[Il 23 aprile 1947 l'Assemblea Costituente inizia l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Orlando Vittorio Emanuele. [...] Ad un altro rilievo offre occasione l'articolo 27, nel quale si legge:

«Le scuole che non chiedono la parificazione sono soggette soltanto alle norme per la tutela del diritto comune...».

Che cos'è questo diritto comune? Il diritto comune, il common law inglese è tutt'altra cosa. Direte: «È una espressione, un modo di dire che se non fa bene, non fa male». Fa male invece, — rispondo io —, perché l'interprete, quando trova una espressione nella legge, per timore riverenziale non si persuade che è inutile e va cercando la ragione; e naturalmente, siccome la ragione non c'è, ne trova una cattiva ed applica male la legge.

[...]

L'articolo 27 riguarda la scuola. Che cosa c'è di più alto e di più nobile? Io sono un «animale» universitario, nato — per così dire — nella Università, vissuto nell'Università, felice di tornare all'Università, e posso rilevare che in queste direttive che si danno al legislatore, che dovrà legiferare, non si parla dell'Università, ma si enunciano delle disposizioni, a proposito delle quali ricorderò il discorso fatto qui dall'onorevole Codignola, discorso il cui contenuto fu questo: che l'attuale Ministro della pubblica istruzione sta «clandestinamente» — la parola non è mia — creando un novus ordo in materia di istruzione. Ora, io non ho competenza per giudicare se queste censure siano o non siano fondate; ma, in ogni caso, le ritengo un esempio, una ipotesi, una possibilità di quanto accade ora o accadrà in avvenire. Ebbene, che cosa ciò significa? Significa che noi pretendiamo di disciplinare, in via costituzionale, quella che può essere fatto attraverso un'effettiva azione di Governo, e questo è proprio volere spingersi fino all'ultima Tule — per così dire — della proclamazione di un principio, di una norma: voler disciplinare addirittura l'atto. Noi non ci accontentiamo di disciplinare la materia costituzionale, non ci accontentiamo d'invadere i campi della futura legislazione, non ci accontentiamo, in alcuni punti, d'invadere anche i campi del regolamento (com'è il caso, ad esempio, del panorama o dell'abbattere oppur no i pini), ma arriviamo addirittura fino al fatto, fino all'azione; e pretendiamo, fin da ora, di risolvere tutte quelle che potrebbero essere le materie di interpellanza ai Ministri della pubblica istruzione, ai Ministri attuali ed ai futuri.

L'articolo 27 che contenuto ha? In esso si dice che l'arte e la scienza sono libere e che libero è il loro insegnamento. Nessuno dubita di questo.

L'articolo continua col dire che la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione; ed «organizza la scuola in tutti i suoi gradi mediante istituti statali; riconosce ad enti e a privati la facoltà di formare scuole ed istituti di educazione».

Ma chi ne ha mai dubitato? Tutti i discorsi che ho sentiti, in questa Aula, in questa occasione, e ve ne sono stati di ammirevoli, tutti hanno dichiarato che l'istruzione di Stato ci deve essere; cerchiamo che essa sia la migliore possibile. Ma, d'altra parte, non può non esserci e non si può impedire quel libero concorso, quell'afflusso di altre forze spontanee che concorrono, quella emulazione tra due forme di scuola, affinché questa riesca nel miglior modo possibile. L'errore, però, è di volere scrivere tutto questo nella Costituzione. Una volta che è scritto, voi vedrete (temo di essere facile profeta; non potrò constatare io stesso l'avverarsi della mia profezia, ma l'affido ad altri) voi vedrete che quando verranno le leggi, quelle leggi che voi consentite che siano fatte, balzerà su qualcuno a dire: «Ma, adagio, qui non è stata rispettata la tale disposizione della Costituzione». Questo, perché voi volete pure fare una Costituzione rigida. Meno male fosse una di quelle Costituzioni flessibili, come era indubbiamente lo Statuto Albertino, del quale la stessa interpretazione restava affidata al potere legislativo. Ora no. Quindi, vorrei fin da ora — giacché non desidererei più riprendere la parola — vorrei pregarvi di ripensarci prima di mantenere questa rigidità nella Costituzione.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti