[Il 30 luglio 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sulle autonomie locali.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Fuschini. [...] A proposito del mantenimento della provincia è stato detto che è sufficiente, come organo intermedio tra il comune e lo Stato, la regione. Il comune dovrà essere valorizzato più di quanto non lo sia stato finora. L'autonomia comunale è un dato di diritto che deve diventare una realtà. Si deve dare al comune una efficienza di carattere amministrativo, che rispecchi una maggiore libertà e una maggiore responsabilità da parte degli amministratori; il che potrà dare una nuova spinta realizzatrice all'attività comunale. Ma non crede si possa dall'attività comunale andare direttamente a quella regionale; né è questa, come potrebbe sembrare, una contraddizione. Il nucleo provinciale oggi è un dato di fatto e un dato di diritto, per eliminare il quale si dovrebbero compiere sforzi eccessivi e dispendiosi, giacché le riforme vanno riguardate non soltanto per quello che creano, ma anche per le reazioni che producono. Bisogna stare attenti alla forza delle reazioni che sarebbero provocate dalla soppressione della provincia come ente giuridico autarchico.

Non crede sia necessario, per creare la regione, abolire la provincia come ente autarchico. Può riconoscere che le prefetture vanno, in certo senso, abolite; per quanto bisogna riconoscere che il potere centrale, specialmente per le questioni di ordine generale e pubblico, non potrà fare a meno di tenere un suo rappresentante in determinati centri della periferia, regionale o provinciale, perché non potrà rimanere all'oscuro di tutto quello che avviene nelle province: esso deve poter provvedere allo stesso ordine pubblico, e vigilare se tutti gli organismi locali funzionino dal punto da vista politico e amministrativo così che siano salvaguardati gli interessi generali della Nazione e quindi anche quelli locali. Quando siano affidati alla regione determinati servizi, come strade, trasporti, igiene, se questi servizi non funzionano, bisogna che l'organo centrale ne sia informato. Quindi, il potere centrale deve vigilare costantemente e vigilare non vuol dire impedire agli organi locali di agire, ma vedere se adempiano alle funzioni loro demandate dalla legge.

Esclude che il controllo di legittimità debba rimanere affidato ai prefetti, potendo essere affidato ad un organismo diverso dalla prefettura, ad un organismo elettivo e nello stesso tempo burocratico, che non abbia funzione politica, come è la Corte dei conti per i Ministeri.

Ripete che sopprimere la provincia significherebbe, a suo avviso, determinare un grande disordine nella vita del Paese. Una decisione recisa che togliesse alla provincia la sua personalità giuridica, farebbe rimanere però degli uffici, che non avrebbero più l'autorità necessaria per soddisfare le esigenze delle popolazioni, che desiderano essere qualche cosa nella amministrazione degli enti locali.

L'amministrazione provinciale potrà essere riveduta e modificata secondo i dati della esperienza, ma dovrà rimanere per una migliore tutela degli interessi locali.

La provincia è diventata un centro economico, un centro amministrativo, un centro commerciale, un centro di confluenza di interessi i più svariati ed i più attinenti alla vita delle popolazioni. Distruggendola nella sua vitalità, nella sua essenza di ente giuridico, rimarrebbe un organismo privo di quella consistenza amministrativa, che sarà necessaria anche per soddisfare alle esigenze della regione. Non si deve creare la regione per sottrarre dei compiti alla provincia, ma per dare ad essa compiti nuovi. Come il comune esercita funzioni proprie dello Stato, così la provincia potrà esercitare funzioni proprie della regione, se non dello Stato. Si deve creare la regione togliendo delle attribuzioni e delle funzioni allo Stato. Quindi, il proposito di abolire la provincia deve essere meditato. È vero che nel provvedimento per la Sicilia le province risultano abolite; ma ciò ha suscitato delle reazioni piuttosto gravi e non è il caso di provocarne in tutto il territorio nazionale. Proprio quando si ha bisogno della massima tranquillità nelle popolazioni non si devono creare ragioni di turbamento. Gli sembra un principio di sana politica portare innovazioni che non creino dissapori e contrasti tali da mettere in pericolo l'ordine pubblico.

[...]

Targetti. [...] Esistono in realtà diversità di bisogni anche nel seno delle regioni geograficamente configurate. Se si toglie il Piemonte, la Lombardia e il Veneto, è forse difficile trovare in Italia regioni monolitiche; nessuna di esse presenta unità di interessi. Questo fatto, se non infirma tutte le ragioni a favore della costituzione dell'Ente regione, deve però concorrere con gli altri motivi che militano in favore del mantenimento della provincia. Abolire la provincia significherebbe accrescere senza dubbio gli attriti fra i vari ex capiluogo di provincia, perché il capoluogo di regione sarebbe istintivamente portato a far prevalere i propri interessi su quelli degli altri centri della regione.

Nega che la provincia abbia solo modeste funzioni: chi vuol compiere sul serio il suo dovere di Deputato provinciale ha modo di constatare che il lavoro non manca. Ma il grande argomento in favore della provincia è questo: si sta compiendo uno sforzo per trovare la strada migliore per decentrare; ma, distruggendo un ente locale autonomo come la provincia, si finisce con l'accentrare nella regione quel tanto che è decentrato, cioè col fare proprio l'opposto di quello che si vuole.

Nega pure che, creato l'Ente regione, vengano a mancare alla provincia le ragioni di esistenza, perché l'Ente regione nascerà e vivrà a tutto detrimento dello Stato. La regione non assumerà funzioni che oggi sono della provincia: essa ridurrà la competenza delle amministrazioni centrali. Ricorda che lo stesso Minghetti, sostenitore ad oltranza del regionalismo, manteneva non solo il comune, ma anche la provincia.

Di più l'abolizione della provincia determinerebbe un grave malcontento e conseguentemente ostacoli e contrarietà al funzionamento della regione.

La provincia quindi deve essere mantenuta, salvo poi decidere i poteri che le si debbono attribuire.

Piccioni intende fare alcune considerazioni di carattere prevalentemente pratico per vedere se si può giungere ad una conclusione.

Anzitutto deve risultare chiara la visione che si ha dello Stato e della sua struttura. Se si concepisce lo Stato come espressione massima, unitaria, indifferenziata, della organizzazione giuridica della società, il centralismo statale ha più di una giustificazione; se si concepisce invece lo Stato come il potere massimo della società organizzata, ma che non deve comprimere gli organismi naturali che vivono nella società stessa, bisogna, nella struttura politica e amministrativa, adattare questo concetto dello Stato alla funzionalità effettiva di questo in rapporto agli altri organismi.

Uno dei limiti fondamentali alla capacità dello Stato è dato dalla esistenza, anteriore a quella dello Stato, di nuclei ed organismi naturali ai quali deve essere consentito di esercitare la loro funzione per l'ordinamento migliore della società. Tra questi organismi, che limitano il potere dello Stato, sono in prima linea i comuni e successivamente le regioni.

Il concetto di autonomia non deve essere circoscritto e limitato soltanto all'ente regione. Il comune è il primo organismo che va difeso di fronte al potere e al prepotere dello Stato; in fatto di autonomie il comune non va posto in secondo o terzo piano, ma va tenuto in primo piano, non soltanto per liberarlo dagli impacci statali, ma per rendergli tutta la sua forza evolutiva ed espansiva nell'ambito della sua attività specifica.

Dal punto di vista di una concezione organica della società, le province non costituiscono un problema serio, perché sono in un certo senso una costruzione artificiosa imposta dal criterio che ha dominato l'ordinamento statale nostro, in rispondenza al fine centralizzatore dello Stato. Questo è tanto vero che il fascismo ad un certo momento, senza reazioni né scompensi di alcun genere, ha creato quindici province nuove, ritagliate abusivamente dal territorio di altre province. È quindi la provincia una circoscrizione puramente artificiosa, dettata da considerazioni di carattere prevalentemente politico; è un organismo amministrativo sempre centralizzante. Di fronte alla provincia sorge quindi il problema delle difficoltà di carattere pratico, che possono derivare dalla sua soppressione; ma dal punto di vista organico, la provincia non dovrebbe costituire un ostacolo serio per un ordinamento diverso, più logico, più coerente.

Si osserva che le province hanno già una tradizione di 70-80 anni. Ma, se si analizza a fondo la posizione delle province, ci si imbatte in una situazione di equivoco fondamentale: quando si parla di provincia, in sede di riforma strutturale dell'ordinamento statale, si pensa alla provincia ente autarchico, mentre volgarmente, quando si parla di provincia si pensa alla prefettura. Quali sono gli interessi, le convergenze, che si dicono coalizzate o create intorno alla provincia? Il capo della provincia, nella interpretazione ordinaria, non è il presidente della deputazione provinciale, ma è il prefetto, con tutta la sua burocrazia, con tutte le sue attività, ed è difficile constatare una altrettanto forte confluenza di sentimenti, di aderenze alla provincia come amministrazione provinciale. La provincia in definitiva amministra i manicomi, le strade provinciali, le scuole professionali (che non ci sono) i brefotrofi, la maternità e infanzia (che è anche in compartecipazione con lo Stato). Ora, quando si tratterà di analizzare le funzioni della regione, meglio coordinate e meglio disciplinate, tutto questo non sarà sufficiente per legittimare la permanenza di un organismo, quale è quello provinciale, una volta che tutti sono d'accordo sulla soppressione della provincia come prefettura. Lasciare in piedi questa larva di amministrazione provinciale, con le debolissime competenze concrete che ha, sarebbe una esagerazione, rispetto a tutto il rimanente quadro dell'organismo amministrativo che è auspicato.

Né si potrebbero aumentare le competenze della provincia, perché bisogna scegliere: o rimanere attaccati all'ordinamento amministrativo dello Stato com'è, oppure, se si ha il desiderio di rinnovarlo secondo una direttiva più naturale e più organica, si deve avere il coraggio di superare le difficoltà più o meno artificiose di cui si parla in rapporto alla soppressione della provincia. Con questo non si nega che non vi possano essere resistenze da parte di città che si vedrebbero private della loro dignità di capoluogo di provincia; ma non è certo la burocrazia provinciale che dà il grado di superiore decoro ad una città rispetto ad un'altra. E poi, anche in queste città l'istituzione della regione renderà indispensabile la costituzione di un certo organismo decentrato della funzione regionale, il quale sostituisca in maniera più seria e più attiva le forme improduttive finora create per reggere la provincia.

Si vuole, solo per prevenire le eventuali reazioni, che rimanga a queste città la denominazione di province, come organi di decentramento della funzione regionale? È questione di nome e di psicologia collettiva, che può essere considerata. Ma bisogna essere concordi nel ritenere che la provincia, come ente autarchico in seno all'ordinamento nuovo, non ha possibilità di sopravvivenza, perché altrimenti si creerebbero dualismi e duplicati sterili, che potrebbero mettere in pericolo la fecondità del nuovo ordinamento regionale.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti