[Il 5 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Tupini. [...] Sono altresì raccomandate e previste nel nostro progetto la cooperazione e la partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende. Questo punto di vista noi difenderemo, poiché esso rappresenta il riconoscimento e l'attuazione di una civiltà, di un ordinamento giuridico e sociale in cui il lavoratore è posto al centro e sottratto alla speculazione, alla miseria, alle cause insomma che feriscono la sua libertà e la sua dignità.

[...]

Laconi. [...] Ma vi è una parte più importante e più discussa fra questi diritti nuovi che noi dobbiamo affermare nella nuova Costituzione, ed è quella che concerne il diritto del lavoro; il diritto al lavoro appunto, il diritto ad una retribuzione adeguata, il diritto al riposo, all'assistenza, all'assicurazione; diritti che per la prima volta si trovano affermati in un documento costituzionale italiano, e non soltanto italiano.

La libertà delle organizzazioni sindacali, il riconoscimento della loro personalità giuridica, la validità dei contratti collettivi, il diritto di sciopero: questo è il contenuto della parte che concerne i diritti, dei cittadini in ordine ai rapporti economici.

Che valore hanno queste affermazioni? Molti hanno osservato che affermazioni di questo genere, nella situazione presente del nostro Paese, non possono avere altro che un vago valore programmatico.

Taluno ha obiettato che da molte parti e da uomini che hanno avuto esperienza di Costituzioni moderne si è osservato che le Costituzioni non sono programmi e che non conviene quindi introdurre nelle Costituzioni elementi programmatici che le facciano deviare dalla loro natura e dalla loro funzione normale. Ma io penso, onorevole Bozzi e onorevole Calamandrei, che non si tratti di elementi puramente ideali e vagamente programmatici che noi inseriamo nella nuova Costituzione italiana. Io credo che non siano dei principî e delle affermazioni che si possano affidare ad un preambolo, onorevole Mastrojanni, per rinviarle ad una lontana attuazione, quando «le condizioni del nostro Paese saranno mature».

Credo che non si tratti di questo, ma che si tratti di ben altro. L'affermazione di questi diritti oggi nella Carta Costituzionale italiana ha, per le masse lavoratrici d'Italia, un valore preciso. Nel corpo della Costituzione italiana questa parte oggi costituisce un documento a sé: la Carta dei lavoratori italiani, onorevoli colleghi.

Io so che qualcuno potrà ironizzare sul fatto che io non usi la denominazione «Carta del Lavoro»; qualcuno potrà ironizzare su questo, ma io non ho alcuna esitazione ad usare un termine mistificato dal fascismo, ed usarlo nel suo significato vero e nella sua reale portata, oggi che la democrazia italiana si trova in grado di affermare la libertà dei lavoratori e di riconoscere i diritti del lavoro in una Carta costituzionale.

Quale valore ha questa Carta, che significato, che portata può avere oggi nel corpo della Costituzione italiana introdurre una Carta che riguardi i lavoratori, che concerna i loro diritti? Molti hanno parlato di compromesso, ed hanno detto che si tratta soltanto di tendenze diverse tra diversi partiti che son dovuti giungere ad un punto medio, ad una soluzione che riscuotesse il consenso di una maggioranza. Questo è vero, ma non è un fatto negativo; è un fatto altamente positivo.

Se oggi questi principî, queste affermazioni hanno un valore ed hanno un significato nella nostra Carta costituzionale, è in quanto dietro di essi vi è un patto fra forze sociali e politiche che si impegnano, nel corso della vita del nostro Paese, a realizzare questi principî, a rendere effettivi questi diritti.

In questo senso è possibile l'affermazione di diritti e di principî che non possono trovare immediata garanzia, nel senso che non si tratta soltanto di speranze — come l'onorevole Tupini ha voluto benevolmente dire — ma di impegni, di impegni che sono stati assunti dai grandi partiti di massa, allorquando si sono presentati alle masse elettorali, allorquando hanno detto alle masse lavoratrici: «Noi siamo il vostro partito». Allora, onorevoli colleghi, questi impegni sono stati presi, non più tra il popolo da un lato ed il sovrano assoluto dall'altro, per riuscire a strappare determinate concessioni e determinate garanzie, ma fra gruppi e gruppi sociali, fra partiti e partiti. Questi impegni sono stati presi e, inserendoli nel quadro della nuova Costituzione italiana, noi diamo una garanzia al popolo che essi non sono cosa vana, che non sono state parole sparse al vento in un momento di eccitazione o per scopi di propaganda elettorale, ma propositi sinceri che noi abbiamo ferma intenzione di tradurre in atto.

Io penso, quindi, che sia del tutto assurdo pensare ad uno spostamento di questa parte verso il preambolo. Penso che essa debba rimanere nel luogo che attualmente ha, e debba anzi acquistare un distacco ed un rilievo maggiori di quello che oggi non abbia.

Si è osservato che, comunque, anche se questa parte rimarrà al suo luogo, anche se l'affermazione di questi principî e di questi diritti verrà fatta nella Costituzione italiana, con tutto ciò mancano garanzie, mancano sanzioni. Domani, qualcuno diceva, quando i lavoratori italiani fiduciosi e creduli si presenteranno a chiedere che vengano attuati, che vengano tradotti in pratica i diritti affermati sulla Carta, essi rimarranno delusi perché lo Stato non potrà garantire nulla.

Questo è vero. Noi non siamo in grado oggi di stabilire delle garanzie e delle sanzioni per la realizzazione e la concretizzazione di questi diritti; ma qualcosa possiamo fare: noi possiamo fissare i principî, possiamo stabilire le direttive entro le quali dovrà orientarsi il legislatore di domani, possiamo aprire la strada a questo legislatore, togliere alcuni limiti alla sua azione. In questo senso possiamo introdurre alcuni elementi di una economia nuova, possiamo predisporre l'intervento dello Stato nella vita economica, possiamo prevedere la necessità e la facoltà per lo Stato di attuare determinati piani generali che possano coordinare le diverse attività economiche secondo un'unica direttiva e rivolgere l'attività produttiva del Paese verso gli interessi delle grandi masse lavoratrici. Noi possiamo, introdurre nel corpo della Costituzione la facoltà per lo Stato di nazionalizzare le grandi imprese che rivestono ormai il carattere di monopolio di fatto o che interessano servizi essenziali per la collettività; noi possiamo introdurre la possibilità per il legislatore futuro di stabilire determinati limiti alla grande proprietà terriera, di abolire il latifondo. Ma non solo possiamo fare questo; possiamo — e già ve ne è cenno nel progetto di Costituzione — prevedere gli organi attraverso i quali lo Stato potrà concretare queste riforme e potrà attuare questi piani. È in questo senso che, nel progetto di Costituzione, si parla di Consigli di gestione, in questo senso si parla di cooperative, in questo senso, da parte del Relatore della terza Sottocommissione, onorevole Di Vittorio, fu presentata la proposta d'introdurre nell'ordinamento del nostro Stato un Consiglio del lavoro, in cui le diverse categorie che partecipano al ciclo produttivo intervengano in proporzione della loro rilevanza numerica, in proporzione del loro peso effettivo nella vita della Nazione.

Capua. Torniamo alle Corporazioni! (Commenti).

Laconi. Ella non ha ragione di parlare di questioni corporative. Gli amici della sua parte hanno sostenuto tale indirizzo nel corso della discussione e lo hanno costantemente affermato. Il principio corporativo è legato ad altro. È legato intanto alla pariteticità delle rappresentanze, che in questo momento io escludevo, se ella è stato attento alle mie parole; è legato anche ad un criterio non democratico, come lei sa, perché la rappresentanza non era elettiva; ed è legato soprattutto alle funzioni che a questi organi si danno. Quando noi parliamo di un Consiglio del lavoro, noi non vogliamo privare la rappresentanza politica della sua funzione e dei suoi poteri; noi vogliamo soltanto affiancare il legislatore con organi che gli portino la voce viva degli interessi delle grandi masse e gli facciano sapere quali sono le istanze e le esigenze che egli deve soddisfare. In questo senso noi abbiamo proposto un Consiglio del lavoro come organo di Collaborazione col Governo e di controllo da parte dei lavoratori dell'opera e dell'attività del Governo e delle Assemblee legislative. Sono questi indubbiamente elementi nuovi, elementi di una nuova economia che si trovano fatalmente in contraddizione con la vecchia. Indubbiamente ha ragione l'onorevole Calamandrei quando, leggendo passo per passo, comma per comma, un medesimo articolo, vi trova insieme principî che si riferiscono a concezioni diverse e che egli ha provato in dottrine economiche diverse. Ma questa contraddizione è nella vita e nella realtà italiana di oggi. Il problema è questo, onorevole Calamandrei: vi è oggi in Italia la possibilità di introdurre determinati elementi di una economia pianificata, coordinata in modo da poter venire incontro alle necessità delle grandi masse lavoratrici, rispettando i metodi della democrazia, rispettando la libertà?

Se questo non è possibile, ci troveremmo nella situazione che diceva l'onorevole Bozzi, dispersi fra due mondi senza avere possibilità di soluzione, senza trovare una via di uscita? Noi pensiamo di no. Noi pensiamo che non vi sia una assoluta opposizione tra questi due mondi; che non siano necessari fatalmente l'urto, lo scontro, il caos. Pensiamo che si possa attuare una rivoluzione sociale ed economica attraverso metodi pacifici e democratici. In questa fiducia confortateci, non scoraggiateci.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti