[Il 10 maggio 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».]

Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Riprendiamo la discussione del progetto con l'esame dell'articolo 32:

«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di un'esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia.

«Il lavoratore ha diritto non rinunciabile al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite».

L'onorevole Nitti ha già svolto un emendamento soppressivo dell'intero articolo.

L'onorevole Colitto ha proposto di sostituire l'articolo col seguente:

«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro, adeguata ad un dignitoso tenore di vita ed alle possibilità dell'economia nazionale».

L'onorevole Colitto ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

Colitto. L'emendamento da me proposto mira a dare all'articolo 32 del progetto di Costituzione — lasciando immutata la sua sostanza — una formulazione che a me sembra più precisa ed anche più snella.

Nel mio emendamento si parla infatti ancora di retribuzione proporzionale alla quantità e alla qualità del lavoro, così come se ne parlava nella Costituzione tedesca del 1919 (articolo 163), in quella spagnola del 1931 (articolo 46) e in quella russa del 1936 (articolo 118). Non è forse inopportuno affermare che la determinazione della retribuzione dovrà aver luogo per categoria, senza discriminazioni fra lavoratori che prestano lo stesso lavoro, pur non escludendo che possano essere stabiliti premi per lavoratori più solerti degli altri ed anche per stimolare l'emulazione.

Si afferma anche, nell'emendamento da me proposto, che deve la retribuzione essere adeguata alle necessità di un dignitoso tenore di vita, con la quale frase, naturalmente, si esprime per lo meno una grande ansia di progressivo, continuo superamento delle condizioni di vita della classe lavoratrice in un determinato periodo.

Parmi, invece, piuttosto vago ed incerto, e sopratutto pleonastico, parlare di retribuzione adeguata alle necessità di un'esistenza libera, perché mi sembra evidente che, se la retribuzione deve assicurare un tenore dignitoso di vita, terrà implicitamente conto, come si dice nel progetto, delle necessità di un'esistenza libera.

Non mi sembra, poi, che sia il caso di stabilire che la retribuzione debba essere commisurata alle esigenze oltre che del lavoratore, anche della sua famiglia, perché una norma siffatta imporrebbe di certo discriminazioni fra lavoratori, che pure prestano lavoro della stessa qualità e nella stessa quantità, il che mi sembra sia da escludere. E poiché anche in una affermazione programmatica non si può prescindere da quella che in ogni momento è la realtà della situazione economica della nazione, io ho parlato nell'emendamento anche di retribuzione che comunque deve essere adeguata «alle possibilità dell'economia nazionale». Ove l'Assemblea fosse di contrario avviso, porrebbe, secondo me, le basi di una economia ab initio tarata, con grave danno degli stessi lavoratori.

Mi sembra, infine, che possa essere soppresso il secondo comma dell'articolo. Si parla, in esso, di riposo settimanale e di ferie. Ora, a me sembra che tale materia meglio costituisca il contenuto di contratti collettivi di lavoro e di una legge sul lavoro, anziché di una norma costituzionale, sebbene non manchino Costituzioni, come quelle della Jugoslavia, della Lituania, del Nicaragua, dell'Uruguay e del Venezuela, che se ne occupano. Sono, in ogni caso, da eliminare le due parole «non rinunciabile», non perché io intenda propugnare che il diritto alle ferie debba considerarsi un diritto cui si possa rinunciare, ma perché una simile affermazione non è stata fatta per la retribuzione e non vorrei che in avvenire si potesse sostenere che il lavoratore alle ferie non può rinunciare, ma può ben rinunciare, ad esempio, ad un aumento di salario. Io penso che irrinunciabile sia non soltanto il diritto alle ferie, ma anche, e a maggior ragione, il diritto alla retribuzione. Ora l'affermazione di tale irrinunciabilità fatta soltanto per le ferie e non per la retribuzione, potrebbe far sorgere dubbi, che è opportuno fin da questo momento eliminare.

Presidente Terracini. L'onorevole Gabrieli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro fornito e adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa».

L'onorevole Gabrieli ha facoltà di svolgerlo.

Gabrieli. Onorevoli colleghi, il mio emendamento non ha lo scopo di modificare la sostanza dell'articolo. Appartiene alla tradizione della dottrina sociale cristiana l'affermazione del salario familiare: ebbe la sua prima affermazione nell'enciclica di Leone XIII «Rerum novarum», e parte anche dal Codice di Manin. Quindi noi della Democrazia cristiana intendiamo affermare che il lavoratore debba avere una retribuzione proporzionata alle esigenze sue e della sua famiglia. L'emendamento che propongo attiene ad una maggiore precisazione tecnica dell'articolo. Quando si dice che il lavoratore deve avere una retribuzione adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa, s'intende affermare che la retribuzione debba essere adeguata alle necessità della famiglia. Se la retribuzione non pone il lavoratore nella condizione di far fronte alle necessità della famiglia, viene meno la condizione che la retribuzione possa essere adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa. Ritengo quindi che la formula da me proposta, per una maggiore sintesi, per un maggior tecnicismo giuridico, sia da preferirsi a quella della Commissione.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Cappugi, Pastore Giulio, Morelli Luigi:

«Al primo comma, dopo la parola: lavoro, inserire le parole: capace di coprire gli oneri previdenziali ed assistenziali».

Non essendo presenti l'onorevole Cappugi e gli altri firmatari s'intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.

Segue l'emendamento degli onorevoli Persico, Cairo, Tremelloni, Caporali:

«Al primo comma, alle parole: e in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e la famiglia, sostituire le altre: in ogni caso adeguata alle necessità personali e familiari».

Non essendo presenti l'onorevole Persico e gli altri firmatari s'intende che abbiano rinunziato a svolgerlo.

Segue l'emendamento dell'onorevole Foa:

«Al primo comma, sopprimere l'inciso: per sé e per la famiglia».

L'onorevole Foa ha facoltà di svolgerlo.

Foa. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Seguono due emendamenti dell'onorevole Puoti, del seguente tenore:

«Aggiungere alle ultime parole del primo comma le seguenti: anche in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».

«Al primo comma, aggiungere il seguente:

«Sempre che sia possibile e nelle forme e limiti stabiliti dalla legge, la retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili».

Non essendo presente l'onorevole Puoti, si intende che abbia rinunziato a svolgerli.

Segue l'emendamento degli onorevoli Bibolotti e Bitossi:

«Al primo comma aggiungere il seguente:

«Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».

L'onorevole Bibolotti ha facoltà di svolgerlo.

Bibolotti. All'articolo 32, là dove dice: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia», io propongo il seguente emendamento aggiuntivo: «Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge». Questa mia proposta tende a rendere sempre più effettive le norme della nuova vita democratica del nostro Paese. Il concetto di salario minimo è estensivo, indubbiamente, al concetto di assistenza al lavoratore. Per quanto noi oggi pensiamo all'assistenza con criteri non più elemosinieri, ma partendo da un punto di vista di giustizia e di diritto sociale, tuttavia il salario minimo individuale e familiare viene a costituire oggi nella società moderna la garanzia dell'eliminazione, nel campo del lavoro, del pauperismo, della miseria nera, viene cioè a sancire un principio nuovo e moderno, secondo il quale non è lecito ad alcuno di sfruttare l'opera del lavoratore senza assicurargli un minimo di retribuzione, retribuzione che non deve essere lasciata all'arbitrio dell'assuntore d'opera, ma che appunto propongo sia stabilita dalla legge.

Risponde tale mia proposta allo stesso criterio che ispira il legislatore là dove esso sancisce la durata massima del lavoro. La lotta del lavoratore, attraverso decenni e decenni per la conquista delle otto ore, è oggi consacrata dalle regole, dalle consuetudini e dalle leggi; ma è bene che nella Costituzione della nuova Repubblica italiana tanto il principio del salario minimo, quanto quello della limitazione della giornata lavorativa, trovino consacrazione in una affermazione di principio.

E d'altra parte, riferendosi a disposizioni da inserirsi nella legge, esse non cristallizzano questa richiesta, non costituiscono dei punti di impedimento al legislatore, ma gli danno, come vuol ogni buona norma costituzionale, un'indicazione abbastanza precisa, pur senza costituire, come appunto dicevo, un impedimento o una cristallizzazione.

Io propongo quindi che al primo comma sia aggiunta la seguente dizione:

«Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».

Io spero che questa mia proposta venga accettata da tutti coloro che si sono schierati per l'inserimento nella nostra Costituzione repubblicana di quelle garanzie di ordine sociale che costituiscono la fondamentale caratteristica del nostro progetto di Costituzione, cioè i diritti del lavoro.

Ora, a me pare, onorevoli colleghi, che appunto questo inserimento nell'articolo 32 conferisca all'articolo stesso una consistenza ed una concretezza tali da tranquillizzare le famiglie dei lavoratori, nel senso che, compiuto il loro dovere sociale di partecipare al processo della produzione, essi non potranno essere mai più oggetto di quello sfruttamento inumano e senza limiti che oggi, in determinate circostanze e in determinati rapporti di forze, sarebbe ancora giuridicamente possibile.

Dobbiamo soprattutto impedire che ciò possa accadere a proposito della mano d'opera infantile e femminile.

Lo spirito del mio emendamento è pertanto questo: che non sia commesso all'arbitrio del privato lo stabilire sia la durata del lavoro, sia la retribuzione del lavoro stesso.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Meda Luigi, Cappugi, Codacci Pisanelli, Malvestiti, Clerici, Zerbi, Giordani, Belotti, Colonnetti, Carbonari, Bosco Lucarelli, Martinelli, Bubbio, Micheli, Montini, Perlingieri, Merlin Umberto, Balduzzi, Guerrieri Filippo, Cavalli, Benvenuti, Togni, Manzini Raimondo, Fuschini, Mortati, Cappi, Andreotti, Cremaschi Carlo, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo Stato riconosce e garantisce ai lavoratori il diritto al riposo festivo».

L'onorevole Meda ha facoltà di svolgerlo.

Meda. L'emendamento proposto da me e da altri deputati al primo capoverso dell'articolo 32 non presenta carattere di eccezionalità, ma mira soltanto a ricondurre ad una esatta formulazione l'affermazione del principio del riposo settimanale che, per i lavoratori italiani, non può che identificarsi col riposo festivo.

In realtà, quando, alla fine del secolo scorso, si iniziò il movimento per ottenere il riposo settimanale ai lavoratori, tutti furono d'accordo che questa giornata di riposo dovesse essere la giornata di festa, e precisamente per i paesi latini di culto, di fede religiosa cattolica, la domenica.

Nel 1897, al primo congresso per la difesa degli operai, indetto dall'Arbeiterbund a Zurigo, si affermò questo principio, sostenuto da un grande sociologo cristiano, Padre Beck, e che ebbe anche il conforto di tutti i rappresentanti degli altri congressisti e particolarmente dei socialisti, i quali ritennero che per ragioni sociali, ed anche per ragioni igieniche, la giornata di riposo non avrebbe potuto ottenere la sua completa efficacia se non fosse stata disposta nel giorno di festa. Per ragioni di carattere sociale; perché giustamente si diceva che, per raggiungere la sua efficacia, il riposo deve essere pubblico, cioè non deve essere soltanto degli individui, ma della società, perché non facendosi così si ingenererebbe il più stridente pericoloso contrasto. Infatti nulla concorre di più a far sentire all'operaio la inferiorità della sua situazione quanto quello di dovere egli andare la domenica, in abito di fatica, al lavoro, quando i cittadini delle classi più agiate si recano con gli abiti di festa alle manifestazioni di carattere religioso oppure al passeggio. C'è uno stridente contrasto che si deve togliere, che non si deve permettere.

Vi sono poi le ragioni igieniche: il bisogno che il giorno di riposo sia giorno di tranquillità, di serenità, il che evidentemente non avviene quando l'operaio riposa in giornata nella quale gli altri lavorano, oppure lavora in giornata nella quale gli altri riposano.

La legislazione italiana a questo proposito ha seguito la corrente assunta al Congresso di Zurigo dai sociologi e l'onorevole Cabrini, nel 1902, presentò una proposta di legge tendente appunto alla codificazione del riposo festivo. Il progetto Cabrini portò ad una lunga ed interessante discussione: si approvarono gli articoli, ma poi, alla votazione segreta, avvenne (anche allora il segreto delle urne talvolta riservava delle sorprese), che la legge risultasse bocciata, perché le destre si schierarono contro, pur avendo nella discussione degli articoli favorito ed appoggiato la proposta Cabrini.

Ma, ripeto, il problema era vivo. Nel 1906 — secondo quanto riportano le cronache parlamentari — Filippo Turati chiese al Governo che fosse ripresa in esame la legge del riposo festivo. Il Governo promise di mantenere l'impegno che si era assunto e nel 1907 venne presentato un disegno di legge che portò alla legge del 7 luglio 1907 che codifica e regolamenta il riposo domenicale.

Questa legge è ancora vigente, perché le trasformazioni avvenute con la legge del '36 non hanno mutato sostanzialmente lo spirito e la sostanza della legge del 1907. Infatti anche nella legge del '36 si specifica e si precisa che il giorno di riposo settimanale deve coincidere con la domenica.

Anche nel campo internazionale il principio del riposo festivo venne propugnato nel 1921; infatti in occasione della terza sessione della Conferenza internazionale del lavoro tenutasi a Ginevra fu proposto un quesito a tutti gli Stati che avevano aderito alla Conferenza stessa circa l'opportunità che il giorno di riposo coincidesse colla domenica.

Le risposte furono affermative da parte degli Stati cattolici e negative da parte degli Stati non cattolici.

Ma, in definitiva, anche queste ultime risposte sostenevano la tesi del riposo festivo, in quanto che — cito l'India ed alcuni Paesi protestanti — chiedevano che la giornata di riposo coincidesse colla giornata festiva delle particolari religioni: così le comunità ebraiche avevano domandato che la giornata festiva coincidesse col sabato. In relazione a tale indagine il Bureau international du Travail predispose un progetto di convenzione nel quale, al secondo capoverso dell'articolo 1, si stabiliva il principio che il giorno di riposo settimanale dovesse essere la giornata consacrata festiva dalla tradizione o dagli usi dello stato e della regione.

In Italia la tradizione religiosa è cattolica e quindi noi non possiamo concepire che la Costituzione abbia ad affermare il principio del riposo settimanale, senza precisare che questo riposo deve coincidere colla domenica.

Né, onorevoli colleghi, si pensi che io sia qui a chiedere che si costringano tutti i cittadini a compiere alla domenica atti di culto; certo però è che tutti i cittadini debbono essere garantiti nel libero esercizio della loro religione. Un grande sociologo, che voi certamente ricordate, Windthorst, diceva: «Io non voglio introdurre a forza l'operaio in chiesa, ma voglio che egli abbia la possibilità di andarci, se lo vuole».

Orbene, onorevoli colleghi, il tollerare il lavoro domenicale che altro non è se non impedire all'operaio di adempiere ai suoi doveri religiosi? Perché — intendiamoci bene — la libertà di coscienza e di culto non può venire interpretata nel senso di libertà di essere irreligiosi, ma deve essere libertà di avere convinzioni religiose e di uniformarvi i propri atti.

Ora, vi è un comandamento di Dio che impone la «santificazione della festa».

Ed il padrone o lo Stato, che obblighino o tollerino che l'operaio lavori anche in questi giorni, violano la coscienza cristiana ed offendono la libertà religiosa.

Una voce. Per gli ebrei è il sabato.

Meda. In Italia, la stragrande maggioranza dei lavoratori è cattolica. In uno Stato dove la maggioranza fosse costituita da ebrei, il riposo coinciderebbe col sabato.

Oggi la situazione italiana è quella che vi ho esposta. (Interruzioni Commenti a sinistra).

In ogni modo, onorevoli colleghi della sinistra, non capisco le vostre meraviglie, specie quando l'atteggiamento dei vostri uomini migliori del passato è stato favorevole al riposo festivo. (Interruzioni a sinistra).

Oltre Cabrini e Turati, potrei ricordarvi Vandervelde.

Tonello. In Italia la libertà religiosa esiste.

Meda. Onorevole Tonello, lei dichiara di essere d'accordo sull'esistenza della libertà religiosa. Benissimo. Evidentemente lei come me ricorda che tutti i partiti proprio in questa aula hanno dichiarato, si sono anzi solennemente impegnati, a rispettare la libertà religiosa convinti evidentemente che là dove non vi è libertà religiosa non esiste democrazia.

Presidente Terracini. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti presentati. Prego l'onorevole Ghidini di esprimere l'avviso della Commissione.

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. C'è innanzi tutto un emendamento Nitti per la soppressione dell'articolo 32. Noi riteniamo che la questione della retribuzione sia fondamentale per quanto attiene al diritto al lavoro e quindi non crediamo che l'articolo possa essere soppresso.

L'onorevole Colitto, a sua volta, ha proposto di sostituire l'articolo col seguente:

«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro, adeguata ad un dignitoso tenore di vita ed alle possibilità dell'economia nazionale».

L'emendamento è sostitutivo di tutto l'articolo 32, ma richiama solo il contenuto del primo comma. La sua prima parte: «La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro», è conforme al testo proposto dalla Commissione.

La differenza è nel periodo successivo:

«adeguata ad un dignitoso tenore di vita».

La Commissione propone: «ed in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia».

È più breve «dignitoso tenore di vita». Ma la differenza è che si riferisce soltanto alla vita del lavoratore e non anche alle sue necessità familiari.

Ho già detto, in sede di discussione generale, le ragioni per le quali riteniamo necessario che il salario corrisponda, oltre che alle esigenze personali del lavoratore, anche alle sue esigenze familiari.

Non è possibile che sia considerato soltanto il bisogno suo se lui solo lavora; bisogna che siano considerati anche i bisogni della famiglia.

La Commissione mantiene il suo criterio e ritiene che alla giusta retribuzione possano concorrere anche gli assegni familiari che appunto servono ad adeguare alle necessità della famiglia il salario base.

L'emendamento aggiunge: «ed alle possibilità della economia nazionale». L'aggiunta è nuova nel senso che non ha precedenti, sebbene sia tale che potrebbe condizionare espressamente tutti i diritti di cui al progetto, essendo chiaro che tutte le esigenze sono subordinate alla possibilità di attuarle. Ma appunto per questo motivo l'aggiunta è inutile.

Osservo ancora che la retribuzione da corrispondere al lavoratore deve essere considerata più specialmente in rapporto alle condizioni del datore di lavoro, che alle possibilità nazionali.

Infine, l'emendamento Colitto tende ad eliminare il capoverso dell'articolo: «Il lavoratore ha diritto non rinunziabile al riposo settimanale ed a ferie retribuite».

Se ho ben compreso, l'onorevole collega non è contrario, in sostanza, al concetto espresso nel testo, ma ha piuttosto una preoccupazione: che cioè la facoltà di rinunzia, espressa unicamente in rapporto alle ferie annuali, sia interpretabile nel senso che invece al salario si possa rinunziare. In verità non credo che questa possibilità esista, per quanto nel campo del possibile tutto si possa immaginare quando si dispone di una fantasia così viva come quella del collega onorevole Colitto; ma credo che sia tanto remota da potersi senz'altro escludere una interpretazione come quella che paventa il collega.

Per queste ragioni la Commissione ritiene doversi mantenere nella sua integrità l'articolo 32.

Poi c'è l'emendamento dell'onorevole Gabrieli:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro fornito e adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa».

La parola «fornito» rappresenta un mutamento di carattere soltanto formale; invece avrebbe valore sostanziale quest'ultimo inciso: «adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa». Se ho ben capito l'illustrazione che egli ha fatto di questo secondo inciso del suo emendamento, saremmo d'accordo. L'onorevole Gabrieli è invece in disaccordo coll'onorevole Colitto perché ritiene che nell'esistenza libera e dignitosa si comprendano non soltanto le esigenze del lavoratore, ma anche della famiglia. Ma allora il non dirlo diventa pericoloso, tanto è vero che l'onorevole Colitto intende precisamente di limitare la portata di questo nostro articolo escludendo la considerazione del bisogno famigliare. Se avessi l'autorità di dare un consiglio all'onorevole Gabrieli gli direi di rinunziare all'emendamento.

Gli emendamenti degli onorevoli Cappugi, Persico, Puoti non sono stati svolti; quello dell'onorevole Foa è stato ritirato: non mi soffermo su di essi.

Veniamo ora all'emendamento degli onorevoli Bibolotti e Bitossi i quali propongono di aggiungere al primo comma il seguente:

«Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».

A questo proposito devo osservare che prima le due Sottocommissioni (1ª e 3ª) e poi la Commissione dei settantacinque hanno ritenuto indispensabile, quando è stato redatto l'articolo, di fissare i due criteri fondamentali che stanno alla base della determinazione del compenso al lavoratore: la quantità e la qualità del lavoro, e le necessità personali e familiari. La Commissione non è andata oltre, cioè non ha ritenuto che fosse necessaria una determinazione maggiore. Oggi per verità, di fronte all'emendamento, la Commissione non ha preso una decisione specifica; ma, dalle rapide intese corse fra noi, sono in condizione di dire che i concetti espressi nell'emendamento ci appaiono giusti. Resta a vedere se sia opportuno e necessario che tali concetti vengano inclusi nella legge costituzionale, o se invece la loro sede migliore non sia nella legislazione speciale, come del resto accennava lo stesso onorevole Bibolotti quando, illustrando l'emendamento, spiegava che leggi speciali avrebbero determinato tutti i minimi di salario. Comunque, come ho detto dianzi, la Commissione si rimette alla decisione dell'Assemblea.

C'è poi l'emendamento dell'onorevole Meda: «Lo Stato riconosce e garantisce ai lavoratori il diritto al riposo festivo».

Mi consenta, onorevole Meda, che non entri in merito alla sua discussione. Io qui rappresento l'intera Commissione, e non volendo entrare nel merito mi limito ad una enunciazione di carattere generale. La frase: «riposo settimanale», è consacrata dall'uso più ancora dell'altra «riposo festivo», quantunque quest'ultima abbia avuto i sostenitori ai quali Ella ha dianzi accennato.

Del resto la frase non potrà modificare ciò che di fatto avviene, che cioè — salvo eccezioni — il riposo settimanale coincide coi giorni di festa.

Ed ora vorrei fare qualche rilievo sugli emendamenti dell'onorevole Puoti, che vedo presente.

Si tratterebbe, secondo il primo emendamento, di aggiungere alle ultime parole del primo comma le seguenti: «anche in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».

Avverto l'onorevole Puoti che questo inciso che vorrebbe aggiunto a coronamento del 1° comma dell'articolo 32, fa già parte dell'articolo 34.

Puoti. Lo volevo spostare all'articolo 32, dove si parla di retribuzione.

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. A noi pare molto più armonico lasciarlo all'articolo 34, perché ivi sono considerati tutti i casi nei quali lo Stato sovviene ai bisogni del cittadino e del lavoratore sotto le forme dell'assistenza e della previdenza, Quindi, staccando dall'articolo 34 una sua parte essenziale, ne sarebbe sconvolta l'armonia della disposizione. Credo pertanto che la Commissione sia contraria al trasferimento che propone l'onorevole Puoti.

Il secondo emendamento Puoti è del seguente tenore:

«Al primo comma, aggiungere il seguente:

«Sempre che sia possibile e nelle forme e limiti stabiliti dalla legge, la retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili».

«Sempre che sia possibile», e su questo possiamo essere d'accordo.

«La retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili». È la determinazione di una speciale modalità che potrebbe assumere la «retribuzione» ma che noi non possiamo oggi prevedere. Non è conveniente che queste modalità eventuali siano fissate a priori nella Carta costituzionale.

Pertanto, ritengo che la Commissione sia dell'avviso di mantenere integro il testo che ha proposto.

Presidente Terracini. Chiederò ora ai presentatori di emendamenti se li conservano.

L'onorevole Nitti ha presentato un emendamento per la soppressione dell'articolo 32. Poiché l'onorevole Nitti non è presente, il suo emendamento si intende decaduto.

L'onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro, adeguata ad un dignitoso tenore di vita ed alle possibilità dell'economia nazionale».

Lo conserva?

Colitto. Dopo i chiarimenti, dati brillantemente dall'onorevole Ghidini, non insisto sul mio emendamento. Mi riservo, però, in occasione della votazione sul secondo comma, di chiedere la votazione per divisione.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Gabrieli:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La retribuzione del lavoratore deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro fornito e adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa».

Onorevole Gabrieli, lo conserva?

Gabrieli. Lo ritiro.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Cappugi, Pastore Giulio, Morelli Luigi:

«Al primo comma, dopo la parola: lavoro, inserire le parole: capace di coprire gli oneri previdenziali ed assistenziali».

Morelli Luigi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Morelli Luigi. Dichiaro che mantengo l'emendamento, di cui sono firmatario, perché ritengo necessario, nello stabilire la retribuzione, di garantire gli oneri previdenziali e assistenziali.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Persico, Cairo, Tremelloni, Caporali:

«Al primo comma, alle parole: e in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e la famiglia, sostituire le altre: in ogni caso adeguata alle necessità personali e familiari».

Onorevole Persico, lo mantiene?

Persico. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Seguono due emendamenti dell'onorevole Puoti:

«Aggiungere alle ultime parole del primo comma le seguenti: anche in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria».

«Al primo comma aggiungere il seguente:

«Sempre che sia possibile e nelle forme e limiti stabiliti dalla legge, la retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili».

Onorevole Puoti, li mantiene?

Puoti. Ritiro il primo e mantengo il secondo.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Bibolotti e Bitossi:

«Al primo comma aggiungere il seguente:

«Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».

Onorevole Bibolotti, lo mantiene?

Bibolotti. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Meda Luigi, Cappugi, Codacci Pisanelli e altri:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Lo Stato riconosce e garantisce ai lavoratori il diritto al riposo festivo».

Onorevole Meda, lo mantiene?

Meda. Pur non essendo convinto dei chiarimenti dati dall'onorevole Ghidini, non insisto.

Presidente Terracini. Passiamo alla votazione dell'articolo 32. Pongo in votazione la prima parte dell'articolo:

«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro».

(È approvata).

Passiamo alla votazione dell'emendamento Cappugi, Pastore Giulio e Morelli Luigi:

«Al primo comma, dopo la parola: lavoro, inserire le parole: capace di coprire gli oneri previdenziali ed assistenziali».

Corbino. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Corbino. Dichiaro che voterò contro questo emendamento perché penso che gli oneri della previdenza ed assistenza debbano essere interamente affrontati dallo Stato con le imposte normali.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Giustissimo.

Morelli Luigi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Morelli Luigi. Non insisto nell'emendamento Cappugi di cui sono firmatario.

Presidente Terracini. Pongo allora in votazione la prima parte del primo comma dell'articolo nel testo della Commissione:

«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro».

(È approvata).

Passiamo alla seconda parte del comma:

«ed in ogni caso adeguata alle necessità di un'esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia».

Su questa seconda parte del primo comma è stato presentato dagli onorevoli Persico, Cairo, Tremelloni, Caporali, il seguente emendamento:

«Al primo comma, alle parole: e in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e la famiglia, sostituire le altre: in ogni caso adeguata alle necessità personali e familiari».

Persico. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Vuol dichiarare pure come voterà per il suo emendamento? (Si ride).

Persico. Non posso più svolgere l'emendamento e non intendo svolgerlo, ma desidero dire le ragioni per le quali mi sono indotto a presentarlo.

Presidente Terracini. Questo equivale a svolgerlo e lei in questo momento non può svolgerlo. Soltanto se lo ritirasse, potrebbe motivare le ragioni del suo ritiro.

Persico. Dichiaro di ritirarlo.

Presidente Terracini. Sta bene. Pongo in votazione la seconda parte del primo comma nel testo proposto dalla Commissione:

«ed in ogni caso adeguata alle necessità di un'esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia».

(È approvata).

Vi è ora l'emendamento dell'onorevole Puoti:

«Al primo comma, aggiungere il seguente:

«Sempre che sia possibile e nelle forme e limiti stabiliti dalla legge, la retribuzione tenderà ad attuare la forma della partecipazione agli utili».

Taviani. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Taviani. Noi votiamo contro, perché riteniamo che eventualmente questo argomento debba essere affrontato in sede di articolo 43.

Perrone Capano. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Perrone Capano. Dichiaro che voterò contro per la stessa ragione esposta dall'onorevole Taviani.

Presidente Terracini. Onorevole Puoti, mantiene il suo emendamento?

Puoti. Lo ritiro, riserbandomi di ripresentarlo in sede di articolo 43.

Presidente Terracini. Sta bene. Segue ora l'emendamento aggiuntivo degli onorevoli Bibolotti e Bitossi:

«Al primo comma aggiungere il seguente:

«Il salario minimo individuale e familiare e la durata della giornata lavorativa sono stabiliti dalla legge».

Gronchi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Gronchi. A noi pare, nel merito, che il salario minimo individuale e familiare non possa essere stabilito dalla legge. Mi pare che praticamente si miri, in tal modo, a disciplinare una materia estremamente varia e diversa a seconda dei settori produttivi. È un compito contrattuale questo, che è difficile ridurre a compito legislativo.

Presidente Terracini. Onorevole Bibolotti, insiste sul suo emendamento?

Bibolotti. Insisto perché si voti l'emendamento; non si tratta, infatti, qui di stabilire oggi il minimo del salario, ma di dare una norma al legislatore di domani perché sia sempre garantito ai lavoratori questo minimo. (Commenti).

Oggi già i contratti collettivi stabiliscono in modo differente questi minimi: si tratta, di proteggere il bambino e la donna, sopratutto, che non sempre sono protetti dai contratti collettivi. Bisogna che la legge provveda. È un'affermazione di carattere sociale. Mi pare che anche secondo la vostra dottrina sociale, onorevole Gronchi, questo concetto possa essere affermato nella Costituzione.

Gronchi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Gronchi. Trovo che se si tratta di stabilire una linea di principio, il primo comma è sufficientemente largo per comprendere anche questo, perché dice: «...una retribuzione proporzionata alla quantità è qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di un'esistenza libera e dignitosa».

Osservo, peraltro, che volendo introdurre nella Costituzione dei concetti prevalentemente particolari, ne snaturiamo il carattere che deve essere normativo. Non vi è contrarietà da parte nostra; ma riteniamo superfluo l'emendamento.

Bibolotti. Chiedo che l'emendamento sia votato per divisione.

Presidente Terracini. Sta bene. Pongo in votazione la seguente proposizione:

«Il salario minimo individuale e familiare è stabilito dalla legge».

Gronchi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Gronchi. Preferiamo astenerci, perché noi non possiamo votare contro un concetto che è anche nostro.

(Non è approvata).

Presidente Terracini. Pongo in votazione la seconda proposizione:

«La durata della giornata lavorativa è stabilita dalla legge».

(È approvata).

Presidente Terracini. Passiamo alla votazione del secondo comma dell'articolo 32: «Il lavoratore ha diritto non rinunciabile al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite».

Colitto. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Colitto. Mi sono riservato di chiedere la votazione per divisione, non perché il diritto alle ferie sia da me ritenuto un diritto cui si possa rinunciare, ma perché, essendosi approvato il primo comma, in cui si parla di diritto alla retribuzione, senza che lo si sia qualificato «non rinunziabile», potrebbe sorgere il dubbio che il diritto al riposo ed alle ferie non sia rinunciabile e, per esempio, il diritto ad un eventuale aumento di salario sia rinunciabile.

Presidente Terracini. Pongo in votazione il comma senza l'inciso: «non rinunciabile»:

«Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite».

(È approvato).

Pongo in votazione l'inciso:

«non rinunciabile».

(È approvato).

L'articolo 52 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia.

«La durata della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

«Il lavoratore ha diritto non rinunciabile al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti