[Il 24 settembre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione generale sui principî dei rapporti civili.]

Moro prima di passare alla discussione dell'articolo 2-ter, desidera ricordare che egli aveva proposto di staccare la prima formulazione: «Ogni uomo è soggetto di diritto» e farne un articolo a sé il quale esprima il punto di vista della Costituzione sul problema della capacità giuridica. D'accordo con l'onorevole La Pira e con l'onorevole Basso, proporrebbe poi di integrare l'articolo 2-bis, in cui è contenuta la proposizione «Ogni uomo è soggetto di diritto», con un'altra dichiarazione riguardante il problema della personalità giuridica degli enti.

Sottolinea inoltre l'opportunità di distinguere l'articolo riguardante la capacità giuridica dagli altri due riguardanti il problema del nome e il problema della cittadinanza. Tanto più che l'articolo riguardante il nome viene ad essere integrato da alcune necessarie disposizioni in materia di titoli nobiliari e di onorificenze.

Pertanto propone di scindere l'articolo 2-bis in tre articoli.

Il Presidente Tupini fa osservare che l'articolo 2-bis è stato discusso e approvato in una determinata espressione. Si può ora discutere la proposta aggiuntiva dell'onorevole Moro; ma la posizione formale e logica più appropriata di questa espressione aggiuntiva sarà definita in sede di coordinamento e di collocamento degli articoli. L'articolo 2-bis è stato già approvato con quella determinata forma e pertanto andrebbe lasciato così come è.

Moro fa presente alla Commissione che non presenta una proposta nuova, ma soltanto richiama una sua vecchia proposta, che era stata accantonata. Questa proposta è ora tanto più valida in quanto, attraverso le discussioni, è apparso opportuno scindere le due questioni della capacità giuridica e del diritto al nome.

Il Presidente Tupini insiste sulla sua proposta di riservare la questione del collocamento al momento opportuno. Ciò non pregiudica in nessun modo l'ulteriore esame dei concetti nuovi che l'onorevole Moro ha proposto, con le sue proposizioni aggiuntive. Per il momento non ritiene sia il caso, anche per regolarità di procedura, ritornare a discutere sull'articolo che è stato già approvato, anche se si tratta del collocamento di qualche proposizione aggiuntiva.

Crede che l'onorevole Moro sia d'accordo su questo concetto e che quindi si possa passare a discutere l'altra proposta fatta dall'onorevole Moro, d'accordo con i Relatori Basso e La Pira, e cioè di inserire nell'articolo 2-bis la proposizione seguente: «Agli enti spetta, nelle condizioni previste dalla legge, la personalità giuridica».

Moro dichiara di ritenere che questa proposizione sia un necessario completamento della dichiarazione: «Ogni uomo è soggetto di diritto». Ogni ordinamento giuridico riconosce la personalità di diritto non solo all'uomo ma anche agli enti, cioè alle associazioni che vengono chiamate «corporazioni e fondazioni». Anche in questo caso si verte in quel tema del riconoscimento di diritto fatto al singolo da parte dello Stato e garantito dalla Costituzione. Quando si afferma che agli enti, costituiti secondo la forma prevista dalla legge, spetta la personalità giuridica, si riconosce non solo il fondamentale diritto alle associazioni di avere una personalità giuridica, ma anche il diritto di dare vita agli enti che abbiano quegli strumenti di attività nell'ambito della vita sociale e giuridica dello Stato. Si ha quindi il riconoscimento della personalità e la possibilità per questi enti di funzionare come un tutto per fini privati.

Lombardi Giovanni domanda che vengano specificati questi enti. Infatti, dire per esempio, «enti di diritto pubblico», potrebbe anche essere ammesso; ma dire soltanto enti in generale gli sembra eccessivo.

Moro osserva che, quando si dice che questi enti devono essere nelle condizioni previste dalla legge, non si intende dire enti in generale. Tutte le volte nelle quali sussistano fondate ragioni per ritenere che un determinato ente si debba considerare come un tutto a sé, lo Stato non può rifiutare di concedere a questo il riconoscimento giuridico.

Grassi ritiene che sia utile aggiungere una proposizione che riguardi gli enti. Non vi è dubbio che quando vi siano delle determinate condizioni, gli enti debbono essere riconosciuti dallo Stato. C'è dunque la legge che li riconosce. Nella Costituzione si debbono affermare soltanto quei concetti che sono essenziali veramente. Quando si afferma che l'uomo è soggetto di diritto si afferma un principio universale. Per quanto riguarda gli enti, invece, è chiaro che la legge dovrà riconoscere quando sussistono quelle determinate condizioni che ne ammettano il riconoscimento.

La Pira, Relatore, richiama l'attenzione della Sottocommissione sul contenuto della relazione Mortati, in cui si affermava, quanto ai diritti di libertà propri della persona fisica e comuni alla persona giuridica, la necessità di sancire alcuni di quei diritti specifici della persona giuridica, e primo tra questi il diritto al conseguimento della personalità giuridica. L'affermazione di tale diritto deve muovere dalla considerazione della natura propria dell'atto di riconoscimento, da intendere — secondo una recente tendenza — non come un atto di concessione, bensì come un atto tale da far sorgere un vero diritto alla sua emanazione.

Il problema è questo: quando nella Costituzione si afferma che gli enti hanno diritto al riconoscimento della loro personalità giuridica, si afferma che non si tratta di una concessione da parte dello Stato, ma di un diritto originario che quindi è un atto dovuto dallo Stato. Pertanto sorge la necessità di affermare questo principio nella Costituzione.

Marchesi osserva che si tratta di un diritto originario, ma condizionato.

La Pira, Relatore, replica che si tratta appunto di riconoscere la originarietà di questo diritto e la sua natura di non concessione da parte dello Stato.

De Vita ritiene opportuno che sia lasciata alla dottrina la soluzione di questo dibattutissimo problema della personalità giuridica degli enti collettivi. Si tratta di materia di legislazione ordinaria che non deve essere disciplinata nella Costituzione.

Il Presidente Tupini fa rilevare che la preoccupazione della Sottocommissione è quella di poter avvivare possibilmente ad una precisazione di questi enti. Prega pertanto l'onorevole Moro di voler dare una precisazione in questo senso.

Moro ribadisce il punto di vista già enunciato, affermando il diritto di libertà in merito alla concessione della personalità giuridica degli enti collettivi. Da un lato si garantiscono queste naturali formazioni umane che perseguono i fini più diversi, e possono perseguirli soltanto in quanto, oltre ad essere riconosciuto il diritto agli uomini di associarsi, viene riconosciuto ad essi anche il diritto ad agire in modo compatto attraverso quelle entità unitarie che sono le persone giuridiche. Dall'altro lato, si garantisce inoltre il diritto di libertà individuale, in quanto tra le libertà individuali vi è, oltre quella di essere riconosciuti personalmente come soggetti di diritto, anche quella di dar vita ad un soggetto di diritto di natura collettiva il quale naturalmente sarà sempre al servizio della persona umana.

Per quanto riguarda la precisazione degli enti, non gli pare che sia questa la sede: si può dire in ogni modo che le corporazioni e le fondazioni sono le due categorie fondamentali di questi enti giuridici. Così pure non gli sembra opportuno voler specificare gli enti di diritto pubblico e quelli di diritto privato. Comunque, si può dire che, per quanto riguarda il diritto privato, sarà la legge stessa che li specificherà; nell'ambito del diritto pubblico li specificherà la Commissione stessa quando parlerà dei comuni, dei partiti, e definirà in qual senso si deve intendere questa personalità giuridica.

Per quanto riguarda l'altra osservazione, che aggiungendo questa proposizione, non si fa altro che un rinvio alle leggi, non gli sembra che essa sia fondata. Egli ha inserito nella sua formula la espressione: «nelle condizioni previste dalla legge», perché si deve ritenere che lo Stato abbia il diritto di controllare se sussistano i motivi sufficienti per attribuire agli enti la personalità giuridica.

Lo Stato può fissare delle condizioni per questo riconoscimento; ma non può negare la personalità giuridica agli enti che lo meritano. Si affidano allo Stato i necessari poteri di controllo, ma gli si sottraggono i poteri arbitrari dicendo che esso deve riconoscere gli enti tutte le volte che sussistano queste condizioni.

Cevolotto non ritiene che ci sia bisogno di questa proposizione per garantire la personalità giuridica agli enti. Quando si obbliga il legislatore a riconoscere le persone giuridiche nei limiti della legge che sarà fatta, si dice una cosa inutile. Si capisce che, per forza di cose, questo riconoscimento ci sarà.

De Vita ritiene che, nel caso degli enti collettivi, non si tratti di una realtà fisica, umana, ma di una finzione della personalità giuridica.

Dichiara pertanto di essere contrario alla proposta dell'onorevole Moro e dei relatori.

Mastrojanni si dichiara anch'egli contrario alla proposta Moro. Non ritiene che sia il caso di fare un'enunciazione specifica degli enti nella Costituzione. Se la si facesse, si metterebbe in evidenza la necessità naturale dell'esistenza di queste associazioni, le quali potrebbero costituire un pericolo dal punto di vista politico. Se meraviglia che dopo l'esempio del fascismo, il quale attraverso il riconoscimento giuridico dei sindacati ha creato uno stato di cose le cui conseguenze oggi sono lamentate da tutti, si tenti — attraverso questa enunciazione complessa e un poco sibillina — di ripristinare un vieto sistema che tutti hanno condannato. Per queste ragioni voterà contro l'inciso suggerito dall'onorevole Moro e dai relatori.

La Pira, Relatore, all'osservazione dell'onorevole De Vita che le associazioni sono delle finzioni giuridiche, risponde che portando questo argomento, si viene a toccare uno dei problemi fondamentali del diritto. Secondo una concezione che l'oratore accetta, le associazioni non sono delle finzioni: la personalità giuridica attribuita ad un ente non è una finzione giuridica. L'ente è una realtà sociale: è una realtà diversa dalla realtà individuale. Come la persona singola è fornita di diritti originari e quindi ha diritto al riconoscimento della personalità giuridica, lo stesso principio vale per le associazioni le quali non sono una finzione giuridica.

All'osservazione dell'onorevole Mastrojanni, il quale si preoccupa che si voglia costituire uno Stato totalitario, dichiara che non si vuol costituire uno Stato totalitario, ma uno Stato pluralista, cioè uno Stato nel quale esiste la sfera giuridica dei singoli e la sfera giuridica degli enti che è una sfera integratrice e sussidiaria dello Stato.

Lombardi Giovanni rileva che l'osservazione dell'onorevole La Pira tende in sostanza a sostenere che gli enti dovrebbero avere la personalità giuridica de jure non juris tantum, cioè col riconoscimento dello Stato e quando concorrano le condizioni previste dalla legge. È questa una osservazione che aggrava la situazione, non la rende più limpida e più chiara, in quanto che gli enti possono avere fini diversi ed essere costituiti da associazioni, e queste associazioni possono essere di natura diversissima. Si potrebbe anche avere domani un'associazione contro lo Stato o contro la Chiesa. Ora a un'associazione di questo genere nessuno vieterà la libertà di pensare, di parlare e di difendere il proprio punto di vista ed i propri diritti, ma nessuno vorrà de jure concedere una personalità giuridica che possa metterla con eguali diritti e doveri contro lo Stato stesso. Tutto questo gli sembra non una concezione totalitaria, ma una concezione atomistica dello Stato, nella quale queste personalità giuridiche dei diversi enti concorrerebbero contro lo Stato alla attuazione del diritto.

Per conseguenza — se questa concezione non dovesse essere ritenuta superflua dato che ogni ente può chiedere, e colle condizioni di legge avere, la personalità giuridica — egli propone di aggiungere alla parola «enti» le altre «di diritto pubblico».

Né si può parlare di arbitrio dello Stato, perché col riconoscimento de jure lo Stato, più che essere l'arbitro, finirebbe per essere la vittima di queste diverse personalità giuridiche. È quello che è avvenuto nel passato. La storia non è soltanto quella del regime fascista, è anche quella medioevale.

Mancini osserva che il fascismo non è storia, ma cronaca nera.

Lombardi Giovanni replica che è un fatto storico che vi siano stati sindacati con personalità giuridica, in quanto erano una filiazione diretta dello Stato: cioè, nell'atto che si concedeva loro la personalità giuridica, si svuotavano i sindacati del loro vero contenuto psicologico, morale e politico. Ora non si debbono fare di queste astrazioni e si deve poter concedere la personalità giuridica soltanto a quegli enti che, nelle condizioni previste dalla legge, lo Stato crede di poter ammettere nel novero delle personalità giuridiche. Ma una formula generica, col criterio della natività della personalità giuridica, non può che portare a gravi conseguenze.

Concludendo, dichiara di essere del parere che la proposizione sia soppressa, o che si parli solo di enti di diritto pubblico.

Mancini ritiene che la questione abbia un doppio aspetto. Il primo aspetto è quello di decidere se la enunciazione illustrata dall'onorevole Moro sia da collocarsi in sede costituzionale. Il secondo aspetto riguarda le ragioni che giustificano l'enunciazione. L'onorevole Grassi si è opposto a che il principio venga inserito nella Costituzione e ne ha specificato le ragioni. Ad esso l'onorevole Moro e i Relatori hanno soltanto opposto le ragioni che giustificano l'enunciazione; ma non quelle che consigliano la inclusione nella Costituzione.

L'onorevole La Pira ha tentato timidamente di giustificare l'inclusione della enunciazione in sede costituzionale, perché in siffatto modo si afferma un «riconoscimento» e non una «concessione». Risponde subito all'onorevole La Pira che, quando nelle leggi dello Stato vi è una concessione, si intende che vi sia un riconoscimento. E allora, se la concessione è nelle leggi dello Stato, interessa nella Costituzione affermare soltanto il principio generale che riguarda la nostra personalità umana.

La personalità giuridica degli enti sarà configurata o prevista dalle leggi speciali. Perciò si dichiara contrario all'inclusione nella Carta costituzionale dell'enunciazione proposta dai Relatori e dall'onorevole Moro.

Basso, Relatore, dichiara che nelle prime sedute, quando si discusse la relazione La Pira dove si parlava di questo diritto originario delle comunità, fu nettamente contrario alla enunciazione. Dichiara di rimanere dello stesso punto di vista. Se ha acceduto a questa formulazione, l'ha fatto con lo spirito con il quale crede che si debba lavorare, quello cioè di cercare una formula soddisfacente per tutti. D'altro lato, dubita che questa formulazione possa salvaguardare le preoccupazioni legittime di coloro i quali temono che si inserisca nella Costituzione l'affermazione di un diritto originario di queste comunità al di fuori dello Stato. Non condivide il concetto del diritto originario delle comunità portato nella discussione dall'onorevole La Pira, a giustificazione dell'articolo proposto. L'onorevole La Pira ha citato l'opinione espressa nella relazione Mortati: dichiara di non condividere questo concetto ed afferma che non si deve in questa sede risolvere una questione giuridica.

Riconosce che questo tentativo transazionale tra le due opposte posizioni è inoperante e dichiara che personalmente è contrario al riconoscimento della personalità giuridica come esistente prima dello Stato.

Pensa peraltro che si possa trovare una formulazione che accontenti tutti, e propone la seguente: «Il riconoscimento della personalità giuridica degli enti è disciplinato dalla legge».

Caristia ritiene che il concetto dei Relatori non sia quello si affermare un diritto che si vuol far nascere prima dello Stato, ma un diritto che sia come un prolungamento di quello che è il diritto dello stesso individuo ad essere riconosciuto. Se si ammette che deve esistere un diritto di associazione, come negare poi a queste associazioni in diritto ad essere riconosciute come persone giuridiche? Qui non si fa una questione teorica, se cioè le persone giuridiche abbiano questa o quell'altra figura; si fa questione della opportunità di affermare o meno, in sede costituzionale, il diritto che gli enti siano riconosciuti da parte dello Stato. Naturalmente, questo dovrà avvenire sempre nei limiti consentiti dalla legge dello Stato stesso, il quale non potrà mai rinunciare al suo controllo su queste persone, anche quando esse siano soggetto di diritto. Ritiene perciò che si possa trovare una formula conciliativa per salvaguardare il diritto dello Stato e il diritto delle associazioni ad essere riconosciute come personalità giuridiche.

Moro dichiara di aderire alle precisazioni dell'onorevole Caristia e di voler aggiungere qualche chiarimento. Crede di non essere stato ben capito quando ha illustrato il significato della sua proposta. Ha sentito dire alcune cose che sono lontanissime e dalle sue intenzioni e dalla sostanza della questione. Ha sentito parlare di una concezione atomistica dello Stato, di enti che, essendo contro lo Stato, sarebbero riconosciuti come forniti di capacità giuridica; si sono fatti accostamenti ai sindacati fascisti e si sono confuse le idee circa la personalità giuridica. Rileva che la personalità giuridica è una cosa molto semplice, che non ha alcun sottinteso politico. Discutendo di personalità di enti di fronte allo Stato non si parla di comunità, di quelle che i cristiani chiamano comunità naturali: la famiglia, ecc. Qui si discute un problema tecnico: si tratta di definire se gli uomini possano associarsi per un fine superindividuale, e possano agire come entità completa, unitaria. Si tratta di definire se dei beni possano essere destinati ad uno scopo, e quindi creati come personalità giuridica. Nessun sottinteso giuridico e nessuna priorità di questi enti contro lo Stato, tanto è vero che si riconosce che lo Stato debba accordare ad essi personalità giuridica nelle condizioni disposte dalla legge.

Rispondendo all'onorevole Cevolotto circa la non necessarietà di una dichiarazione del genere nella Costituzione, osserva che con siffatta dichiarazione si afferma un principio che serve come criterio di orientamento per la legislazione dello Stato.

Anche nei riguardi dei diritti degli uomini come individui, è stato posto un principio generalissimo che orienta tutta la legislazione, ma non è stata privata la legge del suo potere di definire la sfera particolare nell'ambito della quale quella soggettività in concreto non può essere riconosciuta. Lo stesso si fa in questo caso. Si dice che lo Stato, fissando le condizioni per il riconoscimento della capacità giuridica, non può negarla a suo arbitrio. Non si afferma nessuna posizione di priorità nei confronti dello Stato; soltanto si dice che non solo viene lasciata all'uomo la personalità giuridica individuale, ma gli si riconosce il diritto di associarsi, di destinare beni, di ottenere in questa nuova forma di associazione, o destinazione di beni, un incremento di azione che è appunto la personalità giuridica.

Comprende l'osservazione dell'onorevole Mastrojanni, che parte da una concezione individualistica, ma non giustifica le osservazioni di parte socialista. Con siffatta affermazione non si vuole riprendere la discussione sulle comunità, ma si chiede la personalità giuridica per alcuni enti quali quelli di beneficenza, per esempio, perché enti di diritto pubblico.

Conclude ripetendo che con l'affermazione riguardante gli enti non si va contro lo Stato. D'altra parte non si introduce lo Stato attraverso questo riconoscimento in ogni sfera privata; si riconosce soltanto una entità che agisce in maniera compatta nella vita giuridica.

Il Presidente Tupini domanda se c'è una proposta concreta da parte di coloro che hanno sostenuto la superfluità della norma in sede costituzionale.

Cevolotto dichiara di fare una proposta concreta in tal senso e di ritenere che tale proposta abbia la priorità su tutte le altre nella votazione.

Il Presidente Tupini dichiara che la proposta di soppressione pura e semplice della formula, presentata dall'onorevole Cevolotto e sostenuta da altri componenti della Commissione, è la più radicale, e quindi ha diritto alla priorità nella votazione. Pertanto la mette ai voti.

(La proposta è approvata con 8 voti favorevoli e 6 contrari).

Moro dichiara di riservarsi di sollevare la questione in sede opportuna.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti