[Il 29 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».]

Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: «Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana».

È iscritto a parlare l'onorevole Basile. Ne ha facoltà.

Basile. Onorevoli colleghi, i diritti dell'uomo, i diritti dello Stato: ecco un contrasto formidabile. Uno dei più grandi problemi della civiltà moderna è quello di contemperare e trovare un equilibrio fra questi due termini: sicurezza e libertà; sicurezza della società, libertà del cittadino. Non c'è che una formula: il cittadino si difende contro l'autorità, invocando la legge; l'autorità si difende contro il singolo, osservando la legge.

Noi stiamo facendo la legge, e la legge, su questo punto, è l'articolo 8.

Un delitto è stato commesso; la società deve punire il reo.

Ma l'articolo 21 della Costituzione dice che «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Si sono discussi qui tutti gli articoli, quasi tutte le frasi e quasi tutte le parole del progetto di Costituzione, tutte le critiche e tutte le censure sono state fatte, ma nessuno ha attaccato questo principio dell'articolo 21. È così universale il consenso su questo punto che non si può discuterlo.

E allora si deve arrestare il presunto colpevole di un reato, che ancora non si può considerare colpevole. Qui due tendenze dividono i teorici e i pratici. Volete rafforzare il potere dell'autorità nella lotta contro il delitto? Badate agli abusi. Sì, vi furono abusi; non si possono negare e si devono deplorare gli arbitrî della polizia, del tempo tenebroso, quando tutto era arbitrio, contro cui si levò la parola di Mario Pagano, il martire glorioso della scienza e della libertà.

Ma necessità c'è di raccogliere le tracce, le prove del reato, di fare le prime indagini, non appena il delitto è stato commesso. E non possiamo far passare quell'attimo che fugge, in cui le prove ci sono ancora.

Onorevoli colleghi, non faccio discussioni dottrinali, perché io sono uno di quei pratici, che ritengono che la cultura sia, talvolta, un ingombro, ed è meglio metter da parte questo fastidioso bagaglio. Uno spirito arguto l'ha definita: quello che rimane dopo che si è dimenticato tutto quello che si è appreso.

Dobbiamo fare dunque la raccolta delle prove. Ma io comincio col dire che non mi trovo d'accordo con la Commissione, quando dice, nel 2° comma dell'articolo 8, che l'autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie. Quali sono queste misure provvisorie?

In un campo così delicato bisogna procedere con criteri sicuri e precisi.

Io rovescerei la dizione dell'articolo, dicendo che l'autorità può prendere soltanto in casi eccezionali le misure provvisorie che sono indicate tassativamente dalla legge; e non dire che nei casi indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie. È mai possibile che all'autorità di pubblica sicurezza siano lasciati poteri così assoluti e illimitati, senza porre dei confini, dei cancelli, delle regole e delle norme giuridiche? Né nella splendida relazione del nostro illustre Presidente, né nella discussione magnifica della Sottocommissione questi limiti furono posti. L'articolo 8 non li contiene.

Intanto l'articolo 8 parla dell'autorità di pubblica sicurezza; a questo proposito io vorrei esprimere l'augurio che venga istituito un organo di polizia giudiziaria che sia in grado, quando arrivi la notizia di un delitto, di inviare sul posto degli agenti che conoscano la tecnica dell'istruttoria giudiziaria.

Si tratti di rilevare delle impronte digitali, di reperire atti o documenti falsi, armi, veleno o mezzi che servirono al delitto, è necessario disporre di agenti che abbiano la capacità e la competenza che si acquistano soltanto attraverso apposite scuole.

Ma la polizia giudiziaria deve dipendere dal procuratore della Repubblica, dal magistrato.

E il magistrato non deve dipendere da nessuno. Lasciare che l'autorità di pubblica sicurezza per la disciplina, per la carriera, per i premi, per le ricompense, dipenda dal questore, il quale dipende dal Ministro dell'interno, significa mettere la libertà del cittadino a discrezione dell'autorità politica, anziché affidarla al potere dell'autorità giudiziaria.

Sento dire: ma l'autorità di pubblica sicurezza deve darne comunicazione entro 48 ore all'autorità giudiziaria. Ma si può consentire la soppressione per 48 ore della libertà personale del cittadino solo per essere stato sospettato dall'autorità di pubblica sicurezza, che ogni ventennio può cambiare la direzione dei suoi sospetti, mentre il sospetto resta la disposizione naturale del suo spirito? Anzitutto l'intervento della pubblica sicurezza non è ammissibile, se non si tratti di un reato, e solo per i reati per cui la legge penale lo consenta e nei casi dalla legge determinati. Sarà la legge che stabilisce i limiti dell'attività della pubblica sicurezza. Io non posso dimenticare che noi discutiamo un testo costituzionale che avrà forza di legge e comanderà alle leggi di domani. Se l'articolo 8 fosse approvato come è stato redatto, voi togliereste, col secondo comma, al cittadino la garanzia che gli è concessa dal primo comma. Un semplice agente di pubblica sicurezza potrebbe sospendere le garanzie che dà la Costituzione al diritto di libertà personale. Quale sarebbe allora lo scopo di tutte queste discussioni così elevate e dotte? Qual è l'effetto che noi speriamo di ottenere?

Io ritengo, contrariamente a quello che diceva ieri un nostro eminente collega, che questo progetto di costituzione non appagherà il paese. Troppe promesse. La Costituzione dice che la Repubblica tutela la salute, promuove l'igiene, riconosce il diritto al lavoro, provvede alla maternità, all'infanzia, alla gioventù, al mantenimento degli inabili sprovvisti dei mezzi necessari alla vita. Non vi sono pleonasmi? L'articolo 27 dice: l'arte e la scienza sono libere. C'è veramente bisogno di proclamarlo nella Costituzione? Più ingiustificate perciò appaiono le lacune e le imprecisioni nel determinare le garanzie.

Vi sono articoli che si prestano al sorriso: non è il caso dell'articolo 46 che dà il diritto di petizione? Tradotto in parole semplici è il diritto di spedire una lettera al Parlamento per chiedere provvedimenti legislativi. Non mi indugio, accenno, sorvolo, concludo.

Se vogliamo fare una costituzione teorica e dottrinaria, in cui avremo promesso tutte le felicità, come Maometto nel Corano promise il paradiso sopprimendo l'inferno, avremo fatto una Costituzione magnifica da conservare negli archivi della storia che verrà, come testimonianza e documento di superbe costruzioni astratte, ma non avremo fatto la Costituzione che il paese reclama. Il Paese vorrà che le promesse siano mantenute. Il cittadino italiano, quando avremo votato l'articolo 8, vorrà garantita la sua libertà di fatto. Ed è inutile illudersi, non chiudiamo gli occhi davanti alla realtà. Rileggete questo articolo 8. Basterà un semplice pretesto perché il cittadino possa esser privato della libertà, senza alcun rimedio giuridico, per 48 ore.

Ho ricordato gli arbitrî della polizia del secolo scorso, ma abbiamo forse dimenticato quelli degli ultimi venti anni? Ora, l'autorità di pubblica sicurezza avrà il diritto, per l'articolo 8, all'arresto, alla perquisizione, al sequestro, all'interrogatorio dell'imputato, all'escussione dei testimoni, ai confronti, ecc.

Non credo che in un discorso politico in una Assemblea Costituente, si possa esaminare la questione giuridica in tempo brevissimo: mi limito perciò, a fare delle osservazioni generali.

Non voglio far qui la storia del processo penale, che è la storia del lento cammino della libertà. Disse il celebre giureconsulto Niccolini che le norme di procedura penale sono il più sicuro termometro della civiltà. Le graduali trasformazioni e gli sviluppi delle garanzie della libertà sono la storia, la storia del mondo, che è la storia degli errori umani. Mostreremmo che venti anni sono passati invano, se non pensassimo al passato, per impedire che si ripeta. Non dimentichiamo che l'Italia ha sempre una gloriosa pleiade di giuristi geniali che ci guardano, che attendono l'opera nostra.

Che direte, che diremo? Che la polizia ha dunque il diritto a raccogliere le testimonianze, a fare l'interrogatorio dell'imputato, mentre la difesa non ha diritto di assistere, e che il magistrato non ha diritto di sapere niente per 48 ore dell'arresto del cittadino? L'agente di pubblica sicurezza interroga l'imputato, quando crede di avere scoperto il colpevole. Con questa convinzione, nell'interrogatorio si gioverà delle contraddizioni dell'imputato da lui stesso provocate, sia pure nell'intenzione di stabilire la verità, giovandosi dello stato d'animo di chi, sentendosi accusato, si sente perduto, e negando una circostanza vera, è poi tentato ad ammettere, talvolta, una circostanza non vera, che gli si fa credere provata da testimonianze inesistenti, e così stretto nel giuoco del suo inquisitore; per la disperazione di difendersi, l'imputato può anche contraddirsi. Allora egli è ritenuto reo prima di essere giudicato, soltanto perché interrogato anziché da un giudice, da un agente della polizia.

Ora io non contesto alla polizia giudiziaria il diritto di raccogliere le prove del reato, che possa escutere testimoni e fare confronti, raccogliere dichiarazioni e fare atti istruttori. Ma non è per me ammissibile che possa compierli da arbitra e senza direttive e passarli al giudice che non può dare un'altra direzione all'indagine, dopo che il tempo utile è trascorso, l'attimo fuggente è passato e l'istruttoria è di fatto esaurita, ed egli non può, talvolta, che sentire gli stessi testimoni che hanno delineato la strada dell'accusa e l'indirizzo della ricerca. Si sa che, se uno prende una strada sbagliata, più cammina e più sbaglia, e dopo, può essere tardi per trovare la vera strada giusta e raccogliere e vedere le tracce, che sono sbiadite, che sono forse sparite e perdute per sempre, con danno irreparabile dell'innocente, cioè della giustizia. E allora che diciamo noi? Faccia la polizia giudiziaria, e non la pubblica sicurezza, le indagini per raccogliere le prove, ma avverta subito il giudice dell'arresto perché noi abbiamo creato il giudice a garanzia del nostro diritto e della nostra libertà.

La polizia giudiziaria è molto migliorata. Noi non abbiamo diffidenza contro alcuno; diciamo però che non è giustificabile che l'autorità di pubblica sicurezza si assuma il compito del giudice istruttore. Non pretendiamo quello che nell'ordine naturale delle cose non è possibile, ma si può, si deve dare al giudice il potere di dirigere e disciplinare le indagini. Il giudice potrebbe, secondo la natura del reato e le modalità del fatto, dare un termine, ed anche prorogarlo, ma entro questo tempo, l'agente di pubblica sicurezza deve presentare la denunzia, perché sia limitato il termine entro il quale il giudice delega il suo potere di istruttore all'agente di pubblica sicurezza, per riprenderlo, per continuarlo, per riassumerlo, prima che sia tardi, nell'interesse dell'accertamento della verità. Nella soluzione di certe questioni è umana, ma è scusabile fino ad un certo punto, la divergenza di opinioni. Il fermo provvisorio è una necessità, ma io limiterei l'arresto preventivo il più possibile ai casi in cui è proprio una necessità.

Ora, noi pratici diciamo: Volete lasciare l'attuale arresto preventivo? Volete negare ancora l'assistenza del difensore all'interrogatorio che invece è consentita in Francia? Volete sopprimere ancora l'intervento del difensore nell'esame dei testimoni, dei confronti, ecc.? Sia pure. Ma non sopprimete l'intervento del giudice per 48 ore, quando l'autorità di pubblica sicurezza ha sospeso i diritti più essenziali della Costituzione, il diritto più fondamentale e più inviolabile del cittadino: la libertà personale. Voi dunque vedete che ci limitiamo a chiedere una cosa ragionevole, che è una esigenza della giustizia. Quando voi date all'agente di pubblica sicurezza il diritto di fare l'interrogatorio e sentire i testimoni, date un diritto che è pericoloso per la libertà del cittadino, perché mette in pericolo chi può essere accusato innocente.

Come dice un grande psicologo, Leonardo Bianchi, non molte sono le testimonianze sincere. È sperimentalmente provato che quando una o più persone assistono ad una scena emozionante, qual è in genere la scena di un delitto, esse non percepiscono che qualche dato, qualche elemento della verità: il resto che si tradurrà nella testimonianza, è una elaborazione del subcosciente, per una legge associativa che è propria della funzione cerebrale. Anche uomini colti si sbagliano nel ricordare quel che hanno visto.

Consentitemi un ricordo personale. Io ho assistito ad una lezione di psicologia sperimentale; ci furono pronunciate ben chiare dieci parole, con l'avvertenza che avremmo dovuto poi ricordarle e scriverle e abbiamo fatto questo esame di memoria scrivendo le parole subito, prima della fine della lezione; poi dopo otto giorni, dopo un mese, dopo tre mesi, ed anche alla fine dell'anno. Spuntarono fuori, dopo dieci minuti, parole che non c'erano affatto fra quelle dieci pronunciate con tanta chiarezza. Molti non ricordavano metà delle parole dopo un'ora. E alcuni ricordarono, dopo molto tempo, le parole che la memoria infedele aveva sostituito alle vere; cioè resta talora più tenace la deformazione mnemonica della stessa verità. Si sono fatti esperimenti facendo assistere degli studiosi a scene drammatiche per descriverle. Il numero degli errori è davvero impressionante: un ufficiale dei policemen commise errori che si chiamerebbero divertenti se non fossero allarmanti. Uno studente ricordò come se fosse stato presente un compagno che non aveva neanche risposto all'appello: non c'era. E non parlo delle domande suggestive che falsano la testimonianza. Ora, figurarsi, se sono inevitabili gli errori di studenti e funzionari, educati all'osservazione, gli errori delle donne isteriche, dei minori, dei deboli di mente che hanno una memoria più evanescente! È naturale che un giudice conosca meglio di un agente di pubblica sicurezza la psicologia dei testimoni e possa tradurre meglio, non dico espressioni dialettali, ma il pensiero altrui, che è purtroppo tanto difficile anche pei giudici. Cloperide scrisse che il testimone dovrebbe dire quel che sa, senza essere interrogato: è questione da discutere; non la discuto qui, non voglio in questo momento, in cui ho fretta di concludere, per non tediare l'Assemblea e per mostrarmi grato della benevolenza con cui ancora mi ascolta, esprimere mie opinioni personali e urtarle con quelle degli altri. Ho riportato il pensiero di uomini autorevoli nel diritto penale e così rispondo al rilievo dell'ultimo oratore su questo tema, per concludere che l'articolo 8 non a me, che sono il più oscuro componente di questa Assemblea, ma ai giuristi, ai tecnici del diritto, non potrà soddisfare.

Interessante è uno sguardo alla legislazione comparata. Volete permettermi di leggervi alcuni articoli di altre Costituzioni? La Costituzione del Belgio, all'articolo 7, dice: «Fuori del caso di flagrante delitto, nessuno può essere arrestato: che in forza di ordinanza motivata del giudice». E la Costituzione dell'Argentina dice all'articolo 16: «Nessuno può essere arrestato se non in base ad un ordine scritto dell'autorità competente». La Costituzione columbiana, all'articolo 24, dice: «Il delinquente sorpreso in flagranza può essere fermato e condotto davanti al giudice da chiunque...». La Costituzione della Cina del 5 maggio 1936, all'articolo 9, dice: «Quando un cittadino è arrestato o detenuto come sospetto di un reato, l'autorità che ne ha la custodia deve presentarlo entro le 24 ore al giudice competente per l'interrogatorio». Ugualmente è necessario un mandato rilasciato dall'autorità giudiziaria per il progetto di Costituzione del Giappone del marzo 1946, che fa eccezione per la sola flagranza. Simile è la Costituzione del Lussemburgo del 1868, modificata il 15 maggio 1919, e analoga la Costituzione della Lituania del 15 maggio 1918. Prescrivono un ordine motivato dell'autorità giudiziaria le costituzioni della Romania del 1923 (art. 11), della Spagna del 1931 (art. 29), dell'U.R.S.S. del 1936 (art. 127), della Lituania del 15 maggio 1928 (art. 12), di Haiti del 15 luglio 1932, della Grecia (Habeas corpus) del 2 giugno 1927.

L'articolo 136 del Codice francese di procedura penale dice che «se esistono indizi gravi contro il prevenuto questi può essere arrestato». Ma la legge, dice l'art. 136, non autorizza l'ufficiale di polizia giudiziaria a continuare l'istruzione dopo il momento della flagranza («après l'instant du flagrant délit»).

La Costituzione dell'Islanda del 28 febbraio 1920, all'articolo 61, dice: «Ogni persona arrestata sarà senza indugio condotta davanti a un giudice. Se non può essere immediatamente rimessa in libertà, il giudice, prima che siano scadute 24 ore, ordinerà il suo arresto con ordinanza motivata».

Se volete rileggere il testo dell'articolo 8, vi accorgerete ora che anche in Islanda, ed anche in Cina, le garanzie della libertà personale sono maggiori di quelle del progetto italiano della nostra Costituzione. Mi sarà forse permesso di cercare una definizione della libertà. Mi piace quella del Russel, secondo cui la libertà è il diritto di ottenere giustizia dai tribunali e soprattutto il diritto di resistere agli arbitrî del Governo.

Noi vogliamo che siano i giudici, che siano i tribunali e non la polizia giudiziaria, e non l'autorità di pubblica sicurezza a giudicare sulla libertà del cittadino. Bisogna dare i mezzi allo Stato perché la giustizia non sia cara, non sia lenta, come disse Vauvenargues; oggi è troppo cara, come la carne, perché i poveri possano mangiarne. E lentissima è, non solo la giustizia civile, che io vorrei più orale e rapida com'è la giustizia penale nei paesi moderni. Il detenuto da noi attende in carcere non settimane, ma mesi e, talvolta, anni per essere giudicato, mentre qui discutiamo sulle ore di libertà.

Un'altra delle questioni dibattute. Fu criticata la norma dell'articolo 21 sulla pena. Ma noi non possiamo ricondurre la pena alla penitenza, il delitto al peccato. Le due grandi correnti di pensiero scientifico, nel dissidio fra il diritto penale classico e la scuola positiva, mostrano che il risultato della vita pratica è sempre una diagonale. Anche nel dissidio fra le scuole di filosofia, i metafisici trascendentali, a poco a poco, senza saperlo, assimilano i risultati della scienza sperimentale positiva. Per noi la pena dev'essere rieducazione, non espiazione, non castigo. E io plaudo all'art. 21, anche se la dolorosa esperienza della recidiva ci dice che non tutti i colpevoli sono emendabili. Ma ci sono sempre, o ci possono essere, anche fra questi, coloro che si salvino, che si rialzino col rimorso e con la terapia incitatrice e risanatrice del lavoro. Un grande giurista francese, il Saleilles, fa omaggio ai principî della scuola positiva quando parla dell'individualizzazione della pena, che presso altri popoli assume le forme della pena indeterminata e alternativa, su cui sono possibili riserve, critiche, e discussioni appassionanti.

Per non tediare l'Assemblea, aggiungerò una parola sul sistema carcerario. La pena non potrà essere emendatrice, specie pei recidivi, se non riformando le leggi penali, il personale penitenziario e sanitario, di cui bisognerà elevare le condizioni economiche, migliorandone la carriera e il reclutamento, e richiedendo conoscenze nel campo della criminologia e della psicologia giudiziaria. E bisogna abolire il concetto di pena pel minore, a cui si inocula, si innesta, il virus della criminalità, condannandolo al contagio coi peggiori.

Un'ultima parola, avanti di concludere.

Prima che io prendessi la parola, il Presidente del Consiglio ha presentato il disegno di legge sulla stampa. Pare che si voglia introdurre il sequestro preventivo sulla stampa, un istituto che è sconosciuto al diritto italiano. Lo discuteremo, ma per discuterlo domandiamo la libertà per i nostri avversari. Un'Assemblea legislativa non è un Parlamento senza questa garanzia per le minoranze. Un Parlamento non si fa senza libertà di stampa. Noi reclamiamo la libertà anche per gli altri.

Non c'è libertà di voto, senza libertà di stampa. Nessuna sanzione deve limitare la libertà della stampa, della parola e della radio. La libertà di stampa esce dal razionalismo cartesiano, dal movimento delle idee dell'89. Ho rievocato alla memoria Mirabeau, il padre di questa libertà. Vi domando il permesso di ricordarvi le frasi da lui indirizzate ai membri degli Stati Generali nel momento in cui si riunivano. Se le parole non sono proprio queste, il senso è questo: Voi che siete riuniti per tutto ricostruire, voi che risponderete non solo a noi, ma a tutta l'umanità di tutto il bene che non avrete procurato alla Patria; che la prima delle vostre leggi consacri per sempre la libertà di stampa, la libertà più inviolabile, più illimitata, la libertà senza la quale le altre non saranno mai conquistate.

Onorevoli colleghi, libertà politica è libertà di stampa. Solo inspirandosi a questi principî di democrazia, noi faremo una Costituzione e delle leggi che siano veramente degne delle gloriose tradizioni giuridiche del popolo italiano. (Vivissimi applausi Molte congratulazioni).

Presidente Terracini. È iscritto a parlare l'onorevole Veroni. Ne ha facoltà.

Veroni. Al punto in cui è arrivata questa discussione sul Titolo I, durante la quale sono stati pronunziati discorsi veramente definitivi, occorre procedere per sintesi.

Abbiamo ascoltato discorsi di natura strettamente dottrinaria, e discorsi di colleghi, i quali hanno inquadrato la trattazione del Titolo I sulla difesa delle libertà essenziali nella critica della parte strettamente politica e giuridica contenuta nella proposta di Costituzione.

E come innanzi la prima Sottocommissione e la Commissione dei Settantacinque si era, con ardente passione, esaminato il problema delle libertà essenziali, così innanzi a questa Assemblea, con la stessa passione, si è approfondito l'esame della difesa e della protezione delle libertà inviolabili della persona. La discussione conclusiva ha condotto a pensare che la formula proposta nell'articolo 8: «La libertà personale è inviolabile», rappresenta un sicuro progresso sulla formula dello Statuto albertino, secondo cui «la libertà personale è garantita». La formula proposta oggi risponde meglio anche al criterio animatore del nuovo legislatore, che nel campo penalistico dovrà poi accingersi a fissare le norme repressive dei delitti contro tutte le libertà.

E mi sia consentito di rilevare che l'onorevole Cavallari aveva ragione ad osservare che, mentre l'articolo 8 provvede a stabilire il principio: «la libertà personale è inviolabile», quando ha dovuto disporre sulla inviolabilità del domicilio, di essa si è occupato soltanto in maniera indiretta, quando, col primo comma, ha dovuto provvedere alla repressione delle ispezioni e perquisizioni personali arbitrarie. Giova a questo punto ricordare all'Assemblea, che più lapidaria, più rispondente essenzialmente alle finalità della difesa anche della libertà del domicilio è la dizione contenuta nell'articolo 6 della Costituzione della Repubblica romana; nella quale, dopo essersi affermata la inviolabilità della libertà personale, si volle particolarmente aggiungere: «Il domicilio è sacro e non è permesso entrarvi che nei casi e nei modi determinati dalla legge».

E qui occorre ricordare che nel campo della repressione penale il criterio più possibilmente esplicativo e spiccatamente elencativo prevalse in quella che fu la legislazione basilare sulla repressione degli attentati alla menomazione delle libertà; fu Giuseppe Zanardelli che nel Codice del 1889 espresse decisamente il pensiero della rinnovata coscienza penalistica nella parte della riforma che provvide a tutelare tutte le libertà, fra cui la inviolabilità del domicilio, accanto alla protezione delle libertà politiche, dei culti e all'inviolabilità dei segreti e di corrispondenza.

Il Codice fascista del 1930 segnò, com'era da prevedere, un arresto in tema di repressione di delitti contro le libertà, talché, appena liberato il Mezzogiorno d'Italia dalla occupazione nazi-fascista, s'intese il bisogno di modificare gli articoli 224 e 238 del Codice processuale penale: ciò nessuno dei colleghi ha ricordato, mentre il provvedimento adottato dal Governo del tempo segnò l'inizio della riforma penalistica inquadrata nel clima della risorgente democrazia. Intendo riferirmi al decreto-legge del 31 gennaio 1944, che si allontanava decisamente da quelli che erano stati i principî del Codice penale e del Codice di procedura penale del 1930, in tema di limitazione della libertà personale e mentre la legge fascista non poneva quasi limite alla durata del così detto «fermo» di polizia, la nuova legislazione, che prende le mosse dal decreto da me ricordato, determina il controllo dell'autorità giudiziaria su quella di polizia.

Fu innovato così profondamente il principio reazionario contenuto nei Codici del 1930, e si modificarono gli articoli 224 e 238 del Codice di procedura penale, affidando all'autorità giudiziaria il potere di critica e di sindacato sull'operato dell'autorità di pubblica sicurezza, innovando profondamente il sistema e portando criteri di protezione e di sostanziale difesa della libertà del prevenuto o indiziato. Sennonché, si dovette constatare che il termine di 7 giorni durante i quali l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto decidere sulla convalida o meno del fermo, non poteva ritenersi sufficiente, tenuto conto delle condizioni dei servizi giudiziari e tenendo soprattutto presente che il breve termine fissato poteva spiegarsi allorché il lavoro giudiziario era limitato soltanto all'Italia meridionale liberata. Si ravvisò, così, subito la necessità di prolungare tale termine quando liberata con Roma e Firenze tutta l'Italia centro-meridionale, la vita giudiziaria cominciò a presentare le prime difficoltà. Ricordo, infatti, che collaborando al Ministero della giustizia con l'onorevole Tupini, fu il 31 gennaio 1945 emanato un provvedimento di carattere legislativo, per il quale il termine dei 7 giorni poteva essere prorogato, su istanza dell'autorità di polizia giudiziaria — istanza peraltro motivata — sino a 20 giorni, lasciando all'autorità giudiziaria di decidere sulla eventuale limitazione della nuova proroga.

Il provvedimento che venne allora adottato ha trovato perfetto riscontro nella vita giudiziaria italiana e si può oggi affermare che effettivamente il magistrato è stato posto nella condizione di esercitare un ampio e rigoroso controllo sull'autorità di polizia. Gradualmente si andrà, così, profilando l'attuazione di quella vasta riforma penalistica destinata ad inquadrare nei Codici i principî della Costituzione. Gradualmente, perché, come i due Guardasigilli che crearono e animarono le Commissioni per la riforma — gli onorevoli Tupini e Togliatti coi quali io successivamente mi onorai di collaborare — ad esse ricordarono, il loro compito era di preparare innanzitutto l'eliminazione dal Codice penale e di procedura penale di tutte quelle disposizioni, che avevano sapore rigorosamente e piattamente fascista e di voler poi procedere, con gradualità, per poter inquadrare la preparazione della riforma più vasta nel clima politico e giuridico della nuova Costituzione.

E, infatti, le due Commissioni per la riforma del Codice penale e di procedura vanno intonando, man mano, i loro lavori allo spirito della Costituzione del nuovo Stato democratico e sapranno certamente tener presenti i lavori della nostra Assemblea. Talché, quando sento lamentare che nell'articolo 8, inteso alla difesa delle libertà essenziali, non si è provveduto in conformità di leggi, io dico che l'articolo 8 va senz'altro apprezzato, votato, approvato, poiché, nell'articolo 8, si dice che, se da una parte si fissa il potere provvisorio dell'autorità di polizia, esso vien subito sottoposto alla revisione e al controllo dell'autorità giudiziaria.

Cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che la Costituzione è il presupposto cui vorrà e dovrà informarsi la nuova legislazione penale tuttora allo studio e, se i termini entro i quali dovrà esercitarsi il controllo dell'autorità giudiziaria attualmente previsti nel decreto del dicembre 1944, nel decreto del gennaio 1945, dovranno essere rivisti o spostati, diminuiti o accresciuti, a seconda delle esigenze della vita giudiziaria, a ciò provvederà la nuova legislazione, la cui approvazione sarà nei compiti dalla Camera legislativa.

E scendendo all'esame dell'ultimo comma dell'articolo 8, io son di parere conforme a quello che hanno manifestato autorevolmente gli onorevoli Mastino e Grilli; cioè che la dizione: «È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà», potrebbe essere anche soppresso.

Ed intatti, il voler affermare oggi, in sede di Costituzione, che è punita la violenza fisica o morale che le autorità di qualsiasi genere possano compiere nei confronti di un imputato, di un sospettato, di un indiziato, significa implicitamente ammettere che la legge penale non sia sufficiente e capace a reprimere delitti di tal natura. Sono rimasti per il passato impuniti?

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione. Purtroppo.

Veroni. L'onorevole Tupini dice «purtroppo» ma, siccome non si può immaginare che ancora oggi debbano restare impuniti come per il passato, e particolarmente durante il tragico regime ventennale, io penso che di questo comma si possa fare a meno. E se proprio non se ne volesse fare a meno, sarà quanto mai opportuno affermare il principio più efficacemente, dicendo: «è repressa e punita», come io ho proposto in un mio emendamento.

Questa dizione potrebbe essere considerata come un'affermazione più drastica e di maggior rigore, per significare la solennità di un'affermazione esplicita che la democrazia intende di fare nei confronti di quello che è stato il passato.

E consentano gli onorevoli colleghi che da ultimo io accenni a un ricordo personale del mio passaggio al Ministero della giustizia, quando collaborai con l'onorevole Tupini prima e con l'onorevole Togliatti dopo: intendo alludere alle condizioni degli stabilimenti penitenziari.

Se, in questo campo, abbiamo potuto organizzare a Roma qualche cosa di diverso da quella che è la condizione di tutti gli altri stabilimenti penitenziari, lo dobbiamo proprio a due componenti della Commissione: al mio Ministro del tempo, l'onorevole Tupini, e all'onorevole Ruini, che quale ministro dei lavori pubblici ci concesse i primi quaranta milioni occorsi per riprendere i lavori di sistemazione del carcere di Rebibbia, che è veramente uno stabilimento modello, veramente in prima linea tra gli stabilimenti carcerari esistenti in Europa e nel mondo. Ma quello che abbiamo potuto avere allora e più tardi per riprendere la costruzione di questo stabilimento penitenziario quasi perfetto, non è facile che il bilancio dello Stato possa oggi darci, per poter provvedere alle esigenze carcerarie di tutta l'Italia. Io, per ragioni del mio ufficio, ho avuto la possibilità di visitare tutti gli stabilimenti penitenziari esistenti in Italia: ho dovuto constatare che purtroppo le deficienze sono enormi e che le condizioni degli stabilimenti carcerari sono considerevolmente peggiori di quello che il Paese può sapere e conoscere. Ma come provvedere? Ovunque si reclamano costruzioni di nuovi edifici per sostituire quelli fortemente danneggiati dalla guerra o sistemazione di stabilimenti carcerari già esistenti, il che esige, da un conto che avemmo l'occasione di fare, una spesa veramente imponente. Ora, di fronte a questa esigenza di carattere finanziario, assumere che gli stabilimenti carcerari e i servizi penitenziari non funzionano, o sono mal ridotti, significa non aver approfondito e conosciuto il problema in tutta la sua interezza. Chi sa le ansie di chi ha avuto la direzione dei servizi penitenziari durante il periodo immediatamente successivo alla liberazione, non ignora che dall'Amministrazione della giustizia furono realizzati degli autentici miracoli per fronteggiare la situazione veramente paurosa in ogni parte d'Italia. E ciò non solo per le condizioni gravi e di assoluta deficienza in cui si vennero a trovare gli stabilimenti carcerari, ma anche per le condizioni economiche e morali in cui era il personale degli stabilimenti stessi.

Quindi, quando l'onorevole Mastino ha detto: «Migliorate le condizioni degli agenti di custodia», ha detto una cosa che risponde alla coscienza comune; ma bisognava anche dire che molto si è fatto per esaudire le loro richieste e gli agenti non si possono dolere del trattamento che hanno avuto dalla liberazione d'Italia in poi. Essi sanno che, prima dall'onorevole Tupini e più tardi dall'onorevole Togliatti, furono concessi miglioramenti efficienti, miglioramenti che hanno tranquillizzato quel malessere che serpeggiava in seno al loro corpo: per cui è da ritenere che una volta provveduto man mano, gradualmente, alla sistemazione degli stabilimenti carcerari e migliorate ancora le condizioni del personale addetto ai servizi penitenziari, anche questo problema potrà dirsi affrontato e avviato verso la sua soluzione, creando così quella possibilità di ottenere attraverso l'espiazione della pena la rieducazione del colpevole.

Né vale su ciò quanto autorevolmente diceva l'onorevole Mastino: «Quando avrete un imputato che si sia incallito nel delitto, quando avrete un recidivo reiterato, voi non potrete sperare che la pena lo rieduchi».

Tale enunciato non ha importanza, particolarmente ai fini di quella che deve essere la dizione dell'articolo della Costituzione. Poiché noi non ci possiamo preoccupare di casi specifici; non possiamo mettere nella Costituzione disposizioni di regolamento carcerario o del Codice di procedura penale.

Dobbiamo enunciare il principio generale, secondo cui la pena è intesa a rieducare il reo. Se questo è il principio (che del resto la dottrina ha accolto e che il diritto penale e penitenziario di ogni paese ha consacrato), io trovo che l'articolo 21 del progetto di Costituzione è veramente da approvarsi.

Onorevoli colleghi, entra in questo momento nell'aula Vittorio Emanuele Orlando, mentre io mi accingo a parlare della responsabilità dei pubblici funzionari e di quella dello Stato e degli enti pubblici per fatto e colpa dei propri dipendenti. Ora, se vi sono pagine veramente definitive sulla responsabilità dei pubblici funzionari e sulla responsabilità dello Stato per gli atti dei propri dipendenti, sono proprio quelle che ha dettato il nostro grande maestro. La nuova Costituzione consacra ora i principî che in tempi lontani, e poi sempre, egli dettò dalla cattedra e consacrò nei suoi scritti, tal che non possiamo non associarci al ricordo affettuoso che volle fare della sua opera insigne l'onorevole Codacci Pisanelli, tra i più recenti suoi discepoli. È, quindi, da apprezzarsi il principio che il progetto di Costituzione, riconoscendo la responsabilità dello Stato per gli atti dei propri funzionari, e degli enti pubblici in genere per i loro dipendenti, consacra oggi, creando nella realtà costituzionale un punto di vista giuridico e politico lungamente dibattutosi. È naturale che il principio dovrà essere regolato e contenuto dalla legge, cui spetterà di determinare le condizioni in cui potrà essere realizzata la responsabilità dello Stato.

Onorevoli colleghi, vi avevo preannunciato che sarei stato sintetico nel prospettarvi alcuni dei problemi essenziali contenuti nel Titolo primo. Penso di avere mantenuto la promessa e ritengo anche, onorevoli colleghi, che se questo Titolo noi approveremo così come ci viene presentato, giudicando che esso difende e protegge nel miglior modo e con spirito veramente degno della rinnovata democrazia le libertà essenziali del cittadino, noi avremo ben diritto di poter dire di aver servito fervidamente e fedelmente la causa della Repubblica. (Applausi Congratulazioni).

Presidente Terracini. Dichiaro chiusa la discussione sul Titolo I della prima parte del progetto di Costituzione. Il Presidente della prima Sottocommissione ed i relatori prenderanno la parola alla ripresa dei lavori dell'Assemblea, prima che si dia inizio allo svolgimento degli emendamenti.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti