[Il 10 settembre 1946, la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, discutendo un articolo della relazione dell'onorevole Conti relativo alla composizione della Camera dei Deputati (vedi Art. 56) ritiene di dover definire in quella sede quali siano le caratteristiche dell'elettore e principalmente l'età necessaria per poter essere elettore.]

Il Presidente Terracini avverte che, acquisito il concetto del sistema bicamerale del potere legislativo, si pone ora la questione della formazione e del funzionamento della prima e della seconda Camera, e crede naturale cominciare dalla prima.

Mortati concorda col Presidente. Il primo punto da esaminare, a suo avviso è se vi siano principî di carattere elettorale da inserire nella Costituzione, sul quale argomento qualche accenno si trova nell'articolazione Conti ove si parla del sesso e dell'età. Vi sarebbero da prendere in considerazione anche altri elementi.

Fabbri crede necessario stabilire preventivamente se il tipo della legge elettorale debba essere consacrato nella Costituzione o rimandato alla legge elettorale stessa.

Il Presidente Terracini rileva che, in sostanza, si tratta di determinare se nella Costituzione si debba parlare di proporzionale o di collegio uninominale. Ma, seguendo l'articolazione Conti, la prima cosa da determinare è chi è elettore. Mette quindi in discussione l'articolo 1 proposto dall'onorevole Conti:

«La Camera dei Deputati è composta di cittadini di ambo i sessi, dell'età di almeno venticinque anni, eletti per quattro anni, a suffragio universale, uguale, diretto e segreto».

Cappi domanda se sia opportuno rimandare alla legge elettorale taluni particolari, o si debba inserire in questo articolo il principio della rappresentanza proporzionale, aggiungendo, dopo «a suffragio universale, uguale, diretto e segreto», le parole: «mediante il sistema proporzionale». Personalmente crede che sia questo un principio che meriti di essere inserito nella Costituzione, salvo a indicare nella legge particolare il sistema di proporzionale.

Lussu crede fuori luogo stabilire qui le modalità elettorali: può essere fatto semplicemente un riferimento alla legge speciale, che verrà successivamente, ma senza impegnarsi sul sistema elettorale su cui esistono serie divergenze, così che occorrerà esaminare in apposita seduta la questione.

Bozzi concorda con quanto ha detto l'onorevole Lussu. Non gli sembra conveniente inserire in una Costituzione, che per di più sembra sarà una Costituzione rigida, il meccanismo del sistema elettorale. Un mutamento di opinione su questo punto comporterebbe una revisione della Costituzione col particolare procedimento che sarà stabilito; e ciò non gli sembra consigliabile.

L'onorevole Mortati ritiene che questo debba costituire uno dei presupposti dell'esistenza stessa della Costituzione; contro il che egli pensa che, assai più del meccanismo elettorale, sia il principio dell'organizzazione della vita pubblica in forma di partiti che può influire sull'essenza della Costituzione.

Rossi Paolo osserva che la proposta specifica avanzata dall'onorevole Cappi di stabilire con la Costituzione il principio della rappresentanza proporzionale tocca una questione delicata, che sarebbe opportuno rinviare.

Il Presidente Terracini pensa che sia meglio esaminare intanto l'articolo proposto dall'onorevole Conti, salvo a vedere poi se debba aggiungervisi qualche cosa.

Indubbiamente nella Costituzione la precisazione di chi è elettore non può mancare. Da taluno si vorrebbe dire che sono elettori tutti i cittadini maggiorenni. Ma bisogna allora precisare che cosa si debba intendere col termine «maggiorenne». Se alla parola «maggiorenne» si vuole attribuire il significato che ha nel diritto civile, si dovrà adottare una formula con la quale si stabilisca che il diritto elettorale attivo è riconosciuto ai cittadini italiani che hanno compiuto i 21 anni.

Bulloni fa osservare che la donna, passando a matrimonio, diventa maggiorenne anche se non ha compiuto i 21 anni.

Il Presidente Terracini suggerisce allora la formula: «Sono elettori tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto i 21 anni di età e godano dei diritti civili»; oppure: «sono elettori tutti i cittadini aventi il godimento dei diritti civili e politici, che abbiano compiuto i 21 anni».

Fabbri domanda se la precisazione insita nella parola «cittadini», di fronte a coloro che possono essere originari di territori non più sotto la sovranità italiana, non possa dar luogo a qualche problema di cui occorra preoccuparsi.

Perassi richiama l'articolo della legge Crispi il quale consolida la figura dell'italiano regnicolo (detto questo nel senso francese della parola e non nel senso monarchico). Crede opportuno attenersi allo stato attuale della legislazione, secondo cui chi è italiano per nazionalità, ma non cittadino italiano, non è senz'altro elettore: ha soltanto un titolo per acquistare la cittadinanza italiana, prescindendo da altre condizioni.

Nobile ha qualche dubbio circa l'età che si richiede ai cittadini. Si è espresso da taluno il desiderio che l'età sia portata a 18 anni. Nello schema di Costituzione francese è stata tenuta una via intermedia; criterio che potrebbe essere adottato, o per lo meno discusso.

Lussu, per quanto, allorché si tratterà di compilare il testo definitivo, occorrerà rivedere tutto, e sarà possibile aggiungere qualche criterio che sia stato omesso, osserva che la Costituzione dovrebbe contenere anzitutto un accenno alla sovranità popolare.

Il Presidente Terracini crede che l'affermazione della sovranità popolare sarà senz'altro accettata non appena se ne parlerà. Ma sarà una questione da esaminare in occasione della stesura definitiva della Costituzione.

Tosato concorda col Presidente, anche perché quando si dice che sono eleggibili e sono elettori tutti i cittadini, ecc., è implicito in ciò il principio della sovranità popolare.

Non è favorevole all'accoglimento della proposta Nobile. Crede che l'età di ventun anni sia la minima ammissibile per l'elezione di un corpo che viene a porsi al vertice dello Stato, per la quale funzione occorre una certa maturità politica. Anche senza voler arrivare ai venticinque anni di altri tempi, l'età di ventun anni gli pare necessaria, e armonica a tutto il sistema giuridico, perché a ventun anni si acquistano i diritti civili.

Nobile osserva che ai giovani di vent'anni si impone il servizio militare e, se occorre, dopo un breve periodo d'istruzione, il combattimento. All'onorevole Tosato, che trova una disarmonia nel fatto che si ammetta il ventenne a dare il voto per l'Assemblea legislativa, mentre non gode ancora i diritti civili, oppone che non è affatto giusto, e quindi non è possibile chiedere ad un cittadino di dare la vita per il proprio paese e negargli i diritti civili e politici. O si eleva l'età per il servizio militare a ventun anni, o si deve anticipare la concessione dei diritti civili e politici.

Tosato risponde che i criteri che regolano il servizio militare sono diversi da quelli relativi al diritto elettorale attivo: per il primo si tratta di sviluppo fisico, mentre per il secondo si tratta di capacità politica, e la capacità fisica di portare le armi non coincide con la capacità politica.

Piccioni pensa che, trattandosi di Costituzione, che afferma principî generali, sia sufficiente affermare il concetto che la Camera dei Deputati è eletta a suffragio diretto, universale e segreto, senza cristallizzare definitivamente l'età dell'elettorato attivo.

Leone Giovanni concorda col collega Piccioni, e, in contrasto con l'onorevole Nobile, osserva che la diversità tra l'età del servizio militare e l'età per l'esercizio dei diritti sussiste nella nostra legislazione e anche in quelle straniere, non solo riguardo ai diritti politici, ma anche a quelli privatistici. Aderisce, quindi, alla fissazione dei ventun anni, in quanto la capacità politica richiede una maggiore età ed una maggiore esperienza.

Bozzi non è d'accordo con l'onorevole Piccioni, perché l'età è un requisito essenziale dell'elettorato attivo. Ma non si nasconde che si tratta di una valutazione piuttosto arbitraria. In favore della tesi dell'onorevole Nobile si potrebbe osservare che, per esempio, la capacità giuridica in materia di lavoro si acquista a diciotto anni. Personalmente però propende a ritenere che, nello specifico settore dell'elettorato attivo, il limite debba essere fissato a ventun anni, perché dà la garanzia di maggiore ponderazione e serietà, di maggiore inserimento dell'individuo nella vita sociale e politica del paese, che è soprattutto necessario all'esercizio di questo diritto.

Lussu per quanto concordi con l'onorevole Piccioni nel ritenere che non si debbono specificare i dettagli del sistema elettorale, crede che l'età debba essere fissata. Ma gli argomenti dell'onorevole Nobile non lo convincono; il servizio militare è obbligatorio per gli uomini e non per le donne, quindi quegli argomenti non riguardano più della metà degli elettori. Poi al giovane chiamato sotto le bandiere le armi in realtà si danno solo più tardi, mentre l'elettorato si esercita senz'altro dal momento in cui lo si acquista. Perciò, malgrado la Costituzione francese abbia fissato il limite a vent'anni, ritiene più opportuno il limite dei ventun anni, che gli sembra risponda alle esigenze di un compito politico estremamente serio, quale è quello di eleggere un'Assemblea legislativa.

Nobile fa osservare che egli ha proposto di elevare a ventun anni il limite di età per il servizio militare. Bisogna tener presente, tuttavia, che in tempo di guerra la preparazione del militare dura talvolta solo due o tre mesi, e spesse volte si mandano al fronte anche i giovani di diciannove anni. D'altronde trova un po' arrischiato dire che a vent'anni un giovane non sia politicamente maturo. Sarebbe forse più giusto chiedere una maggiore maturità politica ai candidati; ma quando si stabilisce per questi il limite di venticinque anni, non vede perché si debba fissarlo a ventun anni per gli elettori. Se mai, sarebbe giusto ritornare ai trent'anni che un tempo erano richiesti per essere eleggibile.

Codacci Pisanelli rileva dalla discussione l'opportunità di non stabilire qui il limite di età, tanto più che in altri rami del diritto il limite minimo è andato spostandosi; nel diritto privato, per i rapporti di lavoro i ventun anni sono stati ridotti a diciotto; in diritto penale, per la capacità di intendere e di volere, è stato pure spostato. Poiché la Costituzione deve fissare solo dei principî che abbiano una certa presunzione di stabilità, è opportuno non pregiudicare la questione. Lo Statuto Albertino è durato circa un secolo ed è da augurarsi che anche la nuova Costituzione abbia la stessa durata; quindi non è necessario precisare dati che probabilmente saranno nel frattempo variati in seguito all'evoluzione dei tempi. Propone perciò di lasciare la semplice formula che la Camera dei Deputati sarà eletta a suffragio diretto, universale e segreto.

Fabbri è favorevole a che sia stabilito il limite di età, perché non crede logico riferirsi, in questo campo, al diritto privato o pubblico che fissa vari termini per diverse specifiche funzioni; è naturale che occorra una certa età per la capacità patrimoniale, un'altra per il servizio militare, ecc. D'altra parte, nella Costituzione non si può non fissare l'età per l'ammissione all'esercizio di un diritto che concerne milioni di persone chiamate a partecipare alla vita politica del paese.

Conti, Relatore, si associa all'onorevole Fabbri. Crede necessaria l'indicazione dell'età, la quale comporta l'esercizio d'un diritto così fondamentale, e osserva che non c'è una Costituzione in cui l'età per l'elettorato attivo non sia prevista.

Propone di fissare questo limite di età a 21 anni e osserva che fra questa e l'età di 18 anni v'è una enorme differenza di maturazione.

Questi elementi sono stati valutati specialmente quando si sono compiuti gli studi per la riforma del Codice penale, e nella fissazione della responsabilità penale si è scesi ai diciotto anni perché, in base a considerazioni fisiologiche, si è considerato che a questa età si è capaci di capire quello che si fa, quando si ferisce o si uccide. L'esercizio del diritto di voto comporta invece una maturazione di vedute, almeno giuridiche, che non si consegue prima dei ventun anni.

Mannironi non avrebbe difficoltà ad aderire alla tesi che non si debba fissare fin da ora il minimo dell'età per l'elettorato; ma, ove si voglia fissarlo, aderisce al termine di ventuno anni, in omaggio alla tradizione giuridica italiana. Nella legge civile, infatti, è fissato a ventun anni l'acquisto della capacità giuridica del cittadino, ed egli non vede che il richiamo all'età per il servizio militare o all'età per il diritto al lavoro menomi il valore che ha il principio generale fissato nella legislazione civile, la quale stabilisce a ventun anni la piena capacità giuridica.

La Rocca, senza voler dire nulla che possa parere sconveniente, manifesta l'impressione che tutti concordino nel dire di voler progredire sul terreno democratico, ma in pratica molti si mostrano conservatori. Se veramente si intende rinnovare gli istituti, bisogna portare un soffio nuovo nella vita politica italiana e non porre ostacoli alla manifestazione della volontà di una categoria così larga, come quella della gioventù italiana.

Sostiene che si deve ridurre al minimo l'età per l'elettorato, perché un giovane, che a diciotto anni scrive, organizza, frequenta le università, lavora, dà il proprio contributo vivo nelle officine, sposa, costituisce una famiglia, non può non avere il diritto di partecipare alla vita pubblica. La maggiore decapitazione che si possa fare a un cittadino è quella di privarlo di portare il proprio contributo alla soluzione dei grandi problemi nazionali. Ora, i giovani che sopportano il maggior peso nei periodi di gravi crisi sociali, che sono i più interessati alle decisioni politiche, perché sono gli attori dei grandi avvenimenti nazionali, non possono essere messi in disparte.

Di Giovanni osserva che nella formazione delle Carte costituzionali di massima si fanno affermazioni di principio, rimandando le questioni specifiche di dettaglio alle leggi particolari. Quando si sia affermato il principio che l'Assemblea nazionale è eletta a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, si è esaurito il compito inerente alla formazione della Carta costituzionale, e le condizioni sotto le quali sarà ammesso il cittadino ad esercitare il diritto dell'elettorato attivo saranno rimesse alla legge elettorale.

Nobile, d'accordo con quanto ha detto l'onorevole Di Giovanni, propone il rinvio della discussione su questa questione, che non gli appare sufficientemente maturata. Non capisce, d'altra parte, come un giovane di vent'anni, che da due anni ha compiuto gli studi medi, possa esser ritenuto non maturo per poter scegliere il suo partito e il suo deputato.

Patricolo riconosce il valore delle ragioni addotte dall'onorevole Fabbri, per il valore politico che può avere la determinazione del limite di età.

Riferendosi a quanto ha detto l'onorevole Nobile, afferma che, se non è troppo elevato il termine di ventun anni per l'elettorato attivo, è certo troppo basso quello di venticinque per l'elettorato passivo, e propone che venga elevato a trent'anni. A chi teme che con ciò troppi giovani siano esclusi dalla vita politica italiana, osserva che i più giovani potranno passare nelle Assemblee regionali, prima di arrivare alle soglie di Montecitorio.

La Rocca non trova opportuno richiamarsi, come altri han fatto, alle tradizioni che nella vita di un popolo costituiscono qualcosa di morto che bisogna superare, e insiste affinché all'Assemblea Nazionale siano portate energie fresche e attive.

Il Presidente Terracini è personalmente dell'avviso che sia necessario fissare il limite di età nella Carta costituzionale. La legge elettorale dovrà stabilire i modi con cui si esercita il diritto, ma il limite di età non è un modo; è elemento integrante, che definisce il soggetto del diritto. Le leggi elettorali potranno variare all'infinito; ma vi sono dati che non dovrebbero poter variare. Contrariamente a quanto qualcuno ha detto, la consuetudine di fissare nella Costituzione il limite di età è talmente larga, che astenersene costituirebbe un'eccezione. Non si deve essere pedissequi di fronte alle altre costituzioni; ma per essere originali, non è necessario fare una cosa non comprensibile.

Circa la proposta di far riferimento al limite della maggiore età, osserva che questo limite non è intangibile, e se vi è una buona occasione, in cui anche il problema del limite della maggiore età possa essere affrontato, questo è certo l'attuale.

Il problema della maggiore età è attinente ad elementi di carattere fisiologico e di carattere intellettuale, e l'Assemblea Costituente è organo capace per valutare e contemperare. Non è sufficiente dire che nella legge civile è stabilito il limite della maggiore età; non si deve cercare come punto di riferimento tutto ciò che è stabilito, perché si sta ora lavorando proprio per modificare lo stabilito, altrimenti la Costituente non avrebbe ragion d'essere, o si limiterebbe a confermare l'ordinamento precedente.

Pensa che sia opportuno diminuire a vent'anni il limite di età per l'esercizio del diritto elettorale, e se la legge civile diminuisse corrispondentemente a vent'anni il limite della maggiore età, non ne subirebbe certo alcuna scossa la vita italiana. In pratica è già nella generale convinzione che i vent'anni non costituiscono differenza sostanziale dai ventuno o dai venticinque, anche per quello che riguarda il diritto matrimoniale, specie in riferimento agli usi dell'Italia centro-meridionale. E quanto al punto di vista della formazione intellettuale, si è tutti convinti che, date le condizioni della vita moderna più febbrile e più rapida nel suo sviluppo, una sufficiente maturità è raggiunta anche prima dell'età stabilita in passato.

Quanto al servizio militare, pur essendo giusto che per questo si ha riguardo della robustezza fisica, non si può dimenticare che il servizio militare ha pure un contenuto spirituale e ideologico, onde i giovani chiamati al servizio militare devono essere anche in condizioni intellettuali di sentire e di valutare l'uso delle armi a cui sono chiamati.

Perciò propone di fissare nella Costituzione il limite di età e che per questo non ci si irrigidisca sui ventun anni tradizionali ma si scenda ai venti.

Mette in votazione il concetto che si debba fissare un limite di età.

(È approvato).

Perassi, circa il limite di età, per non pregiudicare attualmente la questione, propone di adottare la formula che sono elettori tutti i cittadini italiani maggiorenni, spiegando che il significato della proposta è questo, che se la legge comune abbasserà il limite della maggiore età da ventuno a vent'anni, questo abbassamento avrà effetto anche per la legge elettorale.

Il Presidente Terracini crede però che una simile decisione sarebbe generalmente intesa nel senso che si vuole indicare l'età di ventun anni secondo la legge civile attualmente in vigore, perché la prima legge elettorale, cioè quella da cui sorgerà la prima Assemblea legislativa, sarebbe applicata sotto l'impero dell'attuale legge civile, che nel frattempo non si avrebbe il tempo di modificare.

Codacci Pisanelli ritiene che la proposta Perassi non risolverebbe la questione perché, se nel diritto privato il limite della maggiore età è fisso, nel diritto pubblico è invece oscillante. E poiché il diritto elettorale fa parte del diritto pubblico, mancherebbe quel preciso riferimento di diritto generale che si vuole ottenere.

Perassi trova eccessiva la preoccupazione dell'onorevole Codacci Pisanelli, perché il concetto di maggiore età è un concetto comune, che non viene infirmato dal fatto che norme speciali valgono in qualche caso di esercizio di diritti pubblici.

Nobile insiste perché siano fissati i vent'anni, osservando che, se si interessano i giovani il più presto possibile alla vita pubblica, si compie un'opera di educazione.

Mortati si associa alla proposta dell'onorevole Perassi, non ritenendo decisive le obiezioni dell'onorevole Codacci Pisanelli. Il riferimento alla legge civile è la ragione logica della fissazione dei ventun anni, mentre le altre proposte non hanno alcuna giustificazione sostanziale. In tanto è possibile riferirsi al diritto civile, in quanto l'età di ventun anni è considerata come l'indice del raggiungimento di una maturità media; ed è a questa che bisogna riferirsi anche riguardo alla legge politica. Non si hanno elementi per affermare che si diventa maturi in politica prima che in altri campi. Si potrebbe dire che anche il limite dei ventun anni è un limite arbitrario; ma è il termine su cui la coscienza comune si fissa per presumere una capacità media.

L'argomento dell'età per il servizio militare non è probante, perché non v'è parallelismo fra le due capacità: si può anzi osservare che in tempo di guerra i giovani sono chiamati alle armi anche prima dei vent'anni; e si dovrebbe allora abbassare ulteriormente il limite di età per l'esercizio dell'elettorato.

Per quanto riguarda il fattore educativo, osserva che l'educazione politica si matura con altri compiti, di partito, sindacali, ecc., che possono offrire largo campo di educazione politica ai giovani.

Lussu propone che si dica esplicitamente che l'elettorato attivo si acquista a ventun anni.

Fabbri circa l'ordine da seguire nella votazione sulle varie proposte, ritiene che quella dell'onorevole Perassi sia la più comprensiva, perché, pur riferendosi attualmente ai ventun anni, considera anche la possibilità di un eventuale abbassamento, che si attuerebbe qualora gli organi legislativi ritenessero di portare la capacità civile ai vent'anni. Quindi crede che dovrebbe avere la precedenza nella votazione.

Ambrosini crede che la proposta Perassi sia da accettare, perché la determinazione della maggiore età dipende da una valutazione globale, fatta sempre con criteri contingenti. Se si stabilisse un'età inferiore a quella attualmente vigente per la determinazione della maggiore età, si giungerebbe a questa incongruenza che per l'esercizio del diritto elettorale, il più alto che vi sia, si richiederebbe un insieme di capacità minore di quello che l'ordinamento giuridico dello Stato richiede invece per negozi giuridici di importanza minore.

La proposta Perassi, invece, permette al legislatore, dopo queste discussioni che possono servirgli di orientamento, di risolvere a suo tempo il problema.

Il Presidente Terracini poiché in definitiva il risultato non muta per l'ordine della votazione, mette ai voti la proposta che il limite per l'esercizio dell'elettorato attivo sia ridotto a diciotto anni.

(Non è approvata).

Mette ai voti la proposta che il limite sia fissato ai vent'anni.

Ambrosini dichiara che si asterrà dalla votazione su questa proposta.

(Non è approvata).

Il Presidente Terracini deve ora mettere in votazione la proposta Perassi.

Piccioni propone che la formula Perassi, la quale si riferisce alla maggiore età, sia completata con l'indicazione che «la maggiore età attualmente è di ventun'anni», perché sostanzialmente le due proposte Perassi e Lussu coincidono.

Bozzi osserva che le due proposte non coincidono esattamente, perché la scelta dell'una o dell'altra ha influenza sulla procedura da seguire per eventuali modifiche, in quanto col sistema Perassi una modificazione della legge civile si riflette automaticamente sulla legge costituzionale, mentre ciò non avviene con l'altro sistema.

Einaudi voterà per i ventun anni, anche perché è bene che qualunque deliberazione il legislatore voglia prendere in avvenire circa la determinazione della maggiore età ai fini civili, sia presa senza preoccupazioni politiche, cioè all'infuori delle pressioni e delle decisioni di carattere politico.

Il Presidente Terracini può allora mettere in votazione la formula dei ventun anni.

Zuccarini ha votato a favore della proposta per i vent'anni, perché effettivamente oggi la vita è accelerata e quindi abbassare di un anno il limite di età non presenta alcun grave inconveniente; né si possono dimenticare le agitazioni che si sono avute per questo fra i giovani. Ma, se non si ottiene la maggioranza per nessuno dei limiti di età proposti, dovrà mettersi in votazione la proposta Perassi, sulla quale potrà pure non determinarsi una maggioranza.

Il Presidente Terracini mette ai voti la proposta dei ventun anni.

Bocconi, a nome anche di altri commissari, dichiara che si asterrà da questa votazione perché intende votare a favore dell'ordine del giorno Perassi.

(Con 13 voti favorevoli e 13 contrari, la proposta non è approvata).

Il Presidente Terracini mette ai voti la proposta Perassi.

(Con 13 voti favorevoli e 13 contrari, la proposta non è approvata).

Nobile propone di lasciare la cifra in bianco.

Il Presidente Terracini, dato l'esito della votazione, pensa che si dovrà rimettere la determinazione dell'età alla Commissione plenaria, tanto più che la prima Sottocommissione esaminerà lo stesso problema.

Fabbri si è astenuto dal votare sulla proposta dei ventun anni, perché sperava che ottenesse la maggioranza la proposta Perassi per la quale ha poi votato. Ma egli è favorevole all'idea di fissare l'età a ventun anni.

Osserva che la Costituzione ha carattere di prevalenza su tutte le leggi, compreso il Codice civile, e rileva che la Costituzione francese stabilisce che sono elettori tutti coloro che usufruiscono dei diritti politici e la maggiore età è fissata a 20 anni. Evidentemente, questa statuizione si ripercuote anche sul Codice civile francese, che parla ancora di 21 anni.

Il Presidente Terracini osserva che la prima Sottocommissione esamina il problema a proposito dei diritti politici e senza riferimento ai diritti civili o ad altri aspetti. La Commissione plenaria e più tardi l'Assemblea, tenendo conto del risultato delle singole votazioni, prenderanno le loro decisioni. Intanto l'articolo potrebbe essere così formulato:

«Sono elettori tutti i cittadini che abbiano compiuto l'età di ...».

Codacci Pisanelli, sulla proposta dell'onorevole Perassi, osserva che l'espressione «maggiorenne», mentre ha un significato preciso in diritto privato, perché, salvo l'eccezione stabilita nei rapporti di lavoro, vuol dire compimento dei ventun anni, nel campo del diritto pubblico non ha significato univoco: in alcuni rapporti significa diciassette, in altri diciotto anni. Per questo nella Costituzione francese, dopo aver detto che sono elettori i maggiorenni, si fissa la maggiore età ai 20 anni. Crede che anche nella Costituzione italiana una dichiarazione del genere potrebbe essere utile. Ma prima di introdurla bisogna tener conto delle sue conseguenze, perché ove si dicesse che la maggiore età per l'elettorato è fissata in ventun anni, se ne potrebbe facilmente inferire che in ogni caso la maggiore età nel campo del diritto pubblico è quella. Si tratta di una questione tecnica, non di una sottigliezza, in quanto che negli studi giuridici si tiene conto della differenza che v'è fra il significato che l'espressione «maggiorenne» ha nel diritto privato e quello che ha nel diritto pubblico.

Il Presidente Terracini è d'avviso che una aggiunta di questo genere alla formula Perassi complicherebbe le cose, perché una eventuale modificazione del limite di età nella legge civile dovrebbe implicare una revisione della Costituzione, cioè la messa in moto di tutto il relativo meccanismo; ed è appunto per evitare questo che l'onorevole Perassi aveva formulato in quel modo la sua proposta.

Comunque, tenendo presente la dichiarazione dell'onorevole Fabbri e l'elemento fornito dall'onorevole Codacci Pisanelli, si potrebbe domani rimettere in votazione la proposta dell'onorevole Perassi: «Sono elettori tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età».

Fabbri domanda all'onorevole Perassi se accetterebbe di aggiungervi: «secondo la legge civile».

Patricolo osserva che il concetto di maggiore età è esclusivamente civilistico, così che quando si parla di maggiore età, si intende sempre riferirsi al diritto civile.

Il Presidente Terracini rinvia la votazione su questo punto alla prossima seduta e invita la Sottocommissione a discutere se sia necessario aggiungere alla affermazione della eguaglianza e dell'universalità del suffragio la formula: «i cittadini di ambo i sessi», avvertendo che in alcune proposte della prima Sottocommissione, dove si parla del diritto elettorale, è aggiunto questo inciso: «salvo coloro che sono stati privati di questo diritto in seguito a condanne o a norma di legge».

Tosato propone questa formulazione:

«La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale, diretto e segreto dai cittadini maggiorenni (o «dai cittadini di ambo i sessi» se si decide di aggiungere questa specificazione) che godono dei diritti civili e politici (aggiungendo «e abbiano raggiunto l'età di ventun anni» se questa è la formula accettata).

Il Presidente Terracini osserva che la formula «universale, diretto e segreto» è ormai usuale.

La formulazione riassuntiva dei vari punti sui quali si è discusso sarebbe dunque:

«La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale, diretto e segreto dai cittadini di ambo i sessi che godono dei diritti civili e politici e che abbiano raggiunta l'età di ...», oppure «l'età maggiore».

Bozzi crede opportuno premettere una affermazione di carattere generale che dichiari a chi spetta il diritto di voto; altrimenti questa affermazione rimane in ombra e si mette in prima luce la Camera dei Deputati.

Mortati osserva che non è inopportuno mettere in luce la Camera dei Deputati; perché per l'elezione del Senato potrebbe essere fissata un'età diversa.

Il Presidente Terracini trova che, in realtà, o si distingue il modo di formazione delle due Camere, oppure si deve premettere un'affermazione fondamentale democratica come quella indicata dall'onorevole Bozzi.

Mortati obietta che la proposta dell'onorevole Bozzi si riferisce alla parte generale sui diritti, mentre nella parte concernente l'organizzazione del potere legislativo può essere più congrua la formulazione dell'onorevole Tosato. Poiché la prima Sottocommissione si occupa di questa stessa materia, sarebbe utile conoscere le sue conclusioni per prendere in considerazione eventuali proposte che riguardano la materia esaminata dalla seconda.

Fa notare inoltre che vi sono altri elementi che si riferiscono all'elettorato attivo: limiti derivanti dall'esercizio o dal non esercizio di determinate attività, dal possesso o dal non possesso di determinate qualifiche.

Vi è, ad esempio, il problema di coloro che non esercitano volontariamente un'attività lavorativa, a carico dei quali si potrebbe anche stabilire una limitazione, in relazione al principio che il lavoro è un dovere civile.

Vi è la questione del diritto all'esercizio effettivo del diritto elettorale. Vi sono costituzioni che, secondo la tendenza moderna che vuol garantire le condizioni occorrenti a che le libertà divengano effettive, stabiliscono il diritto di coloro che prestano la loro opera al servizio altrui, di avere il tempo libero per poter esercitare i diritti costituzionali.

Vi è la questione del voto dei militari, e si tratta di stabilire se sia il caso di rinviarla alla legge speciale.

È anche da stabilire se si deve sancire il diritto «eguale», o rinviare questa materia ad una ulteriore determinazione, o mettere in discussione il punto relativo al voto plurimo.

Vi sarebbe infine la questione del voto obbligatorio, che tuttavia crede si possa rinviare.

Conti, Relatore, ritiene che questa non sia materia di Costituzione, e, in ogni caso, che sia necessario formare una Costituzione di pochi articoli.

Il Presidente Terracini concorda con l'onorevole Conti. La Costituente dovrà redigere la legge elettorale, esaminando tutti questi argomenti. Solo è da risolvere nella Costituzione, a suo avviso, la questione del voto plurimo, e da risolverla aggiungendo la parola «eguale» alla formulazione Tosato, per escludere il voto plurimo.

Tosato ha omesso volutamente la parola «eguale», proprio riferendosi all'opportunità di stabilire come limite del diritto di elettorato la dimostrazione di essere un elemento attivo nella vita della nazione. Troverebbe plausibile che nella Costituzione si stabilisse il principio per cui chi vive senza esercitare un'attività lavorativa è escluso dal diritto di voto.

Ritiene inoltre che sia opportuno fare un cenno all'obbligatorietà del voto, salvo a stabilire in quale forma e con quali limiti.

Di Giovanni non crede opportuno mettere in discussione il principio della obbligatorietà, che in ogni caso sarebbe un dettaglio da rinviare alla legge elettorale.

Fabbri ricorda che nelle discussioni fatte alla Costituente francese, sebbene si sia deliberato di rinviare tutta la materia alla legge elettorale, si è discusso sulla necessità di includere o escludere l'obbligatorietà del voto in sede di formulazione della Costituzione. Su cinquecento votanti circa si è avuta una maggioranza di cinque voti a favore della obbligatorietà.

Crede opportuno stabilire o escludere che il voto sia obbligatorio.

Mortati osserva che le proposte fatte dall'onorevole Tosato sono indubbiamente di rilevanza costituzionale. Si può aderire al desiderio espresso dall'onorevole Conti di formulare una Costituzione concisa; ma bisogna preoccuparsi anche di sancire i principî fondamentali, che sono considerati da determinate forze politiche come basilari per un ordinamento dello Stato. L'escludere o includere coloro che non esercitano una attività lavorativa, lo stabilire o il negare il voto obbligatorio, come la proporzionalità o meno della rappresentanza, sono elementi che definiscono la fisionomia di un ordinamento politico e non possono perciò essere rimandati alla legge ordinaria.

Lami Starnuti non crede che l'obbligatorietà del voto abbia una tale rilevanza da richiedere che sia fissata nella Costituzione. Comunque, se la proposta sarà messa in votazione, voterà contro il voto obbligatorio.

Di rilevanza costituzionale gli pare invece la questione del voto eguale, ed egli accetta la proposta dell'onorevole Tosato di escludere coloro che non danno attività sociale al paese. Si dichiara assolutamente contrario al voto plurimo.

Nobile è contrario alla proposta dell'onorevole Tosato, di togliere il diritto di voto a chi non lavora. Preoccuparsi di coloro che non esplicano un'attività sociale, è giusto; ma che cosa si farà allora contro coloro che esercitano un'attività antisociale? Comunque, crede che questa sia materia delle legge elettorale e che non sia il caso di inserire nella Costituzione qualche cosa che non è ancora completamente maturata.

(La seduta, sospesa alle 19,25, è ripresa alle 19,50)

Bozzi osserva che i due problemi, se si debba limitare il diritto di voto a coloro che non esplicano attività lavorativa e se l'esercizio del diritto di voto debba essere obbligatorio, hanno indubbiamente un valore costituzionale.

Il primo attiene alla titolarità del diritto; il secondo all'esercizio del diritto medesimo. Tralasciando per ora quest'ultimo, riguardo al primo teme che si rischi di fare una enunciazione accademica, ed anche pericolosa sotto il riflesso della disciplina giuridica di una enunciazione di questo genere. Chi dovrà dire se il cittadino lavora o non lavora? Bisognerà creare tutto un congegno di Commissioni, di accertamenti difficilissimi, i quali potrebbero dare anche luogo ad arbitrî. Perciò è contrario a far menzione di un tale principio, che sarebbe condannato a rimanere un'affermazione astratta, mentre nella Costituzione si debbono inserire principî positivi, con la consapevolezza che possano avere attuazione.

Amendola è rimasto sorpreso dalla proposta dell'onorevole Tosato. Indubbiamente esistono persone che non svolgono un lavoro socialmente utile e vivono in modo parassitario; ma questa considerazione si raffredda dopo un attento esame. Non si possono, in una costituzione, enunciare dei principî la cui realizzazione sia poi impossibile. Finché non siano operate trasformazioni profonde nel corpo sociale e non si sia avviata l'economia italiana su nuove basi, una proposta simile è difficilmente attuabile. Si vuole togliere influenza politica ad alcune persone che vivono come «rentièrs»; ma, data l'organizzazione della vita sociale, non è soltanto col voto che si esercita l'influenza di questi ceti sociali: essi hanno altre leve di comando attraverso il mondo finanziario, il giornalismo e, quindi, non solo si farebbe una affermazione di difficile attuazione, ma, in pratica, non si eliminerebbe affatto l'influenza di queste forze legate a posizioni parassitarie. Si creerebbero molte complicazioni e non si darebbe una solida base al sistema democratico.

Se veramente si vuole realizzare un'affermazione di questo genere, bisogna inquadrarla in un complesso di norme innovatrici. Per il momento, essa rimane al di fuori del sistema che si sta creando.

L'onorevole Tosato propone poi il voto obbligatorio. La contraddizione tra le due proposte appare chiara. Comunque, crede inutile ripetere la discussione su questo tema che già è stata svolta a lungo alla Consulta Nazionale.

Einaudi è contrario alla proposta di attribuire il diritto elettorale soltanto a coloro che lavorano, proposta che non è solamente ardita od audace, ma che risale a tempi ed a situazioni che non si verificheranno mai più. Se v'è una discussione che nella scienza economica non abbia mai portato ad alcun risultato, è proprio quella della ricerca di ciò che è il lavoro produttivo o improduttivo, lavoro sociale o antisociale. La iniziarono i fisiocrati, fu fatta da Adamo Smith, ma senza alcun costrutto, perché è impossibile trovare una definizione. Questa impossibilità scientifica, poi, non ha soltanto importanza teorica, perché dà luogo all'arbitrio. Le decisioni non sarebbero mai improntate ad un concetto oggettivo, ma soltanto a faziosità, con l'esclusione dei nemici di coloro che al momento dominano la formazione delle liste elettorali.

Lussu, per quanto, da un punto di vista puramente teorico, sia d'accordo con la proposta Tosato, vede la difficoltà pratica della sua attuazione. I fannulloni, per essere privati del loro potere, dovrebbero essere prima privati del loro privilegio economico, il che è difficilmente attuabile nell'attuale situazione. Ove fosse sancita una simile limitazione, i detentori di quel privilegio avrebbero le più ampie possibilità di nascondere la loro inattività, e continuerebbero a votare. È quindi contrario a quella proposta, almeno fino a quando non si giunga a trasformare la situazione presente.

È pure contrario al voto obbligatorio; quando il diritto al voto è concesso a tutti, chiunque abbia un'idea politica da manifestare può farlo liberamente. Ma costringere le persone a votare significa uscire dai limiti della libertà in cui si vuol rimanere. In tutti i corpi politici organizzati si hanno delle astensioni dal voto, e coloro che usano di questa facoltà non hanno diritto di pretendere che altri non possa astenersi.

Piccioni, per una mozione d'ordine, domanda se la discussione su questo argomento si deve approfondire oppure se, risolta la questione del limite di età per quanto si riferisce al diritto elettorale attivo, tutto il resto, che riflette l'esercizio del diritto e i modi e le forme ed eventualmente le sanzioni, non debba essere senz'altro rinviato alla discussione della legge elettorale. Questo perché nella legge istitutiva della Costituente è previsto espressamente che questa debba redigere la Costituzione e, con una Commissione apposita, la legge elettorale. Se si intende oggi esaurire o pregiudicare le forme e i modi della legge elettorale in questa sede, evidentemente si va contro la regola fondamentale che deve stare a base del lavoro della Costituente.

Propone quindi che la discussione su questa materia sia rinviata all'organo più specificamente competente previsto; ché se invece si vuol fare una discussione, bisogna farla in modo approfondito.

Amendola concorda con l'onorevole Piccioni. Pensa però che si deve stabilire chi sono gli elettori, poiché è già stabilito il principio che tutto il potere deriva dal popolo e nel popolo è la fonte della sovranità. Se questa volontà popolare si esprime attraverso le elezioni, occorre fissare chi sono gli elettori ed il modo del voto, non il sistema elettorale, il quale può variare nel tempo, senza turbare la base costituzionale fondamentale.

Piccioni crede che nella Costituzione sia sufficiente sancire che il suffragio universale, diretto, eguale e segreto spetta ai cittadini che abbiano raggiunto una determinata età.

Nobile si associa a quanto ha detto l'onorevole Piccioni, ritenendo che si debba rimandare questa discussione alla Commissione speciale per la legge elettorale.

Il Presidente Terracini invita la Sottocommissione a decidere sulla inserzione del termine «eguale» accanto agli altri «diretto, segreto e universale».

Tosato avverte, circa la distinzione del lavoro utile da quello non utile, che egli con la sua proposta si riferiva al caso del non lavoro assoluto. Non crede poi che esista contraddizione fra obbligatorietà del voto ed esclusione di determinate categorie di cittadini, perché una questione è la capacità elettorale, ed altra l'esercizio del diritto al voto. Comunque ritira la proposta ed accede all'inserzione nell'articolo del principio dell'eguaglianza.

Il Presidente Terracini legge il testo che sarebbe da votare:

«La Camera dei Deputati è eletta a suffragio universale, eguale, diretto e segreto, dai cittadini di ambo i sessi che godano dei diritti civili e politici e abbiano raggiunto l'età...».

Rossi Paolo propone che si dica «da tutti i cittadini», per togliere ogni dubbio, dato che qui si è manifestato il proposito di escludere certe categorie di cittadini.

Einaudi crede inutile quest'aggiunta perché il testo dice «suffragio universale».

Rossi Paolo rinunzia.

Piccioni desidera sia bene stabilito che, non aggiungendosi la parola «obbligatorio» non si intende pregiudicare la soluzione del problema dell'obbligatorietà del voto che sarà discusso in sede di Commissione speciale.

Il Presidente Terracini gliene dà atto.

Lussu esprime l'avviso che il termine «uguale» sia pleonastico.

Fabbri gli fa osservare che, con ciò, si esclude il voto plurimo.

Conti, Relatore, crede che il testo ora letto dal Presidente dovrebbe essere preceduto da quello riguardante il modo di composizione della Camera.

Il Presidente Terracini osserva che sull'ordine delle varie disposizioni potrà discutersi in seguito e mette ai voti il testo di cui ha dato lettura.

(È approvato).

Amendola crede che la norma, la quale precisa attraverso quali cittadini si esprime la volontà popolare nell'ordinamento democratico italiano, dovrebbe essere lasciata a sé, senza legarla all'elezione della Camera dei Deputati.

Il Presidente Terracini riconosce che manca una affermazione del tipo di quella che sta alla base di ogni sistema democratico. La democrazia si è sviluppata principalmente in relazione al diritto elettorale e ha raggiunto la sua piena affermazione col suffragio universale. La nuova Costituzione, che vuole essere democratica, dovrebbe contenere un'affermazione di questo genere, altrimenti si avvertirebbe la mancanza del punto di partenza. Il che non esclude che là dove si tratterà del modo di formazione della seconda Camera si potranno eventualmente indicare i particolari.

Propone che i due relatori Mortati e Conti prendano contatto coi relatori della prima Sottocommissione per conoscere come sono stati formulati gli articoli relativi.

Mortati trova opportuna la proposta del Presidente dal punto di vista dell'economia del lavoro comune, cioè del coordinamento del lavoro delle varie Sottocommissioni.

(La proposta del Presidente è approvata).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti