[Il 19 settembre 1946 la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione sulle garanzie economico-sociali del diritto all'affermazione della personalità del cittadino, partendo dalla relazione dell'onorevole Giua.]

Giua, Relatore, fa notare che gli articoli proposti sono stati concretati in occasione della discussione preliminare, quindi appartengono un po' a tutti i componenti della Commissione.

Il primo articolo che tratta dell'istruzione è così formulato: «L'istruzione è un bene sociale. È dovere dello Stato di organizzare l'istruzione di qualsiasi grado, in modo che tutti i capaci possano usufruire di essa. L'insegnamento elementare gratuito è obbligatorio per tutti. La frequenza delle scuole di gradi superiori è permessa ai soli capaci. All'istruzione dei ragazzi poveri, che per capacità possono frequentare le scuole di gradi superiori, lo Stato provvede con aiuti materiali».

Aggiunge che dei sei articoli che fanno parte della relazione dell'onorevole Marchesi, il terzo corrisponde a questo, però contiene espressioni più vaghe nelle prima parte; nella seconda parte impegna la Repubblica a mantenere questo insegnamento primario da impartirsi in otto anni, periodo che, secondo l'oratore, è troppo lungo, date le attuali condizioni, mentre domani potrebbe essere anche troppo breve.

Non è poi opportuno dire che le scuole professionali dovranno essere attuate nei cantieri e nelle officine; fin da oggi vi sono grandi fabbriche che hanno provveduto a scuole professionali spontaneamente, anche all'infuori dell'intervento dello Stato. Insiste quindi sulla preferenza da dare all'articolo da lui proposto nei confronti dell'articolo 3 proposto dall'onorevole Marchesi.

Si potrebbe trovare inutile l'affermazione che l'istruzione è un bene sociale; ma tutti sono d'accordo su questo punto di considerare la cultura un bene sociale. È questo un dato di fatto che era stato riconosciuto dallo Stato liberale. Indiscutibile è pure che l'insegnamento elementare debba essere dato gratuitamente dallo Stato; il Marchesi parla di insegnamento primario, ed effettivamente in questo articolo si potrebbe sostituire la parola primario ad elementare.

Insiste particolarmente sulla quarta affermazione, che la frequenza delle scuole di gradi superiori debba essere permessa ai soli capaci. È una affermazione di principio necessaria per giungere ad una limitazione del numero degli studenti, eliminando coloro che, pur possedendone i mezzi, non hanno la capacità intellettuale di frequentare questi corsi superiori.

In teoria gli esami dovrebbero essere sufficienti a questo scopo, ma per varie ragioni, in generale ciò non si verifica. Le pressioni o anche le stesse istruzioni ministeriali portano talvolta a tale larghezza di giudizi da produrre quella inflazione di titoli, per la massima parte conseguiti anche senza merito. E basta avere un titolo, anche male acquisito, per occupare talvolta posti direttivi nella burocrazia dello Stato, della quale tutti lamentano il lato negativo.

L'affermazione di questo principio è anche necessaria nel nuovo clima per dare una direttiva a molti giovani che pensano che un titolo universitario sia necessario per crearsi una posizione.

La frequenza all'Università deve essere limitata ai capaci e, se questi non hanno mezzi, deve provvedervi lo Stato. Questo principio non solo modificherà la psicologia dei giovani, ma anche quella degli insegnanti, ai quali viene così conferita una grave responsabilità: il dovere, cioè, di giudicare i giovani per quello che è la loro vera capacità.

Che all'istruzione dei ragazzi poveri debba provvedere lo Stato crede che non occorra aggiungere spiegazioni.

Fa notare che il concetto che la frequenza alle scuole di grado superiore è permessa solo ai capaci non è fissato in nessuna delle Costituzioni che egli conosce; ma, per le dette ragioni, gli sembra necessario; del resto anche nella discussione preliminare ci fu pieno accordo nel riconoscerne la validità.

Marinaro chiede come potrà avvenire l'accertamento della capacità.

Fa considerare che fino ad oggi chi ha conseguito il diploma delle scuole medie ha sempre avuto accesso all'Università, perché è quello il titolo richiesto. Qui con capacità si intende qualche cosa di diverso; lo stesso fascismo aveva tentato di stabilire qualche cosa di simile; per accedere alle Università occorreva che il titolo di studi medi fosse stato conseguito con una certa votazione: sette o otto decimi.

Indipendentemente dalla bontà del concetto che ha lo scopo di impedire l'inflazione scolastica attuale, che non conferisce serietà agli studi superiori, occorre essere precisi. Fa anche considerare che oggi le Università funzionano assai male, a causa dell'esuberanza degli studenti e della deficienza di personale insegnante; gli esami non si svolgono più con la serietà di una volta; al posto dei professori titolari sono chiamati ad esaminare liberi docenti ed assistenti. Quando la popolazione scolastica supera i trentamila come avviene a Roma, nei giorni di esame funzionano quattro o cinque commissioni per materia e gli esaminatori sono quasi sempre degli assistenti.

Inoltre ritiene necessario specificare in che cosa consista questa capacità, e stabilire anche in quale epoca occorra fare l'accertamento. Secondo lui, dovrebbe esser fatto abbastanza presto, perché non è umano sbarrare la via dell'Università a chi, magari con sacrificio della famiglia, ha compiuto tutti gli studi liceali.

Concludendo, chiede che si stabilisca il sistema di accertamento di questa idoneità e il momento in cui deve essere fatto.

Taviani propone che l'articolo sia messo in votazione per divisione.

Il Presidente Ghidini consente a mettere ai voti l'articolo punto per punto. Pone ai voti il primo punto:

«L'istruzione è un bene sociale».

(È approvato).

Dà lettura del secondo punto: «È dovere dello Stato di organizzare l'istruzione di qualsiasi grado, in modo che tutti i capaci possano usufruire di essa».

Dominedò pensa che l'espressione «capaci» non sia la più opportuna, trattandosi di un termine che giuridicamente assume una significazione tecnica. Converrebbe un'espressione che rivesta una maggiore duttilità e concretezza insieme: ad esempio si potrebbe dire «idonei».

Il Presidente Ghidini osserva che si parla di istruzione di qualsiasi grado, ma poi nell'articolo si accenna solo a quella elementare e a quella superiore; dell'istruzione media non si fa cenno.

Giua, Relatore, risponde che qui è stata usata l'espressione «qualsiasi grado», ma forse sarebbe meglio dire media e superiore.

Marinaro osserva che quando si parla di un'istruzione superiore si intende riferirsi all'Università.

Il Presidente Ghidini dice che nella relazione Moro è detto «medio e universitario» e il requisito della capacità è richiesto anche per il liceo e l'istituto tecnico.

Molè trova chiaro che il relatore intende riferirsi alle scuole di grado superiore a quella elementare. Se poi si volesse tener conto delle denominazioni attuali, non si dovrebbe dire solo scuole medie, ma anche tecniche, professionali. Occorre però badare, modificando la terminologia, di non alterare anche il concetto.

Il Presidente Ghidini aggiunge che alle volte accade che la capacità si riveli in alcuni più tardi che in altri.

Taviani, poiché vi è accordo sul secondo e terzo punto, chiede che siano messi ai voti per passare poi alla discussione del quarto, dove si tratterà di stabilire se si intende parlare della frequenza nelle scuole di grado superiore alle elementari o a quella di grado superiore che è l'Università.

Il Presidente Ghidini pone ai voti il secondo punto con l'eliminazione della preposizione «di» e la sostituzione della parola «idonei» a «capaci»:

«È dovere dello Stato organizzare l'istruzione di qualsiasi grado, in modo che tutti gli idonei possano usufruire di essa».

(È approvato).

Molè al terzo punto propone che si dica

«L'insegnamento primario elementare è gratuito e obbligatorio per tutti».

(È approvato).

Dominedò sul quarto punto, si associa alla proposta dell'onorevole Molè che si precisino i limiti e si determini che cosa debba intendersi per gradi superiori. Secondo lui il problema andrebbe circoscritto nei confronti dell'insegnamento universitario.

Giua, Relatore, aggiungerebbe anche il liceo classico.

Dominedò osserva che, indipendentemente da ciò, considerata la grande delicatezza della norma, ne andrebbe ben precisato il significato. Quando si dice «è permesso ai soli idonei» o si fa una affermazione generica che non dice nulla — perché l'idoneità giuridicamente sta nel fatto di avere conseguito il titolo idoneo per l'ammissione agli studi superiori, ovvero s'intende dire qualcosa di nuovo per affrontare il problema dell'inflazione dei titoli universitari, e ciò va chiarito.

Usciti dal periodo bellico si tende già verso una ripresa degli studi: si tratta di stabilire se in sede di Costituzione convenga sancire qualche norma organica in vista di rinvigorire il tono dell'insegnamento superiore. Si dovranno forse contemplare, oltre al titolo di ammissione all'Università, ulteriori requisiti di idoneità? Nell'ordinamento vigente qualche precedente esiste: per l'ammissione alle facoltà di magistero si richiede un esame specifico oltre il diploma magistrale; qualche cosa di simile è stato proposto per le facoltà di economia. Converrà che queste od altre norme siano previste nei confronti di altre facoltà, in sede di riforma universitaria? Sembrerebbe allora opportuno che in sede di Costituzione questa esigenza sia prospettata, pur genericamente.

Si potrebbe dire: «L'istruzione superiore deve essere di regola, ecc.».

Merlin Angelina ricorda che quando si discusse sulla relazione Giua, essa aveva già prospettato quanto ha detto oggi l'onorevole Dominedò, anzi aveva citato quanto fa l'Università cattolica per la scuola di magistero. Ritiene però che questo accertamento andrebbe fatto prima dell'ammissione al liceo. Molti che arrestano i loro studi alla licenza liceale trovano impedimenti ad occupare impieghi che invece sono facilmente ricoperti da coloro che hanno frequentato le scuole di avviamento, perché c'è il pregiudizio che i licenziati al liceo siano incapaci nella vita pratica. Quindi sarebbe del parere che alla Università si dovesse accedere con la licenza liceale, e che a frequentare il liceo fossero ammessi i giovani che dimostrassero una vera capacità; quindi l'accertamento andrebbe fatto all'ingresso al liceo.

Taviani accetta il concetto esposto dal relatore, ma non farebbe tante specificazioni. Se si vuole che gli idonei, anche se di classi povere, possano salire ai gradi superiori della cultura, è indispensabile eliminare gli agiati che vanno avanti solo per mezzo di raccomandazioni; ma non gli pare che questa sia materia di Costituzione, sarà materia di riforma scolastica.

Molè propone di modificare la dizione. Il problema posto dall'onorevole Dominedò preoccupa quanti si interessano di questioni scolastiche. Ci sono degli incapaci che giungono ai gradi superiori, ma qui subentra la responsabilità dei professori, perché attraverso la loro valutazione dovrebbe aversi la soluzione. Questa inflazione di laureati provoca anche la mortificazione di migliori.

Stabilire il modo di accertare l'idoneità è un problema difficile; normalmente dovrebbe bastare la valutazione dei professori che hanno la possibilità di seguire, durante il corso, i loro discepoli e di esserne i migliori giudici. Fondarsi su un solo esame può, come avviene nei concorsi, non essere sufficiente a giudicare della idoneità. Accetta il concetto del Relatore, ma lo vorrebbe rendere meno drastico. Si potrebbe dire: «L'insegnamento primario è gratuito e obbligatorio per tutti; le scuole di grado superiore sono accessibili a coloro che si dimostrino idonei».

Il modo come accertare l'idoneità dovrebbe formare oggetto di legge o di regolamento.

Chiede poi perché negare la possibilità di studiare a coloro che ne hanno voglia, quando non costituisca onere per lo Stato.

Federici Maria si associa.

Giua, Relatore, insiste nella sua dizione e anche nel mantenimento di «capacità» in luogo di «idoneità», perché parlare di idoneità sminuirebbe il concetto.

Contentandosi di un'affermazione generica, come ha proposto l'onorevole Molè, non si influirebbe né sul legislatore, né sulla psicologia degli insegnanti.

È necessario lasciare nella Costituzione questa affermazione per fissare le direttive del legislatore, e insiste perché, se non si vuol fare una cosa astratta, occorre preoccuparsi della legislazione futura. L'affermazione è drastica, ma non si debbono avere le preoccupazioni dell'onorevole Marinaro, se si vuol giungere alla auspicata riforma scolastica delle Università e delle scuole di grado superiore, quali il Liceo. Ha usato l'espressione: «la frequenza» e non l'altra «l'accesso» perché l'insegnante deve avere la possibilità di escludere chi non si dimostra capace anche durante il periodo delle lezioni.

Ricorda che la scuola di ingegneria consta di due bienni, ed è stato merito del Colonnetti, direttore del Politecnico di Torino, di avere ottenuto una notevolissima riduzione del numero degli iscritti, avendo stabilito esami molto rigorosi per il passaggio dal primo al secondo biennio; così rigorosi che gli studenti preferivano recarsi a sostenere quell'esame a Milano, dove pure la scuola, sotto il Colombo, era retta molto rigidamente.

Molè osserva che si tratta, in definitiva, di materia regolamentare.

Giua, Relatore, sostiene che il legislatore e gli stessi insegnanti debbono vedere affermato nella Costituzione il principio che la frequenza alle scuole superiori è permessa ai soli capaci. La norma ha funzione giuridica e psicologica, perché formativa del carattere degli insegnanti e degli allievi. Una volta riconosciuto che il Liceo classico è aperto solo a chi ha una determinata formazione mentale, e l'Università deve essere frequentata solo dai capaci, non sarà impedita l'esplicazione di altre energie; ognuno potrà scegliere il più adatto per lui dei tanti tipi di scuola.

La laurea non è il titolo che permette sempre di raggiungere le maggiori retribuzioni; è il titolo che deve essere ambito da chi alla quantità preferisce la qualità della retribuzione. Un professore universitario non è sempre meglio retribuito di un capo officina.

Molè ripete che la delicatezza della disposizione sta nello stabilire il modo di accertare la capacità. Egli direbbe: «Le scuole di grado superiore sono accessibili solo a coloro che ne risultino capaci».

Il Presidente Ghidini chiede al relatore se non riscontra disarmonia fra questi punti dell'articolo e l'articolo primo, dove è affermato che ogni cittadino ha il dovere e il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità di scelta. Espone anche un altro dubbio: ci può essere qualcuno che voglia accedere alle scuole di grado superiore solo per accrescere il suo patrimonio intellettuale. Poiché non siamo in regime socialista, ma in regime borghese, possiamo impedirgli di raggiungere questa aspirazione?

Quello che più preme è evitare che accedano alle professioni libere persone che non ne sono capaci, con danno di quelli che sono capaci, e che si determini quella inflazione di professionisti che ha prodotto tanti guai. Sarebbe forse meglio raggiunto lo scopo accertando la capacità prima di iniziare l'esercizio della professione.

Taviani obietta che in questo modo si creerebbero degli spostati.

Marinaro precisa il suo pensiero. È pienamente d'accordo col relatore sui principî generali, ma si preoccupa del modo e del momento più adatti per fare l'accertamento della capacità. Non è d'accordo con l'onorevole Molè, quando dice che questo può formare oggetto di legge o di regolamento. Domani un Ministro, o un direttore generale della pubblica istruzione, può emanare un regolamento in cui si dica: ai sensi dello Statuto l'accertamento della capacità deve essere fatto in questo modo. Sarebbe un'arma pericolosissima nelle mani della burocrazia e degli uomini politici. Quindi riafferma il concetto che le Università vanno aperte ai capaci e invita i colleghi a studiare una formula idonea ad accertare il modo e il momento della indagine.

Dominedò chiede che si abbandoni una formula priva di contenuto, per conferirvi un significato concreto, sia pur generico.

Molè propone che si dica: «sono accessibili a coloro che ne abbiano la capacità».

Dominedò direbbe piuttosto «attitudini».

Giua, Relatore, propone che si dica: «Le scuole di grado superiore sono accessibili a coloro che ne abbiano attitudine».

Il Presidente Ghidini terrebbe presente anche il concetto della frequenza, perché la capacità può rivelarsi anche tardivamente.

Colitto propone la formula:

«Le scuole di gradi superiori sono accessibili a coloro che dimostrino le necessarie attitudini».

Il Presidente Ghidini pone ai voti questa formula.

(È approvata).

Il Presidente Ghidini apre la discussione sull'ultimo punto dell'articolo proposto dall'onorevole Giua, così concepito: «All'istruzione dei ragazzi poveri, che per capacità possano frequentare le scuole di gradi superiori, lo Stato provvede con aiuti materiali».

Molè ritiene che sia meglio mettere al posto del termine: «capacità» la frase «che siano meritevoli».

Dominedò si associa alla proposta dell'onorevole Molè.

Giua, Relatore, accetta l'emendamento proposto dall'onorevole Molè e pertanto dichiara che la formulazione dovrebbe essere:

«All'istruzione dei poveri, che siano meritevoli di frequentare le scuole di gradi superiori, lo Stato provvede con aiuti materiali».

Il Presidente Ghidini mette ai voti l'ultimo punto dell'articolo nella forma ora proposta dall'onorevole Giua.

(È approvato).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti