[Il 6 dicembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.]

Il Presidente Terracini. [...] Ricorda che, nell'assenza dell'onorevole Vanoni, in una precedente riunione si era accantonato l'esame dell'articolo 16. Apre ora la discussione su di esso:

«Per i fini a cui una Regione non potesse provvedere con i propri mezzi, sarà istituito un fondo annuale, che verrà amministrato e ripartito da un Comitato composto di un rappresentante per Regione e presieduto da un rappresentante dello Stato.

«La legge determinerà i criteri per la fissazione dei contributi delle Regioni e dello Stato al fondo e per la sua amministrazione e ripartizione».

Vanoni dichiara di avere molte perplessità sulla convenienza e sulla funzionalità di un sistema di questo genere, forse perché concepisce in modo diverso il regolamento dei rapporti tra la finanza dello Stato e le finanze comunali e regionali. Crede che, ove si seguisse il criterio proposto, si creerebbe un fomite di attriti tra le Regioni, senza risolvere praticamente il problema.

Essendovi delle Regioni tanto povere da non avere i mezzi sufficienti per far fronte ai servizi specifici dell'ente Regione, si è pensato di creare un fondo tra le varie Regioni, attraverso il quale le più ricche diano dei contributi da distribuire alle più povere. Sennonché non v'è bisogno di creare questo fondo, perché esiste già, comunque vengano organizzati i rapporti tra la finanza statale e la finanza regionale, ed è, in sostanza, la finanza dello Stato, la quale ha la indispensabile funzione di ripartizione in senso territoriale dei fondi che essa stessa amministra attraverso la percezione dei tributi e la redistribuzione per le spese pubbliche.

Si obietta che lo Stato è, per sua natura centralizzatore, e potrebbe non tener conto delle esigenze autonomistiche delle singole Regioni; il che consiglierebbe di creare un fondo da amministrarsi al di fuori di esso, con l'intervento delle Regioni. Non nega la fondatezza di questo punto di vista, ma osserva, per quanto concerne la funzionalità del sistema, che le Regioni ricche troveranno tutti i pretesti per non dar niente, o ben poco, al fondo di solidarietà e nessuno potrà obbligarle ad amministrarsi in modo tale da avere dei residui da distribuire. Le Regioni povere, dal canto loro, dovranno dimostrare i propri bisogni, e dovranno quindi presentare il proprio bilancio e sottoporlo alla critica di questo organo collegiale. È soprattutto questo controllo che suscita le sue preoccupazioni in quanto vede nella finanza regionale la maggior salvaguardia dell'autonomia degli enti locali.

A suo avviso, se si vuole creare una finanza regionale, bisogna arrivare ad un sistema di questo genere: alcuni tributi andrebbero riservati allo Stato; altri alle Regioni; altri ancora sarebbero amministrati congiuntamente dallo Stato e dalla Regione; i gettiti di tali tributi poi, andrebbero in parte alla Regione e in parte allo Stato.

In questo senso l'esperienza della finanza tedesca è particolarmente istruttiva, onde crede opportuno ricordarne la genesi. Gli Stati tedeschi fino al 1848 erano completamente indipendenti e solo dopo tale data si è instaurata una unione doganale, che ha fatto sentire la necessità di un fondo comune alimentato con le contribuzioni dei singoli Stati. Nel 1905-1906 l'Impero che si era venuto, col 1870 e con le successive evoluzioni, rafforzando sempre più politicamente, si è dato finalmente una sua finanza, in parte indipendente da quella degli Stati, finché — dopo la guerra del 1918 — la finanza statale assunse una certa preminenza rispetto a quella dei singoli Länder. Ma sempre, in tutte le ultime fasi, si è avuta una serie di tributi amministrati contemporaneamente dallo Stato centrale e dai Länder.

Era dunque dal criterio della partecipazione dei singoli Stati all'amministrazione che discendeva quello della ripartizione secondo i bisogni locali. Ad esempio per l'imposta sugli scambi — imposta di largo gettito che corrisponde alla nostra imposta generale sulla entrata — si faceva luogo ad una divisione pro capite, assegnandone i proventi a ciascuna Regione in proporzione al numero degli abitanti. Si realizzava in questo modo una perequazione tra i vari Länder, per cui i ricchi ed eventualmente meno popolati pagavano di più e venivano ad avvantaggiarsene i più poveri.

Tutto questo avveniva con elasticità e senza attriti di carattere politico.

Viceversa, teme assai che il fondo di solidarietà in esame apparentemente sembri sostenere l'autonomia, ma in realtà finisca col creare frequenti contrasti di natura politica tra le diverse Regioni, e col determinare la necessità di un controllo centrale sui bilanci nelle singole Regioni, il quale limiterebbe l'effettivo esercizio delle autonomie regionali. Preferirebbe pertanto sopprimere l'articolo 16, lasciando la possibilità di una migliore distribuzione dei mezzi tributari, tra Regioni ricche e povere, sia alla articolazione sui rapporti tra uffici statali e regionali, sia alla azione effettiva dello Stato, il quale sarebbe indubbiamente portato a spendere di più per le Regioni povere.

Mannironi, per quanto nelle discussioni precedenti abbia genericamente accennato alla possibilità di creare un fondo di solidarietà o di compensazione, riconosce — dopo un più attento esame della pratica realizzazione del progetto — la fondatezza delle considerazioni dell'onorevole Vanoni.

In sostanza crede che si potrebbero salvaguardare l'autonomia finanziaria delle Regioni, e soprattutto i diritti e le esigenze di quelle povere, anche rapportando tutta l'organizzazione finanziaria al bilancio dello Stato.

Nel dir questo, pensa che lo Stato è come un vasto bacino di raccolta delle varie entrate, che dovrebbero poi essere ridistribuite alle Regioni, soprattutto alle più povere. Giova ricordare che le decisioni sul bilancio generale dello Stato saranno prese dall'Assemblea nazionale, in cui sono rappresentate tutte le Regioni (in modo particolare nella seconda Camera) e quindi quelle più povere non possono temere di non ottenere le integrazioni ordinarie (di quelle straordinarie sarebbe inutile preoccuparsi), di cui abbisognano. Una volta fissato il principio — se non nella Costituzione, in una legge speciale — che le Regioni devono avere un proprio bilancio e che dispongono delle entrate come meglio credono, secondo le esigenze locali; infine, una volta fissato che, in caso di deficienza di entrate, lo Stato ha l'obbligo di intervenire con una integrazione di bilancio, la autonomia finanziaria della Regione sarebbe salva. La istituzione di uno speciale fondo, una amministrazione autonoma, separata dal resto del bilancio generale dello Stato, mentre non darebbe una garanzia maggiore alle Regioni, potrebbe creare un utile o dannoso duplicato che farebbe perdere, tra l'altro, la visione unitaria del problema finanziario.

Concludendo, nota che i fautori dell'autonomia regionale anche finanziaria sono mossi dalla preoccupazione di evitare che per l'avvenire le entrate di determinate Regioni povere vengano distratte a favore di altre Regioni, che magari non ne avrebbero bisogno, o comunque mal distribuite. Ora, a ciò si sopperirebbe assicurando a ciascuna Regione la utilizzazione delle proprie entrate, e garantendo l'intervento e l'integrazione da parte dello Stato, ove siano necessari. Praticamente è molto più utile che questo distribuisca, con le erogazioni delle spese, ciò che direttamente introita colle entrate ad esso riservate. In pratica sarà molto più difficile che lo Stato riesca a incassare dalle Regioni le eccedenze eventuali dei rispettivi bilanci. Per tutto ciò non ritiene utile la creazione di un fondo speciale.

Zuccarini si rende conto delle preoccupazioni di ordine pratico esposte dall'onorevole Vanoni, ma si richiama al motivo per cui fu sostenuta l'opportunità del fondo di solidarietà il quale, del resto, ha un esempio negli Stati Uniti d'America, ove serve per provvedere ad esigenze di carattere straordinario (terremoti, alluvioni, ecc.).

È sembrato al Comitato che la creazione del fondo di solidarietà avrebbe avuto una grande importanza morale. Le diffidenze verso la Regione e gli allarmi e le lamentele da parte delle Regioni più povere che sono state sempre trattate male dallo Stato, hanno spinto ad escogitare il sistema in esame, il quale è sembrato tanto più opportuno dopo la guerra, che ha portato in alcune Regioni grandissime distruzioni e danni (i quali devono essere riparati e non lo possono con i soli gettiti locali) mentre altre Regioni sono state colpite in misura molto minore. Lasciando al potere centrale, come per il passato, la determinazione dei contributi di integrazione dei bilanci regionali, si ripeterebbe l'inconveniente gravissimo, che tutte le Regioni cercherebbero di attingere alle casse dello Stato.

Come regionalista, vorrebbe vedere eliminato questo inconveniente, e caldeggerebbe il criterio di creare una amministrazione autonoma, affidata, anziché allo Stato, ai rappresentanti stessi delle Regioni, in cui la destinazione dei fondi fosse deliberata dai rappresentanti delle Regioni, per andare incontro alle esigenze impreviste che si presentassero in circostanze eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.). Crede che i pericoli di rivalità e contrasti, accennati dall'onorevole Vanoni, non sussisterebbero, se il fondo fosse riservato per i bisogni eccezionali.

Vanoni replica che l'esempio dell'America non calza alla nostra situazione, perché la finanza americana si trova in uno stadio di evoluzione ben diverso. In America la finanza confederale è molto limitata (si è allargata solo momentaneamente per provvedere alle spese di guerra) perché i centri delle entrate e delle spese sono gli Stati. In Italia, invece, per quanto ci si possa sforzare di creare una autonomia vasta e bene articolata, si deve partire da un punto di vista diverso.

Peraltro, se il fondo dovesse servire solo per i casi eccezionali, bisognerebbe modificare la formulazione proposta. Ma sarebbe molto più serio affermare che quando una Regione si trovi colpita da una calamità, deve essere tutta la Nazione a manifestarle la sua solidarietà.

A suo avviso il sistema proposto porterà inevitabilmente queste conseguenze: o il fondo si manterrà irrilevante, sì da non corrispondere agli scopi per cui lo si è creato, o diverrà notevole e non si potranno evitare gli attriti. Quando il Comitato incaricato di amministrarlo decidesse che la Lombardia deve dare una percentuale elevata del contributo totale, questa protesterebbe, oppure presenterebbe il proprio bilancio compilato in modo da dimostrare che non può dare quanto le si chiede. D'altro canto le Regioni povere, per ottenere un contributo, cercherebbero di dimostrare, attraverso il loro bilancio, di averne bisogno. Tutto ciò non può non andare a detrimento dell'autonomia finanziaria dell'ente Regione.

Conti si dichiara contrario all'articolo 16 e per le ragioni esposte dall'onorevole Vanoni e per altre. Rileva che, in base all'articolo 22, le Regioni si dovrebbero costituire secondo la tradizionale ripartizione geografica dell'Italia. A parte il fatto che personalmente dissente da questo criterio e vorrebbe vederne ridotto il numero, pensa che bisogna augurarsi che le Regioni nascano solide e capaci di vivere e di progredire. Ora, consentendo la formazione di tante Regioni, si facilitano le speculazioni, perché molte di esse, dopo aver chiesto di costituirsi, reclameranno continuamente dal fondo di solidarietà i mezzi per andare avanti, senza fare nemmeno il possibile per conquistarsi una vita autonoma.

Perassi trova che le considerazioni degli onorevoli Vanoni e Conti sono interessanti e devono essere tenute in debito conto; tuttavia ritiene che, senza approfondire il dibattito su un argomento così importante, si possa raggiungere per il momento una soluzione, facendo riferimento all'articolo 8 il quale, a sua volta, rinvia ad una legge costituzionale tutta la materia della finanza regionale in coordinamento con quella dello Stato. In quella sede il problema in esame potrà essere affrontato con maggior competenza da parte dei tecnici.

Targetti si dichiara in gran parte d'accordo con i rilievi dell'onorevole Vanoni e prega i compilatori dell'articolo di chiarire il loro pensiero. Ritiene infatti che la soluzione possa essere diversa, a seconda dei casi a cui si intende provvedere. Se con il fondo di solidarietà si pensa soltanto di provvedere a casi eccezionali — come ha sostenuto l'onorevole Zuccarini — può ritenere opportuna la disposizione, in quanto nutre un certo scetticismo circa l'intervento dello Stato in tali circostanze. Ma v'è il dubbio che, nel pensiero dei compilatori, si sia intravista una malinconica possibilità di sopperire ai bisogni ordinari del bilancio di qualche Regione. È dunque necessario precisare se si pensa che possano costituirsi delle Regioni le quali normalmente non siano in grado di far fronte alle spese ordinarie. Ove così fosse, occorrerebbe escogitare un sistema atto a sopperire a tali bisogni senza che ciò acquistasse — come potrebbe apparire dall'articolo 16 — un sapore di beneficenza o di mutuo soccorso.

Lussu non crede che l'argomento in discussione possa essere rinviato ad altra sede, come ha proposto l'onorevole Perassi. Ravvisa il pericolo che il moltiplicarsi di leggi speciali costituzionali possa procrastinare l'attuazione del sistema autonomistico, laddove si impone una sollecita compilazione e del testo costituzionale e delle leggi speciali. Non nasconde il timore che, mentre da un lato si aderisce ad una riforma, dall'altro la si ostacoli, rinviando a leggi particolari.

Riconosce che il problema deve essere esaminato particolarmente dai tecnici; e questa è la ragione per cui, in sede di Comitato, deferì molto all'autorità di un maestro, universalmente ammirato: l'onorevole Einaudi. Osserva peraltro che l'onorevole Vanoni, con la sua esperienza e la sua competenza, ha portato degli argomenti di indubbio valore e soprattutto ha rilevato che, attraverso il fondo di solidarietà, le singole Regioni verrebbero ad essere mortificate nella loro dignità, e limitate nell'autonomia dalla necessità di sottoporre i bilanci alla critica di un organo collegiale. Crede che un tale argomento sia tanto serio da indurre la Sottocommissione ad una ulteriore meditazione.

Nota inoltre che nell'articolo non è detto se debbano essere le singole Regioni che, anno per anno, debbano fissare il contributo da versare al fondo. A suo avviso dovrebbe provvedervi lo Stato mediante una legge finanziaria di carattere permanente.

Invita quindi i colleghi, a qualunque Regione appartengano, a meditare sulla situazione di molte Regioni del Mezzogiorno d'Italia: oggi si assiste ad una danza di miliardi distribuiti, non si sa come, dai vari Ministeri; ma purtroppo, non per malvagità di uomini, sibbene a causa dell'ingranaggio centralizzato dello Stato, si continuano a spendere somme al di là del necessario per certe Regioni, mentre si dà ben poco ad altre che finora non hanno avuto nulla. Di grandi opere pubbliche il Sud, all'infuori dell'acquedotto pugliese, non ne conosce. Non si duole che il Nord si sia arricchito, perché, con sentimento sinceramente unitario, ritiene che l'arricchimento anche di una sola parte dell'Italia contribuisca all'arricchimento di tutto il Paese, ma sente la necessità di un sistema che ponga fine a simili storture. E forse il sistema proposto dal Comitato risponderebbe allo scopo perché, sotto questo aspetto, non si può non vedervi una garanzia. Se invece così non fosse, debbono pensare i tecnici, con la loro competenza e capacità, a creare l'organismo adatto, purché si trovi un rimedio.

Grieco, pur riconoscendo l'interferenza esistente tra la questione che si dibatte e la legge finanziaria prevista nell'articolo 8, non crede possibile rinviare la discussione in sede di esame di tale legge, perché il problema che si agita ha un carattere suo originale, oltre che politico. Condivide i sentimenti dell'onorevole Lussu e come lui è convinto che non si può continuare ad ignorare le esigenze del Mezzogiorno; tutto sta a vedere se il congegno proposto consenta di soddisfarvi.

Proprio in quanto non ne è convinto, aderisce alla proposta di soppressione dell'articolo 16, il quale muove dal sospetto che lo Stato continuerebbe ad essere ingiusto nella distribuzione del reddito nazionale. Non nega che possano anche esservi delle ragioni che giustifichino un tale sospetto, ma è certo che l'articolo 16 offre comunque uno strumento inadeguato.

Mentre dissente dall'interpretazione che ne ha dato l'onorevole Zuccarini (cioè di un fondo destinato a risolvere situazioni eccezionali), conviene coi rilievi dell'onorevole Vanoni, ai quali aggiunge che, oltre tutto, il fondo di solidarietà verrebbe istituito in un momento particolarmente difficile della nostra economia. Domanda quindi in quale organo meglio che nell'Assemblea Nazionale, che ha una visione degli interessi generali, potrebbero trovar eco i sentimenti di solidarietà. Certo non in quel piccolo Comitato irresponsabile, che dovrebbe amministrare il fondo.

Ammette di avere nelle precedenti riunioni caldeggiato la costituzione di una stanza di compensazione. Ma confessa che lo ha fatto obbedendo ad uno stimolo sentimentale, irrazionale, senza pensare alla attuazione pratica. Oggi che vi ha riflettuto, si è reso conto che la cosa non è realizzabile e che la soluzione prospettata è frutto di un esame non sufficientemente approfondito. Perciò, senza arrivare a consigliare di abbandonare l'idea, invita a studiare un congegno che realmente permetta di intimamente legare le sorti delle Regioni e, soprattutto, di andare incontro ai bisogni del Meridione.

Nobile esprime l'avviso che il problema finanziario sia uno dei più gravi del nuovo ordinamento regionale. Si rende conto che un regionalista possa trovare di suo gradimento l'articolo 16, ma, come antiregionalista, ne auspica la soppressione. All'onorevole Zuccarini fa osservare che l'esempio degli Stati Uniti non può essere invocato, perché colà tutti gli Stati federali sono prosperi, mentre in Italia, a fianco di Regioni ricche, ve ne sono di poverissime. D'altra parte, quando si dice che lo Stato non ha fatto nulla per certe Regioni, in gran parte si esagera, perché è vero che ha fatto poco, ma non tanto poco quanto si ritiene. Prendendo, ad esempio, la costruzione di strade in Sardegna, si ha l'impressione che lo Stato non abbia provveduto abbastanza se si rapporta il chilometraggio alla superficie dell'Isola (la media nazionale è di 74 metri per chilometro quadrato e la Sardegna ne ha soltanto 57); ma se ci si riferisce al numero degli abitanti, la Sardegna balza al primo posto. Lo stesso può dirsi per le ferrovie e vale, in genere, per tutto il Mezzogiorno. Né la Sardegna poteva considerarsi in grado di pagarsi le spese necessarie per allinearsi con le altre Regioni.

Quando la Regione avrà, nel nuovo ordinamento, la facoltà legislativa, potrà disporre, senza alcun controllo da parte dello Stato, la costruzione di strade, di scuole, di ferrovie, ecc.; ma chi darà i fondi? Se è la collettività che deve contribuire, l'amministrazione regionale non può sottrarsi al controllo statale. Per queste ragioni ritiene che il fondo di solidarietà dovrebbe essere amministrato dallo Stato.

Non condivide poi l'opinione dell'onorevole Vanoni che ogni Regione sia costretta a presentare il suo bilancio. La legge potrà stabilire il contributo che dovrà versare ogni Regione (eventualmente riferito agli abitanti) ed anche i criteri per la ripartizione, fissando, una volta tanto, la proporzione per ciascuna Regione, tenuto conto dello stato di ricchezza o di povertà. Cosicché il funzionamento diverrebbe automatico e ben poco sarebbe lasciato all'arbitrio degli amministratori.

Fabbri concorda con gli onorevoli Vanoni e Grieco sulla impossibilità pratica di funzionamento del Fondo di solidarietà, come configurato nell'articolo 16. Crede fuori dubbio che il congegno sarebbe inceppato da interessi particolaristici, perché il Comitato sarebbe composto di rappresentanti delle Regioni e ciascuno di questi interverrebbe nella discussione sul contributo che dovrebbe versare la propria Regione, sul beneficio che ne andrebbe a vantaggio delle altre, sulla esigenza della richiesta ecc. Ciò spingerebbe inevitabilmente ciascun rappresentante a cercare di dimostrare che la Regione rappresentata si trova in condizioni deficitarie o comunque tali da non potersi permettere liberalità a favore di altre.

Non arriva tuttavia alla conclusione della soppressione dell'articolo, né a quella del puro e semplice rinvio della questione all'articolo 8, inquantochè in quest'ultimo è prevista l'autonomia finanziaria delle Regioni. Ora, questa disposizione, se risponde alle aspirazioni dei regionalisti, si ritorce d'altra parte contro gli interessi delle Regioni povere. Infatti, stabilendo statutariamente l'autonomia finanziaria delle Regioni, si è implicitamente detto che, se una Regione non è in condizione di soddisfare con i propri mezzi alle proprie esigenze, non può far altro che rassegnarsi, perché ove è l'autonomia finanziaria viene a mancare il diritto a richieste d'intervento dall'esterno.

Considerato che il principio dell'autonomia rappresenterebbe questo impedimento costituzionale, ritiene necessaria la creazione di un fondo di integrazione per le Regioni povere e propone di sopprimere l'articolo 16, aggiungendo alla fine del primo comma dell'articolo 8 la seguente formula: «... la quale dovrà altresì disporre nel bilancio dello Stato la creazione di un fondo annuale di equo reparto del reddito nazionale a favore delle Regioni che non possano adeguatamente provvedere con i loro mezzi ai propri fini istituzionali».

Mannironi propone di sostituire all'articolo 16 il seguente:

«Una legge finanziaria di natura costituzionale regolerà il riparto delle entrate tra lo Stato, la Regione e i comuni.

«Lo Stato provvederà ad integrare i bilanci deficitari delle Regioni».

Il Presidente Terracini premette che è nettamente favorevole al principio sancito nell'articolo 16, ma non ha mai concepito il fondo di solidarietà come un istituto destinato a sopperire ai bisogni delle Regioni in seguito ad eventi eccezionali — nel qual caso sarebbe svuotato di ogni portata pratica — bensì come un istituto da utilizzare per le spese correnti delle Regioni.

Si è detto che occorre creare delle Regioni vitali, cioè capaci di assolvere ai compiti loro affidati. Sennonché, all'atto di tradurre in realtà una simile affermazione, ci si rende conto che i compiti sono tali e tanti che talune Regioni, come ad esempio la Lucania (per quanto il suo territorio possa essere allargato, sostanzialmente la situazione non muterà) non potranno certamente migliorare il loro livello economico. Anche oggi tutte le Province ottemperano alla disposizione legislativa che le obbliga ad avere un brefotrofio, ma non può farsi un confronto tra l'organizzazione dei brefotrofi delle Province ricche dell'Italia settentrionale e quelli del Centro e del Sud. È necessario, dunque, che tutte le Regioni abbiano i mezzi indispensabili per la loro funzionalità, senza che lo Stato sia costretto ad intervenire continuamente, avocando a sé alcune funzioni.

L'importante è che i mezzi di cui il Paese dispone vengano equamente ripartiti e che questo scopo si ottenga nella maniera più dignitosa. A suo avviso, la maggior dignità che si può conferire ad un organismo politico sociale è quella di dargli la possibilità di determinare da se stesso i mezzi per vivere, dargli cioè una base democratica. Con il sistema proposto si darebbe appunto un carattere democratico ad un aspetto della vita economica del Paese.

Si è osservato che nel Comitato sarebbero posti di fronte coloro che non vogliono dare e coloro che vogliono ricevere. Indubbiamente è uno spettacolo doloroso vedere da una parte sollecitare e dall'altra rifiutare; ma non va dimenticato che purtroppo vi si deve assistere continuamente, anche nelle Assemblee legislative. Ad ogni nuova sessione della Costituente i rappresentanti delle Regioni scarsamente fornite di mezzi fanno presente la locale situazione precaria, come nella Consulta ad ogni inizio dei lavori si udivano i discorsi dolenti dei rappresentanti dell'Italia meridionale e insulare che invocavano maggiori aiuti dello Stato, e quelli dei rappresentanti delle Regioni più provviste, rivolti a dimostrare che facevano il possibile e più del possibile.

Asserisce che l'istituto proposto, nella sua originalità, può servire a dare un carattere di maggiore dignità alle sollecitazioni e ad impedire le resistenze offerte normalmente da chi ha maggiori possibilità.

L'onorevole Nobile ha accennato ad un metodo che potrebbe essere agevolmente applicato: stabilire che una determinata percentuale degli introiti annui di ogni Regione debba essere versata al Fondo. Si è obiettato che le Regioni potrebbero cercare di alterare il loro bilancio; ma si dimentica che i bilanci stessi saranno sottoposti ad un controllo.

Concludendo, afferma che la disposizione dell'articolo 16 merita di essere conservata anche per motivi politici: essa costituisce, infatti, uno dei mezzi per incominciare a ristabilire dei legami di solidarietà politica laddove, con la creazione della Regione, possono manifestarsi tendenze centrifughe, e per consentire di rimediare politicamente allo stimolo di certi sentimenti egoistici, che la creazione della Regione potrà suscitare nell'animo di taluni.

Vanoni desidera che sia preso atto che la sua impostazione del problema è stata esclusivamente tecnica e non politica. Ha considerato l'istituto soltanto dal punto di vista della sua utilità pratica.

Nota che il metodo consigliato dall'onorevole Nobile è, in sostanza, quello che personalmente ha sostenuto. L'essenziale è non seguire nella distribuzione un criterio politico, per evitare attriti, bensì un criterio automatico, come potrebbe essere quello di distribuire il reddito nazionale in rapporto alla popolazione. Comunque, la risoluzione del problema comporta un approfondito esame tecnico; da ciò deriva l'opportunità di rinviare la questione ad una legge speciale, sia pure di natura costituzionale, che tenga conto degli interessi generali e di quelli particolari, in modo da concedere alle Regioni l'autonomia nella spesa, escludendo in questo campo ogni intervento di altri organi.

Fabbri concorda.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti