[Il 2 ottobre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull'organizzazione costituzionale dello Stato.]
Tosato ritiene che la discussione finora avvenuta non sia stata del tutto inutile perché, diversamente da quel che può sembrare, un certo avvicinamento si è operato, nel corso di essa, fra le diverse opinioni in contrasto. In un primo momento, infatti, i punti di vista erano del tutto divergenti: da un lato si richiedeva che la seconda Camera fosse rappresentativa soltanto di interessi indifferenziati, genericamente intesi: dall'altro, invece, che essa fosse l'espressione soltanto di interessi differenziati, cioè di categoria. Attraverso la discussione queste due tesi in contrasto si sono notevolmente avvicinate: infatti, coloro che erano favorevoli alla prima ipotesi hanno finito con l'ammettere la necessità di una certa differenziazione, vale a dire che debbano essere richiesti alcuni requisiti specifici di eleggibilità, oltre a quelli genericamente intesi; mentre i fautori della seconda ipotesi hanno mostrato di abbandonare l'idea di una rappresentanza esclusiva degli interessi differenziati di categoria, per accedere all'idea di una rappresentanza parziale — per una metà o per un terzo — di tali interessi.
Pertanto si è arrivati ad ammettere da ambedue le parti che per la elezione dei senatori non siano più sufficienti i requisiti generici di eleggibilità, che si richiedono per l'elezione dei deputati. La conclusione a cui si è arrivati è perfettamente logica, perché, se fossero richiesti soltanto i requisiti generali di eleggibilità per i membri della seconda Camera, questa verrebbe ad essere del tutto eguale alla prima, il che certo, almeno ai più, non sembra opportuno.
Frattanto, trovato questo primo punto di intesa, la questione che sorge, sulla quale possono di nuovo manifestarsi opinioni contrastanti, è quella relativa alla determinazione di questi requisiti specifici di eleggibilità.
A tale proposito si può distinguere innanzi tutto il requisito relativo all'età: mentre per l'eleggibilità alla prima Camera è stata stabilita l'età di 25 anni, per l'eleggibilità alla seconda si dovrebbe stabilire una età maggiore; sul che quasi tutti sono d'accordo.
In secondo luogo, possono essere distinti i requisiti specifici attinenti alla qualità dell'eleggibile, ossia ai suoi attributi, alle funzioni sociali che eventualmente può svolgere. Anche su questo punto si può essere d'accordo, perché è evidente l'opportunità che l'eleggibile alla seconda Camera abbia qualche carattere particolare che lo distingua dalla comune persona che può essere eletta alla Camera dei Deputati.
In ogni modo, per la determinazione dei requisiti specifici di eleggibilità dovrebbero essere adottati due criteri, uno negativo e l'altro positivo: il primo, nel senso di escludere tutti quei requisiti che possono essere indice di un privilegio sociale, come ad esempio il censo o l'appartenenza ad una determinata classe, sul che tutti evidentemente non possono che essere di una stessa opinione; il secondo per il quale i requisiti specifici dovrebbero stare ad indicare una funzione sociale attiva, un'attività produttiva utile alla società, svolta dall'eleggibile. Anche su quest'ultimo punto non crede che sia troppo difficile trovare un accordo.
Le difficoltà più gravi sorgono invece quando si deve stabilire se tali requisiti debbano essere determinati a titolo puramente individuale, oppure in relazione a date categorie sociali di cui la seconda Camera dovrebbe essere l'espressione. Se si raggiungesse l'intesa su quest'ultimo punto, la questione si sposterebbe nel senso che sarebbe necessario stabilire la proporzione con cui le varie categorie, fissate attraverso i requisiti specifici di eleggibilità, dovrebbero essere rappresentate nella seconda Camera. A suo avviso anche tale difficoltà può essere agevolmente sormontata: si tratta, in fondo, di trovare gli adattamenti necessari per impedire che gli interessi di una data categoria possano cristallizzarsi ai danni degli interessi di un'altra. Il problema potrebbe essere risolto facilmente, specie se si ammettesse il principio che la determinazione degli appartenenti ad una data categoria debba essere stabilita dalla legge, su proposta delle singole regioni. In tal modo verrebbe concesso un certo margine di discrezionalità nelle decisioni da adottare in questo campo, ciò che impedirebbe il sorgere di ogni pericolo di cristallizzazione delle varie categorie, e quindi ogni possibilità di irrigidimento della fluida realtà sociale, a cui alcuni oratori, con legittimo senso di preoccupazione, hanno fatto espresso riferimento.
Con la soluzione delle questioni intermedie ora accennate, si potrebbe trovare un punto di confluenza fra le varie opinioni in contrasto e, senza eccessive difficoltà, si potrebbe dar vita ad una seconda Camera rispondente alle fondamentali esigenze di un ordinamento democratico e che, nello stesso tempo, non fosse una copia o un doppione dell'altra.
Lussu osserva come non vi sia una gran differenza tra una seconda Camera quale la vorrebbe l'onorevole Tosato e la Camera delle Corporazioni.
Di Giovanni ricorda che a suo tempo, per una riforma del vecchio Senato, furono compiuti degli studi ed una Commissione composta degli onorevoli Beneduce, Labriola e Abbiate, formulò un progetto, nel quale si prevedeva un maggior numero di categorie di senatori e nello stesso tempo l'istituzione di un Consiglio superiore del lavoro. In sostanza, se si costituisce una seconda Camera con una rappresentanza, almeno parziale, di interessi di categoria, si viene a riassorbire in essa il Consiglio superiore del lavoro progettato da quella Commissione.
A suo avviso, non v'è dubbio che alcune determinate categorie debbano essere rappresentate nella seconda Camera; ma, accanto a questa rappresentanza organica degli interessi, deve esservi anche una rappresentanza politica. Da ciò assolutamente non si può prescindere. Fissati questi criteri occorrerà stabilire le modalità per l'elezione dei senatori. In ogni modo, si può essere senz'altro favorevoli al principio di richiedere, per l'eleggibilità dei membri della seconda Camera, una età maggiore, da fissarsi ad esempio in anni 40, di quella richiesta per l'elezione dei deputati della prima Camera.
La Rocca ritorna sulla sua concezione, secondo cui, posto che si è stabilito di attribuire alle due Camere eguali funzioni politiche e legislative, la seconda deve avere la stessa fonte di potere della prima, ossia la volontà popolare, attraverso il suffragio eguale, diretto e segreto. Con ciò non si vuole creare una seconda Camera che sia un doppione dell'altra: per evitare un simile inconveniente occorrerebbe fissare, per gli eleggibili alla seconda, determinati requisiti diversi da quelli richiesti per essere eletti deputati. Il carattere distintivo tra le due Camere dovrebbe proprio essere dato dal fatto che tutti i cittadini potrebbero essere eletti deputati, mentre non tutti potrebbero essere eletti senatori. Potrebbero, ad esempio, essere considerati eleggibili alla seconda Camera i sindaci, i consiglieri comunali, coloro che hanno esercitato date mansioni per un certo numero di anni.
Tiene a far presente poi la necessità di risolvere con la maggior rapidità possibile e definitivamente il problema della formazione della seconda Camera perché essa, insieme alla prima, molto probabilmente sarà chiamata ad eleggere il futuro capo dello Stato. Se nel momento di tale elezione la seconda Camera non fosse stata formata, si dovrebbe fa ricorso a una legge speciale, il che sarebbe sommamente deprecabile.
Laconi constata che si è compiuto un notevole sforzo di avvicinamento fra gli esponenti del gruppo di cui egli fa parte e gli altri, specie quando l'onorevole Mortati ha proposto di sostituire ad una rappresentanza determinata in modo indifferenziato una rappresentanza qualificata. Fu appunto per avvicinarsi a tale concetto che il suo gruppo accettò che si stabilissero determinate condizioni per l'eleggibilità alla seconda Camera.
A tale proposito, però, osserva che l'obiettivo da proporsi non può essere soltanto quello di avviare le cosiddette forze vive alla rappresentanza della seconda Camera, ma anche l'altro di far avvicinare quanto più è possibile alla vita politica le forze che ne sono ancora assenti. Non si può quindi accettare la tesi di dividere il corpo elettorale in determinate categorie, perché in tal caso resterebbe esclusa dalla vita politica una gran parte di cittadini, e ritiene che, mediante la determinazione dei requisiti di eleggibilità e l'adozione del suffragio universale, sia possibile raggiungere i due obiettivi fondamentali di una Costituzione democratica: dare adeguata rappresentanza alle forze vive e far accedere le più vaste masse della popolazione alla vita politica del Paese.
Non vede però in qual modo sia possibile predeterminare la proporzione con cui le diverse forze vive del Paese, dovranno essere rappresentate perché lo stesso concetto di forza viva, ossia di vita, ripugna evidentemente a qualsiasi definizione. È meglio che la rappresentanza di tali forze sia determinata dalla libera volontà popolare.
Non sarebbe nemmeno, a suo avviso, consigliabile accordare alle Assemblee regionali la facoltà di stabilire volta per volta la proporzione con cui le forze anzidette dovranno essere rappresentate nella seconda Camera, perché con l'adozione di un simile criterio si arriverebbe indubbiamente al caos.
Egualmente sconsigliabile gli sembra l'idea di stabilire volta per volta con leggi speciali il diverso peso da attribuirsi alle varie categorie, perché tali leggi dovrebbero essere rinnovate di continuo, visto che la vita di ogni regione non può che mutare rapidamente, soprattutto in un periodo, come l'attuale, di intensa attività ricostruttiva. In ogni modo, il fatto stesso di dover integrare con leggi speciali una Costituzione su un punto di così fondamentale importanza, sta a denunciare l'insufficienza del principio della rappresentanza di categoria.
Concludendo, manifesta l'impressione che si stia cerando la soluzione di un problema che non ne ha o meglio che ne ha una sola, assai chiara: quella di non vincolare la volontà popolare, che è l'unica che possa determinare la diversa proporzione con cui dovranno essere rappresentati i vari interessi della Nazione.
Uberti ritiene, poiché alcune difficoltà si oppongono all'accoglimento della tesi proposta dall'onorevole Tosato, che sia opportuno riprendere in esame il progetto dell'onorevole Ambrosini, nel quale si prevede la rappresentanza degli interessi di categoria, ma in misura ridotta. Fa presente che una base reale per la determinazione delle varie categorie si può trovare nel censimento del 1936, che contiene l'indicazione dell'appartenenza di tutti i censiti ad una determinata categoria.
Queste forze vive esistono: ciò a cui si deve tendere è che i rappresentanti diretti delle singole categorie produttive, imprenditori e lavoratori — naturalmente su base paritetica, per impedire spostamenti di equilibrio — possano entrare a far parte della seconda Camera, sì che non solo i contrasti fra imprenditori e lavoratori, ma anche le questioni intrinseche della produzione possano essere esaminate in tale sede. L'attuale distacco esistente tra l'Assemblea Costituente ed il popolo deriva forse dal fatto che in seno a questa non v'è una rappresentanza diretta, ma solo una rappresentanza occasionale dei vari interessi di categoria.
Il progetto dell'onorevole Ambrosini prevede che la rappresentanza della seconda Camera sia per un terzo di interessi di categoria e per due terzi regionale, ed egli lo trova giusto, perché è necessario che le varie energie locali siano rappresentate in Senato, in modo da far sentire il loro peso nella vita collettiva del Paese.
Spesso nei comuni si sollevano proteste contro lo Stato; ma il giorno in cui i rappresentanti comunali potranno essere ammessi nel Parlamento e potranno così rendersi conto delle reali possibilità dello Stato, molte di tali proteste cadranno nel nulla.
Frattanto, poiché si deve procedere alla costituzione immediata della seconda Camera, ritiene che, in via provvisoria, potrebbero essere utilizzati alcuni enti già esistenti, quali le Camere di commercio, gli organismi sindacali, le organizzazioni agricole, commerciali, industriali e i Consigli provinciali dell'agricoltura. In altri termini, secondo il suo avviso, si dovrebbe ammettere la rappresentanza dei grandi interessi, cioè dell'agricoltura, dell'industria, del commercio, del lavoro e, eventualmente, della scuola. Solo così si potrebbe avere un primo, efficace esperimento nella rappresentanza delle forze vive del Paese.
Dichiara infine di non condividere l'opinione dell'onorevole Laconi, il quale si è espresso favorevolmente ad una elezione diretta di primo grado: ritiene infatti che con le elezioni di secondo grado si possa meglio addivenire alla formazione di un Senato competente e autorevole.
Fabbri osserva che, a parte il requisito, per i membri della seconda Camera, di un'età superiore a quella richiesta per i membri della prima, sul quale tutti sono d'accordo, per risolvere il problema in esame occorre più che altro stabilire il titolo per l'eleggibilità. A tal fine è necessario determinare quali siano le cosiddette forze vive del Paese, sulla elencazione delle quali non crede che possano sorgere grandi difficoltà. Esse sono le industrie, il commercio, la cultura, la banca, gli enti di assistenza, ecc. Fatta tale elencazione, si dovrà stabilire per ognuna di queste categorie il titolo rappresentativo che potrà conferire il requisito dell'eleggibilità. Sarebbe così risolta la questione se la rappresentanza della seconda Camera debba essere una rappresentanza politica o di interessi, e ciò perché si avrebbero contemporaneamente ambedue queste rappresentanze. Difatti, se si stabilisce, ad esempio, che il titolo per la eleggibilità in rappresentanza dell'industria è costituito dall'aver partecipato alla direzione di una azienda, o dall'aver fatto parte per un certo periodo di tempo della direzione della relativa organizzazione sindacale, colui che in base a tale titolo verrà eletto membro della seconda Camera sarà non solo un rappresentante della categoria dell'industria, ma anche un rappresentante politico, in quanto diventato tale mediante il suffragio dei suoi elettori.
Le difficoltà, a suo avviso, possono sorgere quando si dovrà procedere alla distribuzione delle categorie. A tale proposito osserva che non esiste regione italiana che non abbia un'agricoltura, una industria, un commercio, un'organizzazione bancaria, una università e degli enti di assistenza. Quindi, ogni regione avrà i suoi rappresentanti per ciascuna categoria, o almeno per le principali.
Fissato il titolo di eleggibilità per ogni categoria e il numero dei senatori che ciascuna regione dovrà eleggere, si potrebbe infine sancire nella Costituzione che spetti alle Assemblee regionali, in occasione di ogni elezione, di stabilire la distribuzione degli eligendi.
Adottati tali principî, ciascuno che abbia il titolo di eleggibilità per una determinata categoria potrà porre la sua candidatura. Ciascun partito sosterrà i propri candidati, e scomparirà ogni possibilità di conflitto tra il concetto di rappresentanza di interessi e il concetto di rappresentanza politica. Si riprodurrà, in largo modo, la fisionomia politica della prima Camera, ma con questa enorme differenza, che si tratterà di una Camera viva, e perché eletta su una base strettamente democratica, ossia da tutti i cittadini, e perché composta di uomini di provata esperienza, ciascuno nel proprio campo di attività.
Non crede giusto il rilievo dell'onorevole Lussu, secondo cui non vi sarebbe una gran differenza fra una seconda Camera basata, più o meno, su una rappresentanza di categorie e la Camera dei fasci e delle corporazioni. Questa, infatti, si basava su categorie prestabilite di sindacati aventi un cero numero predeterminato di lavoratori e di datori di lavoro, e la nomina dei suoi membri avveniva per decreto; mentre in una seconda Camera del tipo accennato, indipendentemente da ogni criterio paritetico quanto al numero dei datori di lavoro o dei lavoratori, la scelta dei rappresentanti sarebbe fatta liberamente da tutti gli elettori.
Nobile domanda agli onorevoli Mortati e Tosato se essi, nelle loro proposte, quando parlano di rappresentanti di categorie, intendono riferirsi sia ai datori di lavoro che ai lavoratori.
Il Presidente Terracini fa presente all'onorevole Nobile che nella proposta dell'onorevole Tosato la categoria del lavoro è considerata a parte, mentre nella proposta dell'onorevole Mortati ogni singola categoria comprende tanto i datori di lavoro quanto i lavoratori.
Nobile rileva che, se tale è la proposta dell'onorevole Mortati, ogni ragione di contrasto non ha più ragione d'essere. Difatti i partiti di destra avranno come candidati i direttori di azienda o gli agrari; i partiti di sinistra gli operai o i contadini.
L'unica cosa da farsi sarebbe di tenere sempre aggiornati i dati statistici relativi agli appartenenti di ogni singola categoria, sì da poter avere una seconda Camera che effettivamente rispecchi in ogni momento gli interessi del paese.
Se qualche difficoltà si può avere in questo campo, essa più che altro riguarda la scelta del sistema elettorale, circa il quale taluno ha parlato di elezioni di secondo grado. Tiene a dichiarare che non è favorevole a questo sistema, perché per sua esperienza ha potuto constatare che quando le elezioni avvengono in seno ad organismi ristretti si esercitano quasi sempre delle pressioni di carattere personale o si usano altri mezzi assai poco democratici, onde egli è favorevole al sistema del suffragio universale, uguale, diretto e segreto.
Conti, Relatore, è contrario a una formazione della seconda Camera su base corporativa e quindi alle proposte fatte dagli onorevoli Mortati e Tosato, basate più o meno sulla rappresentanza organica degli interessi, perché l'attività umana non può essere incasellata in determinati schemi e categorie. Questo incasellamento mortifica la vita e va contro la realtà delle cose.
Per la costituzione della seconda Camera, a suo avviso, bisogna più che altro tener presente il futuro ordinamento regionale. Con l'accoglimento delle proposte degli onorevoli Mortati e Tosato, si finirebbe col perdere di vista l'autonomia delle regioni, sulla quale era da credere che la maggioranza dei componenti la Sottocommissione fosse ormai d'accordo. A tale proposito ricorda il concetto espresso in una precedente riunione dall'onorevole Lussu, e cioè che la seconda Camera dovrà essere la rappresentanza delle regioni e quindi l'anello di congiunzione fra le regioni stesse e lo Stato. La rappresentanza regionale è, perciò, il primo elemento che occorre tener presente per la formazione della seconda Camera. Ora, affinché tale rappresentanza possa veramente esplicare la sua efficacia, occorre procedere all'elezione dei membri della seconda Camera non già col sistema del suffragio diretto, bensì con quello della votazione indiretta o di secondo grado. In altri termini, dovrebbero essere proprio le Assemblee regionali, costituite per la disciplina degli interessi della regione, ad inviare i loro rappresentanti nella seconda Camera. Soltanto così essa potrà essere composta di uomini di provata esperienza e di mature e ben fondate cognizioni.
Ritiene che anche per la cosiddetta rappresentanza degli interessi si dovrebbe far ricorso al criterio originale.
Analogamente, sempre nell'ambito delle regioni, raccomanda di non dimenticare le organizzazioni operaie e non operaie, le istituzioni generiche, le istituzioni culturali (università e anche scuole medie), i consigli comunali e le camere di commercio.
In conclusione, è favorevole al progetto Ambrosini, contenente alcune norme il cui concetto ispiratore è assai vicino al pensiero che ha sempre animato la sua condotta politica.
Porzio osserva che l'odierna discussione, anziché chiarire, ha reso ancor più confuse le idee.
A suo avviso, per agevolare il compito della Sottocommissione, si dovrebbe anzitutto stabilire quale è il corpo elettorale della seconda Camera; in secondo luogo se i candidati debbano avere requisiti speciali. Evidentemente non si può parlare di tali requisiti, se prima non si è stabilito quale debba essere la fonte della seconda Camera.
Ritiene che una rappresentanza basata sulle cosiddette forze vive costituisca una limitazione per il futuro Senato che, a suo parere, dovrebbe avere il prestigio e il decoro di un'Assemblea coordinatrice: i rappresentanti della seconda Camera dovrebbero venire dalla regione, dalla provincia, dal comune, e dovrebbero essere eletti da tutto il corpo elettorale del paese.
Il Presidente Terracini fa presente all'onorevole Porzio che nella riunione precedente la maggioranza della Commissione ha ritenuto opportuno un più approfondito esame generale del problema in esame. In ogni modo è convinto che, giunti alla fine della presente discussione, si ritornerà a quella successione logica di argomenti accennata dall'onorevole Porzio, col vantaggio però di aver conseguito una maggiore chiarificazione del problema nella seduta odierna.
Lami Starnuti ricorda di aver avuto l'impressione, quando in una delle precedenti riunioni l'onorevole Fuschini presentò il suo ordine del giorno, che le proposte da lui fatte potessero diventare la base di un voto che raccogliesse almeno l'adesione della maggioranza della Commissione. Le aggiunte, però, proposte dall'onorevole Tosato agli articoli formulati dall'onorevole Fuschini le hanno, a suo giudizio, profondamente trasformate, sicché l'adesione, che poteva essere concessa ai soli articoli dell'onorevole Fuschini, deve essere invece negata agli stessi articoli, se modificati secondo gli intendimenti dell'onorevole Tosato.
Ora, poiché è necessario addivenire ad un accordo per la risoluzione del problema in esame, prega gli esponenti degli altri gruppi politici di non riportare la questione al punto di partenza con le proposte dell'onorevole Tosato. L'accordo, infatti, diventerebbe impossibile, se la formazione della seconda Camera dovesse basarsi soltanto sulla rappresentanza organica degli interessi e non più su una rappresentanza politica.
Domanda all'onorevole Tosato se il caso limite di una seconda Camera composta interamente di sindaci non possa verificarsi con l'attuazione delle sue proposte. Vede che l'onorevole Tosato fa cenno di diniego. In ogni modo è da osservare che, per giungere alla conclusione negativa dell'onorevole Tosato, occorrerebbe cambiare il sistema elettorale, nel senso cioè che si dovrebbe fare ricorso non più al sistema della proporzionale, ma a quello maggioritario, il che approfondirebbe il contrasto tra le due parti.
Rivolge pertanto un invito al gruppo democristiano di prendere in considerazione soltanto le proposte dell'onorevole Fuschini, perché ritiene che su di esse si possa arrivare a un voto di maggioranza della Sottocommissione.
Bozzi dichiara che, schematicamente, il suo pensiero può essere così riassunto: abbandonare l'idea di corpi elettorali distinti per categorie professionali e trasferire la rappresentanza delle così dette forze vive alle categorie degli eleggibili. Si tratta cioè di identificare titoli particolari di eleggibilità, per poter dare una rappresentanza a quelle che con espressione che doveva riferirsi, non già alle organizzazioni sindacali o agli ordini professionali, bensì alle attività sociali per sé considerate, sono state chiamate le forze vive della società nazionale.
Osserva che con l'ordine del giorno proposto dall'onorevole Grieco si mira a creare una seconda Camera che sia una copia fedele della prima. Con ciò si ritorna al punto di partenza della discussione, perché il fine che si propone l'onorevole Grieco è appunto quello che la Sottocommissione ha voluto escludere quando ha approvato l'ordine del giorno relativo alla istituzione di una seconda Camera destinata a rappresentare le forze vive del Paese. Con tale espressione infatti si intendeva creare una seconda Camera che fosse integrativa della prima: un'assemblea che, pur essendo costituita dalla rappresentanza di interessi, intesi in senso largo, cioè economici e culturali, fosse anche un'Assemblea politica, in quanto tali interessi non potevano essere visti che in funzione di interessi generali, ossia politici.
Le divergenze potranno sorgere, come giustamente ha affermato l'onorevole Laconi, quando si tratterà di attribuire alla rappresentanza di queste forze vive questo o quel numero di seggi. Ma ciò è una conseguenza del fatto stesso di aver ammesso che tali forze vive debbano essere rappresentate nel futuro Senato. Se si dice, infatti, che la seconda Camera deve essere fondata su un principio politico diverso da quello su cui è fondata la prima, e che tale principio politico diverso consiste nella rappresentanza delle varie forze vive del Paese, assunte per se stesse, con rilievo autonomo e di primo piano, evidentemente si ammette che la seconda Camera non deve essere un doppione della prima e che, per conseguire tale scopo, occorre configurare la rappresentanza di quelle forze vive in modo diverso da quello in cui esse trovano la loro rappresentanza nella Camera dei Deputati. Quindi, la prima cosa da farsi è quella di individuare queste forze, in modo che esse possano avere la loro voce nel Senato. Raggiunto tale risultato, spetterà alla regione l'ulteriore compito di determinare le singole quote da attribuirsi a ciascuna forza viva. Si sa, infatti, che queste forze vive sono diversamente distribuite in ogni regione: in una, ad esempio, può avere maggiore importanza l'attività agricola, in un'altra quella industriale; e saranno le singole Assemblee regionali a stabilire il numero dei seggi che dovrà essere assegnato ad ogni data categoria fissata dalla Costituzione.
È stato osservato dall'onorevole Laconi che tale sistema non sarebbe democratico, in quanto porrebbe alcuni limiti inammissibili alla volontà degli elettori; ma a tale proposito si può affermare che una certa limitazione alla volontà del corpo elettorale esiste sempre, anche quando si tratta di elezioni a suffragio universale per la formazione della Camera dei Deputati, visto che l'elettore è costretto a scegliere i suoi rappresentanti nelle liste dei candidati proposte dai Comitati elettorali.
Quanto poi alla questione se i rappresentanti della seconda Camera debbano essere eletti a suffragio diretto o indiretto, ritiene che sia più opportuno il suffragio diretto, per varie considerazioni. Non si deve dimenticare che è stato stabilito il principio della parità delle funzioni tra le due Camere. Orbene, tale parità sarebbe un'affermazione più teorica che di fatto, se la seconda Camera dovesse trovare la legittimazione del suo potere in una forza democratica diversa da quella che dà vita e prestigio alla prima.
Inoltre, se si fa dipendere l'elezione dei rappresentanti della seconda Camera da alcuni determinati organismi, quali ad esempio i Consigli comunali o provinciali, si assegnano a questi compiti non più amministrativi, ma politici, deformandone il carattere; il che non sembra opportuno.
Infine fa considerare che non è conveniente collegare la seconda Camera con la sorte dei Consigli comunali e provinciali o delle stesse Assemblee regionali, perché i membri di tali organismi possono sempre cessare di appartenervi, in quanto, ad esempio, può venire a mancar loro a un dato momento la fiducia popolare. Questo collegamento creerebbe complicate situazioni per far coincidere le elezioni comunali o provinciali o delle Assemblee regionali con quelle politiche; e accentuerebbe, con grave danno, il carattere politico delle prime. Domanda in quale situazione verrebbero a trovarsi i membri della seconda Camera eletti da un corpo elettorale a cui fosse venuta meno la fiducia del popolo. Anche se si stabilisse in un articolo della Costituzione che un simile fatto non debba avere conseguenze sulla elezione, ormai avvenuta, dei senatori, le ripercussioni non mancherebbero, con evidente danno per il prestigio della seconda Camera.
Piccioni crede che sia un errore prendere decisioni con eccessiva fretta sul problema in discussione, che senza dubbio ha notevole importanza. Se i lavori della Costituente premono, preme altresì di arrivare a conclusioni ben fondate e meditate, altrimenti potrebbe accadere di dover ritornare sopra decisioni già prese. È chiaro che in seno alla Sottocommissione è sorto qualche contrasto di opinioni sul problema della formazione della seconda Camera: a suo parere, tuttavia, tale contrasto può e deve essere superato senza gravi difficoltà.
Ritiene opportuno frattanto dichiarare, anche a nome degli altri appartenenti al suo gruppo, che egli è completamente d'accordo con quanto hanno affermato gli onorevoli Mortati, Ambrosini, Tosato, Uberti e Fuschini e cioè che il partito al quale appartiene tende alla attuazione della democrazia in Italia non già come una ripetizione meccanica degli esperimenti della organizzazione democratica dello Stato quale si è avuta nell'800, bensì partendo da premesse diverse, per giungere alla costruzione del nuovo stato democratico su una base organica. Soggiunge che si può ironizzare sul significato delle parole «rappresentanza organica», ma sta di fatto che esse hanno un senso profondamente realistico, aderente all'odierna struttura sociale. In altri termini, il partito a cui egli appartiene non vuole una struttura della nuova democrazia italiana basata su istituti che esprimano soltanto una concezione atomistica ed individualistica della vita, quale era quella del secolo passato, ma vuole una struttura che poggi su nuovi istituti, più aderenti alla realtà sociale della nostra epoca, realtà che appunto si va manifestando organicamente mediante nuove forme di raggruppamenti sociali, ossia attraverso le così dette forze vive, di cui tanto si è parlato nel corso delle recenti discussioni.
Per venire all'argomento in esame, afferma che si può comprendere il punto di vista di coloro che volevano e vorrebbero ancora una sola Camera; ma soggiunge che una volta adottato il sistema bicamerale, se si vuole essere conseguenti bisogna francamente riconoscere che la seconda Camera non può che essere sostanzialmente diversa dalla prima; e ciò non perché essa debba ripetere la sua legittimità da una rappresentanza democratica di misura inferiore rispetto alla prima — il che non è evidentemente opportuno — ma per la sua composizione, la sua struttura, la sua forza di espressione politica. A suo avviso, la seconda Camera ha il compito di collaborare con la prima alla formazione delle leggi e deve ad un tempo svolgere una funzione di controllo sul Governo, ed un concreto risultato in tale senso non sarebbe raggiunto, se essa fosse una copia conforme della prima.
Non nega che la concezione più semplice per risolvere il problema sia quella per la quale i rappresentanti della seconda Camera dovrebbero essere eletti a suffragio universale diretto, salvo ad avere alcuni requisiti diversi da quelli richiesti per i membri della prima Camera; ma con tale sistema si affiderebbe la scelta dei rappresentanti della seconda Camera a 28 milioni di elettori, sia pure riuniti per regioni, ridotte a circoscrizioni elettorali, e si avrebbe quindi la stessa composizione della prima Camera. Anche elevando il requisito dell'età, per i senatori, da 25 anni così come si richiede per l'elezione a deputato, a 35 o 40, non influirebbe troppo sulla composizione della seconda Camera, perché nella stessa Camera dei Deputati i membri aventi un'età inferiore ai 35 anni sono assai poco numerosi.
A quanti vorrebbero che fossero eleggibili senatori i sindaci, i consiglieri comunali, coloro che hanno fatto parte di pubbliche amministrazioni e così via, obietta che si tratta di persone che potrebbero sempre essere elette, indipendentemente dalle cariche ricoperte. Tali indicazioni avrebbero soltanto una conseguenza, quella cioè di determinare la scelta degli eleggibili da parte del corpo elettorale con criterio esclusivamente politico; criterio che non può essere esclusivo per la seconda Camera, così come lo è per la prima, altrimenti le due Camere verrebbero ad essere l'una la copia fedele dell'altra. Non si accontenterebbero in questo modo coloro che pensano che la seconda Camera debba avere una sua funzione particolare, ben distinta da quella che svolge la prima.
Domanda ai commissari socialisti e comunisti, che hanno una visione così diversa dalla sua della struttura della vita sociale, poiché si basano in gran parte sul fattore economico, se veramente essi credano che la vita sociale e politica di un paese possa essere determinata esclusivamente dalla volontà indifferenziata di 28 milioni di elettori. Una simile concezione sarebbe veramente arretrata rispetto alla evoluzione delle dottrine politiche, perché l'orientamento politico di un paese non è determinato soltanto dall'espressione della volontà individuale, ma anche da quella di alcuni aggruppamenti o, se si vuole, nuclei di forze che sorgono e si formano per la soddisfazione di fondamentali esigenze sociali.
Perciò accanto all'espressione indifferenziata, atomistica, individualistica della volontà popolare, che trova pure una sua forma di organizzazione attraverso i partiti, deve per necessità di cose realizzarsi l'espressione di altre forze organizzate, che operano nella vita sociale e politica più o meno autonomamente.
Un'altra considerazione deve fare rispetto all'opportunità di costituire una seconda Camera col sistema della rappresentanza organica: anziché costringere queste forze ad operare al di fuori dello Stato o a premere sullo Stato, ad essere in una situazione di continuo contrasto ed eventualmente di lotta con lo Stato, bisogna trovare il modo di immetterle nella organizzazione statale, affinché possano operare in concordia con tutte le altre forze politiche e sociali per un rinnovamento profondo della vita nazionale. Per arrivare ad una conclusione di questo genere — poiché non è possibile redigere una Costituzione che preveda l'ulteriore assestamento, sviluppo e specificazione di queste forze sociali — basterebbe indicare nella Costituzione stessa per grandi linee un modello di rappresentanza di tali forze. Ricorda al riguardo che anche nella composizione della Consulta, istituto certo assai difettoso, era prevista l'assegnazione di alcune aliquote di rappresentanza a queste forze in largo modo individuate. Come esse non hanno costituito una remora, un impedimento allo svolgimento dei compiti di un istituto difettoso come era la Consulta, così esse non potranno costituire un ostacolo al libero funzionamento della seconda Camera, specialmente quando — e questa è la risposta migliore all'appunto di un eventuale corporativismo — nessuno chiede di fare una seconda Camera sulla base di una rappresentanza esclusiva di interessi di categorie o di professioni. Ritiene che una quota di tale rappresentanza (la terza parte, ha detto l'onorevole Ambrosini) non possa certo influire nel senso di alterare la fisionomia politica del Paese.
Fa presente inoltre che, per avere una rappresentanza, anche se non esclusiva, di interessi di categoria, il miglior modo è sempre costituito non già dal suffragio universale diretto, ma dalle elezioni di secondo grado. E questo si potrebbe realizzare attraverso le assemblee regionali. A tale proposito, ricordando un appunto ingiustificato mosso al suo partito, dichiara che nessuno più di questo vuol rimanere fedele all'istituto della regione, con tutte le sue attribuzioni, capacità e possibilità di vita e di sviluppo. Esprime però il dubbio che l'assemblea regionale, chiamata a procedere alle elezioni di secondo grado per la seconda Camera, possa essere un corpo troppo ristretto. I ogni modo, la cosa potrà essere considerata a suo tempo, quando ci si troverà di fronte al progetto definitivo dell'Ente regione. Si potrebbe pensare frattanto di integrare l'assemblea regionale con altri elementi elettivi, (in tal caso si ritornerebbe all'investitura e alla legittimazione del suffragio universale diretto), quali potrebbero essere i sindacati, i Consigli comunali, od altre formazioni elettive della vita locale. Sono tutte questioni che potranno essere risolte in seguito. L'esigenza, però, cui vorrebbe che si rispondesse e su cui insiste, è appunto quella di un avviamento della nuova democrazia verso una forma di rappresentanza organica della vita del Paese; rappresentanza che non può essere realizzata attraverso una indicazione vasta di requisiti di eleggibilità.
Per concludere, ripete che non si tratta di ricopiare una qualsiasi Costituzione ottocentista, individualistica, perché si mancherebbe ai doveri inerenti all'investitura avuta e all'impegno assunto di fronte al paese di fare una Costituzione realmente democratica e rispondente alle esigenze della vita sociale moderna. Perciò sarà bene inserire nella nuova Costituzione soltanto il principio che la seconda Camera deve avere parità di diritti con la prima; che deve essere eletta per elezione di secondo grado da corpi delle circoscrizioni elettorali; che in essa debbono avere almeno una parziale rappresentanza le forze vive genericamente indicate nell'ordine del giorno già approvato dalla Sottocommissione.
Lussu ha l'impressione che, dopo il discorso dell'onorevole Piccioni, si sia fatto un notevole passo indietro per la risoluzione del problema. Dopo che questi ha accennato, con severe parole di condanna, all'ordinamento dello Stato secondo le concezioni individualistiche ed atomistiche del XVIII secolo, e dopo che egli ha presentato un progetto per la composizione della seconda Camera basato sulla rappresentanza degli interessi, si ha ragione di ritenere che si voglia costituire una vera e propria Camera dei pari. Forse l'onorevole Piccioni e i suoi amici sono indotti a questo dalla speranza di creare, per mezzo della Costituzione, quella che per essi è una esigenza morale della vita politica moderna, ossia la collaborazione di classe. È naturale che in dati momenti storici si ricerchi il progresso o la rinascita mediante la collaborazione di classe; occorre però che tale collaborazione sia nella coscienza di tutti i cittadini, affinché possa realmente effettuarsi. Un articolo della Costituzione non potrebbe creare la collaborazione di classe ed è, in proposito, da ricordare che in Italia l'odio di classe non è mai stato così forte come quando il fascismo, con le Corporazioni, decretò la collaborazione fra le varie classi in contrasto.
In ogni modo, per tornare al problema in esame, dichiara di essere favorevole a una elezione di secondo grado che potrebbe avere come conseguenza una certa differenziazione della seconda Camera dalla prima; ma deve chiaramente affermare che non potrebbe accettare una seconda Camera intesa come l'espressione di una volontà reazionaria nei confronti della prima.
In conclusione, per poter addivenire ad un accordo tra le varie tendenze in contrasto, ritiene che la soluzione del problema possa aversi nelle elezioni di secondo grado, visto che non si richiede più in modo esclusivo la rappresentanza degli interessi sociali. Per suo conto però vorrebbe che il numero dei rappresentanti fosse in proporzione diretta al numero degli elettori di ogni data categoria. Se così non fosse, la rappresentanza delle categorie sarebbe davvero un comodo mezzo per far trionfare la reazione. Questo è provato da ciò che succede nella Spagna e nel Portogallo, che appunto hanno una rappresentanza di categoria e sono fra i paesi più arretrati e reazionari del mondo.
Rossi Paolo propone la chiusura della discussione.
Il Presidente Terracini mette in votazione la proposta dell'onorevole Paolo Rossi, con l'intesa che sarà riservato il diritto di parlare a coloro che sono già iscritti.
(È approvata).
A cura di Fabrizio Calzaretti