[Il 30 luglio 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]

Ambrosini, Relatore. [...] Venendo ad esaminare le materie da affidare alla competenza specifica delle regioni, salvo a vedere poi se debba usarsi una formula o l'altra, osserva che si tratta di quel gruppo di materie che interessano principalmente gli affari locali, pur ammettendo che con questa distinzione non ponesi un criterio assoluto e che occorre sempre un criterio relativo e di opportunità per giudicare la prevalenza dell'interesse locale, perché l'interesse nazionale esiste sempre, non è isolabile. Si tratta di vedere qual è l'interesse prevalente, se quello locale o quello nazionale. E là dove sia decisamente stabilito che l'interesse prevalente è quello locale, potrebbe senza alcun danno concedersi alla regione anche la potestà legislativa.

Per venire al concreto, senza lasciarci fuorviare da esempi di legislazioni straniere dalle quali è necessario differenziarsi, sottopone all'attenzione dei colleghi una distinzione dal punto di vista generale, e poi una indicazione di materie dal punto di vista particolare.

Dice che due potrebbero essere i gruppi di materie da affidarsi alla competenza normativa della regione: materie di competenza legislativa primaria, e materie di competenza legislativa secondaria o integrativa.

Non parlerebbe di legislazione esclusiva, perché è questo un termine che può suonare troppo rigido: parlerebbe piuttosto di legislazione primaria, e non userebbe altre specificazioni, restando inteso che il primo gruppo di materie dovrebbe competere alla regione, perché sono materie di prevalente interesse locale; aggiungendo che sino a quando l'Assemblea regionale non avrà legiferato su tali materie, resteranno naturalmente in vigore le norme della legislazione nazionale.

Un secondo gruppo di materie potrebbe dar luogo alla legislazione secondaria, per cui la regione legifera secondo le norme di principio segnate dalle leggi dello Stato. Non sarebbero norme di sola attuazione, norme regolamentari: sarebbero vere e proprie leggi, naturalmente nel quadro dei principî fondamentali stabiliti dalla legislazione nazionale.

Detto questo in via generale, passando alle specificazioni, prospetta a titolo puramente indicativo la formula seguente:

«1°) La regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie (e questa potrebbe essere la legislazione primaria): agricoltura e foreste, strade, ponti, comunicazioni, porti, lavori pubblici in generale, con esclusione delle opere di interesse nazionale, acquedotti, pesca e caccia, urbanistica, antichità e belle arti, turismo, istruzione elementare, scuole tecniche e professionali, pubblica beneficenza, ordinamento degli uffici regionali».

Osserva che vi sono materie per le quali è molto difficile decidere. Nella prima redazione della formula aveva indicato, dopo «agricoltura e foreste», anche «industria e commercio», ma non si dissimula che nei riguardi di questo ramo di attività, possono esservi elementi che interferiscono con l'interesse di altre regioni o addirittura di tutta la Nazione; per il che potrebbe essere opportuno includerle nel secondo gruppo.

Ricorda che per il regime minerario è stato affermato che la sua unificazione ha fatto buona prova. Potrebbe vedersi se non sia il caso di collocare queste materie nel secondo gruppo, perché sembra fuor di dubbio che, pur potendo essere opportuno un criterio di massima generale che regoli la materia, le singole regioni hanno delle esigenze particolari per ragioni obiettive e per ragioni psicologiche particolari.

Per il secondo gruppo, ha considerato due modi diversi di prospettare la norma tenendo conto delle esigenze diverse e quasi delle pregiudiziali diverse. Una dizione potrebbe essere la seguente:

«2°) Entro i limiti della legislazione di principio emanata dallo Stato, compete alla regione la potestà legislativa nelle seguenti materie...».

La seconda dizione sarebbe questa:

«2°) La regione può dettare norme legislative per le seguenti materie, in armonia alle norme di principio rispetto ad esse fissate nelle leggi dello Stato».

Le materie sarebbero: rapporti di lavoro; riforme economiche e sociali; disciplina del credito, delle assicurazioni, del risparmio; istruzione media e superiore; igiene e assistenza sanitaria; ordinamento degli enti locali; ecc., e le altre materie di interesse prevalentemente regionale (da indicarsi).

Ritiene che potrebbe attribuirsi alla Giunta regionale il potere regolamentare. Ha accennato in via generale ai gruppi di materie specifiche per rispondere alle sollecitazioni di alcuni colleghi; ma crede necessario che la precisa indicazione delle materie di competenza legislativa della regione sia affidata ad una sezione della Sottocommissione.

[...]

Fuschini. [...] Crede che si debba poi andare molto cauti quanto alla potestà legislativa della regione e che sarebbe opportuno sottoporre questo argomento ad un esame molto attento della Sottocommissione.

È favorevole alla limitazione dei compiti e delle materie da assegnare alla competenza dell'ente regione, salvo una disposizione che consenta, dopo un esperimento, di aumentare tali compiti, allo scopo di poter procedere gradualmente nella organizzazione del nuovo ente. Si può discutere molto su questo; ma, avendo vissuto anche negli uffici ministeriali, egli sa quanto sia difficile creare e fare muovere degli organismi burocratici che rispondano a determinate esigenze, particolarmente se nuovi.

[...]

Piccioni. [...] Qui bisogna esser chiari ed assumere le proprie responsabilità. Non si può pensare di creare l'ente regione senza dargli la possibilità di raggiungere i fini per i quali viene istituito. E per raggiungere questi fini non basta una potestà legislativa, delegata, secondaria, perché allora rimarrebbe sempre all'ente la camicia di Nesso del centralismo statale, e non si creerebbero dei poteri locali.

Circa la potestà legislativa, richiama le enunciazioni dell'onorevole Grieco, il quale sembra voler riconoscere all'ente regione una potestà legislativa; e si dichiara d'accordo con lui, purché si tratti di potestà autonoma, non delegata, non secondaria, ma primaria, come diceva il Relatore Ambrosini.

Ora, una volta fissati i fini per i quali la regione si istituisce, i suoi obiettivi, le sue funzioni di rinnovamento della struttura politica e amministrativa della nazione, non si debbono lesinare i mezzi necessari allo svolgimento delle sue funzioni, perché altrimenti si compirebbe opera inutile. Quindi potestà legislativa, entro i limiti delle competenze specifiche della regione e nell'ambito dell'ordinamento generale dello Stato. Un altro limite alla potestà legislativa dovrebbe servire, in certo senso, a superare le scrupolose successive specificazioni che a tale riguardo ha creduto di fare il Relatore Ambrosini: il limite naturale è quello dell'interesse locale. È evidente che la potestà legislativa, oltre che rimanere nei limiti dell'ordinamento generale e delle competenze specifiche, non deve andare al di là dell'interesse locale che caratterizza tutto l'ordinamento regionale.

[...]

Non vuole affrontare la questione e si limita a rilevare che il sistema più logico e pratico è quello di specificare le competenze della regione, lasciando che tutto il resto rimanga allo Stato. Solo su un punto desidera fare un'osservazione: sull'istruzione, circa la quale si sono avute indicazioni divergenti. L'onorevole Grieco ha detto che è un aspetto del problema che andrebbe approfondito, prima di prendere un indirizzo in un senso o nell'altro. L'onorevole Nobile ha detto che affiderebbe l'istruzione elementare addirittura ad un organo mondiale. Crede, invece, che questa sia da restituire ai comuni, perché è una delle forme di attività che devono aderire il più strettamente possibile alle esigenze locali fondamentali. L'istruzione secondaria dovrebbe essere passata all'Ente regione, salvo il compito del potere centrale di indicare i criteri tecnici dell'ordinamento scolastico, lo sviluppo degli studi, ecc. Ma, quando lo Stato abbia stabilito i programmi scolastici, in modo che non vi sia disparità fra regione e regione, l'ordinamento concreto della scuola deve essere lasciato all'iniziativa, alla valutazione della regione. Non vi è necessità, ad esempio, di dare in una regione industriale ampio sviluppo agli studi classici.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti