[Il 13 maggio 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».]

Presidente Terracini. [...] Passiamo all'esame dell'articolo 37:

«Ogni attività economica privata o pubblica deve tendere a provvedere i mezzi necessari ai bisogni individuali ed al benessere collettivo.

«La legge determina le norme ed i controlli necessari perché le attività economiche possano essere armonizzate e coordinate a fini sociali».

L'onorevole Gabrieli ha già svolto la sua proposta di sopprimere l'articolo.

L'onorevole Cortese, che ha pure proposto la soppressione dell'articolo 37, non è presente. S'intende quindi che abbia rinunciato a svolgere il suo emendamento.

Un emendamento soppressivo dell'intero articolo è stato pure presentato dagli onorevoli Marina, Colitto, Rodinò Mario e Puoti.

L'onorevole Colitto, secondo firmatario dell'emendamento, ha facoltà di svolgerlo.

Colitto. Noi abbiamo chiesto, onorevoli colleghi, la soppressione dell'articolo 37 del progetto e insistiamo su questa nostra proposta.

L'articolo 37 è composto di due commi.

Il primo di essi dispone:

«Ogni attività economica privata o pubblica deve tendere a provvedere i mezzi necessari ai bisogni individuali ed al benessere collettivo».

Tale affermazione sembra a noi del tutto pleonastica. Si parla in questo comma di attività privata e di attività pubblica. Ora, l'attività privata trova la sua precisa disciplina nel successivo articolo 39, in cui si parla appunto dell'iniziativa economica privata, nei confronti della quale si afferma non soltanto che è libera, ma anche che non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale. È fissato, quindi, secondo il nostro avviso, con molta precisione, il binario entro il quale l'attività privata è libera di muoversi. Non ci sembra, perciò, che vi sia altro da aggiungere. Qualunque cosa si aggiungesse, non gioverebbe — secondo noi — né alla forma, né alla sostanza. Non alla forma, perché in un articolo si parlerebbe di attività economica privata e nell'altro di iniziativa economica privata. Mi rendo conto che l'iniziativa è, per così dire, la volontà di fare, e la attività è la realizzazione di tale volontà. Ma non è opportuno, a mio avviso, in un testo costituzionale chiaro, semplice, preciso, parlare indifferentemente or dell'una or dell'altra cosa. Non alla sostanza, perché, ove si legga il primo comma dell'articolo 37, si riporta l'impressione che l'attività privata, dovendo muoversi in una determinata precisa direzione, non goda più della libertà, ed ove si legga l'articolo 39, si riporta l'impressione che quella volontà di fare, di cui ho parlato, possa realizzarsi liberamente senza tener conto del binario da noi indicato.

Quanto poi all'attività pubblica, è appena il caso di osservare essere evidentissimo che essa non può mai essere contraria all'interesse pubblico. È del tutto inutile, quindi, a nostro avviso, consacrare ciò in tavole statutarie. Non è nel desiderio di nessuno di fare di questa nostra Costituzione anche una discreta e poco simpatica collezione di formulazioni inutili. Ieri l'altro abbiamo approvato che l'arte e la scienza sono libere e ieri che l'assistenza privata è libera: non credo che sia proprio il caso di aggiungere che l'attività pubblica deve tendere all'interesse collettivo.

Il secondo comma dispone: «La legge determina le norme ed i controlli necessari, perché le attività economiche possano essere armonizzate e coordinate a fini sociali».

Si pone anche qui, con accenno molto discreto, senza una formale qualifica, il problema della pianificazione. In sede di terza Sottocommissione, l'onorevole Fanfani si espresse così a questo proposito: «È una novità della nostra Costituzione stabilire la creazione di un organo, che coordini le attività economiche, che pianifichi o programmizzi le attività economiche».

Ora, in proposito, a noi pare che l'Assemblea si sia già pronunciata, disapprovando l'emendamento proposto all'articolo 31, in cui si parlava appunto di intervento dello Stato diretto a coordinare, dirigere, armonizzare, orientare le attività economiche a fini sociali.

In quella occasione l'Assemblea disse di no, forse perché pensò che è molto difficile mantenere un controllo dell'attività economica negli schemi dell'attività politica.

Nessuna ragione vi è ora per essere di contrario avviso.

Insistiamo perciò per la soppressione dell'articolo.

Presidente Terracini. L'onorevole Mortati ha presentato un emendamento che propone di fondere l'articolo 37 nell'articolo 39, con la seguente dizione:

«L'iniziativa economica privata è libera.

«La legge pone le norme necessarie perché le attività economiche siano coordinate a fini sociali, non rechino danno alla sicurezza, alla libertà, a la dignità umana, né contrastino altrimenti con l'utilità comune».

L'onorevole Mortati ha facoltà di svolgere il suo emendamento:

Mortati. Quanto ha detto il collega che mi ha preceduto mi esime da troppe illustrazioni della prima parte del mio emendamento. Mi pare che si possa essere d'accordo nel chiedere che sia soppresso il primo comma dell'articolo 37, perché, per quanto riguarda l'attività pubblica, esso è evidentemente tautologico. Per l'attività privata poi è chiaro che l'unica ragion d'essere dell'articolo sta nell'attribuzione che esso vuol fare dal carattere funzionale della medesima, carattere che è messo bene in rilievo dagli articoli che seguono. Quindi non mi pare possa sorgere dubbio sulla necessità di questa soppressione.

Non sono d'accordo invece con l'onorevole Colitto per quanto riguarda la soppressione del secondo comma. Mi pare che il secondo comma debba essere conservato e coordinato con l'articolo 39. I due articoli hanno in comune l'obiettivo, che è quello di armonizzare l'attività economica privata con i fini pubblici. La differenza fra i due articoli è questa: mentre l'articolo 39 ha per oggetto un fine negativo, cioè impedire che l'attività economica privata possa recare danno all'utile pubblico, viceversa l'articolo 37 — secondo comma — ha per scopo di promuovere il coordinamento dell'attività privata con i fini pubblici: quindi ha una finalità positiva. A me pare che questo intervento dello Stato, onde coordinare l'attività economica verso un fine unitario, nella situazione attuale dell'economia non sia eliminabile. Esso è già in atto oggi, e non si può pensare che una Costituzione interventista in tantissimi campi dell'attività privata, come quella che risulta dalle disposizioni già approvate, possa prescindere dai controlli e dagli interventi a fini positivi di coordinamento, quali sono previsti dall'articolo in esame. Al fine però della semplificazione e della riduzione del numero degli articoli appare opportuno fonderlo con l'articolo 39. Per quanto riguarda la dizione da me proposta faccio osservare che la soppressione della parola «controlli» che si legge nel testo del progetto è stata effettuata non perché pensi che controlli non debbano esserci ma perché penso che il riferimento alle norme comprende tutti i vari provvedimenti (piani, programmi, controlli) che formano il contenuto possibile delle medesime. Mi pare che non sia il caso di limitare questo contenuto in via preventiva, e che sia meglio lasciare indeterminate tutte le possibili forme d'intervento a questo fine della coordinazione. Ho poi soppresso la parola «armonizzate», perché quando si dice «coordinate», si esprime lo stesso concetto ed essa appare quindi una ripetizione inutile. Insisto pertanto nell'accoglimento della mia proposta di emendamento.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Arata, Piemonte, Preti, Carboni, Persico, Segala, Cairo, Momigliano, Lami Starnuti, Ruggiero Carlo, Longhena, Fietta e Pignatari hanno presentato il seguente emendamento:

«Coordinare gli articoli 37 e 39 come segue:

«Trasferire il testo dell'articolo 39 nell'articolo 37, in sostituzione della sua prima parte, che rimane pertanto soppressa.

«Modificare, come segue, la seconda parte dell'articolo 37, la cui dizione completa viene ad essere la seguente:

«L'iniziativa economica privata è libera.

«Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

«La legge stabilisce le norme, i controlli e i piani opportuni perché le attività economiche pubbliche e private siano dirette e coordinate a fini di utilità sociale».

L'onorevole Arata ha facoltà di svolgerlo.

Arata. Onorevoli colleghi, l'emendamento che ho l'onore di svolgere ha un primo fine comune con altri emendamenti: con quello ad esempio svolto dall'onorevole Mortati, il quale pure, in primo luogo, mira a sopprimere l'articolo 37. Come ha anche osservato l'oratore che mi ha preceduto, questo testo nel suo palese andamento tanto logico dà l'impressione di correr dietro alla propria coda. Esso, infatti, afferma che l'impiego di ogni attività economica, pubblica o privata, deve tendere a provvedere i mezzi necessari ai bisogni individuali ed al benessere collettivo. Dire questo è come dire che ogni attività economica deve essere economica, perché il contenuto finale e fondamentale dell'economia è appunto quello di provvedere ai bisogni individuali ed a procurare il benessere collettivo.

Chiediamo anche noi la fusione dell'articolo 39 con la seconda parte dell'articolo 37. L'articolo 39 vuole regolare l'iniziativa economica privata e stabilisce norme che suonano un poco come altrettante obbligazioni di non fare. La seconda parte dell'articolo 37 riguarda l'attività economica in genere.

E allora è evidente che l'ambito contrattuale più largo della seconda parte dell'articolo 37 comprende in qualche modo anche il contenuto del testo dell'articolo 39, per cui i due testi possono essere fusi in un unico ambito giuridico, il che costituisce un vantaggio per la semplicità, o come diciamo noi avvocati, per l'economia della materia.

Vi è poi una terza modificazione importante che noi chiediamo di introdurre nel progetto, e cioè l'accenno ai piani. Noi infatti chiediamo che la legge stabilisca le norme, i controlli e i piani opportuni perché le attività economiche pubbliche e private siano dirette e coordinate a fini di utilità sociale.

Dico subito, onorevoli colleghi, che non volendo noi fare rientrare dalla finestra quello che è stato cacciato dalla porta, il che costituirebbe una sfida all'Assemblea e al buonsenso, siamo disposti, ove ci venisse qualche suggerimento, a modificare anche qualche termine del nostro emendamento, perché, se è nostra intenzione che sia salva la sostanza, non vogliamo neppure che si crei oggi l'atmosfera nella quale è stato emesso il voto di venerdì.

Premetto a questo proposito che se vi è un ambito giuridico, sociale e politico, nel quale deve essere inibita ogni pragmatistica avventatezza di formulazione, questo è l'ambito costituzionale, e se vi è una materia nella quale deve essere eliminata ogni avventurosa leggerezza, questa è proprio la materia economico-sociale.

Assicuro l'Assemblea che questi concetti erano chiari allo spirito di coloro che hanno redatto l'emendamento che ora sto svolgendo.

Diceva l'onorevole Ghidini che una Costituzione è come un ponte lanciato verso l'avvenire: immagine verissima ed esattissima.

Ma, appunto perché è un ponte, noi siamo profondamente convinti che esso non deve essere agganciato soltanto alla sponda di arrivo, perché in tal caso occorrerebbero voli per arrivarci, sempre pericolosi fuor che in poesia, ma deve essere agganciato anche alla sponda di partenza, e cioè a criteri radicati di serietà, di realtà e di praticità.

È verità, dunque, che noi non vogliamo lanciare nessuna sfida all'Assemblea, e non vogliamo fare rientrare dalla finestra quello che è stato espulso dalla porta, ma è anche verità, onorevoli colleghi, che, secondo noi, inesattamente, certa stampa si è precipitata a conclamare che l'Assemblea, col suo voto di venerdì, aveva sdegnosamente respinto ogni principio, ogni accenno alla pianificazione; inesattamente, diciamo, perché è vero che l'Assemblea ha respinto il concetto della pianificazione quale risultava dall'emendamento Montagnana, ma è anche vero che quel voto è stato formulato con una riserva: cioè con la clausola sic rebus stantibus. E quali fossero queste res stantes ce lo hanno spiegato, coi loro discorsi, gli onorevoli Einaudi, Corbino, Belotti e Labriola. Essi hanno dato la precisa impressione di voler sì respingere la rosa della pianificazione, ma soltanto per il timore di pungersi colle spine del suo gambo. Si sono, cioè, preoccupati, a nostro avviso, non tanto di eliminare dalla Costituzione ogni accenno alla pianificazione, quanto di impedire che la Costituzione potesse ospitare di straforo un principio, che essi ritenevano inammissibile: il principio del servizio obbligatorio del lavoro.

Disse, infatti, l'onorevole Corbino: «Piani, sì, finché se ne vuole; ma si vada adagio coi piani dell'onorevole Pajetta». Ora, quei piani, che gli onorevoli oppositori ritenevano che costituissero i presupposti e i sottintesi dell'emendamento Montagnana, non figurano e non possono figurare più nel nostro emendamento; figura ed emerge soltanto il concetto della possibilità e della legittimità di determinati piani economici, a secondo delle esigenze economiche e sociali che possano prospettarsi e giustificarne la formazione.

Onorevoli colleghi, portato il tema in questa sfera concettuale, mi sembra che, a voler troppo ragionarci sopra e a voler creare contrasti di indole puramente polemica e dottrinale, si dia l'impressione di chi vada compiendo grandi sforzi per tirare su, con una carrucola, una mosca morta.

E mi sembra anche che si pecchi di poca memoria, perché l'Assemblea vorrà pur ricordare che poche ore prima del suo voto sulla cosiddetta pianificazione, aveva emesso un altro voto, concernente l'intervento dello Stato nell'industria cinematografica; voto che, a nostro parere, altro non è se non un esempio pratico di pianificazione.

È facile immaginare che si ritornerà ad opporre che ogni accenno, anche larvato, anche attenuato, alla pianificazione è inutile ed equivoco, in quanto, o si riferisce semplicemente all'intervento dello Stato nell'economia privata, con la limitata finalità di costituirne un indirizzo, un orientamento, una regola — ed in tale caso l'accenno è inutile, perché tutto questo è già nella prassi e nei metodi dell'economia capitalistica e dello Stato liberale — oppure si vuole arrivare più in là, cioè alla introduzione d'un vero socialismo di Stato entro l'economia liberale e l'attività economica privata, e cioè all'introduzione di una pianificazione integrale e centralizzata, con la sostituzione dell'imprenditore privato col burocrate di Stato — ed allora si obietta che ciò è inammissibile sia perché la sostituzione dell'impresa privata col burocrate ha costituito sempre un disastro economico, sia perché il concetto di pianificazione è un concetto irrazionale ed antitetico con la economia privata e capitalistica.

Onorevoli colleghi, io darò brevissime risposte a queste obiezioni, risposte che se non hanno la orgogliosa pretesa di persuadere persone di tanto superiori a me in questa materia, varranno almeno a dimostrare la buona fede e la sicurezza morale che ha ispirato i presentatori di questo emendamento.

Alla prima obiezione posso rispondere che lo scandalizzarsi per un accenno ad un concetto, a un metodo, ad una prassi, che hanno un legame così stretto con tutta la nostra vita economica, alla quale vogliono dare solo un orientamento, un indirizzo; lo scandalizzarsi per questo, mi pare che sia un fuor d'opera, dopo che purtroppo questa Assemblea ha già votato una serie di norme e di dichiarazioni ancora vaganti nel cielo incerto della astrattezza e del divenire, e che comunque con la Costituzione e con la materia costituzionale vera e propria non hanno, forse, neppure una lontana parentela.

Quanto invece alla obiezione più profonda e cioè che si voglia tendere ad introdurre nella nostra Costituzione un socialismo di Stato, e a sostituire l'impresa privata con una burocrazia centralizzata, e che si tenda a creare una forma integrale e massiccia di pianificazione, mi sembra che si vogliano creare dei fantasmi per prendersi il gusto di combatterli.

Mi si consenta di dire che il fatto che la nostra Costituzione consacri il principio che il regno beato del beatissimo e totalitario laisser faire è finito per sempre, mi sembra non soltanto costituzionalmente legittimo ed esatto, ma anche praticamente opportuno.

E in quanto agli altri eventuali sottintesi che dovrebbero essere alla base del nostro emendamento, voglio formalmente precisare che l'inserzione dell'accenno ai piani nel nostro emendamento non ha mai avuto e non avrà mai lo scopo di volere porre all'Assemblea una perentoria alternativa fra sistema liberale e socialista, fra iniziativa economica privata e coercizione burocratica di Stato, fra capitalismo nella sua forma pura e pianificazione integrale.

La portata del nostro emendamento ha un valore che supera questa alternativa (la quale dividerebbe, automaticamente, l'Assemblea in due settori, il che noi vogliamo evitare): esso invece vuol soltanto portare il tema sopra un piano di praticità, di realtà, di attualità e di attuabilità.

Vogliamo cioè portare il dibattito in quella sfera concettuale nella quale lo stesso Von Hayek, che da molti è rappresentato come il campione della antipianificazione, ammette delle forme parziali di pianificazione, là dove scrive, testualmente: «Una pianificazione parziale può essere razionale ove la si intenda come il prodotto di una permanente architettura giuridica, architettata in modo da fornire all'iniziativa privata gli incentivi necessari per compiere gli adattamenti richiesti da ogni variazione della vita economica e sociale».

Pertanto, e mi avvio alla fine, nessuna alternativa è posta all'Assemblea tra libertà economica e vincolismo esasperato di Stato; ma soltanto disciplina di quegli interventi od interventismi di Stato che oggi campeggiano in tutti i paesi, tanto da far dire allo stesso Von Hayek che il mondo è oggi un caos di interventismi.

Assumere quindi, onorevoli colleghi, il socialismo come lo spauracchio, o come un voluto sottinteso, contro o a favore della pianificazione, è inesatto. Ci può essere molta pianificazione e poco socialismo, come può darsi molto socialismo e poca pianificazione. Tutto consiste nel saper distinguere i fini cui si tende, ed i mezzi che sono stati proposti come necessari a raggiungere lo scopo. È sul piano dei fini (che nel socialismo sono fini etici) e dei mezzi posti alla base di ogni pianificazione, che si può stabilire un parallelo tra socialismo e pianificazione. Senza questo aspetto fondamentale, si ha soltanto un metodo, onorevoli colleghi, ed è precisamente un metodo che abbiamo voluto fissare col nostro emendamento. Un metodo che balza dalla stessa impostazione del problema fondamentale, che è uguale in tutti gli ambienti giuridici sociali, e cioè in tutte le parti del mondo odierno, e che si enuncia in questi termini: distribuire un complesso limitato di risorse tra i vari possibili impieghi, in modo che i bisogni degli individui siano soddisfatti nel miglior modo possibile. Sono i fatti, sono le esigenze nazionali ed internazionali, sono i bisogni, le privazioni, le sofferenze degli uomini e delle comunità organizzate, che hanno imposto questo metodo. Non è qui la sede per esaminare se tutto questo sia frutto della guerra o di quel tracollo della economia liberale di cui, con la sua riconosciuta e simpatica onestà scientifica, parlava l'onorevole Corbino, o forse di entrambi insieme. Certo è, onorevole Corbino, che il tracollo dell'economia liberale sovrasta come un'ombra questi nostri dibattiti sul Titolo terzo.

Può darsi che sulle rovine di questo tracollo già cominci a spuntare la nuova economia di domani, e non sarà un male se sarà la pianificazione a tenerla a battesimo.

Presidente Terracini. L'onorevole Parri ha già svolto il seguente emendamento:

«Dopo il primo comma aggiungere il seguente:

«Spetta alla Repubblica, a raggiungere questo fine pubblico, indirizzare e coordinare le attività economiche del Paese».

Sono stati così svolti tutti gli emendamenti. Avverto ora che all'emendamento dell'onorevole Arata è stato proposto dagli onorevoli Taviani, Dominedò, Moro, Ambrosini, Belotti, Cremaschi Carlo, Castelli Avolio, De Palma, Martinelli e Valenti il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: le norme, i controlli ed i piani, le altre: le norme ed i controlli; alla parola: dirette, l'altra: orientate; alle parole: a fini di utilità sociale, le altre: a fini sociali».

L'onorevole Taviani ha facoltà di svolgerlo.

Taviani. Dirò brevissime parole. Noi aderiamo all'iniziativa dell'onorevole Arata di fondere l'articolo 39 col 37, non fosse altro per l'economia del progetto, come ha proposto anche l'onorevole Mortati. Ritengo che, oltre al primo e secondo comma dell'articolo 39 debba mantenersi il secondo, che diventa terzo, dell'articolo 37, in quanto esso prospetta un'azione positiva di orientamento da parte dello Stato nei riguardi dell'economia.

Quanto allo spostamento di parole, noi siamo per la parola «orientate» che ci sembra più esplicita che non quella «dirette», che può far pensare ad una economia integralmente diretta; siamo per l'espressione «fini sociali» anziché «fini di utilità sociale», sia per evitare la ripetizione già insita nel primo comma, sia perché l'espressione «fini sociali» è più comprensiva di quella «fini di utilità sociale». Infine, circa l'inserzione della parola «piani», noi aderiamo a molte delle cose che ha detto l'onorevole Arata. Effettivamente, non è concepibile una economia orientata socialmente senza un sia pur minimo indirizzo prestabilito; evidentemente, deve esserci una visione unitaria dell'intervento dello Stato nell'economia. Ma non vediamo per quali motivi questa parola «piani» debba essere inserita nel testo costituzionale dal momento che nell'espressione «le norme e i controlli» si prevede appunto un intervento dello Stato, e non è detto che questo intervento debba essere sempre fatalmente empirico.

Presidente Terracini. Onorevole Arata, la prego di dire se accetta la proposta Taviani.

Arata. Mi riporto a quanto ho già dichiarato all'inizio. Poiché non vogliamo qui rifare la questione della pianificazione nei termini in cui è stata già fatta, svolta e decisa, e neppure creare l'atmosfera in cui fu emesso il voto, propongo un nuovo emendamento che spero potrà trovare questa volta — poiché la questione della parola «piani» dovrebbe trovare, penso, l'approvazione anche da parte del gruppo dell'onorevole Taviani — il consenso da parte di tutti.

Propongo, quindi, che si dica:

«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica privata e pubblica possa essere indirizzata e coordinata a fini di utilità sociale».

Presidente Terracini. Onorevole Taviani, è d'accordo?

Taviani. Accettiamo la proposta Arata di parlare di programmi e di controlli, per quanto io insisterei ancora sull'espressione «fini sociali», anche per evitare la ripetizione.

Presidente Terracini. Onorevole Arata, accetta la formulazione: «a fini sociali»?

Arata. Sì, accettiamo.

Presidente Terracini. L'articolo 37, coordinato con l'articolo 39, risulta, pertanto, del seguente tenore:

«L'iniziativa economica privata è libera.

«Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica, privata e pubblica, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Invito la Commissione a esprimere il suo parere.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione si è occupata dei vari emendamenti che sono stati presentati sino ad ora.

Il primo è un emendamento soppressivo. Abbiamo ascoltato l'onorevole Colitto che ha dichiarato i motivi della sua proposta. La Commissione non può accoglierla, almeno integralmente.

L'articolo 37 si divide in due commi; il primo comma aveva questo intento: di chiarire che l'attività economica pubblica non deve perdere di vista anche gli interessi privati, e che ogni attività economica privata deve tendere anche all'interesse collettivo generale. Si raggiungono, per diversa via, le stesse mete. Il comma non era veramente ozioso; e poteva presentarsi come un atrio e come una prima introduzione alle norme costituzionali, che riguardano la impresa e la proprietà. Ad ogni modo la Commissione non ha difficoltà a togliere questo comma perché non è assolutamente necessario, e potrebbe essere da taluno inteso come ovvio, pleonastico.

Il secondo comma invece è difeso dalla Commissione, che è concorde nel dargli un valore, che anche l'onorevole Colitto vorrà riconoscere. L'idea base è quella del coordinamento. È l'esigenza e l'aspirazione generale, con tanti germi di dissolvimento e discrasia nel momento che noi viviamo. Chi può negare che vi sia bisogno di coordinare le attività economiche pubbliche fra loro e quelle private con le pubbliche? Non vi possono essere a questo riguardo dubbi sopra nessun banco dell'Assemblea.

L'onorevole Corbino, qualche giorno fa, ha riconosciuto che nessuna economia può prescindere da attività dello Stato. Il comunismo puro ed il liberismo puro, sono due ipotesi e schemi astratti che non si riscontrano mai concretamente nella realtà. Si è avuto e si avrà sempre intervento dello Stato (anche nelle fasi più libere) e sfere di attività ed impresa privata (sia pure limitatissime, come in Russia). La realtà è sempre una sintesi, una risultante della vita economica e negarla è negare la vita stessa. Si possono spostare di qua e di là le linee d'incontro; ma vi saranno sempre.

Io qualche volta sono stato rimproverato di eclettismo perché ritengo appunto che il vero problema è di trovare la giusta linea di incontro fra due esigenze contrapposte.

La disposizione proposta risponde a questo concetto; e faccio notare ai pavidi d'ogni interventismo statale che è per essi una garanzia, nel senso che il coordinamento non potrà avvenire per semplice decisione o capriccio di autorità e di Governo, ma soltanto per legge.

Risorge, a proposito di questo comma, la questione dei piani. Vorrei osservare all'onorevole Colitto che quanto egli ha detto non è del tutto esatto: la votazione che avvenne qui qualche giorno fa, non ha compromesso assolutamente la questione dei piani. Vi sono state dichiarazioni esplicite di coloro che, come gli onorevoli Parri e Taviani, hanno votato contro la proposta di innestare l'idea di «piano» sopra il diritto al lavoro. È parso anche a me che questa impostazione fosse incompleta e facesse perdere al «piano» la sua generalità. È parso inoltre che l'inserimento particolare potesse prestarsi ad una diversa interpretazione, sostituendo al concetto dell'utilizzazione delle forze economiche di un paese quello di voler dare a tutti i costi del lavoro e di imporre, occorrendo, anche il lavoro obbligatorio. È stato un insieme di considerazioni che ha determinato quel voto. Però anche coloro che hanno votato contro hanno dichiarato che la questione del piano non veniva con ciò compromessa.

Veniamo alla sostanza. La parola «piano» è per alcuni un feticcio, per altri uno spauracchio. Non deve essere né l'uno né l'altro. Voler negare che vi siano nella vita economica piani è un assurdo. Leggevo questa mattina che gli incaricati della «Import-Export Bank» che vengono in Italia chieggono un piano. Questo avviene tutti i giorni.

Piano non significa soltanto piano integrale, coattivo, alla russa, che sopprima l'iniziativa privata. Nella nostra Costituzione abbiamo messo che l'iniziativa economica privata è libera. Evidentemente un piano che sopprimesse l'iniziativa privata non è ammissibile. Perché allora vi deve essere una fobia a mettere nella Costituzione anche la parola «piano»? Sono possibili piani che consentano le iniziative private, che ne prevedano lo sviluppo, che diano direttive ed indirizzi? Un metropolitano che diriga l'attività privata (l'esempio è nei libri recenti di neoliberisti come l'Hayek) non compie niente che non sia liberale, anzi assicura la libertà della circolazione. Un piano, naturalmente, può e deve essere qualcosa di più che la bacchetta d'un metropolitano. Vi sono interventi ed attività economiche pubbliche inevitabili, lo ha ammesso anche l'onorevole Corbino; il piano sorge al loro punto di incontro e di coordinamento.

I piani vi saranno sempre anche se non si mette la parola nella Costituzione. Poiché questa riconosce la libertà dell'iniziativa privata, i piani non possono far paura nemmeno ai più sospettosi. Del resto, fra parentesi, vi sono neoliberisti che, per introdurre e garantire la libera concorrenza, compromessa dal suo stesso giuoco spontaneo che produce deviazioni e monopoli, propongono... piani di intervento statale... neoliberista più macchinosi di altri piani.

Rifiutare in ogni modo la parola piano mi sembra un errore, se non altro, perché si dà un significato di vittoria della tendenza antiliberale, se non comunista, ogni volta che si fa, e si deve fare un piano.

Credo che non vi dovrebbe essere difficoltà ad accogliere la proposta dell'onorevole Arata, nel testo concordato con l'onorevole Taviani, che per dissipare un'atmosfera di equivoci e di dubbi, anche se non giustificati, sostituisce alla parola «piano» quella di «programma».

Ed ecco un'altra e minore questione: la fusione dell'articolo 37 e dell'articolo 39 che è stata proposta dall'onorevole Mortati, ed anche dall'onorevole Arata. La proposta Mortati potrebbe essere accolta, ma ormai che siamo avviati con l'emendamento Arata-Taviani ad una formula di accordo, è meglio che l'onorevole Mortati non insista, anche perché nella sua formula il concetto di coordinamento e di piano è un po' annacquato. Con il testo Arata-Taviani si ha una struttura ed un'espressione logica; affermata nel primo comma la libertà dell'iniziativa e dell'impresa privata, vengono in luce nel secondo comma i limiti, per così dire passivi, di principî e criteri che l'iniziativa deve rispettare, e nel terzo comma i limiti attivi, e cioè quelli che la legge può imporre ai fini del coordinamento e del piano.

Con l'emendamento da noi accettato si ottiene la diminuzione di un articolo, e cioè, sia pure in proporzione minima, quello snellimento della Costituzione, che è stato mio ardente desiderio, e che purtroppo non ottiene successo di solito, qui, con le aggiunte che si fanno.

Presidente Terracini. Chiederò ora ai presentatori di emendamenti se li mantengono.

Non essendo presente l'onorevole Gabrieli, il suo emendamento soppressivo si intende decaduto.

Onorevole Cortese, mantiene il suo emendamento soppressivo?

Cortese. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Colitto, mantiene il suo emendamento soppressivo?

Colitto. Vorrei chiarire il mio pensiero.

Presidente Terracini. Chiarire, ritirando l'emendamento?

Colitto. Sì. Sono perfettamente convinto che né lo Stato né gli enti né i singoli si possono muovere senza programma. Ed è per questo che io, occupandomi dell'articolo 39, avevo proposto all'Assemblea un articolo sostitutivo dello stesso, così redatto:

«La iniziativa e la impresa privata sono libere, nei limiti che lo Stato stabilisce per coordinare e dirigere le attività economiche ai fini di aumento della produzione e del benessere sociale».

Discutendo in sede generale, io dissi che, approvandosi l'articolo 39, sarebbe diventato del tutto inutile il secondo comma dell'articolo 37. Dissi allora, cioè, quello che, con maggiore autorità e chiarezza, ha detto questa mattina l'onorevole Mortati. Intanto questa mattina ho insistito sulla soppressione del capoverso dell'articolo 37, in quanto mi sembrava che l'Assemblea avesse già manifestato il suo pensiero in proposito, in una delle precedenti sedute, respingendo l'emendamento proposto all'articolo 31.

Ma, dati i lucidi chiarimenti che sono stati offerti all'Assemblea ed a me poco fa dall'onorevole Ruini, dichiaro di non insistere sull'emendamento soppressivo dell'articolo 37, tanto più che, in sostanza, sembra che sarà soppresso nella coordinazione che pare abbia luogo dello stesso con il successivo articolo 39.

Presidente Terracini. Onorevole Mortati, mantiene l'emendamento?

Mortati. Poiché, nella sostanza, l'emendamento da me proposto coincide con quello degli onorevoli Arata e Taviani, lo ritiro.

Presidente Terracini. Onorevole Parri, mantiene l'emendamento?

Parri. Lo ritiro, in quanto aderiamo all'emendamento concordato dell'onorevole Arata, con le precisazioni che egli ha esposto e che corrispondono alle nostre vedute.

Presidente Terracini. All'ultimo comma dell'emendamento concordato dell'onorevole Arata e Taviani l'onorevole Corbino propone di sopprimere la parola «controlli».

Restano ora soltanto da porre in votazione la proposta soppressiva dell'onorevole Cortese e poi la formulazione concordata dell'onorevole Arata, salvo la proposta modificativa dell'onorevole Corbino.

Cortese. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Cortese. Mettendo in votazione l'articolo secondo la proposta dell'onorevole Arata, si viene già a sopprimere l'articolo 37, trattandosi appunto di una fusione dell'articolo 37 con l'articolo 39.

Presidente Terracini. Onorevole Cortese, la sua proposta è di sopprimere puramente e semplicemente l'articolo 37.

La pongo in votazione.

(Non è approvata).

Passiamo alla votazione dei primi due commi dell'emendamento concordato dell'onorevole Arata, salvo poi a porre in votazione il terzo comma con la proposta soppressiva dell'onorevole Corbino.

Einaudi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Einaudi. Ricordo di aver proposto due emendamenti all'articolo 39, il quale verrebbe ora fuso con l'articolo 37. Tali emendamenti decadrebbero, senza che avessi avuto modo di svolgerli.

Presidente Terracini. Onorevole Einaudi, lei ha proposto due emendamenti all'articolo 39:

«Sopprimere le parole: in contrasto con l'utilità sociale o»;

«Aggiungere il seguente comma:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

Ritengo che possano essere considerati come emendamenti al testo concordato dell'articolo 37 e quindi ha facoltà di svolgerli ora.

Einaudi. Il primo emendamento all'articolo 39 da me presentato si limitava a togliere le parole: «in contrasto con l'utilità sociale o». Ma poiché vedo che l'Assemblea è propensa ad introdurre nei testi legislativi parole le quali non hanno un significato preciso e su cui i commentatori avranno in avvenire ampio campo a discutere, su questo punto preciso non insisto. Avevo già imparato che nelle Costituzioni di oggi si usano indicare principî ed additare indirizzi per l'azione successiva del legislatore. Apprendo ora che, oltre ad indicare principî ed indirizzi per il legislatore futuro, si formulano anche auguri, che in avvenire si riesca a scoprire il significato delle parole che oggi non si conosce.

E passo quindi all'emendamento, all'aggiunta che ho proposto. Questa aggiunta deriva dalla necessità, da me sentita, di cercare di scoprire cioè quale era il vero contenuto di tutte queste norme, sia dell'articolo 37 congiunto coll'articolo 39, sia dell'emendamento dell'onorevole Arata, accettato da tanta parte dell'Assemblea.

Le disposizioni contenute in quegli articoli non segnavano in realtà alcun indirizzo al legislatore; non dicevano al legislatore ciò che egli doveva fare; dicevano semplicemente che il legislatore in avvenire farà tante belle cose e darà tanti indirizzi, e stabilirà dei controlli e dei programmi e dei piani. Io credo che fra programmi e piani nel dizionario dei sinonimi del Tommaseo non vi sia alcuna differenza: le due parole esprimono lo stesso concetto.

Malagugini. Una parola fa paura e l'altra no.

Einaudi. Sono parole che esprimono il medesimo concetto. In nessuno di questi due articoli è espresso il concetto che principalmente il legislatore deve enunciare.

Ora, ciò che il legislatore principalmente deve dire e proporsi come scopo è la lotta contro quello che è il male più profondo della società presente: e il male più profondo della società presente non è la mancanza di programmi e di piani — ché ne abbiamo avuti fin troppi — ma è invece l'esistenza di monopoli. Cento anni fa Proudhon ha detto che «la propriété c'est un vol», proposizione gravemente erronea allora come adesso, e testimonianza della incompetenza in cui egli versava intorno alle conquiste della scienza di quel tempo. Dieci anni prima era infatti stato pubblicato da Agostino Cournot un libro fondamentale sui principî della scienza della ricchezza dove Proudhon avrebbe appreso che non è la proprietà un furto, ma è il monopolio il furto, è il monopolio il danno supremo dell'economia moderna. Noi, in questa Costituzione, del monopolio non ne parliamo affatto. Ne parliamo solo all'articolo 40 incidentalmente, per dire che lo Stato deve farsi seguitatore e quasi complice dei monopolisti nel senso dell'assumere esso quei monopoli con cui i monopolisti privati riescono a fare il danno della collettività. È come se dinanzi al ladrone pubblico che svaligia i viandanti, noi si dicesse al carabiniere: tu non arresterai il ladrone, ma anzi ti convertirai in ladrone e a tua volta spoglierai coloro che camminano per le strade. Questo è in sostanza quello che abbiamo detto nell'articolo 40 a seguito dei principî posti negli articoli 37 e 39, trascurando la novità fondamentale dell'economia moderna, il frutto maggiore degli studi che in un secolo sono stati compiuti per vedere qual è l'origine dei mali sociali. L'origine più profonda e vera dei mali sociali è il monopolio e noi nel testo costituzionale non diciamo niente, non facciamo niente per combattere, per lottare contro il monopolio.

Chiedo perciò che nella Costituzione sia sancito il principio che la legge non deve creare il monopolio e che quando i monopoli esistono, questi monopoli devono essere controllati. La legge non deve istituire essa i monopoli, non deve farsi essa stessa strumento di creazione di monopoli.

Monopolio che cosa vuol dire? Monopolio vuol dire semplicemente rialzo, ad opera del monopolista, dei prezzi al di sopra di quelli che esisterebbero in regime di libera concorrenza, e se i prezzi sono alti i consumatori devono rinunziare ad una parte dei beni che altrimenti avrebbero consumato, mentre altri che avrebbero potuto essere invogliati a produrre quei beni non li possono, per la mancanza di domanda, produrre. Di qui la disoccupazione. L'origine più profonda della disoccupazione è nell'esistenza dei monopoli che riducono la quantità dei beni, che aumentano i prezzi del resto dei beni che ancora si producono, che aumentano i profitti dell'imprenditore al di sopra di quello che sarebbe dovuto quale compenso normale al capitale investito, al di sopra di quello che sarebbe il compenso normale dell'opera dell'imprenditore. Il monopolio crea quelle disuguaglianze sociali che in tanti articoli della Costituzione si vorrebbero eliminare, e noi non diciamo nulla, non stabiliamo neppure il principio che la legge non deve operare in modo che sorgano i monopoli, vera fonte della disuguaglianza, vera fonte della diminuzione dei beni prodotti, vera fonte della disoccupazione delle masse operaie. Non dicendo nulla creiamo una profonda lacuna nel nostro sistema legislativo. Io non affermo che nello statuto fondamentale dello Stato si debbano indicare le norme con le quali la legge debba cessare dal creare dei monopoli, perché cadremmo nel vizio del legiferare senza adeguata meditazione. Affermo soltanto che è necessario che nella Costituzione sia stabilito il principio che la legge non deve creare i monopoli.

Purtroppo da noi la legge ha creato e sta creando monopoli. Li crea quando stabilisce un sistema di brevetti così congegnato da non attribuire soltanto il dovuto premio agli inventori, ma da non consentire alla collettività di utilizzare per un periodo di tempo indefinito e troppo lungo le invenzioni. Crea i monopoli, in quanto rende possibile la esistenza non solo delle società anonime che sono uno strumento utile, ma ne consente la degenerazione quando esse si svolgono a catena. La legge, stabilendo limitazioni ai nuovi impianti industriali, crea monopoli a favore degli stabilimenti già esistenti. La legge, decretando protezione doganale, la quale non sia strettamente limitata nel tempo — e quasi nessuna protezione doganale è limitata nel tempo — crea i monopoli di coloro che non hanno più timore della concorrenza straniera, e sono liberi di taglieggiare congruamente i consumatori.

Noi dobbiamo perciò stabilire, per lo meno, il principio che la legge non debba essere essa stessa a creare dei monopoli. Quando poi i monopoli esistono, indipendentemente dall'opera della legge, noi dobbiamo chiedere che siano soppressi ed eliminati, quando esistono, noi dobbiamo affermare, in generale, che opportuni metodi siano adottati per controllare i monopoli medesimi.

Non è necessario che nella Costituzione siano stabilite le modalità precise del controllo. Nell'emendamento, dopo aver detto che la legge non è strumento di formazione di monopoli economici, si aggiunge che, ove questi esistano, essa li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazioni pubbliche delegate o dirette.

I mezzi per controllare i monopoli sono infiniti e vari. Non dobbiamo adesso stabilire quali devono essere, ma dobbiamo dire che vi debbono essere mezzi per controllare i monopoli. Il controllo deve effettuarsi sempre per via di una amministrazione pubblica ma il compito può essere anche delegato. Esempi numerosi ed antichi di delegazione si possono citare. Tutti i consorzi dei porti italiani non sono forse delegazioni a speciali enti pubblici per controllare una gestione che, se lasciata ai privati senza limiti, darebbe luogo al monopolio dell'esercizio di un determinato porto? Il legislatore italiano ha sottoposto alcuni principali porti a controllo unitario, ossia secondo un piano o programma od ordinamento (quante parole per esprimere il medesimo concetto!), fin da un mezzo secolo, e l'esempio può essere continuato ed allargato. Quando noi abbiamo stabilito che l'istituto di emissione sia un ente pubblico e non vi debbano essere più azionisti privati, ma soltanto partecipanti pubblici, quando abbiamo detto che i dirigenti degli istituti di emissione devono essere nominati e graditi dal Governo, non abbiamo forse noi creato un'amministrazione pubblica e sottoposta al controllo da parte dello Stato?

Quando si creano dei consorzi di irrigazione, quando si regolano le casse di risparmio, in fin dei conti, noi costituiamo amministrazioni pubbliche delegate dallo Stato ad esercitare una funzione alla quale per il suo carattere eventualmente monopolistico o per altre ragioni noi attribuiamo carattere pubblicistico.

Può darsi sia conveniente usare anche altre forme e le abbiamo usate anche in Italia. Vi sono società anonime, il cui azionista, l'unico azionista, è lo Stato. Talvolta lo Stato è solo un azionista preponderante. Che male c'è? Se ci sono delle brave persone le quali affidano il proprio capitale allo Stato sotto forma di sottoscrizione alle azioni di una società anonima e lasciano che lo Stato, che ha il pacchetto della maggioranza, regoli i criteri dell'amministrazione, distribuisca o non dividendi, abbiamo creato, con un costo bassissimo per lo Stato, una collaborazione non certo dannosa alla cosa pubblica, fra risparmiatori privati e lo Stato.

Nella Costituzione non deve certamente essere affermato debba darsi la prevalenza all'uno o all'altro sistema concreto; può anche darsi si passi da un sistema all'altro. Le circostanze di ogni momento ed industria monopolistica consiglieranno la soluzione più opportuna.

In Italia il monopolio delle ferrovie, il monopolio che sino adesso è stato il più importante e perfetto che esistesse — ora non è più perfetto, perché contro il monopolio dei trasporti da parte delle ferrovie sono sorti i trasportatori privati con autocarri e automobili — ha dato luogo ai sistemi più diversi: dall'esercizio di Stato puro, siamo passati nel 1886 ad un sistema misto di tre società delegate private. Nel 1906 siamo tornati all'esercizio di un'amministrazione autonoma statale. Oggi siamo praticamente in regime d'amministrazione diretta di Stato delle ferrovie. I metodi di esercizio delle imprese monopolistiche pubbliche sono infiniti. Forse, fra i diversi metodi, quello dell'amministrazione delegata a un ente pubblico è preferibile a quello dell'amministrazione diretta. Ma in questa sede non dobbiamo dare soluzioni concrete; dobbiamo soltanto affermare il principio fondamentale che la legge non deve creare monopoli e quando questi monopoli esistono, essi devono essere controllati per via d'una amministrazione pubblica o privata. La mia aggiunta coincide con le norme che sono state proposte da altre parti dell'Assemblea. Specifico però e indico quale è in realtà il male fondamentale, la causa dei mali sociali odierni. Ove non ci si rendesse conto dell'importanza del problema noi mancheremmo al nostro dovere che è di combattere il fondamentale fra i mali sociali.

Presidente Terracini. Pongo in votazione i primi due commi dell'emendamento Arata-Taviani:

«L'iniziativa economica privata è libera».

«Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

(Sono approvati).

Passiamo alla votazione del terzo comma. Poiché l'onorevole Corbino ha proposto di sopprimere le parole: «ed i controlli» devo porre in votazione il comma nel seguente testo:

«La legge determina i programmi opportuni perché l'attività economica privata e pubblica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Lucifero. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Lucifero. La votazione del testo senza la frase che l'onorevole Corbino propone di sopprimere mette in imbarazzo chi, come me, vorrebbe votare contro il testo, ma che, subordinatamente, voterebbe a favore dell'emendamento soppressivo dell'onorevole Corbino. Credo quindi che bisognerebbe porre in votazione la sola soppressione.

Presidente Terracini. Poiché ella è contrario al terzo comma, potrà votare contro le due formulazioni, sia con la soppressione Corbino, sia nel testo integrale.

Lucifero. Non insisto.

Presidente Terracini. Pongo in votazione il terzo comma emendato dall'onorevole Corbino.

(Non è approvato).

Pongo ai voti la formulazione concordata Arata-Taviani:

«La legge determina i programmi ed i controlli opportuni perché l'attività economica, privata e pubblica, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

(È approvata).

Passiamo alla votazione del comma aggiuntivo presentato dall'onorevole Einaudi:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

Cortese. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Cortese. Avevo presentato e svolto il seguente emendamento aggiuntivo all'articolo 39, emendamento che voleva, appunto, orientare il legislatore futuro ad una legislazione antiprotezionista:

«La legge regola l'esercizio dell'attività economica al fine di tutelare gli interessi e la libertà del consumatore».

Aderisco, ora, all'emendamento Einaudi, ritirando il mio.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Devo dire rapidamente le ragioni per le quali, pur apprezzando l'emendamento presentato dall'onorevole Einaudi, non siamo favorevoli ad accoglierlo.

L'onorevole Einaudi ha qui, con un'interessante esposizione contro il monopolio, ribadito concetti che ha sempre sostenuto con grande nobiltà e dignità scientifica. Il suo atteggiamento contro il monopolio risponde ad una concezione profondamente liberale; ma non presuppone l'ipotesi di una libera concorrenza, che spontaneamente ed automaticamente divide ogni monopolio. Su quest'ipotesi è sorta — due secoli fa — la scienza allora nuova dell'economia politica. Tutta una fase del pensiero scientifico, in economia, riteneva che bastasse la libertà e la concorrenza, perché l'optimum si verificasse e non vi fossero monopoli. Si è constatato invece che questo non avviene; che la libera concorrenza fa sorgere deviazioni, approfittamenti, monopoli, ed allora la corrente liberale o neoliberista, di cui l'onorevole Einaudi è autorevole campione, vuole che, per combattere il monopolio, si restauri la libera concorrenza, una libera concorrenza che sarebbe non dirò artificiale, ma non spontanea e naturale. Occorrono interventi dello Stato per ristabilire e mantenere la libera economia di mercato: ed io ho avuto occasione, poco fa, di accennare che in alcuni casi si richiederebbero interventi, a fine di libertà, macchinosi come gli interventi che spaventano i liberisti.

È una posizione legittima, ma non così semplice... Dopo aver premesso questo rilievo, con tutta riverenza per un maestro come l'onorevole Einaudi, osservo che la direzione al suo emendamento è molto accentuata, e può giungere appunto alle ingerenze che ho ricordato. Dice da un lato: «La legge non è strumento di formazione di monopoli economici»; ma non sembra probabile che una legge dichiari apertamente che vuol introdurre un monopolio a favore di privati; e non è facile colpire se lo fa indirettamente o nascostamente. L'emendamento sottopone poi a pubblico controllo i monopoli a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta. Ed è qui che si dispiega la macchina antiliberista dei controlli. Controlli di squisita essenza interventista, con uffici, organi, burocrazia di vigilanza.

Vi è infine un'altra osservazione che mi parrebbe decisiva. Il nostro progetto di Costituzione consente già armi sufficienti contro il monopolio. Nell'articolo che ora abbiamo votato, che ammette il coordinamento ed i controlli a fini sociali, vi è la facoltà di impedire la formazione dei monopoli. Nell'articolo 40 si prevede che quando si sono formati i monopoli, si può intervenire per nazionalizzarli. Lo scopo dell'onorevole Einaudi può essere raggiunto senza una formula, che presuppone una concezione economica discutibile. Ad ogni modo, lo ripeto, c'è già nella Costituzione quanto basta per combattere i monopoli.

Dominedò. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Dominedò. Noi siamo profondamente sensibili alla esigenza di aggredire il monopolio. Pensiamo che l'esistenza di monopoli, naturali o volontari, sia il maggiore ostacolo perché la democrazia economica irrompa negli schemi della democrazia politica.

Ma, ciò premesso, dobbiamo osservare, dopo le considerazioni del professore Einaudi, che il problema dei monopoli, materia centrale della Costituzione in sede sociale ed economica, risulta affrontato di proposito nell'articolo 40, dove il sistema monopolistico, oggi in fatto operante, è affrontato sotto più aspetti ai fini della trasformazione dell'impresa monopolistica in impresa socializzata. Cosicché, si arriva quivi alla ipotesi estrema: l'avocazione, in forza della quale il monopolio privato passa allo Stato o alla collettività. Resta l'ipotesi minore, laddove eventualmente non si possa giungere alla tesi della trasformazione dell'impresa monopolistica privata in impresa socializzata pubblica.

Ora, per tale caso, opera pienamente l'articolo che abbiamo testé votato, il quale contempla la possibilità o la necessità dei controlli nei confronti di ogni formazione non rispondente ad utilità sociale, fra le quali in primo luogo sono da considerare quelle monopolistiche. Posto tale spirito di tutta la Carta costituzionale, la quale affronta il problema dei privilegi e dei monopoli giungendo sino alla loro socializzazione, appare evidente che resta così assorbita anche la prima parte dell'emendamento Einaudi, laddove si vorrebbe espressamente che la legge non possa creare sistemi monopolistici: a fortiori questa eventualità sarà normalmente preclusa, una volta che la Costituzione già si cura, nei confronti di quelli esistenti, di arrivare al loro controllo o addirittura alla loro soppressione.

Per tutto ciò noi, pur comprendendo e condividendo lo spirito al quale si informa l'emendamento Einaudi, siamo formalmente contrari al suo accoglimento, ritenendo che i criteri da esso espressi siano esplicitamente od implicitamente contenuti nello schema delle disposizioni votate o votande. (Approvazioni al centro).

Einaudi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Einaudi. Volevo osservare soltanto che la configurazione storica che è stata posta innanzi dal Presidente della Commissione, che la concorrenza crei i monopoli, è una configurazione non conforme ai fatti. (Interruzione dell'onorevole Ruini).

Non occorre fare in questo momento valutazioni intorno all'importanza storica relativa delle varie cause dei monopoli. La importanza relativa dei monopoli creati dalla legge è minore di quella dei monopoli sorti da altre cause? Lasciamo la soluzione del problema storico agli storici dell'economia. Affermo soltanto che, laddove il monopolio è creato dalla legge, si debbono stabilire norme che facciano sì che l'indirizzo del legislatore sia quello di non creare nuovi monopoli. Quando poi i monopoli sono nati, bisogna affermare il diritto dello Stato ad esercitare controlli sui monopoli medesimi. L'inclusione, nell'articolo 40, della norma che i monopoli saranno nazionalizzati, non è sufficiente ed è simile, ripeto, a quella norma che stabilisse che il custode della pubblica sicurezza si faccia lui svaligiatore dei viandanti in luogo dei delinquenti. Se non vogliamo rendere lo Stato complice dei monopolisti, noi dobbiamo stabilire il principio che la legge non debba creare monopoli, e se questi sono creati, debba sottoporli a pubblici controlli. Se noi non stabiliremo questo principio fondamentale, noi non avremo adempiuto in questa materia al nostro ufficio essenziale.

Presidente Terracini. Pongo in votazione il comma aggiuntivo proposto dall'onorevole Einaudi:

«La legge non è strumento di formazione di monopoli economici; ed ove questi esistano li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta».

(Non è approvato).

L'articolo 37 risulta, nel suo complesso, così approvato:

«L'iniziativa economica privata è libera.

«Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica, privata e pubblica, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

[Per il seguito della seduta vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 42 per il testo completo della discussione.]

Passiamo all'articolo 38:

[...]

L'onorevole Bruni ha già svolto il seguente emendamento:

Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43 coi tre seguenti:

I.

«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.

«Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune».

II.

«I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.

«Nell'ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione».

III.

«La proprietà dei beni d'uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».

[...]

Presidente Terracini. Prego l'onorevole Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione, di esprimere il parere della Commissione per la Costituzione sugli emendamenti presentati all'articolo 38.

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. [...] Vi è poi un emendamento che per verità precede ma che avevo dimenticato. È l'emendamento sostitutivo degli articoli 38, 39, 40, 41, 42 e 43, presentato dall'onorevole Bruni.

Sono tre articoli costituenti un unico emendamento. Mi limito a leggere solamente il primo:

«Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale».

Ci troviamo di fronte alla proposta di una rivoluzione completa dell'ordinamento economico del nostro Paese. Non è il comunismo statale, che vi si propone, ma il comunismo delle associazioni, il comunismo delle collettività.

Io non voglio dire che il pensiero dell'onorevole Bruni non sia un pensiero elevato e non possa in un domani, più o meno prossimo, diventare una realtà, ma devo dire che noi non abbiamo inteso col progetto di Costituzione di mutare essenzialmente il sistema economico vigente.

Diamo atto che l'attuale è una situazione di transizione, ma non è tale da consentire una rivoluzione così profonda, come questa che egli ha suggerito nel suo emendamento.

È per questa ragione di acronisticità che la Commissione non ritiene di potere accogliere l'emendamento dell'onorevole Bruni.

[...]

Presidente Terracini. Chiederò ai presentatori di emendamenti se, dopo le dichiarazioni della Commissione, intendano mantenerli. L'onorevole Bruni ha presentato un nuovo testo integrale che dovrebbe sostituire sei articoli del testo. Intende mantenere, onorevole Bruni, la sua proposta?

Bruni. La mantengo.

[...]

Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento dell'onorevole Bruni:

«Sostituire gli articoli 38, 39, 40, 41, 42, e 43 coi tre seguenti:

I.

Il diritto di proprietà dei mezzi di produzione è esclusivamente esercitato dalla comunità nazionale, attraverso le sue strutture di democrazia decentrata e qualificata, e subordinatamente agli interessi della comunità internazionale.

Lo Stato e gli altri Enti pubblici rientrano in questo esercizio limitatamente alla loro funzione di difesa e di coordinamento del bene comune.

II.

I lavoratori di un determinato ciclo produttivo acquistano il diritto di gestire la loro azienda. A seconda dei settori economici esso viene esercitato col concorso, più o meno diretto, dello Stato, delle Regioni, dei Municipi, dei Sindacati o di altri Enti più direttamente interessati.

Nell'ambito del bene comune le piccole gestioni a tipo individuale e familiare potranno assumere carattere vitalizio con diritto di successione.

III.

La proprietà dei beni d'uso è assicurata dalla Repubblica a tutti i lavoratori, proporzionalmente alla quantità e qualità del lavoro di ciascuno, e con riguardo delle persone a carico».

Questi articoli rappresentano un complesso che non è possibile suddividere in parti corrispondenti alle disposizioni dell'articolo 38.

Occorre perciò che io chieda all'Assemblea se accetta di assumere i tre articoli proposti dall'onorevole Bruni come eventuale base di una discussione sui problemi che abbiamo esaminato in quest'ultima ora e su quelli che dovremo esaminare prima di concludere l'esame del Titolo III. Pongo pertanto ai voti questa questione generale di principio.

Nel caso che la proposta fosse accettata dall'Assemblea, dovremmo esaminare nel loro complesso tutte le disposizioni dei sei articoli considerati dall'onorevole Bruni; altrimenti riprenderemo la strada che abbiamo percorsa fino ad ora.

(Non è approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti