[Il 17 ottobre 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo primo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Parlamento».]

Presidente Terracini. [...] Passiamo all'articolo 77. Se ne dia lettura.

De Vita, Segretario, legge:

«Le Camere approvano ogni anno il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.

«L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi.

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

Presidente Terracini. L'onorevole De Vita ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire l'articolo 77 col seguente:

«Le Camere votano ogni anno il bilancio e il rendiconto presentati dal Governo.

«Il bilancio, con gli eventuali emendamenti sia in ordine alla spesa, che ai mezzi destinati a coprirla, è approvato a maggioranza di due terzi.

«Nessun disegno di legge, che importi nuove o maggiori spese, può essere presentato al Parlamento se non è accompagnato da un corrispondente disegno di legge relativo ai mezzi atti a coprire le spese stesse.

«Il bilancio è unico e comprende i bilanci dei vari enti autonomi.

«L'unità fondamentale del bilancio è il capitolo. Ogni capitolo riguarda un determinato servizio o un distinto cespite d'entrata.

«L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi».

L'onorevole De Vita ha facoltà di svolgere il suo emendamento.

De Vita. Onorevoli colleghi, la dottrina e la prassi finanziaria dominanti poggiano ancora oggi sulla concezione dell'assolutismo. I trattati più recenti di scienza delle finanze danno spesso l'impressione di una specie di commentario della celebre regola di sapienza: tutto per il popolo, nulla mediante il popolo.

Può valere come esempio lo spazio minimo che di solito è dedicato alla trattazione dell'importantissimo problema dell'approvazione dei bilanci e delle leggi di imposta.

Credo di non esagerare se affermo che l'odierno sistema di approvazione del bilancio e delle leggi tributarie può tutto al più considerarsi come il timido inizio di un sistema parlamentare e veramente democratico; ma soltanto un inizio, perché attualmente le decisioni dei Governi e dei Parlamenti vanno regolarmente contro una più o meno grande parte della nazione, ciò che equivale ad un sopraccarico tributario di questa parte.

Bisogna rendersi esatto conto di questa circostanza, ed invece di attendere soccorso da dottrine finanziarie ormai sorpassate, risolvere il problema dell'approvazione delle imposte e del bilancio in uno spirito di progresso e di sviluppo.

Io ritengo, onorevoli colleghi, che bisogna indirizzare quel movimento che ha diretto la storia politica del nostro secolo e che invano si è cercato di frenare; quel movimento che è il progredire continuo della vita pubblica verso forme sempre più parlamentari e democratiche.

Se noi adottassimo ancora i sistemi finanziari fino ad oggi seguiti, insufficienti a confronto dello sviluppo odierno della vita politica; se noi sostituissimo al giogo delle oligarchie nemiche della libertà, della pace e della libera discussione, la tirannia non meno odiosa di una maggioranza parlamentare, anche occasionale, noi porremmo quel movimento in contrasto con lo spirito che l'ha creato.

Onorevoli colleghi, la questione può sembrare teorica e priva d'importanza pratica e politica.

Per convincervi del contrario, richiamo la vostra attenzione sul fatto che, nell'attività legislativa ordinaria, si hanno di continuo dei casi in cui oltre due soluzioni opposte è impossibile trovare una soluzione intermedia. Così, quando si tratta di vietare o permettere un'azione, non è possibile trovare una soluzione intermedia. È naturale che in questo caso la deliberazione a maggioranza semplice debba costituire la regola. Per quanto riguarda invece la legislazione tributaria e l'approvazione del bilancio, questo dilemma non esiste quasi mai.

Il punto saliente che fino ad oggi non ha ricevuto l'attenzione che merita, è il fatto che non esiste una ripartizione delle imposte che sia rigida e determinata a priori o addirittura indipendente dall'approvazione delle spese. È vero piuttosto che esistono centinaia di modi di ripartire fra le varie classi sociali i costi di una determinata spesa pubblica. Sarà quindi sempre possibile teoricamente e, in modo approssimativo, anche praticamente, di ripartire il carico tributario in modo che la spesa sia riconosciuta utile da quasi tutti i partiti.

Ora, se questo è l'aspetto politico della questione, v'è anche un altro aspetto, quello scientifico.

È stato già approvato un articolo il quale sancisce il principio della progressività delle imposte. Fra il principio dell'eguaglianza o della proporzionalità della prestazione e controprestazione, e il principio dell'eguaglianza o proporzionalità del sacrificio, in altri termini tra il principio dell'interesse e il principio della capacità contributiva, è stato preferito quest'ultimo.

L'affermazione di questo principio era inevitabile, perché il principio della prestazione e della controprestazione, il principio dell'interesse, è stato ricacciato sempre più indietro dal progredire della vita sociale, mentre si è fatto strada il principio della capacità contributiva, sia pure attraverso numerose difficoltà dovute anche alla molteplicità, relatività e mutabilità del concetto stesso di giustizia.

Ma il principio dell'eguaglianza del sacrificio non è da solo sufficiente a risolvere il duplice problema della ripartizione delle imposte e dell'altezza concreta delle imposte. Nonostante tutta la sua impraticità, il principio dell'interesse ha il pregio di mantenere un certo contatto con l'altro aspetto dell'attività dello Stato: quello della spesa. Infatti, potrebbe il principio della capacità fornirci un criterio per stabilire l'altezza delle imposte? Non mi pare. Questo principio potrà soltanto dirci come le imposte debbano essere ripartite.

Ecco il dilemma: o scartare del tutto il problema dell'altezza concreta dell'imposta — cosa molto comoda, ma a mio avviso poco scientifica — ovvero ricorrere all'altro principio, quello dell'interesse, ogni qual volta si voglia determinare l'altezza concreta delle imposte. È probabile che l'attività dello Stato, presa nel suo complesso, fornisca una utilità che sia di gran lunga superiore al sacrificio richiesto alla collettività. Ma si deve arrivare al punto in cui l'utilità sia eguale al sacrificio.

Ma è da rilevare un altro aspetto assai importante della questione, e cioè che le classi politicamente più influenti considerano le spese pubbliche esclusivamente o quasi esclusivamente dal loro punto di vista ed è probabile, anche se il carico tributario sia ripartito non in modo uniforme, ma secondo il principio della progressività dell'imposta, che il beneficio che dall'attività dello Stato riceve una determinata classe dei cittadini, non sia proporzionale al sacrificio ad essa imposto. Ecco perché non si può negare importanza al fatto che una determinata spesa pubblica vada a beneficio di una categoria di individui anziché di un'altra.

È possibile stabilire un rapporto fra il sacrificio derivante dalle imposte e l'utilità derivante dall'attività dello Stato?

È possibile evitare che le spese pubbliche vadano a beneficio di una determinata classe di cittadini anziché di un'altra?

Questo è un punto, a mio avviso, importantissimo.

Dal punto di vista individuale, ogni cittadino sarà disposto a pagare una determinata contribuzione qualora il beneficio derivantegli dall'attività dello Stato sia superiore o almeno eguale al sacrificio richiestogli. Ma sull'ampiezza attuale delle prestazioni pubbliche non decide la valutazione da parte di un singolo individuo, decide la valutazione di tutta intera la collettività. Come può avvenire questa valutazione? Naturalmente può avvenire soltanto attraverso la rappresentanza popolare.

Io do ragione a quegli scrittori che parlano di una specie di patteggiamento fra Governo ed Assemblee rappresentative. In questo caso si tratta di un vero e proprio patteggiamento, perché il Governo rappresenta l'offerta di determinati servigi e l'Assemblea rappresenta la domanda.

Ora, io ritengo che non vi possano essere dubbi circa la possibilità di attuare un simile sistema. Qui basta ricordare soltanto che il sistema da me proposto è in perfetta armonia col principio del sistema della rappresentanza proporzionale. Invero, che cosa ci dice il principio della rappresentanza proporzionale? Che ogni corrente politica, anche piccola, del Paese, ha diritto di avere una rappresentanza in Parlamento. Ma io mi domando quale significato, quale valore avrebbe la rappresentanza dei partiti di minoranza in questa Assemblea, se il suo diritto dovesse consistere soltanto nel protestare contro i colpi della maggioranza?

Contro l'introduzione formale di un simile istituto nella nostra Costituzione, potranno certamente essere sollevate moltissime obiezioni. Si potrà parlare del pericolo dell'ostruzionismo da parte delle minoranze. Non nego l'esistenza di questo pericolo. Ogni potere può essere abusato. Ma a mio giudizio si tratta di un pericolo che diventa tanto più piccolo quanto più si permetterà ai singoli partiti di difendere i loro interessi. Gli ostruzionismi sono l'arma della disperazione. Sono le vendette dei partiti di minoranza che vedono calpestati i loro diritti. Se questi diritti non fossero calpestati, non credo che le minoranze sentirebbero il bisogno di ricorrere all'ostruzionismo.

Onorevoli colleghi, non mi illudo che questa mia proposta troverà accoglimento in questa Assemblea. Se mai essa dovesse essere accolta, verrebbe certamente data la più forte spinta ad una riforma propugnata da circa mezzo secolo dai più grandi pensatori.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Codacci Pisanelli:

«Aggiungere, in fine:

«I tributi e le prestazioni di qualsiasi specie potranno essere imposti dagli enti pubblici soltanto in base a legge ordinaria, approvata dalla Camera dei deputati prima che dal Senato».

L'onorevole Codacci Pisanelli ha facoltà di svolgerlo.

Codacci Pisanelli. L'emendamento aggiuntivo da me proposto all'articolo 77 mira a risolvere costituzionalmente uno fra i più antichi problemi che i Parlamenti siano stati chiamati ad affrontare. Si tratta di limitare la potestà di imposizione da parte degli enti pubblici, a cominciare dallo Stato.

È inutile che ricordi qui come i primi Parlamenti si siano avuti in relazione alla necessità di opporre un freno all'assolutismo, e di non ammettere tributi se non quando fossero stati riconosciuti dai rappresentanti del popolo.

Mi limito ad accennare che, trattandosi di una tra le più antiche competenze dei Parlamenti, non sarebbe inutile farne menzione. Accenno con questo emendamento a tutte le potestà d'imposizione pubblica, sia per i tributi, sia per la prestazione del servizio militare o altro. Premetto che non ritengo questa formulazione da me proposta affatto completa; penso anzi sia alquanto imperfetta. Quindi mi rimetto al Comitato e al Presidente della Commissione dei 75 per trovare una formulazione più adeguata nel caso in cui l'emendamento venga accolto. M'interessa soprattutto stabilire il principio. Oggi in Italia, per esempio, abbiamo avuto diversi esempi di esercizio del potere pubblico d'imposizione attraverso metodi diversi da quello che non sia la legge ordinaria. Ecco la ragione per cui propongo che nella Costituzione venga riconosciuto il principio secondo cui la potestà d'imposizione non può essere esercitata dagli enti pubblici se non in base a legge ordinaria. Ho detto «in base a legge ordinaria», perché mi rendo conto delle obiezioni che mi saranno fatte. Molti sono gli enti pubblici diversi dallo Stato, come le Regioni, le Province e i Comuni, ai quali non può disconoscersi la potestà di imposizione come la potestà di provocare una legge ordinaria ogni volta. La mia risposta è facile. Vi sarà una legge ordinaria la quale attribuirà ai diversi enti pubblici la potestà di imporre tributi determinati in modo che non vi siano sperequazioni nelle diverse parti dello Stato.

Finalmente, questo emendamento mira ad evitare un inconveniente, che si è avuto spesso in questo periodo, nella diversità del sistema seguito per imporre le diverse prestazioni. Basta che io accenni al fatto della differenza che esiste fra il sistema di accertamento relativo ai tributi normali e quello relativo ad altre prestazioni, come i contributi unificati in agricoltura. Questi contributi, accertati in maniera alquanto meno accurata di quanto avviene per i tributi fondiari, hanno oggi spesso un livello superiore a quello degli stessi tributi fondiari, uniti tutti insieme.

Ho voluto accennare a questo inconveniente, perché l'Assemblea possa riflettere sulla opportunità dell'affermazione contenuta nel mio emendamento.

Finalmente l'ultima parte stabilisce una procedura, particolare col riconoscere nella Costituzione un principio già accolto: cioè la necessità che le leggi in materia tributaria, che le leggi, le quali implichino nuove prestazioni di qualunque genere, non solo di carattere pecuniario, siano proposte alla Camera dei deputati prima che al Senato.

Prevedo l'obbiezione: in questa maniera come fai ad ammettere il principio della parità delle due Assemblee legislative, da te sostenuto nei giorni scorsi?

Ritengo che questa affermazione non stabilisca affatto una preminenza della Camera dei deputati sul Senato, ma stabilisca semplicemente un sistema di procedura e che in materia così delicata — tanto delicata, che per tradizione è stata considerata una delle più antiche competenze dei Parlamenti — sia opportuno fare in modo che la Camera dei deputati (la quale sarà più numerosa ed avrà maggiori possibilità di esprimere le diverse tendenze della pubblica opinione) dia il primo parere.

D'altra parte, non penso affatto che con questo principio, di carattere puramente procedurale, resti menomata la parità fra le due Assemblee legislative; perché nessuno esclude che il Senato possa respingere la proposta fatta dalla Camera dei deputati; e nessuno stabilisce che, in caso di conflitto fra le due Assemblee, si debba giungere ad imporre la opinione della Camera dei deputati.

Non si tratta di una norma giuridica, ma semplicemente di una regola di correttezza costituzionale, dalla quale non deriva la preminenza di una Camera sull'altra.

Questo principio è costantemente rispettato e ritengo che non sia inutile riconoscerlo anche nella nostra Costituzione.

Presidente Terracini. L'onorevole Bertone ha proposto il seguente emendamento:

«Nel secondo comma sostituire le parole: una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi», con le altre: «per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi».

L'onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

Bertone. Io concordo pienamente col pensiero della Commissione: che le autorizzazioni agli esercizi provvisori del bilancio non debbano superare i 4 mesi e che debbano essere date per legge.

Però, ritengo sia preferibile anziché dare una sola autorizzazione per quattro mesi, dare autorizzazioni per un periodo complessivo, che non superi i quattro mesi durante l'esercizio; perché si elimina l'incoraggiamento a chiedere autorizzazioni per esercizi provvisori per un tempo più lungo del necessario.

Se il Governo ha bisogno soltanto di un mese di esercizio provvisorio, chiede un mese, sapendo che, in caso di necessità, potrà chiedere un secondo mese. Ma, se esso è costretto a chiedere una volta sola, chiede quattro mesi invece di uno.

Per questo è preferibile concedere al Governo di chiedere autorizzazione ad esercizi provvisori per un tempo complessivamente non superiore a quattro mesi, non obbligarlo a chiederne una sola per quattro mesi.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento dell'onorevole Fuschini:

«Aggiungere al secondo comma:

«In caso di guerra l'esercizio provvisorio sarà regolato con la concessione di maggiori poteri al Governo a norma dell'articolo 75».

L'onorevole Fuschini ha facoltà di volgerlo.

Fuschini. Le ragioni del mio emendamento si riferiscono all'esercizio provvisorio che dovrà stabilirsi in caso di guerra. Infatti esso si dimostra, in caso di guerra, come una necessità derivante dalle condizioni in cui viene a trovarsi il Paese e non solo il Paese, ma soprattutto l'esercizio del potere parlamentare. Quindi è necessario che, alla Commissione che dovrà precisare con apposito articolo i poteri che il Parlamento potrà dare al Governo in caso di guerra, sia presente la necessità di regolare la concessione dell'esercizio provvisorio per il periodo di guerra. Ecco perché ho proposto un emendamento, il quale dice che in caso di guerra l'esercizio provvisorio sarà regolato con la concessione dei maggiori poteri che la Camera darà al Governo. Mi pare che questa misura sia così evidente, che non sia necessario intrattenere ulteriormente l'Assemblea, con riferimenti di carattere storico, perché è stato sempre dimostrato che in caso di guerra non c'è la possibilità di discutere ed approvare bilanci, come avviene in periodo di pace.

Presidente Terracini. Chiedo all'onorevole Ruini di esprimere il parere della Commissione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Il primo emendamento è stato proposto dall'onorevole De Vita con la sostituzione intera dell'articolo. L'onorevole De Vita, che ha dimostrato competenza e serietà di studi nel fare questa proposta ed ha palesato un desiderio di dare la maggior correttezza alla vita finanziaria dello Stato, consentirà che io gli dica che le sue osservazioni, se sono in gran parte giuste, non possono entrare nella legge costituzionale. La divisione dei capitoli in articoli — sebbene sollevi in dottrina non pochi dubbi e sebbene anche fra i competenti della contabilità sia discussa e contestata — è, a mio giudizio, un principio giusto, tanto più che nel momento attuale abbiamo per esempio un capitolo del bilancio dei lavori pubblici, che è di 58 miliardi. La divisione dei capitoli in articoli, secondo me, si impone, ma è norma di legge della contabilità di Stato e non ritengo opportuno inserirla nella Costituzione. Assicuro però l'onorevole De Vita, che il Comitato e — credo — l'Assemblea consentono nel voto che sia fra le norme contabili introdotta quella da lui desiderata.

L'articolo proposto dalla Commissione contiene due gruppi di norme.

Il primo è che i due bilanci, preventivo e consuntivo, debbano essere approvati per legge e che «l'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, una sola volta, e per un periodo non superiore a quattro mesi». È una notevole garanzia. Dichiaro di accogliere senz'altro il saggio emendamento dell'onorevole Bertone, il quale vuol togliere la possibilità di equivoco, e che cioè l'esercizio provvisorio non possa essere chiesto ed accordato per un tempo minore di quattro mesi; il termine di quattro mesi è il limite massimo, che non può essere superato complessivamente. Formuliamo dunque il testo così:

«L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge, e per un periodo complessivamente non superiore a quattro mesi».

Tutto il resto dell'articolo, anche nella sua logica struttura, non può essere modificato. È assolutamente da respingere l'emendamento De Vita, che richiede per l'approvazione dei bilanci una maggioranza di due terzi, difficilissima a raggiungersi. Ed allora che avverrebbe, se il bilancio non fosse approvato? Si sospenderebbe la vita finanziaria dello Stato?

E veniamo all'emendamento dell'onorevole Codacci Pisanelli. Proponendo che: «i tributi e le prestazioni di qualsiasi specie potranno essere imposti dagli enti pubblici soltanto in base a legge ordinaria approvata dalla Camera dei deputati prima che dal Senato», egli fa due proposizioni che debbono essere esaminate ciascuna per sé. Non mi pare che la sua prima affermazione sia necessaria. Noi infatti abbiamo già stabilito nell'articolo 18 che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».

Per quanto riguarda la seconda proposizione, trovo strano che quando l'Assemblea ha affermata la parità delle Camere in tutto, escludendo ogni eccezione particolare, si voglia ora così, non dico surrettiziamente, che è una parola non corretta, ma improvvisamente creare una precedenza della Camera dei deputati sul Senato. Respingiamo dunque l'emendamento Codacci Pisanelli.

L'emendamento Fuschini merita di essere considerato, ma potrà tenersi presente quando parleremo dei poteri da concedersi al Governo in caso di guerra: si potrà allora far speciale menzione della materia finanziaria, o considerarla inclusa in un'espressione generale.

Con quello che ho detto, il testo dovrebbe rimanere fermo nella forma che è stata stilata dalla Commissione, col solo emendamento accettato dell'onorevole Bertone.

Buffoni. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Buffoni. Vorrei proporre la soppressione del penultimo comma dell'articolo 77, in quanto, se nella approvazione del bilancio, ad un determinato capitolo, si propone un aumento, questo non è più possibile secondo questa disposizione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. È un'altra cosa!

Buffoni. In Francia è con la legge del bilancio che si stabiliscono nuovi tributi.

Presidente Terracini. Allora, onorevole Buffoni, lei propone la soppressione di questo comma?

Buffoni. Non credo che sia necessario mettere questo principio nella Costituzione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Onorevole Buffoni, è una norma di correttezza contabile ammessa nei Paesi più ordinati, che sia tolta la possibilità di varare, confondendoli coi bilanci, omnibus di provvedimenti anche tributari. La Camera, discutendo i bilanci, potrà aumentare o diminuire le cifre dei capitoli; ma non aumentare o modificare le imposte, che sono regolate da apposite leggi, e neppure alterare le leggi generali di autorizzazione delle spese. L'aumento delle spese in bilancio dovrà avvenire nei limiti di tali leggi; se si vuole andare al di là, bisogna modificarle. Il bilancio deve essere un bilancio non diventare un'altra cosa, né prestarsi a sorprese ed abusi.

Buffoni. Così non si potrà modificare il bilancio?

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Si potrà modificare il bilancio, nei limiti delle leggi tributarie e di autorizzazione delle spese, che si possono essi bensì modificare, ma con altre leggi. Il bilancio deve conservare il suo carattere.

Buffoni. Tutto questo può essere una pratica opportunissima, ma credo che non sia il caso di metterlo nella Costituzione.

Bertone. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Bertone. Credo che l'onorevole Buffoni sia incorso in un equivoco, perché non è che non sia ammesso, nella legge che vota il bilancio, alimentare il capitolo o diminuirlo; è vietato introdurre nuovi tributi e nuove spese che non siano state predisposte e preparate prima, secondo la procedura normale. Quando si vota il bilancio, i tributi e le spese sono stati studiati, esaminati, elaborati e vengono portati all'approvazione dell'Assemblea. Se l'Assemblea potesse introdurre nuovi tributi e spese, il bilancio salterebbe in aria e non si farebbe più nessun bilancio. Quindi, è legittima la modificazione di tutte le voci del bilancio, in più o in meno, in attivo o passivo, ma non può essere lecito introdurre nuovi tributi e nuove spese sui quali non ci sia stato il lavoro preparatorio.

Presidente Terracini. Prima di passare alla votazione chiedo ai presentatori degli emendamenti se li mantengono.

Onorevole De Vita, mantiene il suo emendamento?

De Vita. Mantengo il mio emendamento ed affermo che le norme da me proposte non sono norme di contabilità, come ritiene l'onorevole Presidente della Commissione, ma vere e proprie norme costituzionali. Affermo altresì che il principio della specializzazione del bilancio è una conquista della moderna democrazia. Oggi la mia proposta può essere respinta, ma io sono fermamente convinto che il principio della unanimità relativa per l'approvazione del bilancio e delle leggi di imposta sarà una grande conquista della moderna democrazia.

Presidente Terracini. Onorevole Fuschini, mantiene il suo emendamento?

Fuschini. Dopo le dichiarazioni del Presidente della Commissione, ritiro il mio emendamento riservandomi di tenerlo presente quando ci sarà la discussione dell'articolo relativo ai poteri del Governo in caso di guerra.

Presidente Terracini. Onorevole Codacci Pisanelli, mantiene il suo emendamento?

Codacci Pisanelli. In seguito alle dichiarazioni del Presidente della Commissione dei Settantacinque ritiro il mio emendamento in quanto risulta che il principio relativo alla impossibilità di esercitare la potestà di imposizione se non per legge, è già accolto nella nostra Costituzione. Quanto al secondo punto, cioè la precedenza nella presentazione di leggi di carattere tributario alla Camera dei deputati, è bene che non risulti nella Costituzione, perché resti consacrato il principio della parità delle due Camere, mentre a questo proposito potranno meglio provvedere le norme di correttezza costituzionale.

Presidente Terracini. Passiamo alla votazione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Rilevo un errore di stampa. Va detto «approvano ogni anno i bilanci» e non «il bilancio» per evitare l'equivoco che si possa fare un bilancio non distinto per Ministeri.

Presidente Terracini. Passiamo alla votazione. Poiché l'onorevole De Vita mantiene il suo emendamento sostitutivo dell'intero articolo, procederemo alla votazione, tenendo presente per l'appunto il suo emendamento sostitutivo.

Il primo comma dell'emendamento dell'onorevole De Vita corrisponde al primo comma della Commissione.

Possiamo quindi mettere in votazione il testo della Commissione.

«Le Camere approvano ogni anno i bilanci e i rendiconti consuntivi presentati dal Governo».

Lo pongo in votazione nella dizione testé letta.

(È approvato).

A questo punto l'onorevole De Vita propone di inserire il seguente comma:

«Il bilancio, con gli eventuali emendamenti sia in ordine alla spesa, che ai mezzi destinati a coprirla, è approvato a maggioranza di due terzi».

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Con questo emendamento si rende quasi impossibile l'approvazione del bilancio, e se lo si approva si arresta la vita dello Stato. Prego l'Assemblea di respingerlo.

Presidente Terracini. Pongo in votazione il secondo comma dell'emendamento dell'onorevole De Vita del quale ho dato testé lettura, e che la Commissione non ha accettato.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il secondo comma del testo della Commissione, con l'emendamento Bertone, accettato dalla Commissione:

«L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge e per periodi non superiori a quattro mesi».

(È approvato).

Pongo in votazione il quarto comma aggiuntivo proposto dall'onorevole De Vita, non accettato dalla Commissione:

«Il bilancio è unico e comprende i bilanci dei vari enti autonomi».

(Non è approvato).

Pongo in votazione il quinto comma aggiuntivo dell'emendamento dell'onorevole De Vita:

«L'unità fondamentale del bilancio è il capitolo. Ogni capitolo riguarda un determinato servizio o un distinto cespite d'entrata».

La Commissione ha dichiarato di non poterlo accettare come norma costituzionale.

(Non è approvato).

Pongo in votazione il terzo comma del testo della Commissione:

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese».

(È approvato).

Passiamo ora all'ultimo comma dell'articolo 77 così formulato:

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

Il terzo comma dell'emendamento dell'onorevole De Vita propone di sostituire questo comma con la seguente formula:

«Nessun disegno di legge, che importi nuove o maggiori spese, può essere presentato al Parlamento se non è accompagnato da un corrispondente disegno di legge relativo ai mezzi atti a coprire le spese stesse».

Domando all'onorevole De Vita se mantiene questo comma del suo emendamento.

De Vita. Sì, perché oltre ad una differenza formale, vi è anche una differenza sostanziale.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Dichiaro che il Comitato respinge la proposta dell'onorevole De Vita.

Corbino. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Corbino. Io credo che il testo della Commissione, rispetto ai fini che si propone di raggiungere l'onorevole De Vita, sia preferibile, per questa ragione: mentre l'onorevole De Vita richiede la presentazione di due disegni di legge (il che vuol dire che il Parlamento può approvare le maggiori spese senza obbligo di approvare assieme il parallelo disegno di legge sulle entrate), il progetto della Commissione importa l'obbligo dell'approvazione contemporanea delle spese e delle nuove fonti di entrate. Quindi, ai fini della salvaguardia del pubblico erario, credo che il testo della Commissione risponda meglio al desiderio che ha mosso l'onorevole De Vita, di tutelare i contribuenti nei limiti in cui questa tutela può essere esercitata dal Parlamento.

Presidente Terracini. Chiedo all'onorevole De Vita se, dopo le osservazioni dell'onorevole Corbino, intende mantenere il suo emendamento.

De Vita. Ritengo esatte le osservazioni dell'onorevole Corbino e ritiro il mio emendamento.

Presidente Terracini. Pongo pertanto in votazione l'ultimo comma dell'articolo 77, nel testo formulato dalla Commissione:

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

(È approvato).

Il testo completo dell'articolo 77 risulta così approvato:

«Le Camere approvano ogni anno i bilanci e i rendiconti consuntivi presentati dal Governo.

«L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso che per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.

«Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.

«In ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese devono essere indicati i mezzi per farvi fronte».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti