[Il 7 maggio 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Della Seta. [...] Allo scopo di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, molto opportunamente l'articolo 41 che, per un più logico coordinamento, dovrebbe seguire l'articolo 38, pone in rilievo i possibili vincoli alla proprietà privata terriera. Questa non può essere illimitata nella estensione, non può sottrarsi ad una eventuale necessaria opera di bonifica, non può essere abbandonata incolta, mantenendo, senza trasformazione, il latifondo e ostacolando quanto invece è da favorire, cioè la piccola e media proprietà.

[...]

Taviani. [...] Ora, a questo proposito è bene intenderci: c'è una concezione tipica del mondo economico che ha prevalso nella dottrina e, solo in parte, nella prassi del secolo scorso: la concezione naturalistica per cui i fenomeni economici si dispiegano secondo leggi naturali e inderogabili, a cui invano l'uomo cercherebbe di opporsi. Per esempio, parlando del latifondo, un oratore di parte qualunquista ha detto che esso scompare naturalmente, senza bisogno di leggi, a mano a mano che si sviluppa l'economia. Ora, io potrei rispondergli con una citazione dell'Enfantin, celebre discepolo di Saint Simon, uno degli autori dell'Esposizione della dottrina sansimoniana. Centotrenta anni fa questo antesignano di non poche riforme sociali contemporanee scriveva presso a poco così: «Certo, senza bisogno di leggi, ogni squilibrio si appiana con lo sviluppo dell'economia. Certo, tutto finisce per livellarsi. Ma — mirabile conclusione questa! — finché non si è compiuto il livellamento, che faremo noi delle migliaia di uomini affamati? Li consoleranno i nostri ragionamenti? Sopporteranno essi con pazienza, solo perché i calcoli statistici dimostrano che entro un certo numero di anni l'economia si sviluppa naturalmente, ed essi allora potranno avere del pane?»

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Di Vittorio. [...] Ebbene, signori, il latifondo che esiste ancora largamente nel nostro Paese, specialmente nel Mezzogiorno e nelle isole, non è altro che un residuo dell'antico regime feudale, non è che espressione di arretratezza e di miseria. Il latifondo deve essere eliminato perché in tal modo si elimina l'arretratezza della nostra agricoltura, si elimina la miseria dei nostri braccianti e dei nostri piccoli contadini: e non soltanto nel Mezzogiorno, ma anche in altre regioni d'Italia.

Ebbene, questo Titolo pone le basi di una riforma la quale è un presupposto essenziale per operare una profonda trasformazione fondiaria, che è indispensabile al nostro Paese. È indispensabile per ottenere una maggiore produzione delle nostre terre, un maggior impiego di mano d'opera, per ottenere più grano, più prodotti agricoli, e quindi anche un maggiore benessere, più scuole e un superiore livello di civiltà per il nostro popolo lavoratore.

I monopoli economici, la cui realizzazione scandalizza ancora qualcuno anche nella nostra Assemblea, non hanno nessuna funzione socialmente utile. Sono i monopoli economici che anche nel nostro Paese sono giunti a limitare artificialmente la produzione e in molti Paesi sono giunti a distruggere anche quantità di prodotti per mantenerne elevati i prezzi, mentre una parte notevole delle masse lavoratrici e popolari non aveva la possibilità di accedere a quei prodotti, di cui avrebbe avuto estremo bisogno. Bisogna liberare la nostra economia nazionale dai monopoli e dal latifondo per riuscire a realizzare le premesse di una rinascita economica ed effettiva del nostro Paese ed anche di un profondo rinnovamento democratico dell'Italia. Bisogna persuadersi, onorevoli colleghi, che nelle masse popolari del nostro Paese è penetrata profondamente la coscienza che i diritti esclusivamente politici non bastano più; è penetrata la coscienza della necessità della realizzazione delle riforme sociali di struttura della economia, che sono la sola garanzia effettiva e positiva del godimento dei buoni diritti che la Carta costituzionale riconoscerà ai lavoratori italiani.

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Presidente Terracini. [...] Ha facoltà di parlare l'onorevole Ghidini, a nome della Commissione.

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Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. [...] Il solo che abbia portato la discussione in un campo veramente generale e fondamentale è stato l'onorevole Maffioli che ha posto a base del suo ragionamento una concezione dello Stato profondamente diversa da quelle che ha animato la parola de' suoi stessi colleghi. Infatti è certo che non tutti i suoi amici accedono all'opinione da lui espressa. Egli in sostanza professa la concezione dello Stato agnostico; dello Stato che non deve intervenire nel campo economico; che lascia completamente libera l'iniziativa privata; dello Stato che non agisce come elemento attivo di coordinazione, di controllo e di propulsione del fatto economico, ma piuttosto come gendarme dell'ordine esteriore, di quell'ordine dietro il quale si riparano il privilegio di pochi, la miseria di molti e la ingiustizia per tutti.

Ma l'onorevole Maffioli stesso ha sentito tutta l'anacronisticità dal suo pensiero tanto che a un certo punto (se ho ben compreso) ha soggiunto, per temperarne l'asprezza, che bisogna impedire il formarsi del super-capitalismo. Ma egli non si è accorto che in tal modo contraddiceva alle sue stesse premesse. Se si lascia libero sfogo alla legge della libera concorrenza e alla libera iniziativa animata solo dal fine del profitto personale, si arriva pur sempre al supercapitalismo e così a quelle conseguenze che lo stesso onorevole Maffioli depreca, fra le quali primeggia la guerra tremenda che fu la rovina di tanti popoli.

[...]

È possibile parlare di un progetto social-comunista quando si afferma all'articolo 38 che la proprietà privata è assicurata e garantita e all'articolo 39 che l'iniziativa privata è libera?

Non è dunque un progetto social-comunista. È vero che sono affermati vincoli e limiti al diritto di proprietà. Ci sono limiti, perché non si vuole che si formino delle grandi concentrazioni di proprietà che sottraggono all'iniziativa privata grandi strati di produttori e costituiscono a un tempo delle potenze economiche tali che, se anche potessero condurre ad un grado di produttività più elevato, portano altresì a quella potenza politica che, non avendo altro intento che il vantaggio patrimoniale privato, disconosce e travolge gli interessi materiali, morali e politici della collettività scatenando quelle conflagrazioni che ci hanno portato alla miseria attuale.

Noi invece vogliamo che la proprietà si conformi alla sua funzione sociale. Del resto non è cosa nuova se tale concetto è affermato anche nel Codice civile fascista. Non è che io voglia mutuare questo concetto dal fascismo, per quanto, se c'è una cosa buona, io non abbia difficoltà ad accoglierla dovunque provenga perché la mia intransigenza non arriva fino alla cecità. Ma il concetto esisteva anche prima del fascismo ed esiste in tutte le legislazioni del mondo civile.

Quando l'onorevole Maffioli si lamenta dei vincoli posti alla proprietà, egli deve pensare che vincoli ci sono sempre stati. Sarà questione di limiti, e il nostro progetto non dice se questi vincoli dovranno essere più o meno gravi. Essi sono già nel nostro Codice civile per quanto riguarda la bonifica integrale; ci sono vincoli idrogeologici, vincoli al fine del rimboschimento e della sistemazione delle terre; per evitare che sia compromesso il regime delle acque, ecc., e nessuno ha mai sognato di avere in questo modo abolito la proprietà o che i vincoli siano tali da condurre alla paralisi dell'iniziativa privata.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti