[Il 17 aprile 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali». — Presidenza del Vicepresidente Tupini.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Preti. [...] Ma è nel campo della scuola che la contrapposizione fra famiglia e Stato rivela le sue più pericolose conseguenze. In questa materia la vera posizione cattolica è quella illustrata nel 1946 dall'onorevole Gonella nel programma della Democrazia cristiana.

Ivi si afferma, se non vado errato, che lo Stato svolge, in ordine alla scuola, una funzione ausiliaria rispetto alla famiglia, alla quale compete naturalmente, — e sottolineo quel «naturalmente» — la missione educativa. Dietro alla famiglia, come è ovvio, sta la Chiesa, la quale da secoli insegna che «diritto partecipato soprannaturale inalienabile di insegnamento è soltanto nella vera Chiesa di Cristo, la Chiesa cattolica, la quale sola possiede la verità rivelata infallibilmente». È lo stesso Pio XI il quale, nell'Enciclica del 31 dicembre 1929 della cristiana educazione della gioventù, subordina gli interessi dello Stato nel campo educativo a quelli della Chiesa e della famiglia. Prima la Chiesa, poi la famiglia e solamente terzo lo Stato! Così suonano le parole di Pio XI, che del resto i Deputati del settore democristiano conoscono certo a memoria: «Da tale primato della missione educativa della Chiesa e della famiglia, siccome grandissimi vantaggi, come abbiamo veduto, provengono a tutta la società, così nessun danno può venire ai veri e propri diritti dello Stato rispetto all'educazione del cittadino secondo l'ordine da Dio stabilito.

«Questi diritti sono partecipati alla società civile dall'autore stesso della natura, non per il titolo di paternità, come alla Chiesa e alla famiglia, ma bensì per il promovimento del bene, che è fine proprio. Per conseguenza l'educazione non può appartenere alla società civile nello stesso modo che appartiene alla Chiesa e alla famiglia, ma in modo diverso corrispondente al suo fine proprio».

Ma allora siamo sinceri; dite, colleghi della Democrazia cristiana, che volete l'educazione affidata alla Chiesa!

Caristia. Forse lo stesso ragionamento lo ha fatto Mussolini!

Preti. Non so che cosa c'entri Mussolini in questo momento. Ad ogni modo, dopo parlerò anche di Mussolini e ce ne sarà pure per voi.

Per noi l'educazione è uno dei fondamentali compiti dello Stato, il quale ne è il principale responsabile, proprio perché nulla è possibile porre più in alto di quel «promovimento del bene comune» che è il supremo fine dello Stato stesso.

Merlin Umberto. Aveva ragione Mussolini, che insegnava la stessa cosa!

Preti. Stia tranquillo con Mussolini! Di Mussolini avete approfittato piuttosto voi attraverso la carta della scuola! (Interruzioni al centro Commenti).

Presidente Tupini. Non interrompano! Onorevole Preti, prosegua.

Preti. La scuola di Stato è assolutamente necessaria in un paese come l'Italia. Essa non è peraltro una scuola agnostica o scettica, come ebbe a dire l'onorevole Gonella e come altri di parte democristiana hanno ripetuto. Ma è una scuola liberale, aperta palestra di tutte le idee. Nella scuola di Stato possono insegnare i cattolici, i comunisti, gli idealisti, uomini di ogni fede; e la formazione dell'allievo non soggetta a nessuna etichetta di parte, può svolgersi in piena libertà.

La scuola governativa è, possiamo dire, un pubblico servizio, a disposizione di tutti i cittadini. Libero chiunque di ricorrere ad una scuola privata di fiducia, in ossequio all'intangibile principio, che noi vogliamo rispettare, della libertà della persona umana. Ma come colui il quale al medico condotto o al medico della mutua, messi a sua disposizione da pubblici enti, preferisce il suo medico di fiducia, deve sostenerne le spese, così il cittadino deve pagare la scuola privata di sua fiducia, che egli ha scelto. Sarebbe un paradosso che lo Stato, che non ha nemmeno abbastanza denaro per le proprie scuole, dovesse in qualunque maniera finanziare delle scuole che non gli appartengono.

Merlin Umberto. Non abbiamo chiesto un soldo!

Preti. Vedremo se è vero! Ufficialmente non avete forse chiesto nulla, ma praticamente le cose stanno assai diversamente. Quando risponderete, direte esattamente come la pensate in materia.

Se la scuola privata pretende la parità di trattamento, ad esclusione naturalmente del campo economico, per i suoi alunni, basterà che essa assicuri il medesimo stato giuridico della scuola statale ai propri insegnanti, le medesime condizioni didattiche, insomma tutto ciò che la legge un tempo richiedeva per il pareggiamento.

Per la serietà dell'educazione, che esso solo tutela e può tutelare, lo Stato non può permettere che le scuole, le quali non rispondano a tutti questi requisiti, offrano poi agli alunni parità di trattamento rispetto alle scuole statali. Di qui, per noi, l'impossibilità di accettare che l'equivoco concetto della parificazione — sulla quale voi democristiani avete molto insistito — sia inserito nella Carta costituzionale a sanzionare un deplorevole stato di fatto.

Le parificazioni, negli ultimi anni, sono state la fortuna, da un lato, di privati speculatori, e dall'altro degli istituti ecclesiastici, ma hanno dato un colpo mortale alla serietà degli studi. (Interruzioni). Perché, fino al giorno in cui non è stata istituita la parificazione attraverso la carta della scuola di Bottai, in Italia, nonostante il fascismo e nonostante tutto il resto, l'istruzione scolastica aveva una certa serietà. Da allora in poi siamo andati a rotoli; ed oggi sia la scuola privata che la scuola statale fanno pietà.

E la scuola statale fa pietà appunto perché si è dovuta mettere in concorrenza con la scuola parificata, abituata a promuovere e a licenziare tutti, pur di farsi réclame.

Corsanego. Ma c'è l'esame di Stato!

Preti. L'esame di Stato è oggi una burla, in Italia. L'esame di Stato era una cosa seria quando c'era una commissione che esaminava tutti gli allievi della scuola statale e privata.

Oggi, tutti sono promossi.

Malagugini. È l'esame contro lo Stato.

Una voce al centro. Si può rimettere la commissione.

Preti. Se la pensate come noi, siamo d'accordo.

I titoli legali di studio deve poterli rilasciare, attraverso l'esame di Stato, solamente la Repubblica; naturalmente, attraverso quel vero esame di Stato, che intendiamo noi, sul quale s'intratterranno molti colleghi di questa parte, dopo di me.

In questa maniera, la scuola non statale acquisterà prestigio legittimo, in ragione — come è giusto — della preparazione dei suoi allievi. Quando essa possa invece concedere validi titoli, sia pure con l'intervento dei commissari governativi, come accade oggi, il motivo di emulazione fra le scuole private viene dato, per contro, dalle maggiori o minori facilitazioni concesse agli aspiranti ai titoli.

Quanto alle scuole che non chiedono nessun riconoscimento particolare, sembra a noi, che crediamo di avere uno spirito liberale, che debbano avere piena ed assoluta libertà; come sostiene l'onorevole Lucifero, entro i limiti dell'ordinamento giuridico della Repubblica. Questa è la libertà che uno Stato conscio della sua missione può concedere nell'ordine della scuola.

Non si venga dunque a dire che, quando i democristiani chiedono allo Stato di porre la scuola privata, che è scuola di parte, sul piano della scuola pubblica, che è invece scuola di tutti, combattono per la libertà. Essi sanno perfettamente che il giorno in cui lo Stato concedesse alla scuola privata tutti i benefici della scuola pubblica, le scuole private, se sono confessionali, ne saranno enormemente avvantaggiate, in quanto possono in sovrappiù beneficiare dei lasciti religiosi, dei convitti, delle economie in fatto di retribuzione agli insegnanti, e di tutti i vantaggi che in genere conseguono dalla potenza sia economica che morale di un istituto religioso.

In questo campo è bene essere sinceri e dare alle cose il loro nome. Ed allora finiamola, signori della Democrazia cristiana, con questo insincero slogan della libertà della scuola. Qui si tratta di ben altro. Perché, dunque — io potrei chiedervi — la Chiesa non si batté mai per la libertà della scuola là dove essa ne aveva il monopolio diretto o indiretto?

Forse che la libertà, come voi la concepite, è la libertà di essere cattolici?

Oggi in realtà la bandiera della libertà copre la scuola confessionale, la quale si propone di impedire allo Stato di riconquistare la sua legittima posizione di preminenza nel campo educativo. Dico di riconquistare, perché dal 1859 fino alla carta della scuola di Giuseppe Bottai, questa preminenza lo Stato l'ha sempre serbata, così da poter svolgere la sua missione educatrice. E se, da qualche anno a questa parte, lo Stato ha perso purtroppo questa sua posizione, noi non possiamo qui, in sede di Costituzione, avallare la rinuncia dello Stato ai suoi diritti.

Ed è paradossale che i paladini del confessionalismo asseriscano di difendere la libertà contro di noi affermando che ci proporremmo, attraverso la scuola statale, di garantire le basi a un totalitarismo socialista di domani. Ma non ci credete neanche voi al totalitarismo socialista, non dico a quello di Saragat, ma nemmeno a quello di Nenni! (Commenti Interruzioni).

Poiché mi avete interrotto, tengo a precisare che potrebbe darsi che voi abbiate realmente paura dei comunisti in ordine ad un loro presunto totalitarismo — perché delle volte li accusate di questo — ma di noi questo non lo potete pensare seriamente. Noi non facciamo in realtà che difendere le posizioni dello Stato liberale; se volete, anche la stessa legge Gentile, che non fu affatto fascista, perché preparata da Benedetto Croce, e dal travaglio degli educatori dell'era liberale. Voi, per contro, difendete, come ho già detto, il principio informatore della carta della scuola di Giuseppe Bottai, e non potrete certo affermare con ciò di combattere per ristabilire la libertà conculcata dal fascismo. Voi combattete per rafforzarvi sulla via dei privilegi che solo uno Stato del tutto indifferente ai valori della cultura ed esclusivamente preoccupato della unanimità, formale poteva concedervi, onde gettare nella fornace della guerra i denari sottratti alla scuola.

La famiglia è, a nostro avviso, il cavallo di Troia, attraverso cui la Chiesa dà nuovamente l'assalto allo Stato. Sulla trincea della scuola noi difenderemo la libertà del cittadino e la dignità di questo Stato repubblicano che abbiamo fondato e che vogliamo difendere sul piano di una vera e sincera democrazia. (Applausi a sinistra Congratulazioni).

[...]

Giua. [...] Per quanto riguarda la scuola, io ho già espresso il mio parere, in sede di discussione delle dichiarazioni del Governo.

Poiché l'onorevole Bernini ha proposto degli emendamenti alle articolazioni sulla scuola, io non entro nel merito.

Dirò senz'altro che nella terza Sottocommissione, quale relatore, avevo dato formulazione alquanto diversa agli articoli 27 e 28; formulazione che, secondo me, introduceva nella vita scolastica italiana un principio nuovo.

Facevo un'affermazione, che può sembrare generica (ed i componenti la Commissione hanno ritenuto che affermazioni generiche nella Costituzione non si debbono fare, mentre abbiamo visto che per la famiglia si è fatta l'affermazione dommatica «che la famiglia è una società naturale»).

Nella mia formulazione dicevo:

«L'istruzione è un bene sociale.

«Lo Stato organizza l'istruzione di qualsiasi grado, in modo che tutti i capaci possano usufruire di essa.

«L'insegnamento elementare è obbligatorio per tutti.

«La frequenza delle scuole di grado superiore è permessa ai soli capaci».

[...]

Tumminelli. [...] «L'arte e la scienza sono libere».

E chi potrebbe opporvisi? Sono le manifestazioni dell'arte e della scienza che debbono essere dichiarate libere e rese libere. L'arte e la scienza sono, in sé prese, astrazioni che si concretizzano nelle manifestazioni e nelle creazioni.

E perché non viene dichiarato libero il pensiero? Al pensiero il bavaglio dell'appuntato di polizia che sta in agguato al 4° comma dell'articolo 16!

«La Repubblica assicura alla famiglia le condizioni economiche necessarie alla sua formazione, alla sua difesa ed al suo sviluppo».

Il bambino, il giovinetto, l'uomo, la famiglia; tutto entra nella tutela della Repubblica che annulla ogni iniziativa e assorbisce la personalità individuale, nei tentacoli mastodontici e macchinosi di uno Stato che penetra ovunque, che provvede a tutto, che detta le norme generale sull'istruzione, che assicura assegni alle famiglie ed altre provvidenze.

Una educazione vincolata, una scuola vincolata, una cultura vincolata, manifestazioni dell'arte e della scienza nei confini dei disegni dello statalismo. Il pensiero e l'uomo sono spiati e vigilati. È questa la casa sociale dell'uomo? Sono questi i muri maestri scavati sulla dura pietra della sacra persona dell'uomo, creatura eccelsa per predilezione di Dio? È questa la volta del corpo giuridico della casa civile dell'uomo? No, onorevoli colleghi, questa non è la casa per fratelli, non è la casa per uomini che cooperano per uno stesso fine che è lo sviluppo della personalità umana, sino ai vertici della sua vita religiosa.

Qui manca l'essenziale: libertà e amore. E Iddio non può benedire questa casa senza amore e contro natura. (Applausi a destra).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti