La nascita della Costituzione

Relazioni e proposte presentate nella Commissione per la Costituzione
II Sottocommissione

 

RELAZIONE

del deputato MORTATI COSTANTINO

SUL

POTERE LEGISLATIVO

 

SOMMARIO

La relazione consta di tre parti. La prima si riferisce alla determinazione dei principî generali di struttura dello Stato. La seconda e la terza esaminano rispettivamente l'organizzazione ed il funzionamento del potere legislativo.

PARTE PRIMA

I. — La determinazione dei principî generali di forma dello Stato costituisce una premessa necessaria per le deliberazioni sull'organizzazioni e sul funzionamento dei singoli poteri costituzionali, ed in particolare del potere legislativo.

II. — La forma di Stato si identifica in relazione anzitutto al fine politico fondamentale, cioè alla diversa valutazione degli interessi sociali degni di tutela e del sistema complessivo dei rapporti dei cittadini e degli enti fra loro e con lo Stato, corrispondente a tale valutazione. In secondo luogo alla forma di governo, cioè all'ordine di rapporti fra i vari organi costituzionali.

III. — Si prescinde dal primo punto, pel quale mancano elementi di giudizio, e che esula dal campo particolare di indagine affidato ai relatori. Si osserva sul secondo, sulla base del presupposto, per tutti pacifico, della adozione di un regime democratico, che occorre procedere ad una scelta preliminare fra i vari tipi concettualmente possibili di ordinamenti democratici moderni, di ordinamenti cioè che hanno come elemento comune il collegamento, diretto o indiretto, di tutti gli organi costituzionali con il popolo considerato quale fonte di tutti i poteri.

Per giungere alla scelta in parola è da muovere dai criteri più generali per scendere poi a quelli più specifici.

Una prima distinzione, che influisce su tutto il complesso dell'organizzazione dei poteri, è da fare tra i sistemi in cui al popolo è affidata una funzione di pura e semplice preposizione alla carica dei titolari degli organi costituzionali elettivi (che danno vita alle forme meramente rappresentative, o rappresentative in senso stretto) e i sistemi in cui il popolo designa anche, in modo più o meno esplicito e diretto, gli indirizzi politici, e quindi appare come organo di espressione di una concreta volontà politica.

IV. — Data la grande varietà di classificazioni delle forme di governo, è opportuno assumere quella che si presenta più idonea ad individuare i punti di massimo interesse per la soluzione del problema costituzionale italiano.

Sembra che risponda a tale requisito il criterio di classificazione il quale distingue:

a) le forme nelle quali l'esigenza della aderenza degli organi costituzionali alla volontà popolare è ottenuta attraverso la rinnovazione dei medesimi ad intervalli di tempo brevi, ma di durata fissa e mai abbreviabile;

b) dalle altre in cui è prevista la possibilità dell'accertamento in ogni momento della corrispondenza tra la volontà del popolo e quella degli organi rappresentativi, e quindi è prevista l'adeguazione tra le due volontà per mezzo della riduzione della durata normale di vita degli organi elettivi o di alcuni di essi.

V. — Le forme sub-a) si possono ulteriormente suddistinguere, secondo che i vari organi costituzionali non ripetano la loro origine l'uno dall'altro, o invece siano collegati fra loro in un rapporto interno di derivazione. Al primo tipo si uniforma il regime presidenziale; al secondo il regime direttoriale.

Nel seno di questo secondo gruppo è possibile un'ulteriore differenziazione secondo il grado di collegamento che viene attuato fra gli organi posti nel detto rapporto di derivazione. Il massimo collegamento è realizzato dal tipo svizzero, in cui vi è coincidenza di durata fra l'organo legislativo che procede alla nomina dell'esecutivo e quest'ultimo. Minore collegamento invece nel tipo direttoriale francese dell'anno III.

VI. — Le forme sub-b) sono rappresentate da un complesso di sistemi vari, raggruppabili fra loro sotto il comune denominatore di regime parlamentare.

L'elemento caratteristico comune è dato dalla predisposizione di congegni destinati a mantenere, o a ristabilire prontamente l'accordo fra i poteri e ad attuare una intima e costante collaborazione fra i medesimi. Mezzi tipici a questo fine sono il principio della responsabilità politica del Governo innanzi al Parlamento e la dissoluzione delle Camere elettive, in caso di presunto disaccordo con la volontà popolare.

VII. — I numerosi sottosistemi del regime parlamentare sono distinguibili secondo il vario modo di attuazione dell'accordo. Cioè secondo gli organi che vi intervengono (presenza di una o di due Camere, distinzione del Capo dello Stato dal Capo del Governo, distinzione fra Capo del Governo e Ministri), secondo la varia posizione di ognuno (preminenza del legislativo o dell'esecutivo, dell'una Camera sull'altra, ecc.) secondo la varietà dei mezzi destinati ad attuare l'accordo (varia disciplina della dissoluzione degli organi elettivi, referendum, iniziativa popolare).

Alcuni schemi tipici si possono ricordare:

a) quello classico inglese, caratterizzato dalla più intima connessione fra esecutivo e legislativo, che porta ad un sistema monistico di compenetrazione dei poteri, e dalla unità della struttura di governo, data dalla eliminazione di effettiva influenza della Camera Alta e del Sovrano, dalla preminenza del Premier sui ministri, dal carattere di Capo della maggioranza del Premier, ma temperato dalla libertà di scioglimento conferita all'esecutivo e dalla efficacia pratica di esso nel condurre all'unità dell'azione governativa;

b) quello parlamentare con lineamenti presidenziali. Esso tende ad introdurre un certo grado di dualismo fra Capo dello Stato conferito al Capo dello Stato mediante la sua nomina plebiscitaria, dalla dissoluzione delle Camere senza limiti apprezzabili, dalla libera nomina dei Ministri, senza uopo di fiducia espressa da parte del Parlamento, dalla possibilità data al Capo dello Stato di emettere certi atti all'infuori della controfirma ministeriale, ecc.;

c) quello parlamentare con lineamenti direttoriali. Esso è caratterizzato dalla derivazione del Governo dal Parlamento, dal potere di revoca del Governo e dalla possibilità di scioglimento della Camera.

Un posto a sé ha il Governo di assemblea, che, sotto un certo aspetto, rientra nel tipo parlamentare per la necessità del costante accordo tra il Parlamento e il Governo, e della compenetrazione fra i due poteri, ma che assume dei caratteri propri dei regimi classificati sub-a) per la fissità di durata che viene ad essere assegnata all'Assemblea, data la mancanza del potere di dissoluzione.

VIII. — Considerato schematicamente il quadro generale dei vari tipi, è da notare come ciascuno di essi tende a soddisfare più propriamente determinati fini. Il regime presidenziale mira alla stabilità dell'azione di Governo e realizza un massimo di separazione fra i poteri, atto a garantire dall'invasione dell'uno sull'altro. Esige: garanzie contro il pericolo di accentramento in una sola persona del potere esecutivo (federalismo); mezzi indiretti per evitare l'arresto del funzionamento dello Stato (negli Stati Uniti tali mezzi sono dati dalle Commissioni parlamentari e dall'influenza dei partiti).

Il regime parlamentare riesce ad annullare in effetti ogni separazione dei poteri, sostituendo ad esso la distinzione delle funzioni fra organi diversi, legati da stretti rapporti di connessione e di dipendenza reciproca. Esige: garanzie delle minoranze escluse dall'esercizio del Governo; schieramento politico sufficientemente chiaro, onde rendere efficiente al fine suo proprio l'istituto della dissoluzione e rendere possibile un indirizzo politico almeno relativamente stabile ed unitario.

I tipi intermedi tendono a conciliare le varie esigenze.

IX. — All'esposizione dei vari regimi dovrebbe seguire la scelta di quello da proporre per l'adozione. Questa scelta presuppone un criterio, il quale dev'esser desunto non certo con riferimento ad un tipo ideale, ma in base alle esigenze politiche da soddisfare. Esigenze che sono in parte comuni a tutti gli Stati contemporanei ed in parte specifici del nostro Paese, e che devono essere valutate in considerazione dei fattori storici e sociali, i quali appaiono atti a rendere possibili e congruenti ai fini che si vogliono raggiungere gli istituti da predisporre.

X. — Sarebbe assurdo accingersi a disciplinare l'organizzazione dei poteri costituzionali senza avere chiara consapevolezza delle trasformazioni prodottesi nella struttura sociale, trasformazioni che si sono riflesse nell'azione dello Stato, e che hanno dato luogo a quella che si suole chiamare la crisi dello Stato moderno. Crisi esprime appunto una disarmonia fra certi bisogni e gli istituti predisposti a soddisfarli, fra forme congegnate in vista di una situazione e rimaste in vita a ordinare un contenuto diverso da quello di prima.

I caratteri di questa mutazione, per limitarsi solo a quelli di natura più strettamente politica, e prescindendo dagli altri di natura etico-spirituale, si possono così riassumere:

1°) il complicarsi della struttura sociale, e, in conseguenza dell'universalità del suffragio e dell'ingredire nella vita pubblica di tutti gli interessi, la difficoltà di giungere ad una sintesi armonica di questi;

2°) il ricostituirsi ed il potenziarsi dei gruppi sociali, che la rivoluzione francese si era illusa di fare scomparire, con conseguente inadeguatezza delle vecchie forme di rappresentanza a riflettere la nuova realtà sociale;

3°) l'intervenzionismo statale in settori sempre più vasti della vita economico-sociale, e la conseguente possibilità sempre maggiore offerta ai ceti governanti di dominare il Paese;

4°) il formarsi, per lo stesso processo della industrializzazione, di gruppi o coalizioni capaci di esercitare un'influenza occulta e a dominare in effetti la vita dello Stato, rendendo illusoria o deformando la formazione spontanea e libera di una pubblica opinione;

5°) la instabilità della direzione politica, come effetto dei precedenti fenomeni, per la mutabilità dei governi e la mancanza di unità e continuità nella loro opera;

6°) la incapacità degli organismi e dei procedimenti legislativi ad adeguarsi alle nuove esigenze ed a disciplinare nelle forme tradizionali il nuovo contenuto della legislazione, onde il dilagare dei decreti-legge, fenomeno non solo del regime fascista ma anche di regimi democratici, come dimostra l'esempio della Francia dopo il 1934;

7°) la deficienza di competenza specifica all'adempimento dei compiti sempre più tecnici dello Stato.

XI. — Il successo del regime democratico è condizionato alla prova della sua idoneità attuale a superare la crisi dell'autorità. Occorre pertanto ricercare i congegni suscettibili di adeguarsi alla nuova struttura sociale, assicurando, da una parte, la stabilità e l'unitarietà della direzione politica, dall'altra, la tutela della libertà, la certezza del diritto ed il rispetto delle minoranze escluse dal Governo.

Sarebbe gravemente illusorio pensare di raggiungere questo intento limitandosi a disporre un certo ordine di rapporti formali fra i vari poteri costituzionali, poiché esso può ottenersi solo sulla base del raggiungimento di un solido equilibrio sociale.

A prescindere dai presupposti che appaiono sottratti alla possibilità di una qualsiasi proposta di regolamentazione da parte della Sottocommissione, ma che tuttavia per la loro indole pregiudiziale, devono essere tenuti presenti e segnalati, e che possono riassumersi nella attuazione della massima omogeneità della base sociale, si deve richiamare l'attenzione su quelli più direttamente connessi con l'ordinamento dei poteri centrali.

Viene in primo luogo in considerazione l'ordinamento della rappresentanza politica, che deve mirare a riflettere la composizione complessa che sono venuti ad assumere gli Stati moderni. Anche se si decidesse di non includere nella costituzione le forme ed i procedimenti di organizzazione del suffragio, il costituente non può, nell'ordinare i poteri centrali, non considerare l'influenza che sul loro funzionamento esercitano i procedimenti stessi.

Allo scopo di offrire una traccia alla discussione, si darà un cenno dei punti pei quali potrebbe ritenersi conveniente una disciplina, almeno in linea di determinazione dei principî, da parte della costituzione. Così:

a) in ordine alla capacità elettorale (universalità del suffragio, condizioni di età, o altre da porre all'esercizio del diritto di voto, eventuali limiti derivanti dall'esercizio o dal non esercizio di date attività, carattere obbligatorio del voto, diritto all'esercizio effettivo del diritto elettorale, voti supplementari per il possesso di date qualifiche (voto familiare), voto ai militari);

b) in ordine al procedimento elettorale (principio proporzionalistico o maggioritario; determinazione dei collegi, determinazione del giorno di svolgimento delle elezioni);

c) in ordine alle condizioni di eleggibilità (età, data di acquisto della cittadinanza, incompatibilità derivante dall'appartenenza ad antiche famiglie regnanti);

d) in ordine alla determinazione dell'organo destinato al controllo della regolarità delle elezioni (tribunale elettorale).

Particolare interesse può offrire, sempre al fine che qui interessa, l'indagine sulla convenienza di inserire nella costituzione norme relative ai partiti, nel senso di condizionare il loro intervento nel procedimento di formazione degli organi costituzionali al possesso di dati requisiti. Varii e complessi sono i motivi che possono indurre all'una o all'altra soluzione, e la Commissione non potrà non farne oggetto di approfondito esame.

Analoghe considerazioni possono farsi per le categorie professionali, ove si ritenesse di ricorrere a forme di integrazioni di suffragio, sulla base dell'intervento delle categorie stesse nella formazione di uno o più degli organi elettivi.

Anche per gli enti territoriali, i quali, insieme a quelli politici e professionali, completano il quadro degli enti sociali, pei quali più urgente appare il bisogno dell'inserimento nella vita dello Stato, occorre determinare il grado di influenza loro attribuibile nel campo del nuovo ordinamento della rappresentanza politica.

Leggi integrative della costituzione su questi punti, nel caso di soluzione affermativa sul quesito posto, devono essere approntate, per opera della stessa Costituente, onde rendere possibile la concreta applicazione della nuova legge costituzionale.

XII. — Passando a considerare l'ordinamento dei poteri costituzionali, appare opportuno limitare la trattazione ad uno fra i vari tipi possibili di ordinamento, e precisamente a quello intorno a cui sembra confluire il maggiore consenso delle correnti politiche, e cioè al tipo parlamentare.

All'uopo occorre decidere quali fra i quattro elementi, che è possibile far concorrere nel meccanismo che individua quel tipo, sono da fare intervenire e quale sia la veste e la posizione da attribuire ad ognuno, onde raggiungere quella specie particolare di equilibrio che appaia il meglio atto a realizzare i fini dei quali si è parlato.

Gli elementi cui si accenna sono: il Capo dello Stato, il Governo, il Parlamento, il popolo, e per ciascuno di essi la composizione ed il funzionamento devono essere determinati in relazione alla funzione che si vuole attribuire nel complesso del sistema.

Qui si deve far rinvio, per il Capo dello Stato e per il Governo, alle più precise determinazioni che saranno compiute in occasione dell'esame della relazione sul potere esecutivo, e perciò limitare gli accenni che seguono alla considerazione dei rapporti di tali organi con quelli legislativi necessari a determinare le linee generali della struttura complessiva dello Stato.

Il Capo dello Stato può essere configurato in vari modi e precisamente: o con funzioni puramente rappresentative (tipico in questo senso il progetto di costituzione francese del 1946, non ratificato dal referendum), oppure con competenza di intervento attivo, più o meno penetrante, nelle varie funzioni dello Stato, o infine come organo estraneo alla determinazione e all'attuazione del giudizio politico, e quindi distinto dai vari poteri e titolare di un quarto potere, neutro o moderatore, quale cioè guardiano della costituzione. In quest'ultima ipotesi la funzione veramente caratteristica del Capo dello Stato è di accertare la corrispondenza degli orientamenti popolari con quelli degli organi rappresentativi e di questi ultimi fra di loro, onde mantenere una costante armonia.

I mezzi conferiti per l'adempimento di tali funzioni possono essere la nomina o revoca del Ministero, e lo scioglimento delle Camere.

Il diverso modo di esercizio di tali poteri, i diversi limiti che possono essere posti determinano configurazioni assai varie fra di loro, accumunate tuttavia dallo scopo comune, che è quello, non di fare intervenire la volontà personale del Capo dello Stato nel Governo, bensì solo di promuovere i mezzi onde ristabilire un equilibrio venuto meno. È evidente che di fatto tale volontà personale ha poi modo di farsi concretamente valere, anche contro gli schemi giuridici, quando il popolo, che deve funzionare nel sistema come ultima istanza, non sia in grado di esprimere pronuncie univoche, o vi sia una molteplicità di formazioni politiche eterogenee, e potente si manifesti la personalità del Capo dello Stato.

Occorre considerare distintamente i mezzi indicati per l'adempimento del compito di riequilibrazione dei poteri.

Per la preposizione alla carica di Ministri possono farsi le seguenti ipotesi:

a) nomina da parte del Capo dello Stato, senza uopo di espresso conferimento di fiducia del Parlamento. La fiducia si presume, mentre solo un voto che suoni espressa sfiducia conduce all'obbligo del Capo dello Stato di revoca del Ministero;

b) designazione delle candidature, o della candidatura, da parte del Capo dello Stato delle persone ritenute idonee alla carica, e conferimento della carica in base al voto di fiducia del Parlamento alla persona, o ad una delle persone designate;

c) nomina diretta da parte del Parlamento dei Ministri, con l'esclusione di ogni intervento, o con intervento solo formale, del Capo dello Stato.

Sottospecie varie possono configurarsi in base ad elementi diversi. Un primo elemento è dato dal carattere del Ministero: collegiale o a Premier. Nel secondo caso la scelta dei Ministri, che possono conservare o perdere il carattere di organi costituzionali, è affidata al Premier. La fiducia a lui può esprimersi prima della composizione da parte sua del Ministero, oppure dopo tale costituzione.

Ma l'elemento più importante sul quale in ispecie è da richiamare l'attenzione, è data dalla potestà di dissoluzione delle assemblee legislative elettive, considerato come mezzo caratteristico del meccanismo di riequilibrazione.

Per valutare il significato di tale elemento occorre anzitutto rendersi conto delle situazioni che possono sollecitare il ricorso al mezzo medesimo. Bisogna anzitutto distinguere: a) il caso che sussista in atto il rapporto di fiducia fra maggioranza dell'Assemblea e Governo, da quello b) in cui questo sia venuto meno o si presuma venuto meno.

Nel caso sub-a) la dissoluzione può essere determinata o dalla necessità di affrontare problemi di notevole importanza politica non agitati in occasione della elezione del Parlamento in carica; o dal sospetto di mutamenti intervenuti nello stato della pubblica opinione durante la legislatura (fra i sintomi più caratteristici sono da ricordare i risultati di elezioni parziali, che segnino vittorie dei partiti di opposizione, sintomo questo che viene meno nei regime elettorali proporzionalistici, che ricorrano all'istituto della supplenza; scissioni nel partito di maggioranza, che non suscitino una ripercussione nella Camera sufficiente a spostare la maggioranza; allontanamento dal Governo di uno dei partiti della coalizione governativa, tale da non fare venir meno la maggioranza. In questa ipotesi può pensarsi o ad una decisione di autodissoluzione da parte dello stesso Parlamento, o ad una dissoluzione per decisione autonoma del Governo, o ad una da parte del Capo dello Stato, o infine sull'accordo fra Capo dello Stato e Governo.

Nel caso sub-b) un primo problema si riferisce al modo di accertare la sfiducia (si deve presumere la sfiducia per il rigetto di una singola proposta di legge, o per il rigetto del bilancio, o invece occorre un espresso voto di censura?) e muove dalla distinzione fra l'indirizzo politico generale e le singole misure di attuazione dell'indirizzo stesso.

Il secondo problema riguarda la convenienza di una disciplina più o meno particolareggiata del voto di censura (secondo che l'iniziativa di esso muova dal Governo o dalle Camere, secondo che si richieda un intervallo fra la presentazione della mozione e la sua votazione, secondo che si richieda o no la maggioranza qualificata, secondo che nella discussione e votazione sulla mozione le Camere intervengano come organi distinti o riuniti in assemblea unica, secondo infine si richieda o no un'espressa motivazione del voto in modo che emergano chiaramente le ragioni del dissenso).

Un terzo problema riguarda la valutazione da dare del voto di sfiducia, sia sotto il riguardo dell'organo cui sia affidata la valutazione, sia sotto quello degli effetti della medesima.

Il dissenso, il quale può dar luogo alla decisione di scioglimento, può derivare o dalle insufficienze personali del Premier o di singoli Ministri, o dall'inadempimento del programma politico che era stato approvato al momento della formazione del Ministero, o infine dalla modificazione intervenuta nella compagine della maggioranza parlamentare.

Poiché è attraverso il potere di dissoluzione che si manifesta il limite più penetrante all'influenza del Parlamento sull'indirizzo politico, è dalle condizioni poste al suo esercizio che riesce specificamente individuato il tipo di ordinamento.

Si può aprire la via ad un mutamento del regime parlamentare in regime presidenziale quando si attribuisca al Capo dello Stato il potere di dissoluzione senza limiti, oppure quando i limiti siano tali da poter esser facilmente elusi (per esempio divieto di dissoluzione ripetuta per lo stesso motivo). Si potrebbe pensare al limite offerto dalla necessità della controfirma ministeriale al decreto di scioglimento. Ma questo limite non diminuirebbe il pericolo se la controfirma potesse essere apposta da un Ministro che non abbia ottenuto il voto di sfiducia (quando la nomina può avvenire all'infuori di tal voto), o nel caso che il ministero di maggioranza sia divenuto di minoranza per il ritirarsi di qualche nucleo della coalizione (quando ancora non sia intervenuto il voto che renda esplicito il mutamento avvenuto).

In contrapposto a questo scioglimento che può dirsi «presidenziale», si può pensare a quello automatico, determinato cioè in base al numero delle crisi (secondo il progetto francese, alla seconda crisi, purché avvenuta negli ultimi due anni della legislatura, si sarebbe dovuto ricorrere allo scioglimento). Ma in realtà solo fermandosi all'apparenza il sistema merita il nome di automatico, poiché è in realtà la maggioranza dell'assemblea, quale si forma in un dato momento, che può provocare a suo libito lo scioglimento, e anche una minoranza che entri a formare la coalizione può, ritirandosi da questa, determinare la crisi, e con essa, lo scioglimento, e nel momento ritenuto da essa più propizio per le nuove elezioni.

Potrebbe apparire preferibile affidarsi all'iniziativa del Capo dello Stato. Essa può però riuscire soddisfacente a condizione che tale organo, per il modo della sua formazione e per i requisiti richiesti per la sua nomina, offra sufficienti garanzie di imparzialità di fronte alle varie correnti politiche.

Dovendo decidere sui poteri da attribuire in materia al Capo dello Stato non può pertanto prescindersi dall'esame preliminare del metodo della sua preposizione e che può essere: l'elezione popolare, l'elezione da parte del Parlamento, l'elezione per opera di un collegio speciale, di cui occorrerebbe determinare la composizione. Si potrebbe pensare di comporre tale collegio facendo intervenire, in una elezione di secondo grado, i più importanti corpi sociali, i quali appaiano meglio interessati al mantenimento dell'equilibrio sociale, di cui il Capo dello Stato dev'essere il garante.

Rimarrebbe poi da stabilire se l'atto di scioglimento debba essere controfirmato e quale responsabilità sia da addebitare al Capo dello Stato per averlo emesso. Verrebbe in considerazione l'ipotesi di questa responsabilità nel caso che il responso popolare fosse contrario alla tendenza del Governo che ha decretato lo scioglimento, ma questo solo nell'ipotesi che sia prevista la dissoluzione da parte del Ministero di minoranza.

Per completare il quadro delle possibili specie di dissoluzione è da ricordare quella, di cui si ha traccia in qualche Costituzione, di dissoluzione affidata al Capo dello Stato su avviso conforme di un Consiglio o Collegio speciale, non legato né all'esecutivo né al legislativo. A parte è da considerare il caso in cui la dissoluzione appaia come atto complesso, risultante dal concorso della volontà del Capo dello Stato e di una delle due Camere.

Infine è da ricordare la dissoluzione disposta su iniziativa popolare, in armonia al principio democratico della revocabilità dei titolari di organi direttivi da parte del popolo (un esempio se ne ha nella costituzione bavarese, articolo 30).

Non sembra dubbio che lo scioglimento, quando sia circondato dalle necessarie garanzie, opera beneficamente sulla stabilità della direzione politica, per l'efficacia che la sua possibilità esercita sul comportamento dei partiti, inducendoli alla conciliazione.

È da rilevare che, qualunque sistema si scelga, l'utilità dello scioglimento è tanto maggiore quanto più precisamente si determini, con una chiara motivazione del voto, la ragione del dissenso, in modo da offrire la possibilità al popolo di esprimere al momento delle elezioni un chiaro giudizio sul punto in contestazione, atto a servire di direttiva per la futura legislatura.

Un punto importante da esaminare in materia è anche quello circa il mantenimento in carica per il periodo delle elezioni del Governo che ha proceduto o concorso allo scioglimento. Il progetto francese stabiliva che, ritiratosi il Governo rimasto in minoranza, fosse per il periodo delle elezioni assunto un Governo di affari presieduto dal Presidente dell'Assemblea e composto dai Presidenti delle varie Commissioni parlamentari, ciò allo scopo di eliminare il pericolo di influenza sullo svolgimento delle operazioni elettorali da parte di un Ministero avente un determinato orientamento politico.

È da chiedersi se non sia possibile pensare ad inserire nel sistema parlamentare che potrebbe essere attuato, allo scopo del raggiungimento della maggiore stabilità del Governo, insieme al limite che nei confronti del Parlamento è costituito dal potere di scioglimento, un secondo limite dato dall'imposizione di un termine (per esempio di un biennio) per la durata normale del Gabinetto che, sulla base dell'approvazione di un programma concreto di Governo, abbia ottenuto la fiducia della maggioranza. Questo limite, mentre indurrebbe le Camere ad una maggiore ponderazione nel conferimento della fiducia, varrebbe anche a circoscrivere, senza però eliminarlo, il potere di dissoluzione del Capo dello Stato, e quindi a preservare dai pericoli inerenti all'uso di tale mezzo.

Il regime che ne risulterebbe sarebbe in certo modo intermedio fra quello parlamentare ed il direttoriale e parrebbe cumulare i vantaggi di entrambi.

PARTE SECONDA

POTERE LEGISLATIVO

Organizzazione

La prima questione da affrontare per quanto riguarda l'organizzazione del potere legislativo si riferisce alla convenienza dell'introduzione del sistema bicamerale. I fini che si perseguono quando si dà vita ad una seconda Camera possono così riassumersi:

a) funzione ritardatrice della procedura legislativa al fine della più ponderata valutazione della convenienza politica delle singole leggi, e della loro migliore elaborazione tecnica;

b) integrazione della rappresentanza;

c) assunzione di competenze specifiche.

Il problema della selezione degli uomini sotto il punto di vista della competenza nella materia della politica legislativa è comune alle due Camere, ma la sua soluzione si è cercata in modo più specifico in occasione della formazione della seconda Camera, in quanto per questa si è trovato modo di ricorrere più facilmente a mezzi di scelta non collegati con l'elezione diretta da parte del corpo elettorale indifferenziato.

Per rispondere al quesito circa la convenienza dell'istituzione di una seconda Camera e circa il modo della sua formazione occorre tener presente nella loro integralità i fini politici che si vogliono conseguire e l'idoneità del mezzo prescelto per il loro conseguimento. Così, nel determinare la Costituzione, il modo di formazione e la posizione di parità o meno della seconda Camera bisogna valutare anche, ed anzi in via principale, l'apporto alla esigenza di stabilità del Governo e di continuità e di unità dell'azione statale che da essa può attendersi.

Se si considerano i modi possibili di formazione della seconda Camera si trova che i criteri di scelta suscettibili di essere assunti possono ubbidire ai seguenti intenti:

1°) o di assicurare solo genericamente una maggiore ponderazione e riflessione, quale può apparire garantita dall'età più matura dei componenti l'assemblea o degli stessi elettori;

2°) o di offrire la garanzia del possesso di date competenze al quale risultato si tende predeterminando categorie di eleggibili in base a dati requisiti di cultura, o alla copertura di dati uffici, o all'appartenenza a date categorie. È da porsi il quesito se in quest'ipotesi la scelta migliore fra gli appartenenti alle categorie sia assicurata ricorrendo al procedimento dell'elezione da parte di tutti i cittadini, o invece alla elezione per opera degli appartenenti a singoli gruppi più o meno ristretti, o alla nomina da parte del Capo dello Stato o infine della stessa seconda Camera, in via di coaptazione;

3°) di consentire l'espressione di interessi, i quali rimarrebbero o compressi, o confusi, o solo implicitamente espressi con le altre forme di rappresentanza. Ciò allo scopo di ottenere che la sintesi finale, in cui si esprime la volontà generale, risulti da un'analisi, quanto più precisamente differenziata, delle varie componenti della sintesi stessa.

Quello però che si deve ottenere, quando si persegue un tale intento, è che gli elementi assunti a base della rappresentazione posseggono capacità politiche, siano cioè suscettibili di inquadrare gli interessi di cui sono portatori nell'ambito di quelli generali, sicché la pretesa di voler realizzare quegli interessi sia accompagnata dalla dimostrazione della loro idoneità ad armonizzare con l'interesse generale. In altri termini la posizione assunta dai vari rappresentanti degli interessi non può paragonarsi a quello che risulta da una contrapposizione d'indole contrattualistica, bensì assimilabile all'altra diversa che discende dall'accordo societario, in quanto subordinata ad un fine comune a tutti, e che tutti sono tenuti a realizzare. Ciò presuppone tra l'altro una posizione pubblicistica delle singole entità chiamate a esercitare la funzione rappresentativa. Da ciò discende altresì che il rapporto fra i vari interessi rappresentati non debba seguire lo stesso criterio proporzionalistico che sarebbe necessario per la costituzione di un'assemblea, la quale avesse come scopo specifico la tutela degli interessi di categoria.

Una ulteriore conseguenza che sembra possa farsi discendere da una composizione della seconda Camera sulla base di interessi nel senso che si è detto, è quella di limitare la partecipazione alla formazione della prima Camera alle sole organizzazioni di partito e quindi di disciplinare tali organizzazioni, in modo che non si identifichino con rappresentanze di categorie. È altresì da rilevare che l'attuazione della forma di rappresentanza di cui si parla non esige l'esistenza di organizzazioni professionali riconosciute o anche di solo fatto, essendo sufficiente un'anagrafe degli appartenenti alle varie attività professionali, ripartiti secondo i criteri da fissare.

Una difficoltà pratica sorge per l'esigenza di determinare il valore da assegnare a ciascun gruppo sociale che si vuole rappresentare. E la difficoltà è accresciuta quando si volesse (e l'ipotesi presenta particolare interesse) dar vita ad una rappresentanza complessa, (di categoria e territoriale), sia che ciò si attui nel senso di porre accanto le due specie, con la rappresentanza delle regioni, da una parte, nel complesso della loro popolazione, e, dall'altra, la rappresentanza delle categorie esistenti nell'ambito di ciascuna, sia che invece (e questa seconda soluzione si presenta senza dubbio più organica) si componga tutta la rappresentanza di ogni regione sulla base delle categorie. Si presenta allora, come si diceva, la difficoltà di ripartire per ogni regione il numero complessivo dei seggi attribuito ad ogni categoria, onde adattare la rappresentanza alle situazioni particolari di ogni nucleo regionale.

Ancora degno di attenzione si presenta un particolare aspetto che il problema ora accennato viene ad assumere quando si decidesse di dare alle singole regioni una rappresentanza paritaria, non legata alla popolazione con rapporto proporzionale.

In ogni caso sembra che si debba sottrarre alla competenza degli organi regionali la determinazione dei criteri di ripartizione territoriale, e che invece questi, e, prima ancora, quelli relativi alla ripartizione complessiva per tutto lo Stato, assumendo rilevanza costituzionale, debbano essere inseriti nella carta fondamentale. Allo scopo poi di impedire il pericolo di una cristallizzazione delle situazioni esistenti in un certo momento, si dovrebbe stabilire una revisione periodica, per la quale si potrebbe pensare anche a forme più semplificate rispetto a quelle prescritte per gli altri mutamenti costituzionali.

Problemi complementari su questo punto, ma che pure assumono anch'essi indubbiamente rilevanza costituzionale, sono dati dalla determinazione del procedimento di scelta dei candidati nei collegi di categoria, e dei sistemi di votazione.

Il diritto comparato offre il seguente schema relativamente ai modi di formazione della seconda Camera:

1°) Nomina da parte del Capo dello Stato (senza limiti, oppure con predeterminazione di determinati requisiti e in particolare l'appartenenza a categorie configurate in base all'esercizio di date attività o al possesso di un determinato censo. Quanto alla durata, o ereditariamente, o a vita, o per un periodo determinato di tempo).

2°) Preposizione ope legis, in conseguenza dell'appartenenza a dati uffici (In Germania i membri dei governi dei singoli Stati entravano di diritto a far parte del Reichsrat).

3°) Nomina da parte di collegi speciali: a) collegi formati dai membri delle Camere (nel senso stesso della Camera, come per esempio in Norvegia); fuori della Camera (Stati Uniti fino al 1912; Austria 1920; alcuni Cantoni svizzeri); b) collegi formati in base al criterio territoriale (con proporzionalità rispetto al numero della popolazione; senza proporzionalità, come negli Stati federali e anche in Stati ordinati in base al criterio del decentramento regionale; con proporzionalità temperata (esempio: Germania di Weimar, Francia); c) collegi formati da rappresentanti di categorie professionali, o di dati interessi morali o spirituali (Portogallo, Brasile, Austria); d) collegi formati con criterio misto (così nel Belgio, per la revisione del 1921, il Senato risultava composto da 93 eletti a suffragio diretto e proporzionale entro categorie speciali di eleggibili, da 40 eletti dai consigli provinciali, e da 20 assunti per coaptazione dai precedenti; così ancora la Francia fino al 1884 aveva 75 membri eletti per coaptazione; così ancora l'Unione Sud Africana ha un Senato composto di 32 membri nominati dalle provincie e di 8 nominati dal governatore generale).

4°) Composizione con sistema misto risultante dalla commistione dei vari criteri precedentemente indicati, elezione, ereditarietà, appartenenza a dati uffici (costituzione ungherese, giapponese, rumena, irlandese).

In via generale è da osservare che qualsiasi ordinamento della seconda Camera tende a correggere, in misura più o meno accentuata i risultati del suffragio universale, spostando il peso che quest'ultimo attribuisce in modo uguale ai singoli cittadini. Forse la sola eccezione a questo principio è quella della costituzione norvegese.

Questa circostanza influisce in modo particolare sul problema, cui si è avanti accennato, della stabilità del Governo. Nel determinare quindi sia la posizione, sia l'organizzazione, sia il funzionamento della seconda Camera è da tener conto delle prevedibili ripercussioni su tale punto, potendo essa, secondo che si adotti l'una o l'altra soluzione, agire sia come fattore di stabilizzazione sia come elemento di maggiore instabilità.

Per quanto riguarda la posizione reciproca delle due Camere è da osservare che, a stretto rigore, il sistema bicamerale dovrebbe implicare piena parità fra i due organi legislativi. Tuttavia nell'uso comune si sogliono fare rientrare fra i sistemi bicamerali anche quelli in cui la seconda Camera sia posta in una posizione diversa dalla prima.

Dalla piena parità giuridica, nei confronti sia dell'attività legislativa sia dell'attività di indirizzo politico e quindi dell'intervento della seconda Camera nel conferimento o nel ritiro della fiducia al Governo, si passa al sistema della parità limitata. Tale limite può riguardare la sottrazione alla seconda Camera dell'intervento nel conferimento della fiducia al Governo, o riferirsi anche alla materia strettamente legislativa, e in quest'ultimo campo il limite può attenere solo alla materia finanziaria (come in Italia, dove si riteneva che il Senato fosse incompetente a qualsiasi iniziativa nella materia stessa) oppure estendersi anche agli altri campi di attività legislativa (Inghilterra, Cecoslovacchia, Germania, Polonia).

Il caso di seconde Camere puramente consultive o fornite anche del potere di iniziativa (come in Portogallo e secondo il progetto francese del 1946) non può rientrare a stretto rigore nel problema del bicameralismo.

Il sistema della parità, anche se limitata, esige l'intervento di un procedimento di risoluzione dei conflitti, secondo la logica del regime parlamentare (infatti tale procedimento manca nei paesi, come gli Stati Uniti e la Svizzera, che non accolgono quel regime).

Tale procedimento potrebbe essere automatico nel senso della prevalenza di una Camera sull'altra, subordinatamente al verificarsi di date condizioni (maggioranza speciale, decorso di tempo, rinnovazione di deliberazione), o in corrispondenza all'avviso che raccolga il maggior numero di voti complessivamente dei componenti dell'una e dell'altra Camera o anche nel senso della dissoluzione di entrambe o di una sola, quando si ammetta lo scioglimento automatico.

Altra soluzione è ricercabile nell'intervento del Capo dello Stato, cui può essere affidato di sciogliere una delle Camere o tutte e due (o, nel caso di composizione non elettiva, di procedere alle «infornate»). L'esercizio della facoltà del Capo dello Stato può essere subordinata al consenso o solo al parere di altro organo, ed esso potrebbe essere anche l'altra Camera.

Si può anche pensare ad un esame comune delle due Camere riunite (specie quando il dissenso perduri anche dopo lo scioglimento), o solo di commissioni miste formate proporzionalmente da membri di ognuna (alle quali potrebbero essere affidate anche funzioni di prevenzione del conflitto). Infine si può fare intervenire nel conflitto il popolo, con una pronuncia diretta mediante referendum sulla questione controversa.

I vari mezzi indicati possono essere usati anche in modo promiscuo, o alternativo.

Nell'assumere uno o altro criterio sono da prendere in accurato esame le influenze, dirette o indirette, sui fini politici che si vogliono conseguire. Già lo stesso modo di formazione, la durata assegnata ad ognuna delle Camere, il numero dei componenti di ciascuno sono altrettanti fattori, i quali agiscono nel senso di determinare, anche nel caso che sia stabilita la parità giuridica, un diverso prestigio politico, e quindi inducono anche ad una diversa soluzione del problema dei conflitti. Così sono naturalmente portati a considerarsi più rappresentativi gli eletti dai collegi di primo grado rispetto agli altri derivanti da elezioni di secondo grado, quelli eletti per una durata più breve, o da collegi più vasti rispetto agli altri per un periodo più lungo o in collegi più ristretti.

Nel caso che si dia alle Camere una piena parità giuridica si dovrebbe cercare di avvicinare nel tempo le date di formazione di ciascuna, onde rendere meno frequenti e gravi le possibili ragioni di conflitto.

Per esaurire la materia dell'organizzazione del potere legislativo, dopo avere esaminato il principio bicamerale e le modalità organizzative da considerare peculiari ad ognuna delle camere (e che si possono così riassumere: 1°) numero dei componenti, 2°) durata del mandato, 3°) requisiti per la nomina, comprese le eventuali incompatibilità parlamentari, che dovessero essere diversamente configurate per le due Camere, 4°) procedimento elettivo, 5°) eventuali guarantigie speciali ai membri di ciascuna), occorre considerare le disposizioni che possono ritenersi comuni alle due Camere e per le quali sorga un interesse alla regolamentazione da parte della Costituzione.

Tali disposizioni possono essere così elencate:

1°) incompatibilità connesse alla carica di membro del Parlamento, e che possono essere assolute, o rimuovibili dalle stesse Camere, e che inoltre possono essere limitate alla durata del mandato o estendere la loro efficacia anche per un periodo successivo);

2°) verifica dei poteri. Al sistema prevalente nel continente di affidare tale verifica alle stesse Camere si contrappone quello inglese che lo conferisce ad appositi organi di natura giurisdizionale. In un ambiente politico nel quale si presenti l'interesse di fornire una particolare tutela dai diritti delle minoranze preferibile appare questo secondo sistema;

3°) condizione per l'ammissione all'esercizio delle funzioni (giuramento);

4°) potere di autorganizzazione. La Costituzione può intervenire in due direzioni: a) con il fissare alcuni principî organizzativi (esempio: pubblicità ed eventuali limiti ad essa, numero legale, metodi di votazione, modo di composizione dell'ufficio di presidenza); b) con il predeterminare il modo di esercizio della podestà regolamentare, che è propria di ogni ente sociale (così, oltre ad imporre l'obbligo dell'emanazione del regolamento, la Costituzione può richiedere la presenza di maggioranze qualificate per l'approvazione del regolamento, determinare quale regolamento valga nel caso di sedute comuni delle due Camere, sottrarre al potere regolamentare dati rapporti, per esempio quelli con il Governo o con il pubblico in generale, o viceversa dare efficacia di legge al regolamento, o conferimento del potere di introdurre pene, approvazione con legge del regolamento, ecc.);

5°) determinazione delle modalità della prima riunione dopo le elezioni (messaggio presidenziale);

6°) convocazione ed aggiornamento. I sistemi da seguire possono essere diversi e cumulabili. Così può pensarsi ad una convocazione periodica nei tempi fissati dalla Costituzione, ad un'autoconvocazione o per opera del Presidente della Camera, con o senza richiesta di una certa percentuale di membri del Parlamento, o per opera del Capo dello Stato, ma su domanda del Presidente della Camera o di un certo numero di membri. Analogamente l'aggiornamento potrebbe essere disposto solo su deliberazione della Camera interessata, o anche per opera del Capo dello Stato, ed in quest'ultimo caso senza limiti specifici, o con tali limiti, (esempio non più di una volta ogni anno o per non più di un mese);

7°) determinazione dei periodi di vita legislativa.

A parte le considerazioni precedentemente fatte circa il potere di stabilire la fine della legislatura prima del tempo fissato dalla Costituzione, sono qui da esaminare le varie possibilità di regolamentazione delle sessioni. Potrebbe essere fissata nella Costituzione la durata massima e minima, stabilire una durata fissa, o determinare un minimo (esempio almeno una sessione annua). Così per quanto riguarda la proroga della sessione si deve determinare l'organo al quale debba essere affidata, le eventuali modalità del provvedimento che la dispone (esempio stabilire la data della sessione seguente), precisare gli effetti della chiusura, eventualmente prevedere l'ipotesi del mutamento del Governo durante la chiusura della sessione.

Altra materia di regolamentazione costituzionale è data dalla determinazione della posizione personale dei membri del Parlamento. Vengono in considerazione al riguardo, oltre alle incompatibilità, delle quali si è fatto cenno:

a) la determinazione del carattere, retribuito o gratuito delle prestazioni;

b) le immunità e le guarantigie, che possono assumere tre possibili direzioni, e cioè: la insindacabilità delle opinioni, la libertà dell'arresto o da qualsiasi misura che importi restrizione di movimento personale, la sottrazione dal giudizio dei tribunali ordinari, o l'eventuale altra modificazione della procedura stabilita per i reati. A parte sono da considerare le speciali difese stabilite per le assemblee legislative, come tali.

Degna di particolare esame è la materia delle decadenze dalla qualità di membro del Parlamento, in ordine ad un punto, che si collega con il rapporto che, nei regimi elettorali sulla base di liste di partito, viene ad instaurarsi fra il Deputato eletto e il Partito sulla cui lista è avvenuta l'elezione. Tale rapporto può condurre alla decadenza dalla carica di Deputato di coloro che vengono espulsi dal proprio partito? Naturalmente l'ammissione di tale conseguenza verrebbe a contraddire almeno in parte, al principio della irresponsabilità del Deputato per le opinioni espresse, ed introdurrebbe degli elementi di mandato imperativo.

In un analogo ordine di considerazioni si inserisce la possibilità conferita agli elettori di revocare l'eletto.

Per esaurire la materia dell'organizzazione è da fare cenno agli organi legislativi misti, straordinari o interinali.

I primi si hanno per la riunione delle due Camere in Assemblea plenaria, che verrebbe a formare un organo a sé quando ad esso venissero affidate determinate competenze. L'Assemblea plenaria potrebbe avere vita dalla Costituzione, essendo evidentemente sottratto alle singole Camere un potere di tal genere (a differenza di quanto potrebbe avvenire per la Costituzione di commissioni miste, con funzioni interne e senza veste giuridica).

La Costituzione può anche prevedere commissioni miste con funzioni varie, deliberative o consultive, per il periodo dell'intervallo fra le sessioni o anche fra le legislature di carattere permanente o transitorio (risoluzione di conflitti, parere o deliberazione su proposte di decreti legge o di decreti di stato di assedio, ecc.).

Infine è da fare cenno agli organi ausiliari del Parlamento e che possono essere, fra gli altri possibili, la Corte dei conti, per l'esercizio della funzione di controllo, ed un Consiglio legislativo, con funzioni consultive di carattere tecnico avente lo scopo del perfezionamento nella redazione delle leggi.

PARTE TERZA

LA FUNZIONE LEGISLATIVA

I. — La disciplina del potere legislativo, visto nel momento del suo funzionamento, deve prendere in considerazione, in primo luogo, il procedimento di formazione della legge.

Per quanto riguarda l'iniziativa, si tratta di decidere a quali organi attribuirla, se a uno solo o a più promiscuamente, e se in modo illimitato o sottoposto a determinate condizioni e limiti. Così, per l'iniziativa governativa, se ammessa, come avviene in quasi tutte le legislazioni (contro una tesi estrema, che dal principio della separazione dei poteri fa derivare la conseguenza di una limitazione dell'iniziativa al solo popolo o ad organi da esso immediatamente derivanti) è da vedere se essa sia esercitabile con il concorso del Capo dello Stato o per opera del solo Ministero, e con quali modalità (preventiva deliberazione del Consiglio dei Ministri).

Per l'iniziativa parlamentare occorre stabilire, oltre alla procedura, perché essa si eserciti (presa in considerazione), anche gli eventuali limiti, discendenti o dalla diversa posizione delle due Camere, o dal contenuto su cui l'iniziativa verte (esempio per le proposte che importano spesa, divieto di iniziativa o iniziativa condizionata alla determinazione preventiva delle fonti di entrata sufficienti a coprire la spesa).

È poi da esaminare l'opportunità di ammettere altre fonti di iniziativa e precisamente quella popolare, determinandone nell'affermativa le modalità e quella di altri enti (regioni, consigli economici, ecc.).

II. — Si devono, in secondo luogo, regolamentare i modi di esame dei progetti di legge, per la parte ritenuta di rilievo costituzionale. Posti i sistemi classici delle tre letture, degli uffici e delle Commissioni permanenti, è da vedere se sia da assumere uno di essi o più alternativamente, determinando il criterio di scelta nei singoli casi.

In quanto siano istituiti organi consultivi a latere del Parlamento, l'audizione del loro parere deve porsi come condizione di validità della procedura di formazione della legge.

III. — Occorre poi stabilire le norme sul numero legale e sui procedimenti di votazione in quanto si intenda derogare alle norme generali fissate per questa materia nella parte organizzativa, o imporre un quorum oppure maggioranze qualificate, o uno speciale sistema di votazione.

IV. — In relazione alle posizioni fatte alla seconda Camera sono da determinare i suoi interventi nel procedimento legislativo, secondo i cenni già dati. In particolare, sarà da esaminare gli effetti del rifiuto di una delle Camere di approvare un progetto già approvato dall'altra (riproposizione nella stessa o in altra sessione, procedimento per il nuovo esame, maggioranza qualificata).

Per quanto riguarda il Capo dello Stato la questione sulla sua partecipazione all'attività legislativa è naturalmente da inquadrare nella figura complessiva a lui attribuita. Se si concepisce come titolare di un potere neutro, non vi sarebbe luogo per l'attribuzione ad esso di un potere di sanzione, ma solo di quello di veto sospensivo, da esercitare entro un termine predeterminato, come espressione particolare di una funzione di arresto, diretta ad accertare la corrispondenza al sentimento popolare di determinate misure, allorché vi siano indizi atti a fare dubitare della sua esistenza. In un regime semidirettoriale tale potere avrebbe una sua logica, se esercitato in accordo con il Governo in carica quando si manifestassero dissensi su singole proposte di legge durante il periodo di durata legale del Gabinetto.

V. — Dopo la fase di formazione della legge occorre disciplinare quella relativa alla sua efficacia verso l'esterno, e pertanto stabilire a chi spetti, e con quali modalità, il potere di promulgazione, e di pubblicazione (sottoscrizione della legge, termini per l'uno e l'altro dei detti atti, formula della promulgazione, procedura di pubblicazione) ed infine le norme generali sull'entrata in vigore (uniforme o progressiva, vacatio legis). È da ricordare che qualche costituzione impone che in ogni legge sia espressamente indicato a quale membro del Governo incombe l'obbligo della esecuzione specifica.

VI. — Alla regolamentazione del modo di formazione della legge in senso formale deve seguire quella relativa all'efficacia ad essa propria e quindi al suo inquadramento nel sistema generale delle fonti di diritto.

Attiene a questa parte la determinazione della podestà di interpretazione autentica della legge.

Per quanto riguarda i limiti è da osservare che, ove si accogliesse il principio della rigidezza della Costituzione, e si stabilisse quindi una speciale procedura per la modificazione della legge costituzionale, l'efficacia della legge ordinaria sarebbe condizionata al rispetto dei principi generali dalla fonte suprema.

Limiti di carattere sostanziale potrebbero essere posti al legislatore ordinario in vario senso, e cioè:

1°) dalla competenza esclusiva che fosse affidata nella legislazione primaria, in un ambito delimitato, ad altri enti diversi dallo Stato (esempio le regioni);

2°) dall'obbligo del rispetto di certe fonti extra positive (esempio diritto naturale);

3°) dal rispetto di norme del diritto internazionale. A riguardo di questa categoria di limiti è da precisare il modo della loro efficacia, e in particolare: a) se sia opportuno inserire nella costituzione una dichiarazione la quale sancisca in modo solenne la politica di pace ed il proposito dell'osservanza del diritto internazionale da parte dello Stato italiano, o consacri la decisione di entrare a fare parte di date organizzazioni internazionali; b) la scelta del sistema, o dei sistemi di adattamento dell'ordinamento interno all'ordinamento internazionale (adattamento automatico?);

4°) dal rispetto del principio generale di giustizia e di uguaglianza (divieto di usare trattamento disuguale per casi analoghi; divieto di emanazione di leggi particolari, sfornite cioè dei requisiti della generalità e dell'astrattezza, almeno limitatamente al rispetto del giudicato e dei contratti; irretroattività della legge, anche all'infuori del carattere penale della legge; protezione di minoranze etniche);

5°) dall'esclusione, o limitazione di date fonti di entrate (esempio ricorso a prestiti, come fa l'articolo 87 della Costituzione di Weimar; non sottoponibilità ad imposta straordinaria sul patrimonio dei titoli del debito pubblico);

6°) dall'assunzione di impegni in rapporti di credito (come per l'articolo 31 dello Statuto);

7°) dalla indelegabilità delle competenze istituzionali. Un potere del legislatore al trasferimento, anche per un singolo caso, della propria competenza non può trovare posto in un regime di costituzione rigida. Sicché il silenzio che il costituente serbasse su tale punto avrebbe il significato di divieto dell'esercizio del potere di delegazione legislativa.

Un divieto assoluto di delegazione, come era proposto nel progetto francese, non sembra opportuno. Se mai si potrebbe limitare la delegabilità e ciò in vario modo. Si potrebbe consentirla solo per il tempo di guerra (ed in modo illimitato, oppure solo per i provvedimenti strettamente necessari per la condotta della guerra). Se ammessa anche per un periodo normale possibili limiti potrebbero essere:

a) esclusione di delegazione continuativa, ammettendosi solo quella destinata ad esaurirsi con il primo atto di esercizio;

b) esclusione di delegazione generale, conosciuta con il nome di concessione dei pieni poteri;

c) determinazione delle materie delegabili, o meglio, specificazione di quelle non suscettibili in nessun caso di delegazione (per esempio elettorato, leva, ordinamento giudiziario, legge comunale e provinciale, legge di pubblica sicurezza), o, in via generale, esclusione di tutte le materie per cui la costituzione sancisce la riserva della legge;

d) determinazione dell'organo capace di porsi come destinatario della delega;

e) divieto della subdelegazione. L'eventuale disciplina della delegazione dovrebbe riguardare anche i mezzi per l'osservanza dei limiti della delegazione (competenza esclusiva del Parlamento, di Commissioni parlamentari appositamente costituite, dell'Autorità giudiziaria). In regime di costituzione rigida si dovrebbe pensare all'intervento della Corte Costituzionale di giustizia, dato che il sorpassamento dei limiti della delegazione è alterazione delle competenze costituzionali.

Un limite particolare all'efficacia della volontà legislativa del Parlamento potrebbe essere pensato quale mezzo di protezione posto a disposizione delle minoranze escluse dal Governo. Così l'articolo 72 della Costituzione di Weimar prevede un veto sospensivo pro tempore su richiesta di un terzo dei membri della Camera.

Ove si ammettesse più procedimenti di formazione delle leggi formali potrebbe sorgere il dubbio sull'opportunità di una loro disposizione su un diverso piano di efficacia, e quindi di un ordine gerarchico (esempio leggi approvate con procedimento ordinario e con procedimento con referendum). Si creerebbe così un grado intermedio fra la legge costituzionale e la semplice.

Per completare il quadro dell'ordinamento delle fonti la costituzione dovrebbe determinare la posizione della consuetudine di fronte alla legge, e stabilire gli altri mezzi di produzione del diritto, affidati ad organi diversi da quelli legislativi, stabilendone il grado gerarchico, che può essere di parità con la legge formale (decreti legge, leggi regionali in materia di competenza concorrente) oppure di subordinazione (regolamenti di amministrazione, leggi di corpi economici, contratti collettivi).

Per le particolarità su questi ultimi punti si fa riferimento alle altre relazioni sul potere esecutivo.

VII. — Vengono poi in considerazione le funzioni non legislative del potere legislativo.

Tali funzioni sono da classificare in primo luogo secondo che, dal punto di vista del loro contenuto, attengano all'attività esecutiva o a quella giurisdizionale.

Per la prima un'ulteriore classificazione può compiersi secondo che l'intervento del Parlamento, o di uno dei singoli rami di esso, si esplichi sostanzialmente:

1°) con funzioni attive.

Nell'ambito di questa categoria sono da distinguere: a) le funzioni che si esplicano con la partecipazione alla formazione di atti singolari non emessi nella forma della legge (sia attraverso un atto semplice del Parlamento, per esempio nomina o eventualmente revoca del Capo dello Stato, o di Ministri, sia attraverso atti complessi in unione con il Governo); b) con la partecipazione ad atti singolari emessi nella forma della legge. Sono da ricordare in questa categoria le leggi di approvazione in genere, ed in specie, quelle di approvazione di contratti, di trattati internazionali, del bilancio. È da decidere se tali leggi siano da ammettere, e quali principî costituzionali siano da sancire in ordine ad essi.

Le eventuali norme sui trattati sono da mettere in armonia con l'accoglimento o meno del principio dell'adattamento automatico e riguardano i casi, le condizioni e gli effetti dell'intervento del Parlamento.

Per quanto riguarda i bilanci la regolamentazione può riferirsi: a) all'inizio ed al termine dell'anno finanziario; b) al modo di formazione del bilancio, al contenuto di esso, ai termini ed alle altre modalità della sua presentazione; c) i poteri del Parlamento in ordine ad esso; d) il carattere della legge di bilancio; e) l'ammissibilità di eventuali termini per l'approvazione e l'ammissibilità dell'esercizio provvisorio; f) gli effetti del rifiuto di approvazione del bilancio.

2°) Con funzioni di controllo, che si esauriscono cioè nell'accertamento di date situazioni (interrogazioni, interpellanze, mozioni, inchieste).

Di un'importanza che trascende l'ambito puramente dispositivo affidato al potere regolamentare è la funzione di controllo, anche se considerata in ordine agli organi che si pensasse eventualmente di predisporre in vista di un più proficuo ed assiduo esercizio della medesima (esempio le Commissioni permanenti della Camera francese).

Per quanto riguarda il potere di inchiesta è da decidere se, ed in che limiti debba intervenire la Costituzione nella sua regolamentazione. Si tratta di decidere se siano da ammettere solo inchieste stabilite nella forma della legge, o anche su atto singolo di una Camera o delle due Camere senza quella forma. Per quanto riguarda i poteri della Commissione di inchiesta la necessità di disposizioni può riferirsi a rapporti con gli uffici amministrativi (e regolare fra l'altro il caso del vincolo dei funzionari al segreto di ufficio) ed a quelli con i cittadini (possibilità di sanzioni penali per gli inadempimenti agli inviti delle Commissioni).

Un punto importante, che si inquadra nell'argomento più generale della protezione da accordare alle minoranze escluse dal Governo, allo scopo di assicurare il mantenimento del metodo democratico dell'alternativa dei partiti al potere, riguarda l'ammissibilità di inchieste su richiesta di un certo numero dei membri del Parlamento (un quanto secondo l'articolo 34 della Costituzione di Weimar), o anche di una percentuale di elettori (iniziativa popolare di inchiesta).

Per le funzioni attinenti all'attività giurisdizionale, non sembra sia da prendere in considerazione l'eventualità del mantenimento di un foro speciale per il giudizio dei membri del Parlamento e neppure quella del conferimento della competenza a giudicare di dati voti comuni ad una delle due Camere. Sicché la decisione su questo punto, oltre che su gli interventi del Parlamento diretti ad autorizzare il perseguimento penale dei propri membri, deve vertere sulla convenienza di attribuire agli organi legislativi la facoltà di elevare l'accusa contro i Ministri e contro il Capo dello Stato (nei riguardi della quale sono da stabilire le modalità sia con riferimento all'iniziativa, sia alle condizioni per la deliberazione: quorum maggioranze speciali, ecc.) ed inoltre quella di attribuire il potere di giudizio sull'accusa alla camera diversa da quella che ha proceduto a quest'ultima.

La soluzione su questo punto deve essere coordinata con quella che sarà presa in ordine alla Costituzione di un'Alta Corte di giustizia, dipendendo dal modo di costituzione di questa, l'opportunità di sottrarre o no il giudizio di cui si parla alla sua competenza.

* * *

Per concludere la relazione è da accennare al popolo come titolare di potere legislativo. A stretto rigore tale argomento si sarebbe dovuto ripartire fra le due parti dedicate all'organizzazione ed al funzionamento di detto potere, ma per considerazioni di opportunità pratica si è preferito riunire tutta la materia, che ha una sua autonomia per i problemi che solleva, e che si giova perciò di un esame unitario.

Si prescinde qui dal referendum come mezzo di revisione costituzionale, per cui si fa rinvio ad altra relazione.

Nel campo legislativo il referendum può assumere carattere consultivo o deliberativo. Non sembra che la posizione di organo supremo rivestita dal popolo nel regime democratico si concili con l'esercizio di una funzione subordinata, come quella che si sostanzia nell'emissione di pareri.

L'apprezzamento da fare circa l'opportunità dell'introduzione di referendum deliberativi è diverso secondo il grado di organizzazione politica del popolo, il numero e la composizione dei partiti, la nettezza delle loro enunciazioni programmatiche, la disciplina degli iscritti ecc. La soluzione del problema è influenzata anche dal tipo che si assuma di ordinamento degli organi supremi. È stato osservato che il referendum si è sviluppato originariamente nei paesi che non conoscevano l'istituto dello scioglimento delle Camere (Stati Uniti d'America e Svizzera). L'utilità della sua introduzione può essere minima in paesi, come l'Inghilterra, dove l'istituto della dissoluzione, agendo in un ambiente assai propizio alla enunciazione di chiari indirizzi politici, rende possibile l'espressione di questi in sede di elezioni.

Ponendosi qui da un punto di vista generale è da osservare che il referendum può riuscire utile per la funzione che adempie di impulso atto a mantenere gli organi rappresentativi in contatto continuo con le masse popolari, agendo così come strumento di educazione politica di queste ultime per la necessità che importa della consapevolezza di questioni concrete e della valutazione della loro importanza considerate nella loro particolarità e nella loro relazione con gli indirizzi politici generali. Ancora più importanti servizi il referendum può rendere costringendo i partiti alla concretezza ed operando delle redistribuzioni di forze politiche atte a controbilanciare l'influenza eccessiva acquistata da alcune in confronto di altre nelle elezioni.

È però necessario rendersi conto delle condizioni alle quali deve ritenersi subordinato il proficuo impiego dell'istituto. È stato da più parti osservato che questo è un meccanismo utilizzabile solo in piccoli Stati, ed, a riprova, si è ricordata la prova negativa fatta dal medesimo nella Germania di Weimar. Si può rispondere che anche il referendum, come ogni congegno giuridico, esige per il suo buon funzionamento l'esistenza di determinati presupposti, e che quindi solo con riferimento alla presenza o assenza di questi deve essere valutata la prova fatta in singoli casi. Anche l'ingente massa di popolazione di un grande Stato può essere messa in grado di esprimere decisioni consapevoli quando sia chiamata a tale funzione non come folla indifferenziata ma composta in organismi più ristretti e sufficientemente omogenei.

Più in particolare il referendum deve ritenersi condizionato:

a) alla necessità di salvaguardare l'esigenza di unità dell'azione statale, evitando che la pronuncia popolare su un caso concreto venga ad inserirsi in modo disarmonico rispetto alla direzione impressa dagli organi normalmente competenti a presiedere all'azione stessa. È in obbedienza a detta esigenza che talune costituzioni prescrivono la dissoluzione o la cessazione anticipata dalla carica degli organi le cui misure siano state disapprovate in sede di referendum;

b) alla necessità che il popolo sia messo in condizione di emettere un giudizio consapevole, nonché di potere esprimere un'approvazione condizionata alla introduzione nel testo di dati emendamenti. L'indirizzo dominante, che fa esaurire il procedimento del referendum mediante la semplice espressione di un sì o di un no, dovrebbe essere corretto nel senso di prescrivere che la votazione avvenga nel seno di assemblee dove il voto possa essere preceduto da congrua discussione e possa dar luogo a proposte di emendamenti;

c) alla necessità di attuare il referendum in modo che il popolo possa valutare gli esatti termini della questione ad essa sottoposta e porla in relazione con altre strettamente connesse alla medesima ed agli orientamenti politici generali. La formulazione di quesiti deve essere predisposta in modo da rendere possibile pronuncie non solo univoche, ma capaci di coordinarsi con un determinato indirizzo generale.

Ammesso il referendum si può chiedere se vi debbano essere materie sottratte ad esso. Alcune Costituzioni proibiscono il ricorso al referendum per la materia costituzionale. Altre invece per la materia finanziaria e per le leggi di approvazione dei trattati.

Oggetto di accurato esame deve essere la determinazione dei requisiti numerici per il concreto esperimento della consultazione popolare, dipendendo da essa in notevole parte la possibilità di un suo proficuo impiego.

Tre punti sono da considerare:

a) il numero dei proponenti necessario per rendere efficace l'iniziativa popolare, nel caso che si ammetta oltre al referendum disposto dal Capo dello Stato, dal Governo o dal Parlamento, anche uno promosso da una parte del corpo elettorale;

b) il quorum per la validità della votazione;

c) la maggioranza da richiedere per l'approvazione.

Un caso particolare di referendum potrebbe immaginarsi in funzione di veto contro una legge già approvata, il che presuppone un'iniziativa popolare per l'indizione di referendum al detto scopo.

Sempre nei riguardi dell'iniziativa popolare è da considerare se sia da ammettere un'iniziativa semplice o una formulata, cioè accompagnata dal testo del provvedimento da sottoporre al referendum.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti