[Il 6 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alla sezione delle appendici dedicata alla discussione generale per il testo completo della discussione.]

Basso. [...] E, sempre su questa strada, credo che sia una lacuna veramente profonda nella nostra Costituzione, proprio nel senso in cui noi sentiamo ed intendiamo il progresso della democrazia, come partecipazione sempre più attiva, sempre più effettiva e concreta, di tutti alla vita pubblica, il silenzio totale sui partiti politici, che rappresentano un grande passo avanti della vera democrazia.

Noi sentiamo spesso criticare quello che oggi si chiama il Governo dei partiti, la democrazia dei partiti, che qualcuno chiama la dittatura dei partiti. Si dice che esso ha ucciso il Parlamento. Ed indubbiamente la vita dei partiti ha ucciso certi aspetti della vita parlamentare, ma noi crediamo che ciò sia stato un progresso. Ha ucciso il trasformismo, ha ucciso la dittatura personale alla Giolitti, ha ucciso le facili crisi che caratterizzano soprattutto certe forme di democrazia parlamentare francese, quando la vita parlamentare non aveva dietro di sé il controllo della vita dei grandi partiti.

Ma noi pensiamo che proprio attraverso la vita dei partiti si correggono questi difetti della vita parlamentare, perché non si tratta più dell'opinione del singolo Deputato che può mutare di volta in volta, secondo le combinazioni parlamentari o magari le manovre di corridoio. Si tratta di grandi partiti che hanno la responsabilità di grandi masse, di milioni di elettori che sanno che ogni loro gesto, ogni loro atteggiamento politico, ogni loro decisione implica la responsabilità di milioni di cittadini, e che sanno altresì che ogni loro errore può costare caro sul piano dell'influenza che il partito ha nella vita del Paese. Non c'è dubbio che in questo senso la vita dei partiti, l'esistenza dei grandi partiti rappresenta un notevole progresso della democrazia, perché dà un maggior senso di responsabilità e quindi una maggiore stabilità alla vita politica e trasforma conseguentemente l'istituto parlamentare.

Ma anche in altro senso, la vita dei partiti è un progresso per la democrazia, perché oggi non accade più che il cittadino, chiamato alle urne per eleggere i propri rappresentanti, compie la manifestazione della sua volontà politica ogni quattro o cinque anni a seconda della durata del mandato parlamentare, e poi sia costretto a rimettersi a quello che faranno i suoi mandatari. Oggi il cittadino che deve occuparsi di politica, che vuole veramente partecipare all'esercizio della sovranità popolare, lo può fare ogni giorno, perché attraverso la vita del suo Partito, la sua partecipazione all'organismo politico cui aderisce, egli è in grado di controllare giorno per giorno, d'influire giorno per giorno sull'orientamento, politico del suo partito e, attraverso questo, sull'orientamento politico del Parlamento e del Governo.

È un esercizio direi quotidiano di sovranità popolare che si celebra attraverso la vita dei partiti, e i partiti di massa sono veramente oggi la più alta espressione della democrazia, perché consentono a milioni di cittadini di diventare ogni giorno partecipi della gestione politica della vita del Paese.

Ma allora è chiaro che vi è una lacuna nella nostra Costituzione, la quale ignora l'esistenza dei partiti e ci ripete ancora schemi tradizionali di costituzioni che erano valide e legittime espressioni di condizioni sociali che non sono le nostre.

Anche qui io ricordo ai colleghi della prima Sottocommissione che avevo proposto un articolo che in qualche modo introducesse il Partito nella vita costituzionale, e dopo ampie discussioni la Sottocommissione fu unanime nell'accogliere il principio, ma ritenne di demandarne l'applicazione pratica alla seconda Sottocommissione, la quale, non so perché, lo ha ignorato completamente ed ha dato un testo costituzionale che, non c'è dubbio, sotto questo aspetto rappresenta una vera lacuna.

[...]

Cevolotto. [...] L'onorevole Calamandrei ha fatto una grave osservazione che purtroppo tutti, più o meno, abbiamo fatto in varie occasioni. Altro scoglio al quale ci troviamo davanti: è possibile, mentre noi facciamo e vogliamo formare la Costituzione di una Repubblica parlamentare, è possibile ancora la funzione del Parlamento? Ha ancora funzione il Parlamento? Questa è la domanda. Il nostro è un progetto di Costituzione parlamentare, bicamerale, con tutti gli annessi e connessi dell'apparato parlamentare; ma già qui nell'Assemblea molte volte ci siamo accorti che il Parlamento — diciamolo pure — funziona con difficoltà; non dirò non funziona, ma funziona fino a un certo punto. I partiti decidono; ed è giusto che oggi siano i partiti a decidere. Qui cosa veniamo a fare? A discutere per convincere? Forse. Ma chi anche sia convinto, poi vota secondo la disciplina del suo partito. E allora, qual è la funzione di questo Parlamento? Qual è la funzione del Deputato? È una funzione tecnica, sì, la formazione delle leggi, l'elaborazione delle leggi nel nostro caso, poiché noi siamo la Costituente, l'elaborazione della Costituzione. Ma la vita politica vera sfugge al Parlamento e si concentra nei partiti. Ed ecco, allora, la domanda logica di Calamandrei: «Ma perché non avete disciplinato la vita dei partiti nella Costituzione». Perché? Ma perché forse domani vi saranno forme nuove, sorgeranno forme nuove; oggi non sono ancora sorte e non si preannunziano. Non è poi detto che Parlamento e democrazia siano termini indissolubilmente connessi; domani sorgeranno forse altre forme politiche in cui la democrazia esprimerà la sua funzione politica. Oggi non vi è che questa vecchia forma, anche se funziona male e forse — diremo le cose come stanno — si avvia al suo tramonto, anche se oggi vi sono i partiti.

Ma in Italia si poteva basare, in una Costituzione, la vita politica della Nazione sui partiti? Io non lo so. Non è questo che Calamandrei chiedeva. Certo non vi era né il tempo, né il modo di studiare una innovazione così profonda. Anche perché i partiti in Italia sono, sì, ormai formati e delineati nelle loro grandi linee, ma non raccolgono, non che la totalità, neanche la maggioranza degli elettori: vi è tutta una massa ondeggiante che vota e aderisce ai singoli partiti, ma non ne fa parte e che si sposta. Non vi sono ancora delimitazioni precise; i vari partiti sono molte volte in trasformazione: abbiamo assistito e assistiamo a scissioni, a moltiplicazioni per divisione, ad assorbimenti, a riorganizzazioni diverse delle varie correnti: è anche qui una massa in formazione, una massa che fermenta.

Regolare sui partiti e nella vita dei partiti e con i partiti la vita politica non è sembrato facile, anzi non è sembrato che fosse possibile. Ecco perché dei partiti nella Costituzione si è fatta parola soltanto in un breve articolo, alquanto generico.

Certo è che il Parlamento è regolato secondo una formula vecchia che non risponde più alla situazione e non risponde più all'affermarsi dei partiti nella nostra vita politica. Potranno rimediare a questo difetto in qualche parte le leggi elettorali? Forse. Qualche miglioramento attraverso le leggi elettorali è sperabile per riportare la vita parlamentare ad un livello che sia tollerabile.

[...]

Saragat. [...] Merito di questa Costituzione è l'avere accantonato le forme corporative, che possono falsare il gioco della volontà popolare; ma uno dei difetti di questo testo è di avere dimenticato qual è lo strumento che oggi dà veramente una forma di rappresentanza organica alla volontà popolare nelle democrazie moderne. Qual è questo strumento? È il partito politico. Questa è la vera forma di rappresentanza organica della democrazia. Eppure in questa Costituzione questo strumento fondamentale che è il partito politico non esiste. Se ne fa un vago accenno e non si intende che proprio lì è il fulcro delle democrazie moderne.

Ora, un oratore, se non mi sbaglio, l'onorevole Calamandrei, ha accennato alla possibilità di determinate garanzie costituzionali per il funzionamento democratico dei partiti. E ho udito una obiezione, che è venuta dall'estrema sinistra, in cui si diceva che il popolo giudicherà se i partiti sono democratici o meno, dando il voto o non dandolo. Questa è una illusione, perché se veramente questo criterio fosse valido, il problema non si porrebbe. La tragedia è che molte volte il popolo può essere ingannato. Tutta la storia è un esempio di questi inganni di cui il popolo è stato vittima. Il popolo molte volte ha votato per partiti che erano antidemocratici, totalitari, reazionari. Ora, può questa Costituzione studiare qualche cosa che dia al popolo la garanzia di essere tutelato da questi inganni? I partiti politici sono lo strumento più efficace della volontà popolare se essi sono democratici. Questo è il punto fondamentale della realtà politica moderna. Se ciò è, la democrazia è al riparo di ogni pericolo. Ma se i partiti sono tendenzialmente antidemocratici, allora tutto il problema della democrazia è posto in discussione, ed è difficile determinare un criterio di discriminazione fra partiti democratici e partiti che non lo sono, perché tutti i partiti, tutti indistintamente, tendono a trasformare lo Stato e la società, e mentre oggi, in un certo senso, tutti i partiti sono profondamente esclusivisti, ogni partito è la cellula di formazione di un nuovo tipo di società e di un nuovo Stato. Questa, più o meno, è la tendenza generale dei partiti politici di oggi.

Ora, io penso, che se questo esclusivismo dei partiti, lo chiamerò così, è spinto fino al punto di fare, delle eliminazioni violente degli altri partiti, l'obiettivo tacito ed espresso, allora l'esclusivismo cessa ed al suo posto subentra spesso una cosa più grave, che è il totalitarismo.

Questo è il criterio di discriminazione tra partiti democratici e partiti che non lo sono. La garanzia contro questo pericolo è rappresentata oggi, nella democrazia moderna, dalla pluralità dei partiti. Dove ci sono molti partiti c'è una specie di neutralizzazione di forze antagonistiche e di queste tendenze esclusivistiche; ma più che la pluralità dei partiti, a mio avviso, è nella funzionalità democratica, nella vita democratica dei partiti stessi che risiede la garanzia di vita della democrazia politica. E, ciò che è grave, nel nostro tempo gli elementi fondamentali della vita politica, gli elementi fondamentali che creano lo Stato, si elaborano in un'atmosfera che molte volte sfugge al controllo dell'opinione pubblica e sfugge in parte al controllo degli stessi militanti che vivono nell'interno dei partiti. Ma se nel militante da un lato si determina un comportamento di devozione e di sacrificio, che è altamente sociale, dall'altro lato la vita di partito determina in lui un comportamento conformistico che molte volte è in netta opposizione con lo spirito critico e che può costituire una minaccia per la democrazia. I capi di partito sovente sono costretti a richiamare i loro militanti ai pericoli del settarismo che insidia e minaccia le finalità democratiche nell'interno dei partiti stessi. E questo è il processo che minaccia la democrazia moderna. Tutto dipende dal modo come i partiti funzioneranno, dipende dalla possibilità di mantenere una vita democratica nell'interno dei partiti stessi. Può la Costituzione offrire delle garanzie per favorire questo processo di sviluppo democratico nell'interno dei partiti o non può farlo? Questo è il problema. Ora, ci sarebbe da fare un lungo discorso, che io non voglio fare. Dirò che la migliore garanzia è nella creazione di un clima generale politico del Paese che favorisca la tolleranza reciproca. E questo clima non si può alimentare che in un'atmosfera sociale in cui i peggiori antagonismi economici vengono soppressi, in un regime economico che attenui i motivi di sofferenza e di rivolta morale della classe lavoratrice.

In altri termini, soltanto con la giustizia sociale si possono risolvere questi problemi. Il problema della giustizia sociale ed il problema della libertà sono intimamente collegati. Implicitamente, il progetto nella sua esplicita enunciazione dei diritti sociali dell'individuo, indica questo rimedio fondamentale ed il pericolo di un avviamento al totalitarismo.

Un'altra garanzia, a mio avviso, del funzionamento democratico dei partiti è nel civismo degli stessi militanti che si trovano nell'interno di questi partiti, civismo che può dare un certo equilibrio di patriottismo di partito. Ma è chiaro che un accenno a questo problema e qualche garanzia devono pure essere formulati nella Costituzione. Per una certa analogia, si sarebbe potuto applicare ai partiti politici quello stesso criterio che nella Costituzione si è applicato per la stampa. Un certo controllo analogo a quello sul funzionamento dei giornali si sarebbe potuto, a mio avviso, elaborare per quanto si riferisce alla vita interna dei partiti politici.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti