[Il 12 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali». — Presidenza del Vicepresidente Targetti.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Abozzi. [...] Ma da questa tesi nasce un problema — il problema che è stato così ampiamente discusso in quest'Aula: com'è che la Magistratura può essere indipendente? Come si arriva alla indipendenza? Questo è il punto, questo il problema.

Onorevoli colleghi, io sono perfettamente d'accordo con quegli studiosi, tra cui uno squisitissimo scrittore francese, i quali dicono che per arrivare all'indipendenza della Magistratura non vi sono che tre vie. San Tommaso diceva che vi sono cinque vie per arrivare a Dio; io dico che vi sono tre vie per arrivare all'indipendenza della Magistratura. E le tre vie sono queste: la prima: il magistrato compra la sua carica; la seconda: il magistrato è eletto dal popolo; la terza: la Magistratura sceglie se stessa.

In Francia, nell'antico regime, il cittadino comprava la carica di magistrato, e naturalmente non dipendeva che da se stesso; e nell'antica monarchia, prima ancora che le cariche si potessero o comprare o vendere, il re integrava il Parlamento, scegliendo in una lista tre membri. Ma è da notare che il Parlamento era arbitro di comprendere nella lista anche persone non accette, non ligie al sovrano: quindi, chi sceglieva era il Parlamento; il sovrano sceglieva soltanto formalmente. E anche in questo caso, bisogna dire il vero, l'indipendenza della Magistratura era sufficientemente garantita. Ma io comprendo perfettamente che a metà del secolo XX non si può neppure concepire che il magistrato compri il suo ufficio; non si può concepire, anche se il cittadino avesse provato perfettamente la sua capacità e la sua moralità.

Vi è allora la seconda via, da tutti conosciuta e in qualche Stato applicata: il popolo elegge i magistrati. Il magistrato, eletto sarà, forse, indipendente dal potere esecutivo e dal potere legislativo; ma non è indipendente dal cittadino, non è indipendente dai suoi elettori. Dipende dai suoi elettori, con i quali deve far i conti ogni quattro o cinque anni, come un deputato; ma, mentre la dipendenza del deputato non è né una colpa né un'insigne virtù, ma un fatto che si sottrae a ogni giudizio di valore, la dipendenza del magistrato dall'elettore non è cosa che giovi alla sua dignità.

Il deputato può anche rappresentare le idee e le passioni degli elettori; ma il giudice non li può rappresentare; può accogliere le idee, ed anche le passioni della folla, ma come convincimento proprio, come idee che nascono in lui, come passioni da lui sentite, indipendentemente dal pensare e dal sentire della massa. D'altra parte mal si comprende che il magistrato faccia la corte — sia pure riguardosa — all'elettore che può essere privato del patrimonio o della libertà quando la giustizia lo imponga.

La terza via: la Magistratura sceglie se stessa. Questa pare la via buona. Ma come la Magistratura può scegliere se stessa? È semplicissimo; la Magistratura sceglie se stessa così: i giudici eleggono la Suprema Corte di cassazione e la Suprema Corte di cassazione a sua volta nomina i giudici. La Corte di cassazione sarebbe dunque eletta da tecnici e, d'altra parte, questo Supremo consesso eletto da tecnici avrebbe tutti i titoli per giudicare le capacità e la dirittura morale di giudici. E così, poiché l'inamovibilità del giudice non è neppure discussa, si arriva veramente alla perfetta indipendenza dal potere legislativo, dal potere esecutivo e dal cittadino: quindi alla vera autonomia ed alla vera indipendenza.

[...]

È detto nel progetto che dal Consiglio Superiore della magistratura possono essere destinati all'ufficio di consigliere di cassazione gli avvocati dopo quindici anni di servizio. È fatto incontestabile che l'avvocato coopera all'amministrazione della giustizia, ma poiché al grado di Consigliere di cassazione il magistrato arriva dopo una vita impiegata a servir la giustizia, è giusto che l'avvocato sia designato all'alta funzione dopo una vita spesa a servir la giustizia.

Per questo a me pare che il termine di venti anni di esercizio sia più opportuno di quello di quindici voluto dal progetto.

D'altra parte, non sembra che il criterio del tempo sia decisivo o, per lo meno, sia l'unico criterio da adottare. Non è il numero degli anni consacrati all'ufficio professionale, che deve decidere, ma la dignità della vita professionale, la fama guadagnata, l'avere onorato la toga con la capacità e la dirittura morale.

[...]

Cortese. [...] La scelta del giudice deve essere garanzia di giustizia eguale per tutti.

La scelta del giudice mediante concorso è garanzia di preparazione e di competenza. Concorso anche interno per selezionare il magistrato durante lo svolgimento della sua carriera. Oserei forse dire, per distinguere magistratura penale da magistratura civile.

Noi nella pratica vediamo i giudici penali che chiedono di andare a fare delle piccole escursioni in civile, per poter scrivere delle sentenze ed acquistare un titolo, quasi che la funzione di amministrare la giustizia in campo penale fosse una funzione degradata in confronto a quella nel campo civile. Eppure, tutto il movimento della scienza moderna, tutte le elaborazioni giurisprudenziali, i congressi internazionali, sempre più dimostrano quanto il giudice debba essere preparato, padrone perfino di scienze ausiliarie, ove egli voglia cimentarsi nel difficile compito di giudicare gli uomini e di amministrare la legge penale, che diventa sempre più complessa.

[...]

Veroni. [...] Ora, onorevoli colleghi, io vorrei dire una ultima parola, per esprimere il mio dissenso nei confronti di coloro che ostacolano l'entrata delle donne nella vita giudiziaria. Io non capisco come si possa dire che la donna non sia matura per la vita giudiziaria, quando invece è matura per esercitare la professione di avvocato, quando sopratutto è matura per fare l'elettrice e per fare l'eletta. E così, mentre in regime di democrazia, il primo Gabinetto Bonomi concedeva alle donne il diritto elettorale passivo ed attivo, talché molte sono venute in questa Aula ed hanno fatto e fanno bene il loro dovere, io non capisco perché, potendo fare le leggi, potendo collaborare a dare al Paese la sua nuova Costituzione, non possano disimpegnare le funzioni giudiziarie.

In fondo non saranno molte a dedicarsi alla vita giudiziaria, non perché non siano capaci di farlo, ma perché avverrà ciò che è avvenuto per la professione forense, ove non si è ravvisata fervida passione per l'esercizio dell'avvocatura da parte delle donne. Avverrà probabilmente lo stesso se riconosceremo alle donne il diritto di accedere alla vita giudiziaria. Ma la considerazione che le donne non saranno in folla a poter chiedere di entrare nell'ordine giudiziario è ben diversa dalla considerazione che voi vogliate estraniarvele, dopo che sono state ritenute capaci a sedere e a legiferare in quest'Assemblea sovrana.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti