La nascita della Costituzione

Relazioni e proposte presentate nella Commissione per la Costituzione
I Sottocommissione

 

RELAZIONE

del deputato CEVOLOTTO MARIO

SUI

RAPPORTI FRA STATO E CHIESA (LIBERTÀ RELIGIOSA)

 

Non ho potuto avere in tempo i contatti col collega Dossetti che mi ero proposto di sviluppare, per cercare una linea comune d'intesa nella formulazione del primo schema, ed abbozzo di quelle che dovranno essere le formulazioni della Carta costituzionale sui principii generali dello Stato e sui rapporti con le Chiese. Sono costretto quindi a presentare una mia relazione e una mia proposta, che la Sottocommissione esaminerà e svilupperà in confronto con quelle che l'onorevole Dossetti vorrà prospettare per suo conto.

Ho ridotto a cinque soltanto gli articoli relativi alla forma e ai principii fondamentali dello Stato, in quanto ho ritenuto opportuno evitare di dare alla Carta costituzionale l'ampiezza e la struttura di un codice, moltiplicandone le norme.

Pochi principii generali — insomma — essenziali, e assolutamente necessari ad inquadrare la futura legislazione, lasciando eventualmente al preambolo qualche altra affermazione, anche opportuna, ma non indispensabile nel testo della Carta vera e propria. Così, l'indicazione del fine dello Stato di assicurare il bene generale dei cittadini, che qualche moderna costituzione non trascura, può essere a mio avviso tralasciato senza pericolo.

Così il richiamo ai diritti naturali, che avevo pensato di inserire nell'articolo quarto, anche in relazione, al parere della Commissione del Ministero della Costituente (Relatore Mortati, vol. 1°, pag. 71) potrebbe trovare posto in una semplice e cauta annunciazione del preambolo.

Non ho creduto del pari, in relazione anche a un'opinione già preannunciata dalla Sottocommissione, di formulare l'affermazione che lo Stato italiano rinuncia alla guerra. I principii costituzionali sul territorio, e principî costituzionali sul popolo (cittadinanza), i principii costituzionali sull'ordinamento giuridico, come in molte altre costituzioni recenti, dovrebbero essere inseriti e risultare nei titoli relativi a queste particolari questioni e dalle norme concrete, senza bisogno di una dichiarazione generica nella prima parte generale.

Ho ritenuto opportuno limitare questa parte generale alla indicazione della forma repubblicana democratica dello Stato, alla affermazione dell'uguaglianza di tutti i cittadini, al richiamo delle norme del diritto internazionale generalmente ammesse come parte integrante del diritto nostro e alla indicazione della bandiera.

Mi è sembrato che dei tre grandi principii, dell'uguaglianza, della libertà e della solidarietà, da cui discendono tutti i diritti dei cittadini, soltanto il primo dovesse essere espresso nella parte generale (che, secondo me e secondo altri, dovrebbe costituire sempre il primo capitolo della Costituzione) perché la concreta formulazione normativa dei diritti di libertà e di quelli che discendono dal vincolo di solidarietà nei capitoli relativi alle libertà umane e alle libertà economiche, ne renderà affatto superflua una dichiarazione generica.

Può essere suadente, per esempio, come nella Costituzione turca, all'articolo 68, dopo la solenne affermazione che «ogni turco nasce e vive libero», dare una definizione della libertà, che ha indubbiamente un alto valore etico e quasi religioso: «La libertà consiste nella facoltà di fare tutto ciò che non nuoccia agli altri; la libertà di ognuno, che è un diritto naturale, ha per limiti quelli della libertà degli altri». Ne deriva la prova che anche lo Stato aconfessionale ha una sua salda base etica in quei sommi principii morali che costituiscono in sostanza il fondamento comune di tutte le religioni cristiane e non di quelle cristiane soltanto. Ma più di un'affermazione filosofica, nella Costituzione è importante fissare in concreto quali libertà sono garantite alle minoranze anche minime, perché nel riconoscimento e quindi nella tutela dei diritti di libertà delle minoranze è il paragone della reale concretizzazione dei principii democratici nella Carta.

Così, per quanto riguarda le relazioni fra la Chiesa e lo Stato, le questioni che hanno assunto da noi un aspetto di particolare delicatezza per ragioni storiche che non solo non possono essere trascurate ma devono anzi essere tenute in gran conto, si possono comporre senza sforzo eccessivo, sempre che due principî vengano ammessi, come senza dubbio sono ammessi da tutti, quali sicuri punti di partenza.

Il primo principio è un corollario del diritto di uguaglianza, ed è che la confessione religiosa, o il fatto di non professare alcuna fede religiosa, non possono essere causa di privilegio, di differenziazione o di inferiorità legale per nessun cittadino. L'altro principio è quello della libertà di coscienza. Se nel campo delle libertà individuali, quando esse siano riconosciute — come lo è ormai universalmente la libertà di coscienza —, il diritto del singolo è uguale al diritto di tutti gli altri, e il diritto delle minoranze anche minime ha lo stesso valore e la stessa protezione del diritto delle grandi maggioranze, è evidente che lo Stato non può non considerare i diritti di tutti i culti e di tutte le fedi, qualunque essi siano (purché leciti) e risultino professati anche da pochissimi cittadini, sotto la specie della più assoluta uguaglianza nei riguardi dei principî costituzionali, salvo quelle necessarie differenziazioni nella particolare legislazione amministrativa che derivano dalla diversa importanza e dalla diversa diffusione delle varie chiese.

Ma questa legislazione particolare, naturalmente varia, inspirata e limitata da quei criteri generali della Costituzione che in base ai principî enunciati garantiscono la libertà di esercizio e di propaganda di ogni culto, non potrebbe, senza cadere nel vizio di incostituzionalità, costituire posizioni di privilegio o ragione di persecuzione per nessuna confessione religiosa.

I rapporti fra Stato e Chiesa devono, a mio sommesso avviso, trovare nella Costituzione soltanto l'affermazione dei principî generali che regolano la libertà religiosa, e che postulano l'uguale valore sul piano della protezione giuridica di tutte le Fedi.

I rapporti concreti dello Stato con le varie associazioni religiose, che sono oggetto di leggi e di trattati, aventi talvolta carattere particolarissimo (Trattato e Concordato lateranensi) non dovrebbero trovare le loro soluzioni nella Carta costituzionale, ma formare oggetto della legislazione speciale, che non potrà però mai uscire dai binari e dai limiti fissati dai principî solennemente dichiarati nella Carta. In questo modo non entrerebbe per ora nemmeno in considerazione la questione di possibili modifiche a quel Trattato o di quel Concordato lateranensi che nessuno vuole, se non nei limiti della necessità, ferire o intaccare.

Sebbene sia evidente che il mutamento della Costituzione ne implica in ogni caso alcune modificazioni, anche dal lato formale: (ad esempio, art. 21 del Trattato, art. 12, 20, 42 del Concordato).

Il regime concreto che discende dai principî di uguaglianza e di libertà di coscienza che secondo la proposta sarebbero fissati dalla Costituzione è un regime di separazione?

Indurrebbe a ritenerlo il fatto che in realtà con la Costituzione lo Stato regola per proprio conto i principî fondamentali della materia, senza aver riguardo alla eventuale diversa volontà degli organi della Chiesa, pur lasciando sussistere accordi in talune materie ecclesiastiche (Concordato); e lo confermerebbe l'altro fatto che ponendosi al di fuori — ma nel campo spirituale non al di sopra — della Chiesa e delle Chiese e proteggendole e garantendole tutte nello stesso modo e secondo un identico principio di libertà, lo Stato adotterebbe palesemente il metodo del laicismo in confronto a quello del confessionalismo. (Vedasi in proposito Iemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, anni 1945-1946, pagine 202 e seguenti).

La Costituzione russa, infatti, all'articolo 124, dice che «allo scopo di assicurare ai cittadini la libertà di coscienza, la Chiesa è separata dallo Stato», facendo dipendere la possibilità di una vera libertà nel campo della Fede dalla condizione della separazione, concetto questo che sarebbe senza dubbio oggetto forse meglio e più oltre di contrasto e di discussione. La forma concreta però che il regime assumerebbe da noi mi pare ancora diversa, e potrebbe rapportarsi alla definizione e alla sistemazione che il Ruffini ha dato del giurisdizionalismo aconfessionale in una sua opera fondamentale — (Ruffini, Corso di diritto ecclesiastico italiano: la libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo, Torino 1024) a malgrado che continui a sussistere il concordato.

Non si può prescindere però dal fatto che, per quanto le minoranze religiose siano degne di ogni protezione nella loro assoluta libertà, in Italia la religione cattolica è la religione della grandissima maggioranza anzi della quasi totalità dei cittadini.

Perciò io non riterrei inopportuno che nel preambolo della Costituzione, in linea storica e di fatto, fosse inserita una dichiarazione in questo senso. Che non sarebbe probabilmente superflua, perché implicitamente se ne dovrebbe dedurre il corollario — che, per quanto ovvio e non contrastato, non è inutile abbia il fondamento in una esplicita enunciazione — che quando in una qualsiasi cerimonia, alla quale partecipassero in forma ufficiale gli organi Statali, dovesse essere celebrato un rito religioso (benedizione in occasione del varo di una nave, Messa al campo, ecc.) tale rito si dovrebbe svolgere nelle forme della Chiesa Cattolica.

Non credo conveniente dilungarmi su questioni che saranno oggetto di successivi e ripetuti esami, e di ampie discussioni. Ritengo infatti che questo primo abbozzo di due punti fondamentali della Costituzione, per quanto molto imperfetto e suscettibile di grandi modificazioni, possa segnare una linea generale che ci dovrebbe, se non trovare tutti concordi, almeno avviare ad una non difficile intesa.

LO STATO

Art. 1.

Lo Stato Italiano è una repubblica democratica.

Art. 2.

Tutti i poteri spettano al popolo che li esercita o li delega secondo la costituzione e le leggi.

Art. 3.

Tutti i cittadini sono eguale davanti alla legge ed hanno gli stessi diritti e doveri. La nascita, il sesso, la razza, la condizione sociale, le credenze religiose, o il fatto di non aver alcuna credenza, non possono costituire la base di privilegio o d'inferiorità legale.

Art. 4.

Le norme del diritto delle genti generalmente riconosciute sono considerate come parte integrante del diritto della Repubblica Italiana.

Art. 5.

La bandiera della Repubblica Italiana è verde, bianca e rossa.

LE LIBERTÀ RELIGIOSE

Art. 1.

A tutti i cittadini è garantita piena libertà di fede e di coscienza.

Art. 2.

È garantita piena libertà di esercizio e di propaganda a tutti i culti e le confessioni, che non sieno contrari all'ordine pubblico, alla morale, o al buon costume.

È tutelato il diritto di tutti i cittadini di professare qualsiasi culto o di non professare alcun culto, o anche di abbandonare una confessione religiosa per entrare in un'altra.

Art. 3.

Tutte le organizzazioni confessionali possono propagandare e diffondere liberamente la loro fede e possedere gli edifici nei quali il culto viene esercitato.

Art. 4.

Nessuno può giustificare un reato, o il mancato adempimento di un dovere imposto dalla legge, invocando le proprie opinioni religiose o filosofiche.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti