[Il 12 ottobre 1946 la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul diritto di associazione e sull'ordinamento sindacale.]

Giua, dopo aver ricordato che nella riunione precedente sostenne la opportunità di demandare la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro alla Confederazione generale del lavoro, dichiara di aver modificato il suo punto di vista e di ritenere più idoneo allo scopo il Consiglio nazionale del lavoro, di cui vede proposta la creazione e il riconoscimento giuridico, negli articoli 5 del progetto Di Vittorio e 4 del progetto Rapelli.

Soggiunge che non si tratterebbe, in fondo, di una innovazione, ma di ridare vita ad un organismo che preesisteva al fascismo e che assumerebbe il carattere di organo statale riconosciuto, con funzioni giuridiche. Esso potrebbe altresì nominare delle Commissioni prendendo dai sindacati liberi quei rappresentanti che formerebbero il collegio giudicante. La sua proposta trova giustificazione anche nel fatto che la stipulazione dei contratti collettivi non potrebbe essere demandata ai sindacati riconosciuti — come vorrebbe l'onorevole Di Vittorio — senza correre il rischio di ingenerare confusione e contrasti di interessi, data la molteplicità dei sindacati stessi.

Molè obietta che prima di affidare funzioni di una tale delicatezza ad un organo bisognerebbe sapere come è costituito e che cosa rappresenta.

Rapelli, Correlatore, aderisce alla proposta dell'onorevole Giua, che non trova contrastante con quella che personalmente ha fatto di lasciare alla legge il compito di disciplinare la formazione delle rappresentanze unitarie e delle varie categorie professionali e dettare le norme per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro aventi efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie stesse.

Il Consiglio nazionale del lavoro e i Consigli locali del lavoro (provinciali se si mantiene la provincia, regionali in caso contrario) potrebbero agevolmente assumere la rappresentanza unitaria delle categorie professionali. Il punto fondamentale, e che presenta maggiori difficoltà, è quello della composizione e quindi della proporzione tra le varie categorie professionali. Nota, in proposito, che secondo il sistema corporativo fascista, gli organi sindacali erano costituiti col criterio della pariteticità — tanti datori di lavoro e tanti lavoratori — mentre attualmente si sostiene il criterio della prevalenza nella rappresentanza dei lavoratori.

Colitto, riportandosi alle sue dichiarazioni della seduta precedente, torna a rilevare che, a suo avviso, la Costituzione deve affermare il principio della libertà sindacale, allontanandosi così dalla opinione di quegli organizzatori e studiosi, che tendono, invece, ad una forma di sindacato obbligatorio o ad iscrizione obbligatoria, inteso come servizio pubblico di carattere generale. A questo ordine di idee si ispira la prima parte dell'articolo che ha proposto: «L'associazione professionale è libera». La formula è così lata che ben può, attraverso ad essa, dirsi riconosciuto il diritto di appartenere ad organizzazioni sindacali a tutti i lavoratori, anche se dipendenti dallo Stato e dagli altri enti pubblici, innovandosi così al sistema in vigore nel passato regime.

Volendo, del resto, la Costituzione potrebbe affermare tale diritto esplicitamente, aggiungendo al primo comma proposto le seguenti parole: «È riconosciuto a tutti i lavoratori, anche se dipendenti dallo Stato e dagli altri enti pubblici, il diritto di appartenere ad organizzazioni sindacali». Aggiunge che, affermato il principio della libertà sindacale, la Costituente può affrontare e risolvere i problemi che in materia di solito vengono formulati, o rimandarne la soluzione alla legislazione. Si tratterebbe, come è noto:

a) di definire i rapporti tra le associazioni professionali ed i partiti politici, riconoscendo o meno che esse agiscono in posizione di indipendenza di fronte a questi, per quanto la realtà ammonisca che, nonostante ogni sforzo, l'indesiderata interferenza di natura politica, tenuta fuori ufficialmente dalla porta, trova sempre modo di rientrare dalla finestra;

b) di precisare i rapporti tra le associazioni professionali e lo Stato, ritenendosi da alcuni necessario il riconoscimento giuridico di tali associazioni, data la necessità che sia data esecutività obbligatoria alle convenzioni collettive e che le associazioni nominino direttamente i propri rappresentanti negli istituti e negli enti che interessano i lavoratori in quanto tali e vedendosi da parte delle associazioni padronali nel riconoscimento stesso un controllo ed un freno all'attività sindacale operaia e da altri considerandosi inutile o, peggio, dannoso, temendosi, con una eccessiva inframmettenza dello Stato, limitazioni della libertà delle organizzazioni sindacali ed il soffocamento del dinamismo proprio di una libera e naturale associazione dal meccanicismo di una inevitabile burocrazia;

c) di fissare il criterio da adottarsi per il riconoscimento giuridico delle associazioni professionali, introducendosi o meno nella vita sindacale la formula «pluralità nell'unità»;

d) di precisare a quale associazione dovrebbe essere riconosciuta la potestà di stipulare contratti collettivi ed il campo di efficacia di questi nel tempo, nello spazio e relativamente alle persone;

e) di indicare chi sia competente ad emanare regolamenti collettivi nel caso in cui manchino associazioni professionali rappresentative;

f) di stabilire se i contributi sindacali debbano essere obbligatori o volontari od in parte obbligatori ed in parte volontari;

g) di regolare l'intervento dello Stato nel campo del lavoro, auspicandosi da molti la fusione degli attuali ispettorati del lavoro e uffici del lavoro in un nuovo organo, il cui compito principale dovrebbe essere quello di far applicare la legislazione del lavoro, senza mai entrare nel campo propriamente sindacale.

Personalmente ritiene opportuno lasciare alla legislazione la soluzione di tali problemi, e rileva che la proposta Rapelli ne risolverebbe qualcuno e lascerebbe del tutto insoluti gli altri. Perciò suggerisce la formula: «La legislazione determinerà i poteri della associazione professionale», che è tale, a suo avviso, da comprendere esplicitamente ed implicitamente le questioni di cui ha fatto cenno.

Considera altresì opportuno che sia precisato fin da ora il campo di efficacia giuridica delle contrattazioni collettive. Di qui l'ultima parte del suo articolo.

Non comprende come si possa demandare al Consiglio nazionale del lavoro la formazione di contratti di lavoro, perché il contratto collettivo presuppone l'esistenza di due parti in contrasto e non sarebbe più un contratto, quando venisse fuori da un collegio.

Giua obietta che nel Consiglio nazionale del lavoro sono i rappresentanti delle due parti, e comunque l'importante è che il contratto collettivo abbia valore di legge.

Colitto replica che il contratto collettivo ha una configurazione tecnico-giuridica precisa, per cui non può essere fatto da un collegio, il quale potrebbe, se mai, emanare delle norme.

Pesenti concorda con l'onorevole Colitto che, mentre il contratto collettivo è il risultato di un accordo fra due parti in contrasto, il deliberato del Consiglio nazionale del lavoro — organo al di sopra delle parti — avrebbe il carattere di norma giuridica.

Molè dissente, ritenendo che conservi la natura di contratto per la sua origine e la materia che disciplina. Conviene altresì con l'onorevole Giua che la cosa che più interessa è che abbia valore nei confronti di tutti.

Giua precisa che, il fatto stesso che si è usata la denominazione «contratto collettivo», sta ad indicare che in fondo non si ha un contratto vero e proprio, nel senso di accordo fra le parti, ma una norma giuridica obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie interessate. Ripete che, d'altro canto, nulla vieta che il Consiglio nazionale del lavoro nomini, per la stipula, delle Commissioni paritetiche con l'inclusione del rappresentante del Governo.

Colitto richiama l'attenzione dell'onorevole Giua sul fatto che la differenza tra contratto individuale e contratto collettivo è nell'oggetto, in quanto il primo regola un rapporto in atto e il secondo un rapporto futuro se ed in quanto avrà vita. Insiste che è inconcepibile che si possa parlare di contratto collettivo senza l'esistenza di due parti contrapposte e nel Consiglio nazionale del lavoro vi possono essere i rappresentanti di due categorie contrapposte, ma non due parti. Cita l'esempio della magistratura del lavoro, in cui si hanno i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori unitamente ad un magistrato di carriera e la magistratura dà vita collegialmente ad un pronunziato che potrà avere tutte le denominazioni possibili, ma non quella di contratto.

Rileva altresì che, quando si dice che il contratto collettivo ha valore di norma giuridica, si afferma una cosa esatta, ma non si dice niente di nuovo. Infatti anche il contratto individuale è una norma giuridica, considerato che tale espressione significa regola di condotta.

Giua pone in rilievo che la sua proposta si fonda sulla preoccupazione che possa nascere confusione, una volta ammesso il sindacato plurimo, circa la competenza di un sindacato piuttosto che un altro a stipulare il contratto collettivo.

Colitto in proposito rileva che secondo alcuni la competenza sarebbe delle associazioni più numerose, secondo altri sempre delle associazioni più numerose con rappresentanza delle minoranze, mentre altri ancora pongono il quesito se le associazioni più numerose debbano essere tenute presenti in limine, oppure ogni volta che si stipulano i contratti collettivi.

Comunque, a suo avviso, è questa una materia la cui regolamentazione potrà essere riservata alle leggi e, per quel che riguarda la Costituzione, è sufficiente l'affermazione che alla legislazione ordinaria è demandato di precisare i compiti e i poteri (che non sono soltanto quello della stipulazione dei contratti collettivi, ma anche fiscali, di collocamento, ecc.) delle associazioni professionali.

Pesenti riafferma che non si può dare ad un organismo statale il compito di fare contratti collettivi, senza snaturarli.

Il Presidente Ghidini si associa. Perché fosse conservata la natura contrattuale, occorrerebbe che il Consiglio nazionale del lavoro fosse composto soltanto da rappresentanze paritetiche delle due parti, senza alcun elemento estraneo. In ogni altra ipotesi, non di un contratto si dovrebbe parlare, ma di una legge.

Molè rileva che il problema non è di forma, ma di sostanza.

Ammessa la rappresentanza paritetica nel Consiglio nazionale del lavoro, la decisione sarebbe nelle mani del rappresentante del Governo, il quale solo potrebbe fare maggioranza. Quindi l'intervento di un organo dello Stato sarebbe decisivo. Ora si tratta di vedere se si vuol la libertà sindacale vera e propria o se si preferisce l'intervento statale.

Fanfani invita a tener presente che si è concordata l'introduzione nella Costituzione di una norma nella quale si consacra il diritto di libera associazione sindacale. Questa libertà sarebbe soltanto teorica se nella funzione sindacale più importante si ammettesse la sovrapposizione di un intervento statale.

Giua pensa che il Consiglio nazionale del lavoro dovrebbe essere istituito soprattutto in previsione della nazionalizzazione dei grandi complessi industriali. Si domanda come si regolerebbero, ad esempio, i rapporti del lavoro con i chimici della Montecatini se questa venisse nazionalizzata. Lo Stato potrebbe intervenire o no?

Colitto osserva che lo Stato può intervenire sempre che vuole, in materia di lavoro, mediante le leggi. Questo però non significa che debba normalmente intervenire nella stipulazione dei contratti di lavoro.

Pesenti precisa che nella ipotesi prospettata dall'onorevole Giua il contratto collettivo di lavoro verrebbe stipulato dal Consiglio di amministrazione della Montecatini, ancorché nazionalizzata; a meno che per nazionalizzazione non si intenda una vera e propria statizzazione sul tipo delle aziende dei monopoli di Stato. La funzione del Consiglio nazionale potrebbe rimanere quella di intervenire come prima istanza, in caso di controversie, restando in ogni caso aperto — trattandosi di diritti soggettivi — l'adito alla magistratura.

Rapelli, Correlatore, esprime l'avviso che, ammettendo l'intervento del Consiglio nazionale del lavoro nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, si ottenga il duplice vantaggio di una sede certa per le contrattazioni e della rappresentanza unitaria e legale delle varie categorie professionali. Si tratta di scegliere fra libertà sindacale assoluta e sindacato unico riconosciuto. La libertà sindacale ha i suoi svantaggi. Ad esempio, potrebbero verificarsi situazioni secessionistiche in seno ai sindacati; una agitazione fallita potrebbe determinare l'esodo in massa degli iscritti da un sindacato ad un altro. Quando vi sia invece un organo legale e permanente che sovrintenda alle discussioni fra le parti e legittimi il contratto stipulato, la cosa è diversa. Il contratto intanto diverrebbe norma inderogabile.

Canevari dubita che la discussione possa divenire più aderente alla realtà e dare risultati concreti finché non si abbiano idee chiare sui sindacati.

Ricorda che nella riunione precedente si affermò il principio della libertà di associazione professionale e quindi — venutosi a parlare del contratto collettivo — espresse il suo personale avviso che esso, per poter avere efficacia vincolativa erga omnes, dovesse essere stipulato da un sindacato unico, in rappresentanza degli interessi di una determinata categoria, e dai rappresentanti dei datori di lavoro.

Passando alla proposta in esame, dichiara di concordare sulla opportunità di ricostruire il Consiglio nazionale del lavoro e, ricordandone il funzionamento passato, sottolinea il fatto che in esso non erano rappresentati i sindacati di scarsa importanza, ma solo quelli inquadrati nella Confederazione generale del lavoro. Ricostruendo tale Consiglio gli si dovrebbe affidare non soltanto il compito di legiferare o di fare proposte di legge in materia sociale, ma anche di discutere i problemi del lavoro e stipulare i contratti collettivi. Sarebbe altresì l'organo più idoneo per il riconoscimento dei sindacati qualificati per la rappresentanza di determinate categorie. Le sue decisioni dovrebbero essere bene accette e riconosciute da tutti, in quanto emesse da un organismo composto dalla rappresentanza proporzionale dei lavoratori e dei datori di lavoro e al di sopra di ogni tendenza politica. Per queste considerazioni e per la premessa che, al fine di non rompere la tanto auspicata e finalmente raggiunta unità sindacale, è da caldeggiare il riconoscimento del sindacato unico e libero, propone i seguenti due articoli:

«Art. 1. — L'associazione per la tutela degli interessi economici, professionali e sindacali, è libera».

«Art. 2. — La legge provvederà al riconoscimento dei sindacati professionali, ai quali è attribuito il compito di stipulare contratti collettivi di lavoro, aventi efficacia giuridica per tutti gli appartenenti alla categoria, alla quale ogni contratto si riferisce.

«Per legge sarà costituito il Consiglio nazionale del lavoro, nel quale saranno proporzionalmente rappresentate, con il Governo, le forze produttive della Nazione, per la regolamentazione dei sindacati professionali, il loro riconoscimento, l'eventuale stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, la elaborazione della legislazione sociale adeguata ai bisogni del lavoratori, nell'interesse generale, e la sua applicazione».

Il Presidente Ghidini nota che la parola «eventuale» non indica con chiarezza in quali casi sarebbe demandata al Consiglio Nazionale la regolamentazione delle condizioni di lavoro. Forse l'onorevole Canevari vorrebbe che si lasciasse in un primo momento libertà ai sindacati di contrattare tra di loro, ma in tal caso occorrerebbe specificare, ad evitare conflitti di competenza, quando si verifica l'eventualità dell'intervento del Consiglio.

Giua considera il capoverso del secondo articolo dell'onorevole Canevari una formulazione peggiorata dell'articolo 5 dell'onorevole Di Vittorio, che legge:

«Ai sindacati professionali è riconosciuto il diritto di contribuire direttamente alla elaborazione di una legislazione sociale adeguata ai bisogni dei lavoratori — e a controllarne l'applicazione — mediante la costituzione di un Consiglio nazionale del lavoro nel quale siano rappresentate, con il Governo, tutte le forze produttrici della Nazione, in misura che tenga conto dell'efficienza numerica di ciascuna di esse».

Il Presidente Ghidini dà lettura di una sua formulazione nella quale ha tentato di tenere conto delle diverse tendenze:

«Il diritto di libera associazione sindacale è garantito.

«Alle associazioni sindacali, democraticamente organizzate, senza distinzioni che escludano frazioni delle categorie interessate, sono riconosciute, a norma di legge, funzioni di rappresentanza di categorie. I contratti di lavoro da esse stipulati nei modi stabiliti dalla legge hanno efficacia vincolante generale (o, per tutti gli appartenenti alla categoria)».

Canevari obietta che così tutti i sindacati che includessero nel loro statuto alcune belle frasi alludenti a principî democratici potrebbero avere il riconoscimento. Viceversa sarebbe da auspicare il riconoscimento di un sindacato solo per ogni categoria che, oltre ad essere democraticamente costituito, rappresenti la grande maggioranza degli interessati e su ciò basi il potere vincolante delle sue decisioni.

Il Presidente Ghidini domanda all'onorevole Canevari se non ha niente in contrario a modificare la sua formula in maniera da conferire un carattere di accessorietà e non di eventualità all'intervento del Consiglio nazionale del lavoro. In altri termini, ove le parti non riescano a mettersi d'accordo, interviene questo organismo che è al disopra di esse.

Canevari rileva che questo appunto si proponeva di stabilire e la formula che ha improvvisato non ha pienamente risposto alle sue intenzioni. Chiarisce altresì che affermando che il Consiglio nazionale del lavoro provvede alla elaborazione della legislazione, non ha inteso escludere il diritto dei sindacati di contribuire direttamente in quest'opera; ma solo che le norme di carattere sociale, anche se d'iniziativa dei sindacati professionali, dovrebbero passare per il tramite del Consiglio.

Il Presidente Ghidini informa che il capoverso dell'articolo 2 dell'onorevole Canevari potrebbe essere modificato nel modo seguente:

«Per legge sarà costituito il Consiglio nazionale del lavoro, nel quale saranno proporzionalmente rappresentate col Governo le forze produttive della Nazione per la elaborazione della legislazione sociale, per la regolamentazione dei sindacati professionali, il loro riconoscimento e la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro nei casi di mancato accordo fra le rappresentanze delle categorie interessate».

Pesenti non trova di suo gradimento l'espressione «la elaborazione della legislazione sociale» per il suo carattere esclusivo. Preferirebbe si parlasse di «contributo alla elaborazione».

Canevari suggerisce la formula: «per collaborare alla formazione della legislazione sociale».

Fanfani osserva che qui il Consiglio nazionale del lavoro verrebbe nominato per la prima volta. Della questione non si è parlato prima d'ora, e data la vastità del problema, potrebbero determinarsi lacune considerevoli. Per esempio, si dovrebbe esaminare anche l'opportunità di costituire dei Consigli economici generali per il controllo di tutta l'attività economica delle associazioni professionali.

Colitto ritiene che non possano essere approvati gli articoli proposti dall'onorevole Canevari. Quanto al primo basta, a suo avviso, affermare che l'associazione professionale è libera; non è necessario aggiungere «per la tutela degli interessi economici professionali e sindacali», perché, a parte la chiara tautologia, è evidente che ogni associazione professionale sorge costituzionalmente con fini di tutela degli interessi professionali, e quindi, anche economici, degli associati. Ciò vale anche per il 1° comma dell'articolo proposto dall'onorevole Ghidini.

Quanto al secondo articolo, osserva anzitutto che non è la legge che può provvedere al riconoscimento giuridico dei sindacati; la legge può solo stabilire le condizioni, concorrendo le quali, un'associazione professionale può essere riconosciuta. Leggendolo poi si riporta l'impressione che i sindacati professionali legalmente riconosciuti abbiano il solo compito di stipulare contratti collettivi. È anche erroneo parlare di contratti che si riferiscono ad una categoria, riferendosi essi sempre a due o più categorie. Non ritiene neanche che si possa parlare di Consiglio nazionale del lavoro avente funzioni legislative, sia pure solo in materia di lavoro, perché con ciò si verrebbe ad attuare un sistema tricamerale. Non si oppone a che si crei un Consiglio nazionale del lavoro col compito di preparare o gettare le basi — intendendosi così la parola «elaborazione» — della legislazione sociale.

Considera altresì errato parlare di stipulazione di contratti collettivi di lavoro da parte di un collegio: ove manchi l'accordo, non può la materia essere disciplinata che da una legge.

Infine, mentre non comprende quale particolare concetto voglia affermare il Presidente con le parole «democraticamente organizzate», riferite alle associazioni sindacali, rileva che, secondo la sua dizione, tutte le associazioni professionali dovrebbero essere giuridicamente riconosciute, laddove il legislatore potrebbe stabilire diversamente.

Pesenti, rilevato che sul principio generale del diritto di associazione tutti sono d'accordo, per quel che riguarda la sua attuazione disapprova la concisione della formula Colitto; meglio è abbondare, parlando anche di interessi economici.

Per quanto attiene al riconoscimento, preferisce la dizione Di Vittorio, che è più ampia e rende possibile il riconoscimento di molti sindacati, oltre ad affermare giustamente che la legge ne fisserà le condizioni. Infatti la legge non riconosce, ma può fissare le condizioni per il riconoscimento, che è un atto amministrativo.

Conviene con l'onorevole Colitto sulla opportunità di usare una formula con la quale non si dia l'impressione di voler fare del Consiglio nazionale del lavoro un organo legislativo. Conviene altresì sulla obiezione che un contratto collettivo che fosse imposto da un organo dello Stato non sarebbe più tale, ma diventerebbe un arbitrato o qualcosa del genere. Pertanto suggerirebbe di usare un'espressione che suoni press'a poco così: «concorrerà alla formulazione della legislazione sociale».

Rapelli, Correlatore, insite sull'importanza di stabilire in via preliminare chi ha il diritto della rappresentanza unitaria della categoria; in altri termini, chi ha il diritto di firmare. È una specie di verifica dei poteri, di fronte a contratti collettivi firmati da rappresentanti non autorizzati a farlo.

Pesenti domanda se per le associazioni il riconoscimento voglia significare potere di stipulare contratti collettivi. Ha infatti l'impressione che, secondo alcuni colleghi, il riconoscimento potrebbe essere concesso ad una pluralità di sindacati, ma la possibilità di stipulare contratti collettivi soltanto ad alcuni.

Rapelli, Correlatore, precisa che se tutte le associazioni fossero abilitate a stipulare contratti collettivi, non si potrebbe a questi riconoscere un potere vincolante nei riguardi di tutta la categoria. Bisogna dunque che un solo ente abbia la rappresentanza unitaria di una pluralità di organizzazioni sindacali. All'uopo ritiene accettabile la formula Canevari.

Colitto osserva che la necessità di creare una rappresentanza — sulla quale concorda — non è soddisfatta dalla formula in esame, che non indica come tale rappresentanza dovrebbe costituirsi. Dovrà perciò essere sempre la legge a stabilirlo.

Giua insiste sul suo punto di vista. Pur convenendo che la Costituzione debba sancire soltanto i principî generali, ritiene che non debba tuttavia cadere nell'astrazione. Pertanto, per risolvere il problema, una volta ammesso il sindacato plurimo, bisogna accedere alla creazione di un organo al di sopra delle parti, che abbia il potere di stipulare, magari in seconda istanza, i contratti collettivi.

Il Presidente Ghidini replica che in tal caso non dovrebbe più parlarsi di contratto e occorrerebbe precisare il carattere di accessorietà di un tale potere. A suo avviso sarebbe preferibile dire che spetta al Consiglio nazionale del lavoro di stabilire le norme regolatrici delle condizioni di lavoro, e alle categorie interessate di stipulare fra loro i contratti collettivi.

Pesenti osserva che se si adottasse la formula Rapelli occorrerebbe precisare che la legge determina le rappresentanze unitarie delle categorie solo allo scopo della stipulazione dei contratti collettivi.

Il Presidente Ghidini rileva che ormai le idee sono abbastanza chiare e non resta che trovare una dizione che risponda alle esigenze prospettate, salvo a pronunciarsi sulla proposta dell'onorevole Giua di rimettere in via accessoria al Consiglio nazionale del lavoro la stipulazione dei contratti collettivi.

Rinvia quindi il seguito dei lavori alle ore 17 di lunedì 14 ottobre.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti