La nascita della Costituzione

Relazioni e proposte presentate nella Commissione per la Costituzione
I Sottocommissione

 

PROPOSTE

del deputato DOSSETTI GIUSEPPE

SU

LO STATO COME ORDINAMENTO GIURIDICO E I SUOI RAPPORTI CON GLI ALTRI ORDINAMENTI

E SULLA

LIBERTÀ DI OPINIONE, DI COSCIENZA E DI CULTO

 

1) LO STATO COME ORDINAMENTO GIURIDICO E I SUOI RAPPORTI CON GLI ALTRI ORDINAMENTI

Art. 1.

Lo Stato protegge, favorisce, coordina e, dove occorra, integra le attività dei singoli, delle famiglie, degli enti territoriali e delle altre forme sociali.

L'articolo definisce il compito e la funzione giuridica e politica dello Stato, statuendo il principio che esso ha autorità per esercitare il controllo e la coordinazione delle attività dei singoli e delle varie forme sociali e che esso ha il diritto-dovere di intervenire là dove ogni altra iniziativa si riveli insufficiente.

Art. 2.

La sovranità dello Stato si esplica nei limiti dell'ordinamento giuridico costituito dalla presente Costituzione e dalle altre leggi ad essa conformi.

È qui determinato il fondamento sostanziale della sovranità dello Stato. È la norma cardine di tutto il sistema. Essa configura lo Stato come ordinamento giuridico, del quale la Costituzione e i principi in questa sanciti costituiscono appunto la base: è la garanzia così della giuridicità di tutto l'operare dello Stato.

Cfr. Progetto Mounier, articolo 39.

Naturalmente l'articolo non entra a determinare a chi competa l'esercizio della sovranità: a questo provvederà una norma successiva, con la riserva dell'esercizio della sovranità al popolo e quindi il complesso di tutte le norme particolari relative alle singole istituzioni della Repubblica.

Art. 3.

La resistenza, individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino.

È questo l'abituale principio della resistenza, logico corollario dei due articoli precedenti.

Cfr. Costituzione francese del 19 aprile 1946, articolo 21: «Qualora il Governo violi le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri».

Art. 4.

Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l'ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l'ordinamento della Chiesa.

Il riconoscimento della comunità internazionale e degli ordinamenti degli altri Stati non ha bisogno di essere giustificato ed è ormai divenuto comune a tutte le più recenti Costituzioni.

Ma nemmeno ha bisogno di speciale giustificazione il riconoscimento dell'ordinamento della Chiesa per chi sappia che la moderna dottrina ecclesiasticistica è unanime nel riconoscere all'ordinamento canonico il carattere di ordinamento giuridico originario. Anzi è ormai noto a tutti che l'ordinamento canonico è con l'ordinamento internazionale comunemente addotto come l'esempio tipico di ordinamento giuridico sovrano e indipendente da quello dello Stato.

E si badi che tutto questo è ritenuto valido anche per il regime preconcordatario e indipendentemente dal Concordato: cfr. per tutti Ruffini, Questioni di diritto ecclesiastico, Torino, 1911-12, pag. 182 e segg.; Falco, Lezioni di diritto ecclesiastico, Padova, 1927, pagine 408-409.

L'opportunità poi di dichiarare esplicitamente in questa sede tale riconoscimento, appare evidente quando si consideri che esso è per lo meno il presupposto e la via per escludere la confusione od unione tra i due ordinamenti e le due Podestà e per fondarne invece la separazione in senso giuridico: cfr. Checchini, Introduzione al diritto ecclesiastico, pagg. 58 e 59 e segg. e pagg. 136 e seguenti.

Art. 5.

Lo Stato rinunzia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli.

Lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie alla organizzazione e alla difesa della pace.

Anche questa norma corrisponde alla diffusa e concorde coscienza di questo dopoguerra. Confrontare le espressioni in tutto analoghe della nuova Costituzione francese.

Art. 6.

Le norme di diritto internazionale come gli accordi attualmente in vigore tra lo Stato e la Chiesa e gli altri che eventualmente, secondo le modalità previste dalla presente Costituzione, venissero stipulati in avvenire, fanno parte dell'ordinamento dello Stato, senza che occorra emanarle con apposito atto. Le leggi dello Stato non possono contraddirvi.

È questo il principio dell'adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale.

Il principio generale è adottato in varie altre costituzioni: per esempio Weimar, articolo 4; Spagna, articolo 7 e 65; Estonia, articolo 4; Svizzera, articolo 113, ecc.

Secondo un'autorevole dottrina esso è già implicito nel nostro attuale ordinamento. Fu esplicitamente proposto dai relatori Ago e Morelli, nella relazione della Commissione del Ministero della Costituente (pagina 57 e seguenti).

Esso naturalmente non toglie ma presume la necessità dell'adempimento per la ratifica dei trattati e degli altri accordi internazionali delle norme e modalità che saranno stabilite dalla costituzione.

Quanto alla applicazione che si fa del principio suddetto per gli accordi tra lo Stato e la Chiesa, essa è una conseguenza necessaria e inevitabile ex paritate dalla natura di atti internazionali o comunque di diritto esterno che oggi tutti riconoscono alle convenzioni tra lo Stato e la Chiesa: confrontare per tutti Wagnon, Concordats et droit international, Gembloux, 1935, pagina 227 e seguenti.

E questo senza ancora entrare nel merito della questione sostanziale di cui all'articolo seguente.

Art. 7.

Fermi restando i principî della libertà di coscienza e della eguaglianza religiosa dei cittadini, la religione cattolica — religione della quasi totalità del popolo italiano — è la religione dello Stato.

Le relazioni tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica restano regolate dagli Accordi Lateranensi.

È questa naturalmente la norma che secondo la nostra visione interpreta la coscienza cattolica della grande maggioranza del popolo italiano.

La prima parte dell'articolo muove da una constatazione di fatto (indipendente da ogni giudizio di valore) cioè che la religione Cattolica è la religione della maggioranza degli italiani. La conseguenza non implica disconoscimento del principio della eguaglianza religiosa, ma semplice valutazione di una differenza di fatto, che non potrebbe essere negletta senza contraddire alla realtà politica e alla giustizia.

Il secondo comma contiene il riconoscimento degli Atti Lateranensi, ai quali anche altri partiti hanno dichiarato di volere prestare fede, in quanto realizzanti quella pacificazione religiosa auspicata da tutti gli italiani e quella soluzione di un conflitto storico, che (come recenti documentazioni hanno dimostrato) era già stata nel desiderio e nell'opera degli ultimi governi democratici.

B) LIBERTÀ DI OPINIONE, DI COSCIENZA E DI CULTO

Art. 1.

Ogni uomo ha diritto alla libera professione delle proprie idee e convinzioni, purché non contrastino con le supreme norme morali, con le libertà e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, con i principî dell'ordine pubblico.

Questo articolo è desunto dalle proposte della relazione La Pira (art. 16). Si vedano le giustificazioni (del resto evidentissime) le analogie costituzionali ivi per esso addotte.

Art. 2.

Ogni uomo ha diritto alla libera e piena esplicazione della propria vita religiosa, interiore ed esteriore, alla libera manifestazione, individuale ed associata, della propria fede, al libero esercizio, privato e pubblico, del proprio culto, purché non si tratti di religione o di culto implicante principî o riti contrari all'ordine pubblico e al buon costume.

Si propone questa formula che si discosta dalla tradizionale «libertà di professione religiosa» per non lasciare nessun equivoco sulla portata del diritto affermato. Si confrontino tra l'altro le osservazioni delle Chiese riformate d'Italia in Peyrot, La libertà di coscienza e di culto, pagg. 40 e segg.

Art. 3.

I rapporti di lavoro, l'appartenenza alle forze armate o a pubblici servizi, la degenza in ospedali, ricoveri, istituti, carceri, non possono dare luogo a nessun impedimento di diritto o a nessun ostacolo di fatto in ordine all'adempimento dei doveri religiosi fondamentali e alla assistenza da parte dei ministri del culto seguito.

È sembrata opportuna questa specificazione e questa garanzia concreta della libertà di coscienza, in conformità a quanto dispongono altre Costituzioni (per es. Weimar, articolo 140-141) e a quanto anche oggi richiedono le diverse confessioni acattoliche: cfr. Peyrot, cit. pagg. 41-42.

Art. 4.

Il carattere ecclesiastico o lo scopo di religione o di culto di una associazione o di una istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative per la sua costituzione od attività, per la sua erezione in persona giuridica e per la sua capacità di acquistare di possedere ed amministrare beni mobili e immobili, come non possono essere causa di speciali gravami fiscali.

Questo articolo non entra nel merito delle spinose questioni relative alla personalità degli enti. Si limita a sancire un principio negativo, a rimuovere un possibile ostacolo (che in passato ha funzionato in molti casi) e a porre tutti gli enti ecclesiastici di qualunque confessione su un piano di parità con gli altri enti (culturali, sportivi, ecc.).

L'articolo è desunto dalla Costituzione di Weimar, articolo 124 e 137.

Si veda pure Peyrot, cit. pag. 60: «Indubbiamente è doveroso concludere che non è possibile non riconoscere le comunità religiose come persone giuridiche, in quanto esse debbono avere la possibilità della libera gestione dei loro affari».

Naturalmente la norma proposta non sottrae gli enti ecclesiastici ai principî e alle cautele generali della legislazione sulle persone giuridiche (per esempio alla necessità dell'autorizzazione governativa per gli acquisti di immobili o per gli acquisti per donazione o mortis causa).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti