[Il 16 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Ambrosini. [...] Come deve essere composto il Senato?

Naturalmente, qui vengono i maggiori contrasti. Ma, prima di addentrarmi nell'argomento, accenno anzitutto a quello sollevato specialmente dall'onorevole Rubilli, il quale chiedeva nientemeno che il Senato fosse composto dallo stesso numero dei membri della prima Camera.

Rubilli. Con diminuzione di questi, essendo elettiva l'una e l'altra. Quando il Senato era di nomina regia, si comprendeva che il numero dei componenti fosse inferiore a quello della Camera dei Deputati; ma, essendo ora tutte e due le Camere elettive, perché non equipararle per numero e per importanza? Quattrocento l'una e quattrocento l'altra.

Ambrosini. Data la sua precisazione, il mio dissenso si attenua soltanto, ma non scompare.

Tutto sommato, sono completamente d'accordo con quanto l'onorevole Conti, nella seconda Sottocommissione, tassativamente disse riguardo al numero dei componenti dell'Assemblea, giacché ritengo che il Senato, appunto per la sua natura speciale, debba essere composto di un numero di membri inferiore a quello della Camera dei deputati.

[...]

Passo ad un altro punto sul quale la seconda Sottocommissione si soffermò ed è opportuno che anche qui noi ci soffermiamo, per vedere se è possibile ricorrere ad un altro sistema allo scopo di formare, anche in parte, il Senato su una base diversa da quella della Camera.

La vita del Paese, oltre che sulle ideologie, oltre che sugli interessi delle forze vive della produzione (si è tanto irriso riguardo a questa espressione «forze vive della produzione»; ma sapete dove si trova questa espressione? proprio nel voto della Confederazione generale del lavoro dell'ottobre del 1919), la vita del Paese si basa anche sugli interessi territoriali, delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Se ne discusse tanto nella seconda Sottocommissione! E l'illustre Presidente (che allora era l'onorevole Terracini) sospese e rinviò per tre volte le sedute per dar modo ai vari gruppi di intendersi. E si era arrivati ad un'intesa, sulla base appunto della rappresentanza degli interessi territoriali; intesa che poi solo parzialmente resistette alle nuove critiche. Resistette solo riguardo alla rappresentanza da attribuire alle Regioni. La soluzione concordata è qui stata sottoposta a nuove critiche. Io ritengo che la rappresentanza delle Regioni come tali debba essere mantenuta, dal momento che noi abbiamo adottato l'ordinamento regionale per tutto lo Stato. Mi rendo conto (voi lo sapete: io che ho propugnato la riforma regionale, sono stato sempre tassativamente, nettamente contrario al sistema federale), io mi rendo quindi conto delle obiezioni che si muovono all'attribuzione di un numero uguale di senatori ad ogni Regione, perché una tale attribuzione costituisce uno dei tratti caratteristici del sistema federale; ma ritengo che ciò non possa portare alla soppressione delle rappresentanze regionali. Alle Regioni, come tali, deve assegnarsi una propria rappresentanza, comunque costituita. È, ripeto, una conseguenza logica di quanto abbiamo stabilito adottando l'ordinamento regionale.

Andiamo alla rappresentanza degli interessi territoriali dei Comuni. La seconda Sottocommissione l'aveva ammessa. Le discussioni e le critiche riferentisi specialmente ai criteri di attuazione di questo tipo di rappresentanza portarono poi alla scelta di un altro progetto. È opportuno riprendere qui l'esame del problema. I precedenti della legislazione francese del 1875 e del 1884 possono servirci di guida. La legge del 1875 aveva costituito un collegio dipartimentale, provinciale, composto oltre che dei deputati e dei consiglieri generali e di circondario, di delegati eletti, uno per ogni Consiglio comunale. Parigi ebbe un solo delegato come il più piccolo Comune della Francia. Le critiche furono gravi. Gambetta qualificò il Senato come il Gran Consiglio dei Comuni rurali.

Nel 1884 si fece la riforma, adeguandosi la distribuzione del numero dei delegati comunali fra i Comuni a seconda della relativa importanza. Noi potremmo, se vogliamo arrivare ad applicare il principio egualitario fino alle ultime conseguenze, adottare il sistema di attribuire ai Consigli comunali la potestà di eleggere un numero di delegati direttamente proporzionato al numero degli elettori o al numero della popolazione. Riguardo alla composizione del Senato aggiungo infine (senza soffermarmi sulla proposta perché altri colleghi ne hanno parlato) che ritengo opportuno che una percentuale, per quanto minima, dovrebbe essere lasciata alla nomina del Capo dello Stato, o essere affidata all'elezione della Camera dei deputati, o, in ogni caso, essere confidata allo stesso Senato col sistema della cooptazione. Riassumendo: io sarei per la composizione di un Senato su base mista: della rappresentanza degli interessi delle categorie della produzione intesa nel senso più vasto, e della rappresentanza degli interessi territoriali delle Regioni e dei Comuni, integrando le due rappresentanze con un numero di senatori nominati dal Presidente della Repubblica.

[...]

Nitti. [...] Ora, se vi piace, vi leggerò quello che è negli altri paesi, anche nei più grandi di noi. Noi pretendiamo che, siccome vi è una numerosissima Camera dei deputati, dobbiamo fare un numerosissimo Senato o, come si dice per offesa Camera dei senatori. E allora siamo andati a dire che vi sono per ogni Regione (si calcola tutto; io non sono d'accordo, ma voi siete in questa via, che sulla base delle Regioni si debba fare tutto, e si è pure di accordo, nel seno di qualche partito di massa, che bisogna fare un Senato).

Quindi, si vogliono dare nientemeno che ad ogni Regione cinque senatori, numero fisso — e poi un senatore per ogni duecentomila abitanti.

Sapete l'America quanti senatori ha per ogni Stato? Due. E noi facciamo di queste acrobazie, e noi pretendiamo di fare delle Assemblee serie che si reggano su questa base! E accadrà dei legislatori come della nostra moneta, che più ne emettiamo e più diminuisce di valore; più aumenta il numero dei nostri legislatori e più essi diminuiranno di serietà e di prestigio!

Io vi do l'esempio del più grande paese del nostro tempo: gli Stati Uniti d'America. Gli americani si può amarli, si può non amarli, ma in materia politica ci presentano un fatto unico nel mondo moderno. Questi Stati Uniti, che si presentano veramente come un paese così potente, sono nella loro vita costituzionale di una continuità e di una stabilità impressionante! Dal 1787 essi sono sempre allo stesso posto. Hanno cambiato tutte le forme di vita, son passati dalla vita pastorale primitiva alla grande industria, da paese di ricchezza pastorale e agricola a paese di sconfinata ricchezza, ma hanno sempre la stessa legge costituzionale e la forza della Costituzione non è mai variata, e non è mai diminuito il suo prestigio.

L'Osservatore Romano (di cui sono lettore) non so perché ha ricordato spesso che nello spazio di 150 anni la Francia è il paese che ha mutato 13 Costituzioni: solo la Spagna può pretendere di averla superata.

Gli Stati Uniti dal 1787 non hanno mutato mai la Costituzione. La Costituzione americana, profondamente democratica, veramente democratica, che ha creato la rivoluzione francese; la stessa Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789 non è che la riproduzione integrale dello Statuto che fecero gli emigrati in America. Erano i perseguitati dalla tirannia della religione ufficiale che giungendo in America si fecero uno Statuto per regolare i loro rapporti sulla nuova terra e quello Statuto divenne la carta della democrazia moderna.

Ora, se non abbiamo un modello di Costituzione da imitare, guardiamo piuttosto agli Stati Uniti che ad altri paesi: naturalmente mutatis mutandis in ordine di grandezza e di tempo. Noi dobbiamo guardare verso l'ordinamento costituzionale che ha meglio resistito a tutte le bufere.

Quanti sono i legislatori degli Stati Uniti? Negli Stati Uniti vi sono 96 senatori. Siano grandi o piccoli Stati, devono avere tutti come plenipotenziari nello Stato centrale lo stesso numero di rappresentanti, due per ogni Stato, e nessuno ha mai preteso più di due rappresentanti.

E quale è il numero dei deputati? Noi pretendiamo che se il Senato duri cinque anni, la Camera deve durare cinque anni, e le due Camere devono essere regolate allo stesso modo, ciò che è non solo inutile ma anche dannoso. Democrazia non vuol dire uniformità.

Quindi, quale è l'ordinamento degli Stati Uniti? Gli Stati Uniti hanno una Camera dei Rappresentanti (noi diciamo Camera dei Deputati) che dura due anni perché è una Camera eletta direttamente dal popolo e si vuole dia la viva sensazione del paese. Quindi la Camera si rinnova ogni due anni. Si può sapere ciò che il paese pensa e desidera e saperlo a brevi intervalli.

E quanti sono i Senatori? Sono 96. I Deputati invece sono 435, cioè assai meno di noi, della nostra Costituente. Dunque noi abbiamo meno di un terzo degli abitanti degli Stati Uniti (e non vi faccio il paragone di potenza e di ricchezza) e siamo qui dentro molto più numerosi dei rappresentanti degli Stati Uniti che sono soltanto 435.

[...]

Ora, dunque, noi ci troviamo di fronte alla grande potenza americana che ha 531 deputati e senatori: meno di quanti noi siamo qui in questa sala della Costituente. Non credo che questo esempio sia privo d'importanza. Si tratta del Paese che ha creato la democrazia. La democrazia è una creazione americana, e l'America è stata la prima Repubblica del mondo veramente democratica.

[...]

Trovo, per esempio, che, anche prima di fissare le categorie degli eleggibili, la prima eleggibile, vi è una disposizione che mi sbalordisce e deve essere un errore: è quella secondo cui agli elettori si impone di essere nati o domiciliati nella regione. Nessuno di noi può essere eletto senatore se non è nato o domiciliato nella Regione. Cosa grave, perché è una limitazione assurda e inspiegabile. Se non si è nati bisogna andarsi a domicilare. Ma chi, in un Paese libero, concede queste limitazioni territoriali? Si può concepire maggiore stravaganza? Si può arrivare, come in America, perfino a togliere il diritto di voto ai cittadini della Capitale. La Capitale deve essere fuori contestazione; non vi devono essere vere lotte politiche. La Capitale deve rappresentare il luogo dove tutti si possono incontrare serenamente al di fuori dei partiti. Non conosco le ultime disposizioni al riguardo. I cittadini di Washington non erano né elettori né eleggibili. Questa idea è entrata anche nei singoli Stati. Lo Stato di New York non ha per capitale New York, ma Albany, che in paragone è una piccola città. E così sull'Oceano Pacifico vi è la grandissima città di San Francisco; ebbene, la capitale dello Stato della California è Sacramento.

Dunque, si possono imporre limitazioni, se vi sono ragioni di diritto e scopo di utilità pubblica. Ma perché i candidati devono essere nati o domiciliati nella Regione dove vogliono essere eletti? Non lo trovo né logico né conveniente.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti