[Il 4 ottobre 1946, nella seduta pomeridiana, la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul diritto di proprietà e sull'intrapresa economica.]

Corbi, Relatore, ritiene che dalla discussione del mattino siano emersi i seguenti cinque punti fondamentali: i consigli di gestione come organi paritetici di direzione tecnica del processo produttivo: immissione dei lavoratori nei consigli di amministrazione; partecipazione dei lavoratori alle sedute dei consigli di amministrazione, con voto consultivo o deliberativo; forme di azionariato operaio; partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali.

Premesso che condivide il punto di vista dell'onorevole Fanfani circa la necessità di far partecipare gli operai, i tecnici e gli impiegati alla direzione tecnica del processo produttivo, dichiara di dissentirne per quanto invece riguarda le altre forme di partecipazione dei lavoratori alla attività dell'impresa nei suoi vari aspetti.

In particolare è molto scettico sui concreti benefici che potrebbero derivare agli operai dall'azionariato e dalla partecipazione agli utili. Qualora questi diritti fossero accolti, i datori di lavoro potrebbero pretendere sia che i miglioramenti salariali fossero subordinati e condizionati alla riuscita della impresa, così come avviene per il capitale, sia di decurtare salari e stipendi, a compenso degli utili concessi, sia che la retribuzione fosse da considerarsi come un anticipo in conto della liquidazione annuale degli utili. I datori di lavoro, inoltre, potrebbero anche pretendere, e non del tutto a torto, che il diritto alla partecipazione agli utili non fosse concesso a tutti i dipendenti, ma soltanto a quelli la cui attività rappresentasse un contributo concreto al buon successo dell'impresa. Fatalmente si giungerebbe così a paralizzare l'azione sindacale dei lavoratori, in virtù di un mirifico miglioramento, che il più delle volte potrebbe rivelarsi puramente illusorio, ma che costituirebbe un mezzo efficace per sedare lo spirito di attività sindacale delle masse lavoratrici, che verrebbero col tempo a trovarsi divise in due caste: una di lavoratori privilegiati, vera aristocrazia operaia ligia alle classi padronali, l'altra di lavoratori dimenticati e sfruttati.

Ritiene, comunque, che la questione della partecipazione agli utili possa essere messa in discussione soltanto dopo un più completo esperimento dei consigli di gestione; del pari l'azionariato, il quale offre aspetti ancor più delicati e complessi, potrà essere discusso solo dopo che siano stati constatati i benefici e gli inconvenienti della partecipazione agli utili e dopo che i consigli di gestione si siano sicuramente affermati come strumenti idonei alla formazione di capacità direttive, non soltanto tecniche, ma anche amministrative.

Fa notare che attualmente la partecipazione operaia ai Consigli di amministrazione con potere deliberativo non è richiesta né voluta dai lavoratori, i quali, d'altra parte, non si sentirebbero sufficientemente garantiti e soddisfatti da una partecipazione con voto soltanto consultivo, qualora fossero chiamati a partecipare agli utili o all'azionariato. Del resto, se si esaminano gli istituti introdotti nelle legislazioni straniere che presentano caratteri di analogia con i Consigli di gestione, si trova che hanno caratteristiche simili a quelle che la Confederazione generale italiana del lavoro vorrebbe attribuire ai Consigli di gestione.

Togni rileva che la Confederazione generale italiana del lavoro non ha ancora ufficialmente precisato le proprie richieste in merito alla composizione e ai poteri dei consigli di gestione. Su questi elementi gradirebbe dall'onorevole Corbi una precisazione.

Corbi, Relatore, ripete quanto ha esposto nella precedente riunione.

Il consiglio di gestione, premesso che deve essere paritetico, con un presidente eletto dai suoi componenti, il cui parere dovrebbe avere la prevalenza nelle questioni controverse, deve avere un duplice carattere: deliberativo per quanto riguarda l'orientamento e lo sviluppo della capacità produttiva dell'azienda, l'impiego delle materie prime, i problemi dei costi e dei prezzi, le assunzioni e i licenziamenti del personale; consultivo in relazione alla partecipazione dei dipendenti al consiglio di amministrazione.

Togni domanda se la partecipazione al consiglio di amministrazione si intende riferita a tutto il consiglio di gestione, e in quali materie si esplichi la sua funzione consultiva; se e quali siano le facoltà di questo consiglio per quanto riguarda il potere esecutivo dell'azienda, rappresentato normalmente dal direttore o dai capi servizio.

Corbi, Relatore, precisa che alle riunioni del consiglio di amministrazione partecipa solo una rappresentanza. Il carattere consultivo del consiglio di gestione si esplica in primo luogo in materia amministrativa ed in secondo luogo per rendersi conto dell'ammontare degli utili, far proposte sul loro impiego, controllare i bilanci, verificare il conto profitti e perdite ecc. Circa il potere esecutivo dell'azienda, il consiglio di gestione interviene su alcuni argomenti con potere discrezionale e su altri con potere consultivo, come ha già spiegato.

Togni teme si faccia confusione circa l'ordinamento interno di un'azienda. Rientrano nei compiti del consiglio di amministrazione, che deve considerarsi come il potere legislativo, l'orientamento e lo sviluppo dell'azienda, i problemi dei costi e dei prezzi, le assunzioni e i licenziamenti, mentre la direzione, o potere esecutivo, è costituita da coloro che applicano le disposizioni.

Tenendo presente questa distinzione, qualora si arrivasse all'assurdo di un consiglio di gestione che potesse interferire in quella che è la fase esecutiva dell'ordine, non si farebbe altro che creare una confusione nell'interno dell'azienda ed un continuo intralcio alla sua attività.

Corbi, Relatore, chiede a sua volta all'onorevole Togni quali, secondo lui, dovrebbero essere le funzioni e gli attributi dei consigli di gestione, perché se non ha male interpretato il suo pensiero, gli sembra che sarebbero svuotati di ogni contenuto.

Togni risponde che è intenzione del suo gruppo di costituire condizioni tali da portare il rapporto di lavoro da subordinato ad un piano di associazione, negando che ci possa essere una inconciliabilità di interessi tra i così detti datori di lavoro e i così detti lavoratori.

Secondo tale intenzione, i lavoratori dovrebbero partecipare al consiglio di amministrazione, che è la più alta gerarchia dell'azienda, in modo quindi che dividano la responsabilità, dispongano anch'essi della vita dell'azienda stessa, e partecipino alla emanazione di quegli ordini che passano al potere esecutivo, nei riguardi del quale, i lavoratori, attraverso i consigli di gestione, dovrebbero avere solo facoltà consultive per non creare duplicazioni di poteri. Data questa premessa, ne viene, come logica conseguenza, una partecipazione anche ai vantaggi e cioè agli utili dell'azienda stessa, che avrebbe, in ultima analisi, come limite la partecipazione alla proprietà.

Se i consigli di gestione non vogliono assumere la loro parte di responsabilità, sarebbe impropria la loro denominazione, mentre, secondo la concezione del suo gruppo, i lavoratori avrebbero: un effettivo controllo, una effettiva partecipazione, un effettivo interesse, una effettiva proprietà.

Marinaro desidererebbe conoscere come si concreterebbe la responsabilità dei lavoratori.

Togni considera giusta l'osservazione, ma si dichiara convinto che i lavoratori potranno veramente rispondere a questa responsabilità con la loro esperienza e con il loro interesse diretto, perché vivendo in un'azienda e sapendo che essa è già parte della loro vita, nonché delle loro possibilità e dei loro diritti che crescono in ragione dell'anzianità di ciascuno, avranno per l'azienda un attaccamento tale da poter sostituire, in fondo, la normale garanzia che possono dare certi amministratori che, molte volte, hanno più denari che competenza.

Marinaro domanda ancora quale responsabilità assumerebbero i lavoratori in caso di fallimento dell'azienda.

Dominedò, Correlatore, ritiene che in questo caso non assumerebbero alcuna responsabilità giuridica.

Togni precisa però che una responsabilità comincerebbe a sorgere quando questi partecipanti alla amministrazione dell'azienda avessero anche una parte di proprietà. In fondo, non dovrebbe esistere divario tra la posizione di questi amministratori operai e quella dei normali amministratori.

Noce Teresa, nella riunione del mattino, ha seguito con molto interesse l'intervento dell'onorevole Fanfani, ha ammirato lo spirito con cui egli ha sviscerato tutti gli aspetti della questione, e riconosce che alcune sue preoccupazioni, di carattere sociale ed etico, l'hanno trovata pienamente consenziente. Non può però condividere alcuni aspetti da lui trattati e nel rispondergli chiarirà anche, in modo inequivocabile, la divergenza di opinioni esistente fra comunisti e democristiani. Limiterà la sua esposizione alla partecipazione dei lavoratori agli utili ed ai consigli di amministrazione.

I comunisti sono contrari alla partecipazione dei lavoratori agli utili, perché vogliono evitare una divisione non solo all'interno della classe operaia, ma anche tra la classe operaia e la classe lavoratrice. Fa questa distinzione, perché una cosa è la classe operaia ed un'altra è la classe lavoratrice, a cui appartiene anche il datore di lavoro che è un lavoratore allo stesso titolo dell'operaio, senza però appartenere alla classe operaia.

Tale divisione, a suo avviso, sarebbe motivata dal fatto che l'operaio, quando partecipasse agli utili dell'azienda, sarebbe inevitabilmente portato a considerarla come parte di se stesso, arrecando così in seno anche alla classe operaia quella corsa al profitto, che caratterizza la società capitalistica attuale. In concreto, gli operai di una data officina avrebbero interesse a lavorare in modo da ottenere i più alti profitti, anche se questo risultato fosse contrario agli interessi di altri componenti della classe operaia, o di altri lavoratori. Cita l'esempio degli operai tessili che già godono di condizioni di favore e che se fossero ammessi alla partecipazione agli utili, potrebbero essere portati a produrre una accentuazione nella corsa al rialzo dei prezzi, creando così una divisione tra essi e la collettività nazionale.

D'altra parte, se il sistema si estendesse, data la differenza di utili delle varie aziende, si verrebbero a costituire delle aristocrazie operaie che si metterebbero in contrapposizione con altri lavoratori meno favoriti. Oltre a questo motivo, i comunisti sono contrari alla partecipazione agli utili, perché questa, in fondo, è una caratteristica della ideologia corporativa, la quale tendeva alla collaborazione delle classi sul terreno dello sfruttamento, e della corsa al profitto capitalistico, tra operai e datori di lavoro.

L'istituzione dei consigli di gestione, secondo il punto di vista comunista, deve avere invece lo scopo di collaborare coi datori di lavoro in senso produttivo, non per attuare una corsa al profitto capitalistico, ma nell'interesse della collettività. Per profitti capitalistici, oltre quelli di congiuntura, a cui ha accennato l'onorevole Fanfani, si devono intendere anche gli utili che sorpassino un certo livello, i quali oltre che al datore di lavoro, dovrebbero andare a beneficio della collettività sotto forma di riduzione di prezzi. È anche sotto questa forma che va inteso il concetto di solidarietà nazionale, affinché non sia una parola vuota di senso.

Oltre che per la riduzione dei prezzi, tali utili potrebbero essere impiegati per provvidenze di carattere sociale, non circoscritte però ai soli operai di una data industria o officina, come nidi per bambini, scuole professionali, scuole di perfezionamento e scuole tecniche.

Ha voluto precisare il punto di vista dei comunisti perché, rendendosi conto delle preoccupazioni che alcuni aspetti di questo problema potevano determinare nei colleghi democristiani, le pareva che tali aspetti non fossero stati veduti sufficientemente, sotto il profilo specialmente della solidarietà sociale.

Per quanto, poi, concerne i consigli di amministrazione, i comunisti sono contrari ad una partecipazione ad essi dei lavoratori in genere, mentre sono favorevoli a farvi partecipare un rappresentante del consiglio di gestione.

Nel primo caso, infatti, premesso che un consiglio di amministrazione è il consesso dei dirigenti amministrativi che rappresentano il capitale, gli operai, mentre da un lato si renderebbero corresponsabili di fronte ai loro compagni delle decisioni adottate in quella sede, non avrebbero d'altra parte sufficiente voce in capitolo per poter opporsi alle deliberazioni, o per poterne condividere la responsabilità.

Differente è invece la questione se al consiglio di amministrazione partecipa il rappresentante del consiglio di gestione, in quanto egli rappresenta già un collegio in cui sono stati dibattuti quegli stessi problemi che formeranno oggetto di discussione nel consiglio di amministrazione, in seno al quale porterà il parere dell'organo che rappresenta, senza tuttavia impegnarne la responsabilità.

Tale rappresentante naturalmente non deve avere voto deliberativo, perché non può assumersi la responsabilità di eventuali decisioni che siano contrarie agli interessi degli operai. Potrebbe forse accettare il voto deliberativo soltanto se nel consiglio di amministrazione vi fossero tanti rappresentanti operai quanti sono rappresentanti datori di lavoro. Ma poiché si è ancora troppo lontani da questa meta, e per il momento si può solo fare una questione di rappresentanza, questa non essendo in grado di decidere, non può assumersi la correlativa responsabilità.

Dove, a suo parere, i consigli di gestione dovrebbero avere un'influenza determinante è proprio nei casi di licenziamento e di assunzione, nella migliore utilizzazione delle materie prime, nell'incremento della produzione e in genere in tutti quei problemi in cui veramente possono esprimere un parere ed assumersi una responsabilità. Non parla di consigli di gestione ideali, ma si riferisce a consigli che esistono e che si interessano di tutte le questioni di produzione, di vendita, di importazioni e di esportazioni.

In sostanza gli operai vogliono attuare con i datori di lavoro una collaborazione tecnica e produttiva per il miglior andamento della azienda e non per il suo maggior sfruttamento.

Per questi motivi, ritiene che la Sottocommissione dovrebbe sancire con un articolo breve e sintetico, il diritto della partecipazione degli operai, degli impiegati e dei tecnici a collaborare con i datori di lavoro, nell'interesse della collettività.

Il Presidente Ghidini, tra le due opposte tendenze, si limiterebbe ad affermare il diritto generico dei lavoratori ad entrare nella vita della azienda.

Dominedò, Correlatore, ritiene che per stabilire la possibilità di giungere ad una conclusione, la quale rappresenti un punto di accordo tra le due diverse tendenze, sia necessario approfondire i rispettivi due angoli visuali. A suo giudizio, i cinque punti esposti dall'onorevole Corbi possono essere ridotti ai tre seguenti: 1°) partecipazione alla titolarità; 2°) partecipazione all'esercizio (costituzione di consigli di gestione e immissione nei consigli di amministrazione); 3°) partecipazione agli utili.

Il partecipazionismo alla titolarità, dal punto di vista del suo gruppo, deve essere ritenuto come una meta fondamentale, poiché, se non si mira ad un collettivismo totale, deve restare aperta la possibilità ai lavoratori di diventare proprietari dell'azienda.

Circa il partecipazionismo all'esercizio, in riguardo alla costituzione dei consigli di gestione, domanda come si concilierebbe il potere deliberativo di questo organo, quale è stato illustrato dall'onorevole Corbi (orientamento e sviluppo produttivo dell'azienda, costi e prezzi, destinazione delle materie prime, assunzione e licenziamento del personale), con la funzione deliberativa ordinaria del consiglio di amministrazione, nonché con la necessità di una correlativa responsabilità anche dal punto di vista giuridico. Poste queste domande, avanza l'ipotesi se non sia il caso di pensare a una diversa struttura dei consigli di gestione, fondata sul concetto che questi consigli potrebbero essere organi di consulenza tecnica per rafforzare l'unità e la solidarietà aziendale: cioè organi di efficienza piuttosto che di gestione.

In riguardo, poi, alla possibile partecipazione al consiglio di amministrazione, ritiene che le contrarie argomentazioni della onorevole Noce siano probanti solo in quanto si consideri isolatamente questa forma di partecipazionismo che invece deve essere inquadrata con le altre due forme.

Infatti, se da un lato si tende alla graduale immissione dei lavoratori nella titolarità oltre che nell'esercizio della azienda, nel medesimo tempo si vengono a creare i presupposti per cui rappresentanti del patrimonio sociale o aziendale diventerebbero gli stessi lavoratori trasformatisi in comproprietari, essendosi favorito l'accesso alla proprietà oltre che alla gestione. Verrebbe così a cadere la sostanza delle obiezioni sollevate dalla onorevole Noce su questo punto.

Parimenti, per quanto attiene alla partecipazione agli utili aziendali, non gli sembrano probanti le obiezioni facenti perno sul pericolo di un'eventuale scissione della classe operaia, sia per un motivo analogo al precedente (cioè perché si considera l'innovazione singola, avulsa dalle altre), sia perché, a rigore, se l'affermazione fosse rispondente a verità, sarebbe così grave da ferire non solo il partecipazionismo agli utili ed alla gestione, ma altresì il partecipazionismo alla stessa proprietà. Infatti, anche nel caso in cui il lavoratore fosse immesso nella titolarità delle aziende, si potrebbe verificare egualmente la ipotesi deprecata dalla onorevole Noce, cioè la corsa al profitto capitalistico nell'ambito di una singola azienda, aprendo così un solco fra gli interessi dei lavoratori da essa dipendenti e quelli appartenenti ad altri complessi aziendali. Pertanto, se le obiezioni poste chiaramente in evidenza dalla discussione, in riguardo alla partecipazione dei lavoratori agli utili, fossero probanti, esse finirebbero per incrinare il fenomeno stesso della elevazione dei lavoratori e della loro partecipazione ad una singola azienda privata, perfettamente degna di essere tutelata in quanto rispondente ad una funzione sociale. Né, a rigore, resterebbe altra soluzione, in ultima analisi, che quella di un collettivismo totale e livellatore, il quale, anche da un punto di vista umano ed etico, non costituirebbe allora la via più idonea per la redenzione del lavoro.

Il Presidente Ghidini, come ha già detto, si limiterebbe ad affermare il diritto generico dei lavoratori di partecipare alla vita dell'azienda. All'incirca formulerebbe così l'articolo:

«È diritto dei lavoratori di partecipare con i propri delegati alla conduzione dell'impresa in cui prestino la loro attività. L'organo formato dai delegati del capitale e dai delegati del lavoro verrà regolato dalla legge nella sua costituzione e nelle sue attribuzioni».

Corbi, Relatore, dichiara di essere d'accordo sulla formulazione proposta dal Presidente.

Il Presidente Ghidini rinvia la riunione a venerdì 11 alle ore 10.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti