[Il 10 dicembre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione riesamina gli articoli da deferire al Comitato di coordinamento. È in discussione l'articolo relativo all'abolizione della pena di morte.]
Togliatti, sull'articolo 9, in cui è detto che la pena di morte non è ammessa, domanda se la Commissione ritenga fuor di luogo sollevare, a questo punto, la questione della pena dell'ergastolo, che essendo altrettanto inumana quanto la pena di morte, dovrebbe essere parimenti soppressa.
Fa presente che, comunque, si riserva di riprospettare la questione della esclusione della pena dell'ergastolo in sede di Comitato di coordinamento e in sede di Commissione dei 75.
Lucifero si associa alle considerazioni dell'onorevole Togliatti che hanno un valore sostanziale, oltre che di umanità. Trattasi di una condanna talmente grave che, dopo i trenta anni, interviene quasi sempre la concessione della grazia sovrana, per cui si potrebbe consacrare nel diritto ciò che attualmente avviene come prassi.
Il Presidente Tupini non è insensibile alle umane osservazioni dell'onorevole Togliatti, ma desidera far rilevare che la pena dell'ergastolo, la quale si commina solo in casi di eccezionale gravità, mette il condannato in condizioni di non poter fruire di tutti quei decreti di amnistia che, succedendosi anche a breve distanza uno dall'altro, gli permetterebbero di riavere la libertà dopo pochi anni.
Teme, inoltre, che l'abolizione della pena dell'ergastolo potrebbe essere un incentivo a commettere delitti efferati, essendosi soppressa l'unica pena, quella di morte, capace di incutere paura ai grandi criminali.
Merlin Umberto ricorda il delitto commesso recentemente a Milano da una donna, che ha barbaramente ucciso la moglie del suo amante e i suoi tre figlioletti, di cui uno appena di dieci mesi. In casi come questo, non si può non dare alla coscienza popolare la soddisfazione di sapere che colui che è stato capace di compiere un così nefando delitto non potrà più uscire dal carcere.
Mancini osserva che la sua esperienza professionale lo porta ad essere completamente d'accordo con l'onorevole Togliatti. Cita l'episodio di un condannato all'ergastolo, che ha preferito suicidarsi pochi giorni dopo la condanna. Per quanto concerne le amnistie, ricorda al Presidente che dai benefici in esse previsti è stato sempre escluso il reato di omicidio.
Richiama poi l'attenzione sul fatto che quando si verificano delitti così gravi, che esorbitano i limiti dell'umanità, vi è sempre in chi li commette un fondo di malattia e di anormalità, che anche da un punto di vista scientifico non può essere colpito così inumanamente. È da considerare, infatti, che l'ergastolo porta con sé la segregazione cellulare che nessun condannato arriva a completare, senza aver momenti di oscuramento mentale.
Cevolotto concorda con i sentimenti di umanità espressi dagli onorevoli Togliatti e Mancini; prega però i colleghi di voler riflettere sulla gravità della questione, prima di prendere una decisione.
Premesso che la segregazione cellulare è stata abolita, è d'avviso che l'argomento dovrebbe formare oggetto di norme di Codice penale, piuttosto che di Costituzione, trattandosi in sostanza di modificare l'attuale sistema delle pene e carcerario.
Mancini obietta che la segregazione cellulare esiste anche attualmente, sotto il nome di «isolamento».
Moro è d'accordo con l'onorevole Cevolotto che la questione rientri nella competenza del legislatore penale, in sede di riforma del sistema delle pene e carcerario. Circa la sostanza dell'emendamento che si vorrebbe introdurre, pone in evidenza l'esigenza della difesa della società umana che è compromessa dal moltiplicarsi di atti nefandi. Soppressa la pena di morte, l'ergastolo è rimasto l'unico motivo di inibizione al delitto. Per i casi patologici, a cui accennava l'onorevole Mancini, il legislatore penale potrà studiare dei sistemi più perfezionati di accertamento e potrà altresì prevedere delle diminuzioni di pena per i casi di carattere eccezionale, umanizzando ad ogni modo la detenzione. D'altra parte bisogna tener conto dell'esistenza del potere di grazia, conferito al Capo dello Stato, che, senza venir meno alla esigenza di una intimidazione preventiva, può interrompere la pena dell'ergastolo nei casi in cui il colpevole sia considerato degno di rientrare nella società.
Lucifero dichiara di non credere affatto al potere inibitorio della pena per coloro che, per temperamento o per particolare stato d'animo, sono portati a commettere simili delitti. Circa la questione delle amnistie, crede che si potrebbe trovare una formula mediante la quale la pena massima di 30 anni, comminata senza attenuanti, impedisca di usufruire di qualsiasi condono di pena.
Ad ogni modo, è d'avviso che bisognerebbe sempre stabilire che la segregazione cellulare deve essere proibita, come inumana e perciò contraria all'ultimo comma dell'articolo in esame.
Mancini non crede anch'egli alla efficacia intimidatrice della pena, tanto è vero che il maggior numero di delitti si verifica proprio nelle nazioni dove è prevista la pena di morte.
Gli sembra che 30 anni di privazione della libertà siano più che sufficienti per soddisfare le esigenze del diritto. Ricorda che in Italia la pena dell'ergastolo non era prevista e che fu introdotta come surrogato della pena di morte.
Il Presidente Tupini condivide il parere dell'onorevole Cevolotto che la questione debba formare oggetto di revisione del sistema penale e carcerario. Ad ogni modo ritiene che prima di arrivare anche ad un semplice voto, l'argomento dovrebbe essere più attentamente sceverato ed approfondito.
Moro fa presente all'onorevole Lucifero che l'abolizione della segregazione cellulare deve intendersi inclusa nell'articolo della Costituzione che garantisce a ciascun cittadino un trattamento umano.
Il Presidente Tupini, riassunta la discussione, dà atto all'onorevole Togliatti del voto espresso per l'abolizione della pena dell'ergastolo, cui si sono associati gli onorevoli Lucifero e Mancini. Trattandosi però, di argomento di tale importanza da meritare di essere più approfondito, ritiene che la Sottocommissione possa essere concorde nel rinviarlo in sede più opportuna.
(Così rimane stabilito).
A cura di Fabrizio Calzaretti