloso inserire in questo articolo una esclusione pura e semplice dei motivi politici. Fa il caso del cittadino italiano che recatosi all'estero, per ragioni politiche sue personali si arruola nelle file di un esercito nemico e combatte contro l'Italia; e domanda se a questo cittadino dovrà essere conservato il diritto di cittadinanza.

Togliatti fa osservare che nel caso accennato si è di fronte ad un reato.

Mastrojanni replica che anche il condannato conserva la cittadinanza.

Nell'ipotesi da lui suggerita, penalmente il cittadino conserverebbe il diritto alla cittadinanza perché avrebbe subìto una condanna per motivi politici. Per tutte le ipotesi che possono verificarsi, non ritiene che sia opportuno fare un'affermazione di principio di questo genere. Chiede che sia lasciato il tempo ai commissari di formulare meglio l'articolo, a meno che non venga accolta la seguente formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza, tranne nei casi previsti dalla legge».

Il Presidente Tupini avverte che se l'onorevole Mastrojanni insiste nella sua proposta di sospensiva, la porrà in votazione.

Cevolotto chiede che la votazione su questa proposta di sospensiva sia fatta dopo la discussione, la quale potrebbe offrire dei motivi a quella ulteriore meditazione che l'onorevole Mastrojanni ritiene necessaria.

Lucifero dichiara di poter essere favorevole alla sospensiva, però ritiene anch'egli che l'onorevole Mastrojanni farebbe bene a ripresentarla quando la discussione fosse esaurita.

Il Presidente Tupini domanda all'onorevole Mastrojanni se accede all'invito dell'onorevole Lucifero.

Mastrojanni dichiara di non potervi accedere poiché un argomento come quello in discussione non consente una formulazione rapida e sintetica che risolva il problema.

Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta dell'onorevole Mastrojanni, di rinviare ad altra riunione l'ulteriore discussione dell'ultima proposizione dell'articolo 2-bis.

(La proposta non è approvata con 7 voti favorevoli e 7 contrari).

Togliatti dichiara di essere contrario alla proposta degli onorevoli Basso e Dossetti, ma non per le ragioni a cui prima ha accennato, cioè della evidente contraddizione che essa presenta, ma per il suo contenuto. Ritiene che stabilire in una Costituzione che colui il quale assume un qualsiasi incarico all'estero può essere privato della cittadinanza, vuol dire stabilire una cosa antidemocratica e antiliberale. Con una simile formula si ritornerebbe ai tempi che precedono lo Statuto Albertino, quando per andare all'estero occorreva il permesso del re.

I diversi casi in cui si può perdere la cittadinanza potranno essere contemplati dalla legge sulla cittadinanza, ma non dalla Costituzione.

Dossetti rileva che l'onorevole Togliatti forse non ha ben compreso la formula proposta dall'onorevole Basso e da lui. La formula diceva che la privazione della cittadinanza può essere stabilita dalla legge in conseguenza dell'assunzione di impieghi e incarichi da parte di Stati esteri.

Con questa formula non viene fatta una affermazione categorica; soltanto si consente che la legge possa stabilire la perdita della cittadinanza in quei determinati casi. Se l'onorevole Togliatti lo crede necessario, si dichiara disposto a consentire che si aggiunga qualche aggettivo o qualche locuzione. Si potrebbe dire, per esempio, che la perdita della cittadinanza può essere stabilita «in certi casi», in conseguenza dell'assunzione di «determinati» oppure «speciali incarichi».

Togliatti insiste nel respingere la formula degli onorevoli Basso e Dossetti. Può ammettere che nel Codice penale, come sanzione penale, possa venire comminata la privazione della cittadinanza, quantunque ritenga che ciò non possa verificarsi perché lo Stato ha interesse a mantenere i cittadini nei diritti di cittadinanza per poterli eventualmente punire. Ma è del parere che prevedere nella Costituzione, senza nemmeno specificare quali sarebbero questi impieghi o incarichi, la privazione di tale diritto, non sia un principio da accettare.

Caristia si dichiara d'accordo con l'onorevole Togliatti, e pertanto propone di votare la formula così come l'ha proposta il Presidente, per un motivo di ordine teorico e per un motivo di ordine pratico. È convinto che la Costituzione si debba limitare ad affermare i principî di carattere generale. Ora, quando si dice che nessuno può essere privato della cittadinanza, in nessun caso, per motivi politici, si fa un'affermazione generale che non può dare luogo ad equivoci.

Lucifero si dichiara d'accordo con l'onorevole Togliatti per i motivi che egli ha addotto, ma dichiara anche di non poter accettare la formula proposta dal Presidente, perché gli sembra che sia stata determinata dalla preoccupazione particolare che la perdita della cittadinanza possa avvenire in seguito ad un atto arbitrario. Ritiene che la cittadinanza si perda soltanto quando se ne acquista un'altra, e pertanto richiama l'attenzione della Sottocommissione sulla formula proposta dall'onorevole De Vita: «Nessuno può essere privato della cittadinanza tranne il caso di acquisto della cittadinanza straniera».

Mancini ritiene che ogni persona ha diritto a due beni davvero inviolabili; il proprio nome e la propria cittadinanza (ius nominis e status civitatis). Ora questi due diritti personali non possono essere violati che in casi eccezionali. Respinge nel modo più energico la possibilità di togliere la cittadinanza a persona che abbia accettato incarichi da parte di Nazione estera. Vi possono se mai essere dei casi gravi, per cui un cittadino perde la cittadinanza, ma allora si tratta di un commesso reato; e il reato in tanto esiste in quanto viene rigorosamente accertato ed il cittadino condannato. Allora in siffatto caso si va incontro alla più severa sanzione, la quale porta come conseguenza la perdita della cittadinanza. Questa perdita, come quella della interdizione dai pubblici uffici, è un corollario della pena corporale.

Per queste ragioni insiste per l'accettazione della formula suggerita dal Presidente.

Dossetti invita la Sottocommissione a fermare l'attenzione sull'articolo nella sua organicità, in quanto che alcuni degli oratori hanno espresso delle esigenze contraddittorie. L'unico oratore che, a suo giudizio, ha espresso un punto di vista perfettamente coerente, è l'onorevole Togliatti.

La Commissione si trova di fronte alla necessità di affermare questo principio: lo status civitatis, la cittadinanza, come lo status familiae, cioè il diritto al nome, è un diritto fondamentale del cittadino di cui non si può essere privati. A garantire e completare questo diritto si vuole aggiungere che particolarmente il cittadino non deve essere privato di questo diritto, se questa privazione deve avvenire per motivi di carattere politico, intendendo, come ha dimostrato l'onorevole Basso, che sono motivi di carattere politico quelli che si potrebbero dire motivi di parte, cioè di fazione, di partito. Ma quando i motivi politici non sono di parte, di fazione, ma motivi politici nel senso che interessano globalmente la comunità? Si dichiara pronto a sottoscrivere che lo status civitatis è un diritto di cui nessuno può essere privato, e che questo non deve avvenire per motivi politici. Non è però disposto a sottoscrivere l'impossibilità costituzionale di stabilire per legge che possa essere privato dello status civitatis il cittadino che presta in uno Stato straniero quei servizi che lo Stato ritiene contraddittori con quello che è l'interesse collettivo della comunità. Si è detto che in questi casi si tratta di un reato; ma fa osservare che vi sono due distinzioni da fare: una cosa è il reato e le sue sanzioni, e una cosa è quella attività che si ritiene possa essere configurata come reato. Può esserci un'attività che di per sé non è reato, ma che è contrastante con quello che è l'interesse della comunità statale. Evidentemente quando si dice che il cittadino non può essere privato, per motivi politici, della cittadinanza, senza aggiungere altro, si stabilisce il principio costituzionale dell'impossibilità di privare il cittadino della cittadinanza per i servizi resi ad uno Stato straniero.

Egli non si sente di sottoscrivere questa conseguenza. È invece del parere che il cittadino possa essere privato della cittadinanza quando presti determinati servizi, che la legge stabilirà, allo Stato straniero. Rispondendo alle obiezioni fatte da alcuni oratori, fa osservare che lo status civitatis è di diritto alla cittadinanza in quanto una persona si mantenga rispetto allo Stato in una determinata posizione di collaborazione e di solidarietà. Il giorno in cui una persona si mette, rispetto alla sua comunità statale, in una posizione che non è più di solidarietà e di collaborazione, evidentemente può essere dallo Stato stesso privata del diritto alla cittadinanza.

Né può valere l'argomento addotto che lo Stato, se vedrà nell'atteggiamento del cittadino gli elementi di un reato, non lo priverà della cittadinanza per non sottrarlo alle conseguenze punitive della legge, perché è necessario distinguere quello che è il lato passivo, e quello che è il lato attivo. Il lato passivo evidentemente è rappresentato dalle conseguenze punitive dell'eventuale reato: se vi è reato vi sarà la privazione della cittadinanza. Il lato attivo è rappresentato però da quelli che sono i vantaggi di appartenere ad una determinata cittadinanza.

Conclude sostenendo la necessità di affermare il principio che lo status civitatis non può essere tolto per motivi politici, intesi nel senso di motivi di parte; ma dichiara di non poter votare una formula in cui questi motivi politici vengano affermati in modo generico, di maniera che in sede di interpretazione costituzionale se ne possa dedurre l'impossibilità legislativa di affermare la perdita della cittadinanza in determinati casi.

De Vita è del parere che non si possa arrivare all'estremo di privare il cittadino della cittadinanza, senza che questi abbia acquistato una cittadinanza straniera, qualunque sia l'ipotesi e qualunque sia il comportamento del cittadino stesso.

Cevolotto dichiara che le ragioni esposte dall'onorevole Dossetti non lo hanno persuaso, e che resta della sua opinione precedente che coincide con quella dell'onorevole Togliatti. Non gli sembra che le difficoltà prospettate dall'onorevole Dossetti, nel caso di chi presti servizio militare in un esercito straniero, abbiano il rilievo che egli ha creduto di dare. Ha detto l'onorevole Lucifero, che in questo caso si può conservare la cittadinanza all'individuo e condannarlo per aver commesso azioni ritenute delittuose. Ma se venisse una legge speciale, la quale dicesse che chi ha prestato servizio in un esercito straniero, anche fuori dei casi di guerra, è privato della cittadinanza, per questa sua mancanza di doveri fondamentali del cittadino, si potrebbe obiettare che questa è una privazione della cittadinanza per motivi politici. Non è però d'accordo con gli onorevoli Lucifero e De Vita nel dire che la cittadinanza non può essere tolta ad alcuno se non nel caso che egli ne abbia acquistata un'altra. Questo limiterebbe troppo la facoltà di privare della cittadinanza un individuo per ragioni che non siano politiche. Per esempio, se in determinati casi un individuo collaborasse con uno Stato estero in una forma lesiva degli interessi dello Stato italiano, anche senza acquistare la cittadinanza dello Stato estero che egli serve, dovrebbe essere lasciata alla legge la possibilità di togliergli la cittadinanza italiana per motivi che non sarebbero certamente di carattere politico.

Moro ritiene di dover aderire in gran parte a quanto ha dichiarato l'onorevole Dossetti. Si tratta di un problema così grave che ha bisogno di essere considerato con attenzione. Non è contrario all'idea che la nostra Costituzione contenga principî in ordine alla cittadinanza e dia un lume preciso sulla legge stessa che tratterà della cittadinanza. Se la Sottocommissione, compresa della gravità di questo problema, vuole stabilire nella nostra Costituzione un principio di carattere generale in ordine alla concessione e perdita della cittadinanza, l'oratore domanda che sia rinviata la discussione, non essendo finora affiorati motivi d'intesa.

Se invece vuole limitarsi al principio negativo, propone di ampliare l'espressione in questo modo: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi di opinione politica». Questa espressione di carattere limitativo toglie ogni possibilità di equivoco intorno al significato della parola «politico».

Il Presidente Tupini fa osservare che, oltre le opinioni, ci possono essere anche le azioni.

Grassi fa presente che, agli inizi della discussione, tutti erano d'accordo sul principio che lo status civitatis non può essere tolto ad un cittadino dallo Stato o, per meglio dire, dai governanti, per ragioni di carattere politico. Fissato questo concetto, l'onorevole Dossetti ha espresso la preoccupazione che non fosse possibile privare della cittadinanza quel cittadino che accettasse incarichi all'estero senza autorizzazione, dimostrando così di aver perduto quel senso di solidarietà che lo avrebbe dovuto legare alla cittadinanza di origine.

Ora questo punto è superato perché non è in questa sede che ci si deve preoccupare della collaborazione eventuale del cittadino con altre collettività che non siano quella nazionale, e della incompatibilità a continuare il godimento della cittadinanza di origine. La norma costituzionale che si intende approvare non impedisce che in seguito la legge sulla cittadinanza prenda in esame il caso. Il concetto che si vuole affermare in questo momento è che il cittadino non possa essere privato della sua cittadinanza in ragione del suo atteggiamento politico, inteso questo nel senso più ristretto di fazione o di parte. Il testo originario che parla di «sanzione» era più chiaro: significava che il Governo non poteva privare il cittadino del diritto del suo status civitatis per motivi politici.

Ciò premesso, prega gli onorevoli Lucifero e De Vita di voler ritirare i loro emendamenti. Non è possibile, in sede di Costituzione, affrontare l'intero problema dei diritti di cittadinanza, il quale invece deve trovare la sua sede nella legge speciale. Comunque, ricorda agli onorevoli De Vita e Lucifero, i quali hanno proposto che si debba privare il cittadino italiano della cittadinanza allorquando ne assuma una straniera, che nella legislazione italiana si è sempre teso all'affermazione della possibilità della doppia cittadinanza. Noi italiani, nel nostro interesse, dobbiamo mantenere e rafforzare, specialmente in questo momento, il principio della doppia cittadinanza.

Il Presidente Tupini richiama l'attenzione sul principio su cui tutti si erano trovati d'accordo e contenuto nella formula da lui proposta: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici». Per venire incontro al punto di vista degli onorevoli Basso e Dossetti ed alle loro preoccupazioni, propone di inserire questo nuovo concetto: «La perdita della cittadinanza per altri motivi è regolata dalla legge». In questo modo non si preclude la possibilità che la legge provveda anche per gli altri motivi — compresi quelli che sono stati oggetto di particolare insistenza da parte dell'onorevole Dossetti — e si viene a dire che solo la legge potrà provvedere agli altri casi di perdita della cittadinanza. La nuova formula sarebbe quindi la seguente: «Nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. La perdita della cittadinanza per altri motivi deve essere disposta dalla legge».

Mastrojanni fa presente che egli aveva prospettato il problema in termini chiari, precisi e categorici e su questo punto aveva chiesto che qualcuno dei commissari intervenisse per chiarire la situazione; ma nessuno dei commissari ha sfiorato, sia pure lontanamente, l'argomento. Egli aveva detto che la formula comprensiva dei motivi politici non era accettabile, in quanto che nei motivi politici potevano essere inseriti tutti gli atteggiamenti contrastanti e lesivi dello Stato e della comunità. Aveva portato anche come esempio, casi specifici e precisi: quello ad esempio, per il quale cittadini italiani potevano, per le loro ideologie o per orientamenti politici, combattere contro la comunità italiana. Questo è un caso tipico che certamente ha un'importanza di gran lunga superiore a quello che può essere il caso del professore che insegna all'estero.

Siccome gli onorevoli Dossetti e Moro hanno toccato l'argomento sotto un aspetto meno preoccupante di quello da lui prospettato, ritiene che si sia trascurato un argomento della più assoluta importanza, sul quale si debbono assumere delle responsabilità precise e specifiche. Per tali ragioni chiede che su questo argomento sia fatto anche l'appello nominale, perché la questione da lui prospettata deve essere affrontata e risolta. Si tratta di stabilire se il cittadino italiano che per ragioni ideologiche combatte contro la comunità italiana, abbia o no il diritto di mantenere la cittadinanza italiana.

Caristia si dichiara perfettamente d'accordo con l'onorevole Mastrojanni, e pertanto propone che, data l'importanza dell'argomento e dato il dissidio notevole che si è venuto delineando tra i commissari, si voti soltanto la prima parte dell'articolo, e si rimandi la seconda parte ad una prossima riunione.

Dossetti dichiara di essere contrario a questa proposta. Il risultato della statuizione che si deve stabilire è pregiudicato, se si fa un'affermazione generica conforme a quella espressa dall'onorevole Caristia.

Osserva che l'onorevole Mastrojanni è caduto in un errore logico. Mentre sembrava per lo meno pacifico che si dovesse fare l'enunciazione generale che i motivi politici non dovessero essere causa di perdita della cittadinanza, l'onorevole Mastrojanni ha posto in discussione l'intera affermazione, esprimendo il parere che si possa stabilire la privazione della cittadinanza per motivi politici.

Mastrojanni, per fatto personale, dichiara che non intendeva affermare che si privi il cittadino della cittadinanza per motivi politici, ma esprimeva il desiderio che i motivi politici fossero definiti in termini categorici, in modo da escludere quei fatti che sotto la parvenza politica possano, per le loro conseguenze, ledere i diritti e dei cittadini e anche dello Stato.

Cevolotto propone il rinvio puro e semplice della discussione.

Il Presidente Tupini mette ai voti la proposta di rinvio della discussione della seconda parte dell'articolo 2-bis.

(È approvata).

Ricorda che dell'articolo 2-bis rimangono approvate soltanto due proposizioni che sono le seguenti:

«Ogni uomo è soggetto di diritto. Nessuno può essere privato del proprio nome».

Il resto dell'articolo sarà sottoposto ad un'ulteriore discussione nella prossima riunione che rimane fissata per martedì alle ore 11.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti