[27 settembre 1946, seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione.]

Bordon dichiara che, se fosse stato presente nell'ultima riunione, avrebbe votato l'articolo proposto dall'onorevole Lussu.

Farini fa analoga dichiarazione nei riguardi dell'ordine del giorno La Rocca-Grieco.

Il Presidente Terracini, ricordata l'approvazione nella riunione precedente di un ordine del giorno Tosato, ai termini del quale la base elettiva della seconda Camera deve essere comunque regionale, avverte che si deve passare ora all'esame del tema successivo: pratica attuazione del principio della rappresentanza regionale. Fa presente che nel corso della discussione si sono manifestate varie tendenze e precisamente: per una rappresentanza degli interessi regionali; per una rappresentanza tipicamente di categorie, sempre nell'ambito della regione; per una rappresentanza della regione considerata esclusivamente come entità territoriale. V'è altresì un sistema misto, previsto nell'articolazione dell'onorevole Conti, la quale, però, dovrebbe essere modificata per renderla aderente alla decisione presa circa la base regionale della rappresentanza.

Conti, Relatore, è d'accordo e aderisce anche al desiderio di alcuni colleghi di modificare le sue proposte nel senso di stabilire che ogni Assemblea regionale elegge un numero fisso di senatori.

Lussu, ricordato che alla sua proposta di comporre la seconda Camera con un numero fisso ed eguale di rappresentanti per ogni regione fu mossa l'obiezione che essa tradiva una aspirazione federalistica, si dichiara disposto a scendere su un terreno di compromesso. Accetterebbe infatti la soluzione di determinare — scartando l'ipotesi della rappresentanza di categorie ed enti culturali, che è contraria alle sue idee — un numero di rappresentanti per ogni regione proporzionato alla popolazione.

All'uopo propone la seguente formula:

«La seconda Camera è composta di un numero di rappresentanti proporzionale al numero degli abitanti (o, se si preferisce, degli elettori) della regione».

Nobile chiede se la questione del tipo di rappresentanza debba considerarsi pregiudicata dalle decisioni precedenti.

Il Presidente Terracini precisa che nell'ordine del giorno votato si è usata un'espressione molto larga, in quanto si è parlato di «forze vive». Ora si tratterebbe, appunto, di stabilire che cosa s'intende per «forze vive».

Bozzi osserva che l'onorevole Lussu nel suo ordine del giorno non dice come i senatori dovrebbero essere eletti: se dalle Assemblee regionali oppure no.

Lussu consiglierebbe una elezione di secondo grado.

Il Presidente Terracini avverte che la questione sarà presa in esame in un secondo tempo.

Dà notizia di un progetto presentato dall'onorevole Mortati, che prevede all'articolo 5 una forma di rappresentanza duplice. Detto progetto consta dei seguenti 10 articoli:

«Art. 1. — Il potere legislativo è esercitato collettivamente dalla Camera dei Deputati e dal Senato.

Art. 2. — La formazione e cessazione delle due Camere avvengono contemporaneamente.

Art. 3. — Il Senato è composto da membri eletti dalle regioni, in numero di 300, per la durata di 5 anni. Il numero dei senatori assegnato ad ogni regione è proporzionale a quello dei cittadini in essa domiciliati. Tuttavia nessuna regione potrà avere un numero di rappresentanti superiore a ... né inferiore a ...

Art. 4. — Per ogni senatore sarà eletto un supplente.

Art. 5. — I seggi di senatore assegnati ad ogni Regione sono per metà coperti con elezione a suffragio diretto, universale, e per l'altra metà con elezioni da effettuarsi nell'ambito di speciali collegi elettorali, formati in base alla appartenenza dei cittadini ad una delle seguenti categorie di attività produttive: a) agricoltura e pesca; b) industria, compresa quella dei trasporti e bancaria; c) commercio; d) scuola e cultura; e) giustizia; f) urbanistica, sanità ed igiene; g) amministrazione pubblica.

Art. 6. — I seggi assegnati ad ognuna delle categorie di cui all'ultima parte del precedente articolo, verranno attribuiti in parti uguali da distinti subcollegi formati rispettivamente dagli addetti ad attività di lavoro salariato, oppure di lavoro autonomo direttivo.

Art. 7. — L'assegnazione del numero dei membri da eleggere dalle singole categorie nell'ambito di ciascuna regione sarà fatta con legge costituzionale, da sottoporre a revisione periodica ogni 10 anni, tenendo conto del diverso grado di efficienza di ognuna.

Art. 8. — I procedimenti elettorali per la nomina dei due gruppi di senatori saranno determinati da apposita legge.

Art. 9. — Partecipano alle elezioni per la parte dei senatori da eleggere a suffragio generale tutti i cittadini i quali abbiano compiuto il 25° anno di età.

Sono elettori nei collegi speciali i cittadini appartenenti alle singole categorie che abbiano compiuto il 21° anno di età (oppure, che abbiano raggiunto la maggiore età).

Art. 10. — Sono eleggibili alla carica di senatore i cittadini, i quali, oltre a possedere i requisiti richiesti per le elezioni alla Camera dei Deputati, abbiano raggiunto l'età di anni 40, e abbiano coperto per almeno due anni una delle seguenti cariche:

a) ... ecc.

Per l'elezione nei collegi speciali occorre altresì che i candidati appartengano effettivamente alla categoria corrispondente a ciascuno dei collegi stessi».

Tosato ricorda di aver presentato una proposta che differisce in parte da quella dell'onorevole Mortati.

Il Presidente Terracini fa rilevare che con la proposta Tosato si circoscrivono le elezioni nell'ambito ristretto di determinate categorie, escludendosi una rappresentanza puramente territoriale.

Zuccarini parte dal presupposto che il Senato debba avere una funzione integratrice e perfezionatrice nei riguardi della prima Camera, e debba essere espressione di un pensiero più maturo, di una maggiore ponderazione. Trova che porre a base della sua composizione la rappresentanza di interessi, significherebbe restringere la visuale ad un campo particolaristico, anziché generale. Se ciò è inopportuno, è altresì difficile stabilire quali sono questi interessi, e a quali va data la prevalenza. V'è inoltre da aggiungere un'altra considerazione, e cioè che, con questo sistema, non si conferirebbe alla seconda Camera maggiore competenza o capacità. Ogni rappresentante di interesse sarebbe particolarmente competente nel suo campo e l'unione di diverse competenze specifiche darebbe luogo all'incompetenza generale. Un agricoltore, ad esempio, potrà decidere con cognizione di causa su questioni che riguardano l'agricoltura, ma chiedere un parere al riguardo ai rappresentanti di altri interessi equivarrebbe a chiedere il parere di incompetenti.

Per queste ragioni è contrario alla rappresentanza di interessi, come pure alla rappresentanza mista, territoriale e di interessi, che comporterebbe una duplice partecipazione alle stesse elezioni; ed esprime il parere che il sistema migliore sia quello della rappresentanza esclusivamente regionale, che dà modo al cittadino di manifestare la sua volontà una prima volta come individuo politico, attraverso l'elezione della prima Camera, ed una seconda volta come persona interessata ai problemi amministrativi ed economici della sua regione.

Einaudi non si rende conto di come una elezione fatta unicamente per regioni possa dare una rappresentanza diversa da quella della prima Camera. A meno che per la prima Camera non si costituisca un collegio nazionale, anch'essa sarà eletta da elettori appartenenti alle singole regioni. Occorre un criterio discriminatore, affinché si possa dire che con la prima elezione non si ha una rappresentanza delle regioni, mentre lo si ha con la seconda.

Nobile si dichiara contrario al criterio della rappresentanza di categorie. Spingendo al paradosso l'obiezione dell'onorevole Zuccarini, osserva che se, per esempio, i rappresentanti fossero 150 e 150 gli interessi rappresentati, nella trattazione di un qualsiasi argomento ci sarebbero un solo competente e 149 incompetenti. È invece favorevole all'elezione, senza limiti di interessi da rappresentare, da parte dell'Assemblea regionale e alla determinazione di un numero eguale di rappresentanti per ogni regione, così da dare a ciascuna lo stesso peso nelle decisioni.

Laconi condivide l'opinione dell'onorevole Zuccarini. Il sistema della doppia rappresentanza — tipicamente regionale e di interessi regionali — non considera l'assurdità di una distinzione tra rappresentanti regionali e rappresentanti di interessi regionali. In sostanza si dovrebbero creare come due piccoli parlamenti che in comune non avrebbero che il fatto di sedere nella stessa aula.

A suo avviso, l'unica rappresentanza concepibile è invece quella genericamente regionale. D'altronde, una seconda Camera così composta potrebbe rimediare alle eventuali deficienze attraverso gli apparati tecnici di cui potrebbe circondarsi e mantenendosi in contatto con gli organismi tecnici della regione.

All'obiezione dell'onorevole Einaudi risponde che un criterio distintivo tra le due Camere si avrebbe già nella diversità del mandato: mentre i deputati ricevono un mandato genericamente politico, i senatori avrebbero un preciso mandato di rappresentanza regionale.

Una seconda distinzione si avrebbe poi nel corpo elettorale, poiché la seconda Camera non sarebbe costituita con i criteri larghi della prima, ma con una scelta oculata e selezionata.

Si dichiara infine contrario alla tesi Tosato di una rappresentanza unicamente di interessi regionali, che porrebbe le Assemblee regionali di fronte alla insormontabile difficoltà di determinare una proporzione ed una scala di valori tra i vari interessi.

Ripete, per concludere, che unica soluzione accettabile è quella di costituire la seconda Camera con rappresentanze regionali genericamente intese, rimanendo implicito che esse rispecchiano la situazione regionale sotto tutti i punti di vista, anche sotto quello degli interessi economici.

Lami Starnuti si dichiara contrario alla rappresentanza degli interessi, soprattutto tenuto conto del fatto che le categorie riescono sempre, anche se non è loro riconosciuta una rappresentanza diretta, a farsi valere attraverso le elezioni politiche.

Difficilissimo ritiene poi lo stabilire la proporzione tra le varie categorie di interessi, e gradirebbe che l'onorevole Mortati, uscendo dal generico, indicasse con un esempio pratico quale potrebbe essere la ripartizione dei seggi fra le categorie di una determinata circoscrizione regionale, presa come circoscrizione tipo.

Concorda con l'onorevole Lussu che il numero dei seggi dovrebbe essere stabilito in proporzione alla popolazione della regione, il che consentirebbe di mantenere esattamente il rapporto proporzionale tra eletti ed elettori. Assegnando a ciascuna regione un numero fisso di seggi, indipendentemente dalla rispettiva popolazione e con la sola differenziazione delle categorie, si creerebbe una fisionomia politica della seconda Camera non corrispondente a quella reale del Paese.

Mortati, Relatore, si propone di illustrare più dettagliatamente le sue proposte, venendo così incontro al desiderio di alcuni colleghi.

Premette che, in sostanza, i fini politici che si vogliono realizzare con la seconda Camera si possono riassumere nelle seguenti tre proposizioni: 1°) maggior contatto tra l'orientamento generale e gli interessi concreti del paese, che dovrebbero tutti avere una loro rappresentanza; 2°) realizzazione ad arte di quel necessario equilibrio fra tutte le forze politiche che consenta alle più deboli, a quelle che in sede di elezioni politiche non hanno potuto conseguire, per la natura stessa del suffragio universale, una adeguata affermazione, di organizzarsi e di acquistare coscienza di sé; 3°) maggiore idoneità ad affrontare i compiti affidati al Parlamento — che in uno Stato moderato è chiamato a risolvere una quantità di questioni tecniche — attraverso l'immissione di elementi particolarmente competenti.

Appunto per raggiungere questi fini egli ha proposto di abbinare al criterio funzionale quello organico, intendendo con quest'ultimo il collegamento della rappresentanza politica con le varie articolazioni, territoriali e di categorie produttive, che formano la struttura sociale della nazione.

Ritiene che la esigenza di una rappresentanza separata di interessi territoriali e di categoria non venga inficiata dalle obiezioni che sono state sollevate. L'onorevole Terracini ha opposto che la rappresentanza degli interessi trovasi già realizzata dai partiti nelle elezioni politiche. Se così fosse, il problema sarebbe già risolto. Ma l'onorevole Einaudi ha giustamente fatto rilevare che questa rappresentanza, se vi è, è casuale. Sebbene il concetto dell'onorevole Einaudi sottintenda uno dei postulati della teoria liberale, secondo il quale le forze sociali in lotta devono trovare da se stesse il loro equilibrio, l'affermazione della casualità di rappresentanza non può non fare riflettere che in una collettività, organizzata secondo criteri politici non puramente liberistici, occorre trovare i correttivi, non per mutare artificiosamente il rapporto di forze, ma per consentire a tutte le forze politiche di avere assicurata una propria rappresentanza in seno agli organi legislativi. Lo stesso onorevole Einaudi ha ammesso, d'altra parte la necessità di assicurare comunque la rappresentanza degli interessi culturali. La tendenza degli Stati moderni è non soltanto nel senso di affermare i diritti di libertà di rappresentanza, ma anche in quello di assicurare tali diritti, creando i presupposti necessari affinché sia garantita la partecipazione di tutti i cittadini e di tutte le categorie.

D'altra parte, quando si parla di interessi generali, non si deve dimenticare che l'interesse generale scaturisce dalla confluenza dei vari interessi particolari. I fascisti e i nazisti presumevano di avere dalla divinità la capacità di interpretare l'interesse generale, e quindi di potere esercitare dall'alto un compito equilibratore delle forze politiche. Ma l'interesse generale non è un «a priori»; al contrario, è un «a posteriori», cioè, la risultante dell'accordo fra vari interessi particolari. L'onorevole Terracini ha sostenuto che i partiti trovano nelle loro ideologie il mezzo per operare una sublimazione degli interessi delle varie classi. Ma in qual modo potrebbero fare ciò? Se essi non possono invocare l'intervento divino, non sono suscettibili di operare la sintesi precisa se non ascoltando la voce, allo scopo del coordinamento, del maggior numero di esponenti di interessi frazionari. Più si facilita la partecipazione degli interessi particolari alla cosa pubblica, e meglio si raggiunge l'interesse generale, la cui realizzazione riuscirà perciò più aderente alle situazioni create.

Non crede fondata l'eccezione che questi interessi rimarrebbero sempre interessi particolari, perché si tratta di organizzarli in modo che riescano a superarsi. A suo avviso un tale scopo meglio si otterrebbe facendo intervenire queste forze particolari in un organo che assumesse responsabilità politiche.

Con le proposte formulate si vuole proprio fare della camera di categorie una vera camera politica — si vuole cioè che quegli interessi siano messi in condizione di agire con piena coscienza di sé, e siano chiamati a trovare essi stessi la confluenza del particolare che rappresentano nell'interesse generale.

È noto che spesso quello che i partiti sbandierano quali interessi generali nascondono sotto questa etichetta interessi particolari. Per esempio i siderurgici, gli zuccherieri, i granari, sono titolari di interessi che fanno valere surrettiziamente attraverso l'etichetta del bene della Patria, dell'interesse nazionale. Se invece si costringessero a rivelarsi per quello che sono, ad assumere la loro responsabilità e ad inquadrare le loro esigenze particolari nell'interesse pubblico, si farebbe cosa utile.

Si vuole in sostanza ottenere che i portatori delle varie esigenze di categoria portino sì la voce della loro classe, ma siano anche obbligati ad uniformare la loro attività all'interesse generale, costringendoli a rispondere del loro operato di fronte a tutta la Nazione. Gli operai che chiedono un aumento salariale se, invece di agire fuori del campo politico, dovessero far sentire la loro voce direttamente in una Assemblea legislativa, sarebbero impegnati a prender posizione circa le conseguenze politiche della loro richiesta; sarebbero obbligati a pronunziarsi sulla preferenza verso una politica di inflazione o di deflazione, a dichiarare i loro criteri circa un'eventuale redistribuzione del reddito, ecc. Così essi farebbero valere i loro interessi particolari in un quadro politico generale. È in questo modo che l'oratore concepisce la rappresentanza degli interessi.

Ciò premesso, osserva che si tratta di trovare i modi di organizzazione del suffragio di cui si parla più idonei ad ottenere la politicizzazione degli interessi di categoria. Taluni hanno pensato alle elezioni di secondo grado; altri, come l'onorevole Tosato, ritengono opportuno che questi interessi possano venire in luce attraverso la determinazione delle categorie eleggibili. Quindi l'industria, il commercio, l'agricoltura, ecc., sarebbero rappresentati, non attraverso rappresentanze di gruppi, ma attraverso ad elezioni generali o dirette o di secondo grado.

A chi si è posta la domanda perché egli, dal canto suo, abbia consigliato due specie di rappresentanza regionale, fa presente che certo l'ideale sarebbe una Camera tutta formata di rappresentanti di categorie; ma, limitandosi alla rappresentanza delle attività produttive, si lascerebbero fuori numerose categorie di cittadini non inquadrabili; per esempio, le donne non addette a lavori produttivi, i militari, i ministri del culto, i pensionati, gli studenti. Questi resterebbero esclusi dal suffragio, mentre — essendosi premesso che la seconda Camera dovrà uniformarsi, nei limiti del possibile, alla prima per quanto riguarda l'efficacia rappresentativa — occorreva trovare una maniera per ovviare all'inconveniente. Perciò ha proposto che una metà dei seggi sia attribuita dai cittadini in generale, mediante suffragio diretto e universale.

Precisa all'onorevole Einaudi, che ha domandato se e come la seconda Camera si distinguerebbe dalla prima, che i criteri di differenziazione sono molteplici. Un primo riguarda la categoria degli elettori, che dovrebbero avere 25 anni di età; un secondo i requisiti per la eleggibilità (età superiore ai 40 anni e appartenenza a determinate categorie generali di capacità, da determinarsi con apposita elencazione); un terzo il metodo delle elezioni; un quarto la diversa rappresentanza attribuita alle regioni. Al riguardo osserva che, se si respinge la tesi di una rappresentanza paritetica per ogni regione, che è considerata troppo federalistica, e si accoglie il criterio della proporzionalità con la popolazione, occorre determinare un limite minimo ed un limite massimo nel peso politico delle varie regioni. Come esempio di ordinamenti, in cui le due Camere elette entrambe a suffragio universale si differenziano per le diverse modalità dei congegni rappresentativi, cita la Svizzera, gli Stati Uniti, la Cecoslovacchia, ecc.

Superate queste obiezioni osserva che rimane la difficoltà pratica di individuare queste categorie. Qui si duole di non poter rispondere all'invito di precisare, rivoltogli dall'onorevole Lami Starnuti, perché purtroppo gli mancano quegli elementi concreti che invano ha domandato da molto tempo, anche a mezzo di appositi ordini del giorno. È il primo a riconoscere che una riforma, che non si limiti ad un rimaneggiamento dello Statuto Albertino, come alcuni vorrebbero, ma che miri a sostanziali innovazioni nell'ordinamento statale, presuppone un complesso di studi e di ricerche statistiche ed economiche che mancano. C'è questa grave lacuna nel lavoro della Sottocommissione, che risente così di uno scarso contatto con la realtà. Ad ogni modo, riservandosi di fare maggiori precisazioni, esprime la convinzione che il problema, anche se molto arduo, non è di impossibile soluzione. Potrà invece risolversi attraverso la conoscenza di dati di fatto, ed il ricorso ad un criterio di peso politico secondo del resto è stato fatto in altri Stati, compreso lo Stato bolscevico, che per un certo tempo ha avuto una rappresentanza politica sulla base delle categorie.

C'è infine il pericolo della cristallizzazione, segnalato dall'onorevole Einaudi, da cui bisogna premunirsi. A questo scopo propone che l'assegnazione del numero dei membri, che dovrebbe eleggere ciascuna categoria nell'ambito della regione, sia fatta con legge costituzionale da sottoporre a revisione periodica ogni 10 anni. Così si evita che delle forze politiche possano contrastare la nascita e lo sviluppo di nuove categorie produttive.

L'onorevole Einaudi ha anche accennato all'opportunità di ammettere solo una rappresentanza di ceti culturali, escludendo le categorie economiche. Ritiene invece che utilmente anche queste potrebbero far udire la loro voce nelle decisioni che il Parlamento è chiamato a prendere, non solo nel campo tecnico, ma anche in quello politico; e rileva che l'utilità discende dalla possibilità di giungere per tal mezzo ad una integrale rappresentanza dei vari interessi. Quando, per esempio, gli agrari della Puglia o della Calabria avessero assicurato una loro rappresentanza nel Parlamento, sarebbero meglio in grado di far valere le loro specifiche esigenze di fronte agli agrari di Lombardia, i quali potrebbero essere portati dalla loro maggiore efficienza politica a tentare la realizzazione di interessi in contrasto con quelli di altre regioni meno difese. Il fenomeno storicamente è constatato. Per suffragare la sua tesi con un altro esempio, ricorda che il Partito Socialista ha affermato e sostenuto la necessità della tutela degli interessi del proletariato, come classe unitaria, in Italia; ma in effetti sono stati gli operai dell'alta Italia, più organizzati, più vicini alla vita politica che hanno esplicato od appoggiato un atteggiamento politico che in taluni casi è tornato a danno degli interessi dei contadini o di altre categorie del mezzogiorno.

Considera pertanto necessario trovare i congegni atti, se non a neutralizzare, a limitare questo predominio di ceti politicamente più potenti e ad equilibrare meglio le forze politiche e gli interessi delle varie regioni.

 

Patricolo concorda pienamente con l'onorevole Zuccarini sulla opportunità che la seconda Camera sia esclusivamente rappresentante delle regioni come entità territoriali e crede di ravvisare nella doppia rappresentanza politica e di interessi una sommessa nostalgia della Camera corporativa. Aggiunge che, se mai, questa forma di rappresentanza avrebbe potuto essere presa in considerazione agli effetti della composizione della prima Camera, sia perché essa, essendo più numerosa, avrebbe potuto meglio rispondere alle esigenze di una rappresentanza generale di interessi, sia perché, attraverso al suffragio universale, si sarebbe potuta ottenere una vera rappresentanza delle varie categorie di interessi del popolo italiano. Viceversa, una elezione di secondo grado — verso la quale sembra che ci si orienti — non consentirebbe una rappresentanza aderente alla realtà di questi interessi, intesi nella loro precisa funzione e nella loro vastità. Aggiunge che, partendo dal punto di vista che la seconda Camera debba avere un numero di componenti inferiore a quello della prima Camera, già si restringe la rappresentanza in maniera tale che non si vede come possa rispondere allo scopo. Ma se poi si ammette il 50 per cento di rappresentanza politica ed il 50 per cento di rappresentanza delle categorie, si arriva ad un massimo di 150 deputati rappresentanti degli interessi. Come potrebbe mai un così limitato numero di persone rappresentare adeguatamente gli interessi di tutte le categorie del popolo italiano?

Ciò premesso, osserva che occorre scegliere tra le due forme di rappresentanza: quella politica e quella degli interessi. Se si scegliesse quest'ultima, occorrerebbe ritornare sulle decisioni già prese in tema di composizione della prima Camera, e vagliare l'opportunità di affidarla ad essa.

Richiama anche l'attenzione sul fatto che, predeterminando le categorie che dovrebbero costituire la base della rappresentanza della seconda Camera, si corre il rischio di creare sperequazioni dannose ai fini della tutela degli interessi generali del Paese.

Riprendendo il tema dell'ammissione in Senato di uomini di alto merito, nota che si è esclusa la possibilità di nomina da parte del Capo dello Stato, ma che si potrebbe consentire a ciascuna Assemblea regionale di eleggerne uno. Si ovvierebbe così all'inconveniente di una investitura dall'alto e si avrebbe nello stesso tempo l'apporto di esperienza di uomini che costituiscono un lustro per la Nazione. Propone quindi una norma che suoni così: «Spetta a ciascuna Assemblea regionale la nomina di un senatore, scelto fra cittadini di alto merito della Regione».

Mannironi presenta il seguente ordine del giorno:

«Il Senato viene costituito dalle Assemblee regionali, le quali eleggeranno tre rappresentanti della regione ed inoltre un rappresentante per ogni 300 mila abitanti, scegliendoli fra gli esponenti dell'agricoltura, della industria, del commercio, del lavoro e degli studi, nella proporzione fissata dalle singole Assemblee regionali a ogni legislatura».

La Rocca manifesta la viva preoccupazione che si possano, volontariamente o no, alterare i risultati del suffragio universale. Pensa che, se non fosse stata accettata la parità della seconda Camera, si sarebbe anche potuto discutere di certe questioni; ma non lo si può più fare dopo che si è affermato che la seconda Camera è sul medesimo piano della prima per quanto riguarda non solo l'attività legislativa, ma anche l'indirizzo politico, potendo anch'essa concedere o rifiutare la fiducia al Governo. A suo avviso, alla base di tutte le concezioni di cui ha inteso parlare, c'è un criterio antidemocratico nel senso che si vorrebbe che la seconda Camera divenisse un muro nei confronti della prima.

Con una schiacciante esuberanza di argomenti ritiene poi che si potrebbe rispondere alla lunga esposizione teorica dell'onorevole Mortati. Egli ha sostenuto che la seconda Camera dovrebbe servire a garantire un maggior contatto tra gli orientamenti generali e gli interessi concreti; nel che è implicito che tale compito esulerebbe dalla prima Camera che, pur essendo lo specchio, il riflesso della volontà popolare, non sarebbe in grado di assolverlo. Ritiene che a nessuno possa sfuggire come tale tesi comporti una svalutazione della prima Camera.

Un altro fine che il progetto Mortati si propone è quello di dare alla seconda Camera un carattere accentuatamente politico. Ora, questo nuovo contributo politico rappresenterebbe non tanto un elemento di equilibrio di forze politiche, quanto un elemento di contrasto con la prima Camera, tanto più che si tratterebbe di dar voce a degli interessi passando un colpo di spugna sulla volontà popolare. Infatti, questi interessi, non espressi dalla volontà popolare, finirebbero per opporsi e sovrapporsi a quelli che trovano la loro normale tutela nella prima Camera. Senza contare che la prevalenza di certi interessi economici muterebbe la fisionomia politica del Parlamento.

Rileva che nel congegno ideato dall'onorevole Mortati una metà dei rappresentanti sarebbe eletta con elezione a suffragio diretto e universale e l'altra metà sarebbe tratta dalle categorie, degli agrari, industriali, professori di università, e sia pure anche operai e contadini. Ma si tratta di vedere quale predominio di rappresentanza si darà ad alcune categorie rispetto alle altre.

Piccioni obietta che questo dovrebbe decidersi in un secondo momento.

La Rocca nota che per ora su una cosa si è d'accordo: che, cioè, la seconda Camera debba essere l'espressione dell'ente regionale che si vuole creare. Spera che non si desideri invece che divenga il luogo di riunione di rappresentanti di ristrette categorie.

Posto che è altresì acquisito che la seconda Camera dovrebbe rappresentare le forze vive, produttive della Regione, crede che nessuno più delle Assemblee regionali sia in grado di scegliere quegli elementi che danno maggior affidamento di saper tutelare gli interessi regionali; e che in omaggio ai principî democratici bisognerebbe opporsi nella maniera più assoluta a che si possano gabellare per interessi generali, interessi del tutto particolari ed a che si dia una posizione di privilegio a determinate categorie.

Concludendo, propone che siano le Assemblee generali o i consigli comunali dei centri maggiori della regione a designare o eleggere i rappresentanti, il cui numero andrebbe fissato in misura proporzionale alla popolazione della regione.

Einaudi ricorda di aver domandato quali criteri autorizzino a considerare la rappresentanza della seconda Camera diversa da quella della prima ed a ritenere l'una espressione vera della regione e l'altra no. Non ritiene validi gli argomenti che sono stati prospettati (diversa età degli elettori, requisiti per l'eleggibilità, metodi di elezione, ecc.) a soddisfazione della sua richiesta. A suo avviso, l'unico elemento veramente discriminatore potrebbe consistere — se non si vuole arrivare a forme di rappresentanza come quella americana e svizzera — nello stabilire per la seconda Camera una rappresentanza non proporzionata alla popolazione. Questa sarebbe una condizione imprescindibile, per evitare di creare un doppione.

Quanto alla rappresentanza di interessi, non si rende conto perché si siano fatti risalire i suoi dubbi a presupposti liberistici. Riteneva e ritiene che una rappresentanza di interessi non dovrebbe essere rigida, ma elastica, sì da adattarsi continuamente alle nuove esigenze. Pertanto i requisiti per l'eleggibilità, a parte quello generale dell'età, dovrebbero consistere in titoli elastici, come ad esempio, il prolungato periodo di effettivo esercizio di una determinata professione, arte o mestiere.

Circa le elezioni di secondo grado, esprime l'avviso che esse hanno un significato soltanto in quanto gli elettori di secondo grado non siano stati eletti a questo scopo, ma siano già investiti di una funzione rappresentativa, come, ad esempio, i membri delle Assemblee regionali e i consiglieri comunali. Così pensa che potrebbe risolversi anche la questione della rappresentanza dei ceti culturali; a proposito della quale ricorda che in Inghilterra un limitato numero di seggi è riservato, nella Camera dei Comuni, ai rappresentanti delle Università, gli elettori dei quali hanno doppio voto: come tali e come elettori dei deputati politici.

Scendendo al campo dottrinale, osserva, a proposito della premessa (dalla quale parte sempre l'onorevole La Rocca nelle sue osservazioni) del rispetto della volontà popolare e della sovranità popolare, che oggi effettivamente non c'è altra formula dalla quale partire; ma si tratta soltanto di una formula e non di una verità scientificamente dimostrabile. Essa appartiene al novero di quei concetti che si chiamano miti, che sono, in sostanza, formule empiriche, accettabili in vista di determinati scopi (per esempio: trovare il migliore governo, stabilire un clima di libertà, evitare qualunque tipo di tirannia) ma che possono anche cambiare. In altri termini la formula della sovranità popolare non appartiene al novero delle verità scientifiche, indiscutibili, dimostrabili, che risultano dalla evidenza medesima delle cose; è piuttosto un principio di fede, e le verità di fede sono discutibili, non si impongono alla mente, ma solo al cuore e alla immaginazione. Il mito della sovranità popolare, che trae origine dal contatto sociale di J. J. Rousseau, è quindi utile per il raggiungimento di determinate finalità pratiche e non si può prescinderne nella vita politica attuale, ma occorre tener bene presente che non è una verità scientifica.

Fabbri, dopo essersi associato alle considerazioni dell'onorevole Einaudi, conferma la propria opinione che la seconda Camera dovrebbe essere un organo di stabilità permanente nella vita del Paese. Insiste pertanto nella proposta di stabilire in sei ani la durata del mandato, con rinnovamento di un terzo della Assemblea ogni due anni, in modo da conservare la caratteristica di Assemblea rappresentativa sempre in funzione, con i due terzi dei suoi componenti ed un ufficio di Presidenza, e pronta alle esigenze positive del Paese.

A suo avviso, la Carta costituzionale dovrebbe determinare: un numero totale dei componenti la seconda Camera, un numero fisso di seggi assegnati a ciascuna regione, i titoli di idoneità alla nomina e il meccanismo di elezione.

Circa le assegnazioni dei seggi a ciascuna regione, pensa che dovrebbe esser fatta seguendo un criterio politico. Si potrebbe, cioè, tenere particolare conto di quelle regioni del Mezzogiorno, che si sono sempre considerate oppresse dal Nord, e assegnare loro un numero maggiore di seggi in confronto alle province settentrionali.

Le Assemblee regionali in occasione di ciascuna elezione, la prima volta totale, poi parziale, stabilirebbero la ripartizione dei rappresentanti tra le forze vive locali, tenuti sempre presenti i requisiti di idoneità fissati dalla Costituzione. Chiunque fosse in possesso di tali requisiti potrebbe porre la propria candidatura e le elezioni dovrebbero avvenire per suffragio universale diretto, escluso il sistema della proporzionale, a maggioranza relativa, sempre che si raggiunga un determinato quorum di voti, ed eventualmente assicurando anche una rappresentanza di minoranza.

Come titolo di idoneità si riferirebbe a quello, consigliato dall'onorevole Einaudi, della esperienza compiuta nell'esercizio di una determinata professione, arte o mestiere.

Lussu intende mantenere il suo ordine del giorno, a meno che non ne venga presentato un altro che esprima in forma migliore lo stesso concetto. Crede anche che esso non necessiti di una lunga illustrazione.

Ha la netta impressione che l'impostazione della questione fatta dagli onorevoli Tosato e Mortati comporti il pericolo di ineguaglianze nell'esercizio di determinati diritti e di patenti ingiustizie.

Quando l'onorevole Lami Starnuti ha chiesto all'onorevole Mortati di esemplificare le sue proposte, quest'ultimo ha opposto che la questione è troppo complessa e che richiede lo studio di elementi che per il momento mancano; ma la verità è che più ci si riflette, più il problema appare insolubile. Non vede come si potrebbero far rientrare in predeterminate categorie di interessi tutti i cittadini che svolgono una certa attività. Per esempio, il lavoratore alla giornata ha bisogno di protezione più di ogni altro, mentre non potrebbe mai essere compreso in una elencazione di categorie. Altrettanto potrebbe dirsi di vari altri casi.

Rileva che all'obiezione dell'onorevole Einaudi, che ha sottolineato come non potrebbe esservi una differenziazione di interessi tra le due Camere, onde la seconda costituirebbe una duplicazione della prima, l'onorevole Mortati ha risposto citando l'esempio degli Stati Uniti e della Svizzera, senza tener conto che sono ambedue esempi di stati federali. Forse più utilmente si potrebbe prospettare l'esempio francese, ove la seconda Camera non è una ripetizione della prima, ma risulta da una composizione ben differente.

Non può fare a meno di apprezzare i concetti dell'onorevole Mortati ed il modo come li ha esposti, ma desidera fargli notare che nell'era attuale tutto è politica; persino alle cooperative, persino alle elezioni amministrative, che si era tanto raccomandato di non confondere con le politiche, si è data un'impostazione politica. È politica anche la filosofia, come ben sanno gli elettori di Benedetto Croce. In questo stato di cose è vano tentare, attraverso ad una sottile e perspicace impostazione, di trovare dei correttivi.

All'emendamento presentato dall'onorevole Patricolo, per consentire ad ogni regione di nominare un senatore tra gli uomini di chiara fama della regione stessa, in linea di massima non avrebbe da opporre alcuna contrarietà; ma non può non fare delle riserve circa la strana situazione alla quale darebbe luogo la contrapposizione degli uomini di maggior valore di ciascuna regione.

Conclude rilevando che bisogna compiere ogni sforzo per creare uno Stato democratico, in cui la maggioranza possa lavorare per l'interesse generale, senza ritorni offensivi di interessi particolaristici; e fa appello agli onorevoli Mortati e Tosato affinché non insistano nelle loro proposte che li fanno apparire come sostenitori di una causa ingiusta.

Uberti richiama ad una più esatta visione della realtà gli onorevoli La Rocca, e Lussu, i quali considerano l'idea di una rappresentanza delle forze produttive come una forma meno progressista di quella della sovranità popolare espressa mediante il suffragio universale.

Nella proposta dell'onorevole Mortati trova qualche cosa di veramente nuovo, che fa segnare una passo in avanti nella ricerca dell'espressione vera della volontà popolare. Occorre tener presente che nella società ci sono sempre nuove forze che premono, e confusamente si agitano nel tentativo di trovare più adeguata espressione. Tutti i rapporti di lavoro per mezzo della Confederazione del Lavoro e della Confederazione dell'Industria battono continuamente alle porte del Governo, che è costretto a trattare per risolvere determinati problemi. Ove una rappresentanza integrale di tali forze partecipasse ai lavori del Parlamento, questo non sembrerebbe più, come è sembrato finora, dissociato dalla vita fervida ed effettiva della Nazione. Si potrebbe obiettare che ci sono i sindacati, ma questi non sono nell'organizzazione statale. È pertanto indispensabile che tutte le forze produttive abbiano nel Parlamento una loro rappresentanza, attraverso la quale possano far ascoltare la loro voce, senza dover seguire altre vie.

Confuta quindi l'obiezione dell'onorevole La Rocca, secondo il quale il progetto Mortati avrebbe lo scopo di alterare i risultati del suffragio popolare, sostenendo che, invece, mira a rendere la rappresentanza più aderente alla realtà. Si tratterà di trovare il modo di darle pratica attuazione; ma a suo avviso, la concezione Mortati è senza dubbio la formula dell'avvenire. Se non sembreranno accettabili le sue proposte, bisognerà che almeno la sua idea sia accolta nella Costituzione. Invita perciò i colleghi ad esaminarla senza prevenzioni, perché ha un contenuto essenziale che finirà per affermarsi; tanto più che l'onorevole Mortati è sceso al compromesso di un sistema misto, rinunciando alla sua idea iniziale di formare una seconda Camera esclusivamente con rappresentanti di categorie. Si è sempre lamentata la scarsa rispondenza fra il Paese e la sua rappresentanza alla Regione, bisogna che anche il lavoro o la produzione entrino trionfalmente nella vita politica del Paese.

Bozzi propone la seguente articolazione:

«Art. 1. (come l'Art. 3 del progetto Mortati)

«Art. 2. — I Senatori sono scelti con elezione a suffragio diretto, universale da parte dei cittadini domiciliati in ciascuna regione.

«Possono essere eletti i cittadini domiciliati nelle regioni e appartenenti alle categorie indicate nell'articolo ... (elencazione dell'onorevole Tosato)

«Ciascuna assemblea regionale determina, all'inizio di ogni legislatura, i seggi che debbono spettare ad ogni categoria».

Mannironi nota che, nonostante gli aspri contrasti fra le diverse teorie, ci si avvia progressivamente, verso una soluzione che potrebbe considerarsi di compromesso.

Un primo accordo si è raggiunto sul concetto fondamentale che la composizione del Senato dev'essere a base regionale, con l'approvazione di un ordine del giorno col quale evidentemente non si intendeva solo fare un'affermazione formale. L'ordine del giorno ha un contenuto sostanziale che ora si tratta di concretare; si tratta, cioè, di vedere come il Senato possa, attraverso alla rappresentanza, divenire veramente l'espressione delle regioni.

Nell'animata discussione odierna ha ravvisato spesso il tentativo di annullare praticamente gli effetti di un'altra risoluzione, pure approvata e consacrata in un ordine del giorno, per la quale il Senato dovrà rappresentare le forze vive della Nazione. Occorre stabilire che cosa si è inteso per «forze vive», ed egli crede fuori dubbio che non possa trattarsi unicamente di forze politiche. Per conto suo, quando ha votato quell'ordine del giorno, ha inteso riferirsi — e crede che molti colleghi siano dello stesso avviso — ad attività, ad energie produttive del settore dell'agricoltura, dell'industria e del commercio.

Non può aderire alla definizione assolutistica dell'onorevole Lussu, che oggi tutto è politica, perché quando per esempio, il Parlamento dovrà occuparsi dei problemi dell'agricoltura, la politica avrà ben poco a che fare. Quelle energie, dunque, hanno anch'esse un diritto di rappresentanza, non fosse altro che per portare un contributo di esperienza indispensabile al legislatore.

Richiama pertanto l'attenzione dei colleghi sulla sua formulazione, in cui ha tentato di conciliare le opposte tendenze. In essa ha previsto che nel Senato dovrebbero essere rappresentate le regioni con un numero paritetico di rappresentanti e precisamente tre per ogni regione. La Sottocommissione, se crede, potrà anche elevarli a quattro o cinque. Quando si dicesse, per esempio, che ogni regione ha diritto di eleggerne cinque, si avrebbero già (posto che le regioni sono 16) 80 membri che sarebbero espressione esclusiva delle regioni, dal punto di vista politico, in un totale di circa 300 senatori. Il rimanente sarebbe invece l'espressione delle forze produttive, lasciando la determinazione delle rispettive proporzioni alle Assemblee Regionali. Queste potrebbero tener conto dei vari orientamenti dell'economia regionale, ovviando all'inconveniente della cristallizzazione segnalato dall'onorevole Einaudi.

Ha preferito rapportare alla popolazione il numero dei rappresentanti, per evitare di dare all'organizzazione statale un carattere federativo.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti