[Il 26 novembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]

Il Presidente Terracini ricorda che nella riunione precedente si decise l'inclusione nell'articolo 4 delle «tranvie», ma non si pervenne alla votazione su di un'altra materia proposta dall'onorevole Conti: «linee regionali automobilistiche».

Nobile premette che le sue considerazioni si attagliano anche alle tranvie, il che potrebbe forse consigliare un ritorno sulla decisione già presa al riguardo, ad evitare un eventuale contrasto tra il criterio seguito per le linee automobilistiche e quello seguito per le tranvie.

Rileva che le leggi attualmente esistenti per i servizi del genere contengono prescrizioni di carattere tecnico rivolte, per lo più, a garantire la sicurezza dell'esercizio. Così, ad esempio, la legge sulle tranvie prescrive che la distanza fra la parte più sporgente della vettura e l'ostacolo più vicino alla linea non deve essere inferiore agli 80 centimetri. È evidente che almeno per gli aspetti tecnici della materia si impone una regolamentazione uniforme, e non è possibile che si abbiano ordinamenti differenti da una Regione all'altra. Non può togliersi allo Stato la possibilità di un controllo tecnico, sia sulla costruzione che sull'esercizio di questi mezzi di trasporto, e pertanto conclude prospettando l'opportunità di rinviare le tranvie e le linee automobilistiche regionali all'articolo 4-bis.

Conti obietta che la riforma deve rispondere all'aspirazione di organizzare la Regione nel miglior modo possibile, con i suoi servizi, i suoi mezzi di trasporto e tutto ciò che può rendere agevole lo sviluppo della vita agricola, commerciale, industriale e artigiana.

Il Presidente Terracini mette ai voti la proposta dell'onorevole Conti di includere, tra le materie dell'articolo 4, le

«linee automobilistiche regionali».

(È approvata).

Mortati esprime l'avviso che la disciplina degli approdi e darsene debba essere assimilata a quella dei porti e propone di includere nell'articolo 4: «approdi e darsene, in quanto non interessino la difesa nazionale o la sicurezza della navigazione marittima in generale».

Il Presidente Terracini, dopo aver rilevato che per il momento si è prevista soltanto l'inclusione nell'articolo 3 dei «porti lacuali», fa rilevare che la questione può lasciarsi in sospeso, per essere ripresa in esame in sede di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

Mannironi propone di includere ancora: «usi civici ed espropriazioni per pubblica utilità».

Ambrosini, Relatore, ritiene non sia opportuno accennare agli usi civici, in quanto la legislazione vigente è intesa ad affrettarne la liquidazione definitiva.

Lussu si dichiara favorevole all'inclusione nell'articolo in esame di queste due materie, che involgono interessi puramente locali.

Il Presidente Terracini, circa la liquidazione degli usi civici, afferma che una direttiva legislativa nel senso accennato dal Relatore non potrebbe essere approvata, perché gli usi civici rappresentano un grande vantaggio, particolarmente per le popolazioni povere di talune zone. Non può non considerarsi come antipopolare una legislazione che trasformi gli usi civici in proprietà privata, laddove si dovrebbe invece tendere a ricostituirli.

Tosato osserva che la materia dell'espropriazione per pubblica utilità è molto delicata, perché connessa con i principî costituzionali sulla proprietà privata. Personalmente ritiene che per essa si richieda una legislazione uniforme da parte dello Stato, e considererebbe, quindi, ammissibile una competenza della Regione, non in sede legislativa, ma solo agli effetti della dichiarazione di pubblica utilità.

Conti conviene col Presidente nel disapprovare la legislazione sugli usi civici di cui ha fatto cenno l'onorevole Ambrosini, e vi scorge una riprova della prepotenza del fascismo, che ha introdotto limitazioni nell'esercizio di detti usi a favore dei proprietari, con danno rilevante delle popolazioni bisognose. Rilevato che la questione è ignorata nelle regioni dell'Italia settentrionale ma sentita, e in parte insoluta, nel Lazio e in molte regioni del meridione, e che è connessa col problema agrario, propone di riunire nell'articolo 4 gli usi civici alla voce «agricoltura», affermando, nel contempo, il diritto delle popolazioni ad essere reintegrate di quanto è stato loro rapinato dal regime fascista.

Calamandrei segnala che la prima legge per la liquidazione degli usi civici è prefascista.

Ambrosini, Relatore, accenna ai poteri dei Commissari ripartitori e precisa che gli appelli avverso le loro decisioni sono devoluti non alle singole Corti di Appello, ma ad una speciale sezione della Corte d'Appello di Roma.

Calamandrei, riprendendo il suo dire, osserva che gli usi civici sono un istituto di carattere storico, e precisamente il residuato di alcuni diritti dei cittadini di determinate zone a far legna, raccogliere erbe, ecc. Ad un certo momento taluni usi civici sono stati liquidati nel senso che le terre ne furono liberate e attribuite in piena proprietà. Non si può dire tuttavia che la liquidazione sia avvenuta soltanto a vantaggio dei proprietari, perché talvolta essi hanno finito col perdere la proprietà.

Qualunque sia l'indirizzo politico che ha ispirato la liquidazione degli usi civici, certo è che essa è avvenuta attraverso provvedimenti giurisdizionali, cioè, sentenze passate in giudicato. Si domanda quindi se la legislazione in materia dovrebbe limitarsi agli usi civici ancora esistenti o arrivare fino ad annullare le pronunzie già avvenute; perché, se si pensasse di togliere, con una legge, efficacia ad un giudicato, indubbiamente la competenza ad emanarla non potrebbe essere della Regione, ma unicamente dello Stato.

Ambrosini, Relatore, ricorda che il problema degli usi civici in Italia, specie nelle province meridionali, ha dato luogo a liti lunghe e costosissime per molti Comuni, fin dall'epoca in cui, con l'abolizione della feudalità, venne disposto lo scioglimento dei diritti promiscui, che sullo stesso terreno erano esercitati dal proprietario e dalle popolazioni del Comune nella cui circoscrizione territoriale era sito il terreno in questione. La definizione delle liti si presentava difficile, non solo riguardo al riconoscimento generico dei diritti dei comunisti, il cui titolo all'esercizio degli usi civici risaliva a qualche secolo addietro e risultava a volte da una presunzione, ma anche rispetto alla quota parte del terreno da distaccare in loro favore dal complesso del fondo. Ed è per ciò che si ebbe la preoccupazione continua di arrivare alla definizione delle controversie giudiziarie, col semplificare od abbreviare le relative procedure. La materia del contendere si avvia, quindi, ad esaurirsi. Resta la questione della destinazione della parte dei fondi distaccata dal complesso originario ed assegnata ai Comuni come compenso proporzionato alla entità degli usi civici che spettavano alla popolazione. Tale parte potrebbe essere lottizzata, o lasciata in uso comune, o venduta. In proposito potrebbe essere utile attribuire la materia alla potestà di legislazione integrativa delle Regioni.

Il Presidente Terracini osserva che, dal momento che il problema degli usi civici è ancora vivo, e vi saranno ancora per decine di anni giudizi del genere pendenti davanti ai tribunali, se si ammettesse una facoltà legislativa delle Regioni sulla materia, si consentirebbe proprio ai ceti degli espropriatori — poiché essi avrebbero almeno nei primi tempi il predominio nelle Assemblee regionali — di ancor maggiormente consolidare gli atti arbitrari che hanno fin qui compiuto. Ed è per questo che ritiene che si debba lasciare la competenza in materia allo Stato, il quale non ha un diretto interesse ad assicurare ai proprietari i beni che hanno usurpato, e dà la garanzia che le popolazioni più povere siano tutelate nei loro diritti.

Pone ai voti l'inclusione nell'articolo 4 degli

«usi civici».

(Non è approvata).

Pone in votazione l'inclusione nello stesso articolo della

«espropriazione per causa di pubblica utilità».

(Non è approvata).

Nobile, premesso che molti dei problemi agitati hanno un carattere squisitamente tecnico e quindi i tecnici hanno da dire la loro parola al riguardo, rileva — allo scopo di mettere in evidenza ancora una volta l'inopportunità delle elencazioni fatte negli articoli in discussione — che, mentre nell'articolo 4 sono state incluse, contrariamente al suo parere, le tranvie e le linee automobilistiche, se ne trovano invece esclusi altri mezzi di trasporto che pure sono caratteristicamente di interesse locale, quali le funivie, le slittovie, le sciovie, ecc.

Conti, raccogliendo l'osservazione dell'onorevole Nobile, propone di includere tra le materie dell'articolo 4 anche le funivie, sciovie e slittovie.

Il Presidente Terracini prospetta l'opportunità di trovare una formula riassuntiva, come ad esempio: «mezzi di comunicazione di interesse locale», ovvero «servizi pubblici a trazione meccanica», ed osserva che a questo potrà provvedersi in sede di coordinamento.

(Così rimane stabilito).

Perassi, avendo rilevato da una raccolta di leggi l'esistenza di un provvedimento, 24 aprile 1941, per la disciplina delle biblioteche dei Comuni capoluoghi di Provincia, propone di lasciare la competenza legislativa in questa materia alle Regioni, aggiungendo all'articolo 4 la voce: «biblioteche di enti locali».

Lussu si associa.

Mortati consiglia una formula più generica, come, ad esempio: «attività culturali».

Il Presidente Terracini trova l'espressione troppo vasta e pone ai voti la proposta dell'onorevole Perassi:

«biblioteche di enti locali».

(È approvata).

Mortati ricorda che, nel suo schema dell'articolo 4 seguiva, all'elencazione delle materie, un comma così concepito:

«La legge direttiva potrà fissare un congruo termine per l'emanazione delle norme di svolgimento affidate alle Regioni. In caso di mancata osservanza del termine potrà essere provveduto con legge dello Stato».

Con questa formula — che gli è stata suggerita da un'osservazione dell'onorevole Calamandrei — intendeva prevedere forse l'unica ipotesi di quello che solo impropriamente si potrebbe chiamare conflitto negativo. Un vero conflitto di questo genere non è configurabile fra organi legislativi primari, pei quali non sussiste un obbligo di agire. Invece può presentarsi opportuno prevedere il caso di inerzia della Regione in una materia, per la quale siano state emesse dallo Stato delle direttive. Evidentemente, se lo Stato emana delle norme primarie, lo fa in quanto ha interesse a che una data materia sia disciplinata ed è logico che, mancando l'attività legislativa regionale, lo Stato stesso se ne impossessi.

Avverte comunque che per il momento non intende insistere sulla sua proposta.

Calamandrei aggiunge che non è da escludere la possibilità di un conflitto negativo di legislazione, parallelo al conflitto negativo di giurisdizione previsto nel nostro diritto. Può darsi, ad esempio, che l'organo legislativo regionale approvi un voto sull'opportunità di disciplinare una data materia, ma nello stesso tempo ritenga che la competenza al riguardo sia dello Stato e questo a sua volta ritenga che la competenza invece appartenga alla Regione.

Per prevedere l'ipotesi, per quanto possa essere rara a verificarsi, ha predisposto una formula che si riferisce in modo specifico all'articolo 12. Pertanto ritiene che la questione potrebbe essere rinviata a quella sede.

(Così rimane stabilito).

Il Presidente Terracini apre la discussione sulle materie da includere nell'articolo 4-bis, ricordando che in una precedente riunione si è prospettata l'opportunità di modificare il primo comma, già approvato, nel modo seguente: «Spetta alla Regione il potere di integrazione e regolamentare nelle seguenti materie:... (segue l'elencazione), e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge, in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

Ambrosini, Relatore, si dichiara favorevole al mantenimento di una potestà legislativa di integrazione, che ritiene debba costituire la parte fondamentale della funzione legislativa della Regione. Non crede però che le due potestà — di integrazione e regolamentare — possano essere assimilate, così come avverrebbe nella formula proposta.

Ricorda quanto ebbe a rilevare altra volta circa il sistema combinato dell'articolo 3 con il capoverso dell'articolo 8 e con l'articolo 12; e fa presente che nel capoverso dell'articolo 8, laddove si afferma che «non potranno essere istituiti dazi di importazione, di esportazione o di transito tra una Regione e l'altra, né essere presi provvedimenti che ostacolino la libera circolazione interregionale», può ritenersi configurata una norma di integrazione. Riafferma l'esigenza di riguardare la potestà legislativa di integrazione come istituto giuridico a sé stante.

Per quanto si riferisce al potere regolamentare, ricorda che nell'originario progetto egli aveva trattato la materia nel capoverso dell'articolo 11, ma che gli altri membri del Comitato considerarono superflua la disposizione.

Mortati chiarisce che l'articolo 4-bis si riferisce al potere regolamentare nei confronti di leggi dello Stato e non ad un potere regolamentare autonomo, onde la necessità di un'esplicita disciplina in sede costituzionale, quando lo si voglia conferire in una sfera diversa da quella per cui è affidato alla Regione il potere di emettere norme primarie.

Ambrosini, Relatore, ripete che non sarebbe necessario parlare della potestà regolamentare, perché questa è compresa, come il meno nel più, nella potestà legislativa di integrazione.

Perassi concorda con l'onorevole Ambrosini e sottolinea l'importanza di questo articolo nel sistema allo studio. La Regione esplicherà in concreto la sua particolare attività legislativa attraverso la legislazione di integrazione. È evidente che la potestà regolamentare, in quanto è connessa a quella di integrazione, in un certo senso è assorbita. Viceversa non è da escludersi l'altra ipotesi, e cioè, che lo Stato emani una legge e si limiti ad attribuire alle Regioni la competenza ad emanare il relativo regolamento.

Per quanto riguarda la potestà di integrazione, rileva che essa può presentarsi sotto diversi aspetti. Ad esempio, può anche darsi che lo Stato emani una legge nella quale disponga che certe norme in essa contenute valgono, «salve diverse disposizioni delle Regioni»; in altri termini, lo Stato può emanare delle norme giuridiche, valevoli fino a quando le Regioni non abbiano esercitato la loro potestà di integrazione.

Soprattutto trova importante l'aggiunta: «e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge, in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato», con cui l'elencazione rimane aperta.

Mortati non condivide l'opinione, sostenuta da taluni, che si possa fare a meno di una espressa disciplina del potere regolamentare. Poiché tale potere spetta a chi ha la competenza di emanare la legge, il conferirlo ad un altro organo costituisce una deroga al principio generale; onde, nel silenzio della Costituzione, sarebbe preclusa alla Regione la facoltà di emanare delle norme regolamentari riguardanti una legge dello Stato.

Circa la distinzione fra norme di integrazione e norme regolamentari, rileva che essa può essere intesa in senso puramente quantitativo, dipendendo dall'ampiezza dello spazio lasciato in bianco dalla normazione statale la entità del potere della Regione. Ma, come tale, la distinzione non presenta alcun rilievo. Invece una differenza qualitativa sorge quando la legge dello Stato consente alla Regione un ampliamento della sfera dalla sua normale competenza. In questo caso però, più che di potere di integrazione, si dovrebbe parlare di potere delegato. Ritiene che, anziché attardarsi nella questione terminologica, sia opportuno stabilire se alla Regione si vuole concedere il potere di oltrepassare il limite regolamentare, affidandole una competenza per cui possa, ad esempio, sancire pene che non siano contemplate nelle leggi dello Stato. Su ciò desidera richiamare l'attenzione della Sottocommissione perché, ove nella potestà integrativa si volesse far rientrare anche questa competenza di deroga al principio della statalità delle leggi in materia finanziaria o penale, bisognerebbe dirlo espressamente nella Costituzione.

Tosato è d'accordo con l'onorevole Mortati nel ritenere che, se si vuole riconoscere alla Regione il potere di emanare regolamenti in materia disciplinata da leggi dello Stato, bisogna che tale potere sia consacrato nella Costituzione.

Per quanto riguarda la potestà di integrazione — a parte le riserve che ha avuto occasione di fare in una seduta precedente, nel senso che non vede ben chiara la distinzione fra potestà di integrazione e potestà di regolamentazione — rileva che dall'emendamento non risulta se si tratti di un potere regolamentare o di un potere legislativo.

Perassi chiarisce che trattasi di un potere legislativo.

Tosato in questo caso non approva la formulazione, perché può ammettere che lo Stato attribuisca di volta in volta alla Regione una facoltà regolamentare più ampia di quella comune, ma troverebbe eccessivo concedere un potere di integrazione senza determinazione di materie o con una indicazione generica.

Comunque, se questo potere d'integrazione devo essere inteso come un potere legislativo, osserva che non può essere contemplato nella stessa disposizione e posto sullo stesso piano con un potere regolamentare. Se, invece — come ritiene più opportuno — si volesse accennare ad un potere di integrazione come ad un potere regolamentare più ampio di quello comune, bisognerebbe specificarlo in modo evidente.

Bozzi premette che, vedendo abbinata nell'articolo 4-bis la potestà di integrazione a quella di regolamentazione, aveva creduto che con la prima si intendesse un potere regolamentare più vasto. Dai chiarimenti dell'onorevole Mortati ha invece appreso che per norme integrative devono intendersi delle leggi vere e proprie — che possono derogare ai principî comuni a tutte le norme regolamentari, anche indipendenti — e cioè una specie di regolamenti delegati.

Rileva che, mettendo insieme due tipi di norme che hanno una efficacia diversa, si potrebbe determinare confusione. Per questa ragione ritiene che una potestà legislativa come quella in parola dovrebbe trovare la sua collocazione nell'articolo 4, e che occorra decidere se concepire anche una potestà legislativa di integrazione della Regione, o solo una potestà regolamentare a complemento del sistema già approvato.

Ambrosini, Relatore, conviene che sia inopportuno riunire le due potestà nello stesso articolo. Quanto al potere legislativo di integrazione, informa che era stato concepito dal Comitato come un vero e proprio potere legislativo. Non approva, per le ragioni dette avanti, che venga ridotto od assimilato al potere regolamentare.

Perassi crede opportuno chiarire che nell'articolo 4-bis, con la espressione «potere di integrazione», si intende configurare una potestà legislativa. A marcare più nettamente questo concetto, esprime l'avviso che convenga non parlare contemporaneamente della potestà regolamentare, che potrà trovare la sua sede in altro articolo. Piuttosto ritiene necessario precisare che tale potestà di integrazione deve svolgersi entro i limiti indicati nell'articolo 3.

Mortati ribadisce quanto ha già osservato, che uno dei punti più importanti da discutere è se il potere regolamentare della Regione debba essere contenuto nei limiti generali del potere regolamentare, e, quindi, non possa derogare alle leggi dello Stato; modificare pene, introdurre tributi, obblighi di servizio militare, ecc. Dal mantenimento, o meno, della potestà legislativa della Regione in questi limiti generali dipende la utilità e la possibilità pratica di distinguere le norme integrative dalle norme regolamentari.

Fabbri esprime l'avviso che la facoltà di integrazione abbia un netto carattere legislativo e quindi non possa essere associata con la facoltà regolamentare. Aggiunge che essa non può considerarsi superflua, bensì essenziale per la Regione e suscettibile di grandi sviluppi, sì che potrà spesso verificarsi l'ipotesi accennata dall'onorevole Perassi, che lo Stato nelle sue leggi usi l'espressione «salva diversa volontà espressa dalle Regioni».

Ma, poiché ritiene sia una palese discordanza il voler creare una facoltà nell'articolo 4, (contenuta nell'ambito di principî generali, ma che è indiscutibilmente di integrazione) e nell'articolo 4-bis un'altra facoltà della stessa natura e differenziata solo per l'estensione, sarebbe dell'opinione di fondere l'articolo 4 col 4-bis, fermo rimanendo il principio dell'articolo 3 (legislazione esclusiva).

Uberti si sorprende che si possa pensare di abolire il potere di integrazione per ridurlo soltanto ad un potere regolamentare. Ricorda che molte materie che si volevano includere nell'articolo 4 sono state rinviate al 4-bis, e potrebbero finire per essere sottratte alla potestà legislativa della Regione. Insiste quindi per il mantenimento dell'articolo 4-bis nell'ultima forma proposta.

Ambrosini, Relatore, asserisce che tutti gli inconvenienti segnalati, e le diverse formulazioni dell'articolo 4, sono una conseguenza della interpretazione che è stata data all'articolo 3; interpretazione che non corrisponde alle intenzioni, né del proponente, né del Comitato. Dichiara che nell'intendimento suo e di altri colleghi del Comitato, l'articolo 3 non deve essere inteso come consacrante un sistema di legislazione esclusiva.

Il Presidente Terracini riepilogando, fa presente che sull'articolo 4-bis sono state avanzate più proposte.

Una è dell'onorevole Fabbri, il quale auspica la fusione degli articoli 4 e 4-bis; ma, poiché l'articolo 4-bis trae la sua ragione d'essere da una esigenza avvertita dalla maggioranza, non crede sia il caso di metterla ai voti.

Fabbri si riserva di presentarla in altra sede.

Il Presidente Terracini, continuando la sua esposizione, ricorda che una seconda proposta vorrebbe fosse precisato che il potere di integrazione ha un carattere legislativo; dal che conseguirebbe la necessità di redigere un ulteriore articolo, di modo che nell'articolo 4-bis potrebbero figurare le materie per le quali si riconosce alla Regione la facoltà legislativa di integrazione, e in un articolo 4-ter figurerebbero quelle per cui le leggi dello Stato delegassero alle Regioni il potere regolamentare.

Laconi fa notare che, ora che si è giunti alla conclusione della discussione, ci si rende maggiormente conto della inconciliabilità dei due punti di vista: quello dell'onorevole Mortati, secondo cui alla Regione dovrebbero essere attribuite una legislazione esclusiva, una concorrente ed una regolamentare; e l'altro, secondo cui dovrebbe invece consacrarsi nella Costituzione una legislazione primaria della Regione, nell'ambito dei principî fissati dallo Stato, ed una regolamentare. Le due tesi hanno condotto a dei compromessi e ad una diversità nell'interpretazione dell'articolo 3, che fanno periodicamente e inevitabilmente riaffiorare i dissensi. Ora che dalla discussione emerge l'insostenibilità del compromesso, dichiara di non poter dare la sua adesione al sistema in esame e, mentre si riserva di portare la questione in altra sede, si asterrà dal partecipare alla votazione.

Mortati replica che un articolo non può essere votato affidandosi all'interpretazione di chi l'ha redatto. Le disposizioni di legge s'interpretano obiettivamente, prescindendo dalle opinioni personali di coloro che le hanno formulate e l'interpretazione dell'articolo 3 del progetto, eseguita secondo tale criterio, conduce, contrariamente a quanto ha affermato il Relatore, a ritenere proprio della Regione una potestà legislativa esclusiva.

Il Presidente Terracini osserva che da tutta la discussione balza chiaro che la maggioranza della Sottocommissione ritiene che non vi sia materia che debba sfuggire ad una certa competenza della Regione, ed è soltanto necessario diversificare il grado di competenza a seconda delle materie. Ciò non toglie che la minoranza, che è di contrario avviso, possa ripresentare la questione in sede di Commissione plenaria o di Assemblea Costituente, contrapponendosi alla volontà della maggioranza.

Pone pertanto ai voti la proposta di considerare il potere di integrazione e quello regolamentare come due distinti poteri attribuiti alla Regione.

Mortati dichiara di votare favorevolmente, in quanto, nell'approvazione dell'articolo 4, si presupponeva l'esistenza di un articolo 4-bis concernente la potestà di integrazione.

(È approvata).

Il Presidente Terracini pone ai voti la proposta di meglio qualificare il potere di integrazione, usando l'espressione: «potere legislativo di integrazione».

(È approvata).

Annuncia che, in seguito all'esito della votazione, la prima parte dell'articolo 4-bis risulta così concepita:

«Spetta alla Regione il potere legislativo di integrazione nelle seguenti materie».

Mette quindi in votazione l'inclusione nell'articolo in esame delle materie:

«Industria e commercio».

(È approvata).

«Acque pubbliche».

(Non è approvata).

«Miniere».

(È approvata).

«Istruzione elementare».

Cappi dichiara che voterà in favore, riservandosi però di proporre in altra sede il passaggio dell'istruzione elementare all'articolo 4.

(È approvata).

Il Presidente Terracini mette in votazione le altre voci:

«Istruzione media».

(È approvata).

«Disciplina del credito, dell'assicurazione e del risparmio».

(È approvata).

«Navigazione interna».

(È approvata).

«Igiene e sanità pubblica».

(È approvata).

Avverte che, esaurita l'elencazione delle materie, resterebbe da votare la formula proposta dall'onorevole Mortati nel suo originario articolo 4-bis: «e in quelle altre che potranno essere stabilite dalla legge in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

Mortati ritira la sua proposta, che riguardava in modo particolare il potere regolamentare.

Ambrosini, Relatore, insiste perché sia lasciata al legislatore la possibilità di fare questa delega alla Regione, nonostante l'obiezione dell'onorevole Mortati, che la Sottocommissione è stata quanto mai restia ad ammettere qualsiasi delega al potere esecutivo. Ritiene che non bisogna avere verso il legislatore avvenire quella diffidenza preconcetta che è affiorata in alcune discussioni. Il legislatore futuro sarà sempre l'espressione della volontà popolare. Non si dovrebbe, quindi, precludergli la possibilità, quando ritenga che sopravvenute necessità possano consigliare la delega legislativa alla Regione, di provvedere in questo senso, senza dover ricorrere al complesso meccanismo per la riforma di una norma costituzionale. Ritiene perciò che sia da preferire la formula del Comitato a quella dell'onorevole Mortati, che contiene la limitazione: «in quanto non riservate dalla Costituzione alla facoltà legislativa dello Stato».

Perassi concorda.

Nobile dichiara di preferire la formula Mortati.

Il Presidente Terracini pone ai voti l'aggiunta all'articolo 4-bis dell'espressione:

«e in tutte le altre materie indicate da leggi speciali».

(È approvata).

Perassi propone la seguente formulazione dell'articolo 4-ter:

«Le leggi dello Stato possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme regolamentari per la loro esecuzione».

Il Presidente Terracini la pone ai voti.

Ambrosini, Relatore, dichiara che voterà in favore, per quanto ritenga la norma superflua ed il potere in parola già compreso in quello concesso con l'articolo 4-bis.

(È approvata).

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti