[Il 10 settembre 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo I «Il Parlamento», Titolo II «Il Capo dello Stato», Titolo III «Il Governo».]

Presidente Terracini. Secondo l'intesa che è stata fra noi raggiunta ieri, dobbiamo ora iniziare la discussione generale sui primi tre Titoli della Parte seconda, che saranno discussi congiuntamente per la connessione della materia. Gli iscritti a parlare, dei quali avevamo raccolto in precedenza i nomi, separatamente, Titolo per Titolo, sono stati naturalmente raggruppati in un unico elenco che è stato affisso stamani negli ambulacri dell'Aula.

E pertanto do la parola al primo iscritto, che è l'onorevole Codacci Pisanelli, il quale ha preso il posto dell'onorevole Riccio, che a sua volta parlerà al turno già spettante all'onorevole Codacci.

Ha facoltà di parlare l'onorevole Codacci Pisanelli.

Codacci Pisanelli. Onorevoli colleghi! Secondo gli accordi assunti ieri, abbiamo stabilito di occuparci in maniera organica e sintetica dei primi tre Titoli della seconda Parte del progetto di Costituzione, e precisamente del Parlamento, del Capo dello Stato, del Governo.

Per quanto riguarda questi tre Titoli, prego i colleghi di non meravigliarsi se, pur essendo uno dei membri della Commissione dei Settantacinque, assumerò un atteggiamento critico, specialmente per quanto riguarda la formazione della seconda Camera, in quanto che, proprio su questo punto, fu presa da noi posizione netta e benché la maggioranza sia stata favorevole alla redazione dell'attuale progetto, tuttavia noi rimaniamo fermi alla tesi già da noi sostenuta nei lavori per la redazione del progetto.

Ma, per procedere con ordine, ritengo opportuno, essendo il primo ad occuparmi della questione, riassumere brevemente il sistema accolto nel progetto e accennare agli argomenti più controversi in seno alla Commissione dei Settantacinque.

Per quanto riguarda il Parlamento, questione fondamentale fu quella se le Assemblee legislative dovessero essere una o due. Si trovarono di fronte, in altri termini, anche nella nostra Assemblea Costituente, i due principî che già si erano trovati di fronte in altre Assemblee Costituenti, e fu ampiamente dibattuta la questione se si dovesse accedere al monocameralismo od al bicameralismo.

La votazione, seguita al dibattito, portò all'approvazione del sistema bicamerale. È interessante, però, rilevare che, accettato in linea di principio il sistema bicamerale, successivi espedienti, come la formazione della seconda Camera in maniera quasi analoga alla prima, hanno fatto rientrare dalla finestra il monocameralismo clamorosamente cacciato dalla porta. Questa è la ragione per cui noi intendiamo riprendere il nostro primitivo progetto: intendiamo, cioè, che il sistema bicamerale venga integralmente applicato.

Per quanto riguarda la prima delle due Assemblee legislative non vi è stata particolare difficoltà ad intendersi. Stabilito il principio del suffragio universale integrato dalla rappresentanza proporzionale, e dopo aver accennato ai vari requisiti che si richiedevano, sia per l'elettorato attivo che per l'elettorato passivo, si è concluso per una Camera dei deputati non dissimile dalle ultime forme assunte da essa nel sistema parlamentare italiano. A differenza, però, da quanto avveniva nella nostra precedente Costituzione, il Progetto prevede, almeno formalmente, una completa parità tra le due Assemblee.

Mentre in passato, dal fatto che le leggi tributarie dovevano essere presentate prima alla Camera dei deputati e successivamente al Senato, mentre dalla consuetudine, secondo cui la seconda Camera doveva tenere un atteggiamento di remissività nei confronti della prima, poteva desumersi una certa supremazia della prima Camera nei confronti della seconda, il Progetto attuale tende a introdurre una parità, almeno formale, fra le due Assemblee, anche se praticamente essa non può trovare completa applicazione.

Per quanto riguarda, viceversa, la formazione della seconda Camera, i dissidi sono stati gravi nella Commissione dei Settantacinque. Il Progetto prevede che la seconda Camera venga formata, per due terzi, dall'elezione che viene attribuita ad un corpo elettorale ristretto, in quanto si richiede una età superiore a quella prevista per far parte del corpo elettorale che deve dare luogo alla prima Camera, e per un terzo dall'elezione dei vari Consigli regionali. Nell'un caso e nell'altro si hanno elezioni, nell'un caso e nell'altro si dà la possibilità di far rispecchiare nella seconda Camera, in maniera quasi identica, le stesse tendenze che hanno dato luogo alla formazione della prima. Ecco perché, come sostenevo in precedenza, in questa maniera, essendo le due Assemblee praticamente formate nello stesso modo, si finisce col respingere il principio del bicameralismo, perché quando alla formale distinzione delle due Assemblee non corrisponde una sostanziale distinzione, in quanto vengono formate in maniera quasi identica, è meglio riconoscere che, nonostante le contrarie dichiarazioni verbali, si accoglie in sostanza il sistema unicamerale.

Si aggiunga che, per gli atti di principale importanza, come la votazione della fiducia al Governo, l'elezione del Capo dello Stato e la dichiarazione di guerra, le deliberazioni vengono prese dalle due Camere riunite nell'Assemblea Nazionale, cioè praticamente da un'Assemblea unica.

È da ritenere che non si possa giungere a queste conclusioni, che peccano di incoerenza, in quanto, dopo aver affermato il principio del bicameralismo, non è logico attribuire ad una Assemblea unica tutti gli atti di principale importanza, non è logico fare in maniera che l'identica formazione delle due Camere ci riporti al monocameralismo.

Ed altri rilievi sono da fare, in relazione alle diverse categorie di coloro che sono eleggibili alla seconda Camera. In particolare, ha destato impressione nel Paese il fatto che, fra i decorati al valore, siano stati scelti soltanto coloro che hanno ottenuto decorazioni nella guerra di liberazione. Questo non sembra giusto, perché anche coloro i quali nel 1915-18 ottennero decorazioni, che non si ottenevano certo con maggiore facilità di quelle ottenute successivamente, dovrebbero essere ammessi fra gli eleggibili alla seconda Camera.

D'altra parte, l'essersi limitati al principio elettivo può portare a taluni inconvenienti non lievi, in quanto, specialmente per coloro i quali si trovano in determinate posizioni, il desiderio di popolarità può essere davvero pericoloso. Si pensi ai militari, ai magistrati, i quali vogliano crearsi un'aureola di popolarità per essere poi eletti nella seconda Camera, e si consideri se persone, mosse da simili preoccupazioni, possano effettivamente compiere, con la dovuta obiettività, il loro dovere.

Questa è una delle critiche più comuni che vengono mosse alle categorie, così come sono elencate nel progetto. Ma il nostro punto di vista è ben diverso. Mi limito per ora a criticare, anche perché tra noi si è visto come ancora le idee non siano chiare e come ci si riprometta dalla discussione, che mi auguro molto feconda, un risultato che porti alla chiarificazione delle posizioni, che porti ad esaminare a fondo il problema e a risolverlo in maniera corrispondente alle nostre aspirazioni.

Il principio affermato in relazione alla seconda Camera dalla scuola sociale cristiana, e da noi ripreso ed affermato nella Commissione dei Settantacinque, è quello che sostiene la necessità di formare la seconda Assemblea legislativa in base al criterio della rappresentanza delle categorie e degli interessi.

Ed è singolare che, mentre noi riuscimmo ad ottenere una deliberazione di principio in tal senso nella Commissione dei Settantacinque, viceversa l'affermazione di principio da noi ottenuta fu, ancora una volta, successivamente abbandonata e si venne ad una conclusione che non è certo rispondente alla deliberazione approvata dalla Commissione stessa.

Sosteniamo la necessità della formazione della seconda Camera in base alla rappresentanza di categoria. Lo sosteniamo nell'interesse dei lavoratori, perché siamo convinti che l'elezione sia, senza dubbio, il migliore fra i mezzi per scegliere i rappresentanti del popolo, ma siamo ugualmente convinti che non sia un sistema perfetto.

Ha anch'esso i suoi difetti, che è bene vengano corretti e integrati da un diverso modo di formazione della seconda Camera.

Si dirà: ma anche per la formazione della seconda Camera come rappresentanza di categoria, voi, in fondo, vi basate sopra il sistema elettorale. Diverso sarebbe in ogni modo il corpo elettorale, perché verrebbero chiamati ad eleggere, a scegliere, solo coloro i quali si trovano in determinate condizioni dal punto di vista professionale, solo coloro i quali abbiano un determinato status professionale.

D'altra parte, siccome non escludiamo che, oltre a coloro i quali siano stati eletti, vi siano alcuni i quali, per l'ufficio che rivestono, entrino a far parte della seconda Camera, ne viene come conseguenza che si giunge a costituire tale Assemblea in maniera completamente diversa da quella seguita per la formazione della prima Camera.

Spiego meglio quest'ultimo concetto: oltre a coloro i quali entrerebbero, secondo il nostro progetto, a far parte della seconda Camera, perché eletti dagli appartenenti alle diverse categorie, vi dovrebbero essere anche altri, i quali, in relazione all'ufficio rivestito, dovrebbero entrare automaticamente a far parte della seconda Assemblea.

E ciò allo scopo di eliminare quell'inconveniente a cui accennavo, l'inconveniente che deriverebbe, per esempio, dal fatto prima ricordato di magistrati, di ammiragli e di generali in cerca di popolarità. Per dare a questa seconda Camera quel carattere di maggiore riflessione che in fondo è fra le più pregiate caratteristiche della seconda Assemblea nei vari sistemi bicamerali, è necessario che di essa facciano parte anche coloro i quali possono portare il prezioso contributo della loro lunga esperienza e quindi possono giovare sopratutto alla formazione di leggi di carattere tecnico, relative a particolari rami della pubblica amministrazione.

Occorre, senza dubbio, distinguere le diverse categorie e bisogna fronteggiare le difficoltà iniziali, derivanti dal fatto che la nostra organizzazione sindacale lascia ancora molto a desiderare: lascia a desiderare perché l'anagrafe sindacale non è ancora costituita, e quindi non sarebbe facile giungere alla formazione di un corpo elettorale sicuro, senza possibilità di irregolarità nelle elezioni. Ma queste difficoltà, che sono soltanto di carattere temporaneo e che saranno eliminate da una migliore organizzazione nei prossimi anni, potrebbero essere superate facendo in maniera che, per quanto riguarda la prima formazione della seconda Camera, si seguissero sistemi diversi, non esclusi quelli proposti dal nostro progetto, non escluso il ricorso ai Consigli comunali, di cui altri parlerà nelle prossime sedute.

Ma quello che a noi interessa affermare è il principio che, se effettivamente vogliamo giungere ad una seconda Camera diversa dalla prima, se effettivamente vogliamo mantenere il principio del bicameralismo, l'unica via è quella di costituire una seconda Assemblea legislativa basata sopra la rappresentanza di categorie e di interessi.

Quanto agli argomenti addotti in favore del bicameralismo, possiamo ricordare, non ultimo, quello delle statistiche relative ai diversi Stati, ai diversi sistemi parlamentari moderni, dalle quali si desume la prevalenza del sistema bicamerale. E se è necessario che gli ordinamenti si adeguino ai tempi, noi pensiamo che, come in passato la seconda Camera aveva una base rispondente ad una concezione dello Stato essenzialmente conservatrice, con una seconda Camera formata principalmente da coloro che avevano quasi un diritto ereditario a farne parte; così oggi, che ai privilegi si sostituisce, invece, la dignità del lavoro, e la posizione del cittadino risulta principalmente dal grado raggiunto mediante il lavoro, riteniamo che, appunto, effetto e segno di tale sostituzione possa essere la formazione della seconda Camera, non più in base a criteri ereditari, ma in base alla rappresentanza delle diverse categorie della produzione, in base alla organica rappresentanza delle diverse manifestazioni del lavoro.

Queste le ragioni per le quali intendiamo che venga formata la seconda Camera, non in base ai principî stabiliti nel progetto di Costituzione, ma in base a quel principio, da noi sempre tenacemente affermato, della rappresentanza di categorie e della rappresentanza di interessi. Intendiamo, cioè, che nella Costituzione vengano determinate le categorie di coloro i quali possono essere eletti dagli appartenenti alle categorie stesse a far parte della seconda Camera; intendiamo che nella Costituzione vengano indicati coloro i quali, per l'ufficio che rivestono, devono far parte della seconda Camera.

Ho sempre parlato di «seconda Camera» e mi sia consentito ravvivare un momento la vostra attenzione, ricordando le discussioni che sono sorte a proposito della denominazione da dare a questa seconda Assemblea. Si è parlato di «Camera dei senatori»; ma non si è voluto parlare di «Senato». È sembrata quasi una nuova applicazione del principio: senatores boni viri, senatus autem mala bestia. Non si vuol più neppure nominare il Senato!

Ma questo orrore per la parola, che, specialmente per chi sta a Roma, sembra strano, in quanto l'S.P.Q.R. che si legge in tutte le cantonate ricorda come si tratti di un nome di storica rilevanza, questo orrore fa pensare all'orrore che si aveva in passato per alcune parole, a quell'orrore che faceva vietare i banchetti, ma che rendeva leciti i ranci, che faceva vietare le vacanze ma consentiva le ferie. (Si ride Approvazioni).

L'altro punto sul quale non possiamo concordare con quanto viene disposto nel progetto è l'eccessiva quantità di deliberazioni di fondamentale importanza che debbono essere prese dall'Assemblea Nazionale. Le due Camere, riunendosi, formano questa Assemblea unica, alla quale vengono attribuiti compiti fondamentali: si può dire quasi che si sia voluto fare una scissione fra le attribuzioni legislative e le attribuzioni politiche delle Assemblee legislative. Pur trattandosi, infatti, di organi legislativi destinati principalmente e peculiarmente a svolgere funzioni legislative, tuttavia, attraverso l'attività di controllo che sono chiamate a svolgere sulla funzione di Governo, queste Assemblee legislative finiscono per partecipare anche all'attività di governo. Sembra quasi, cioè, che si sia voluto attribuire la funzione legislativa propriamente detta alle due Assemblee singole, mentre si sarebbe voluto riservare la funzione del controllo politico alla Assemblea Nazionale, alle due Camere, cioè, riunite insieme.

Se, però, una tale scissione potrebbe anche, da un punto di vista assolutamente astratto e teorico, sembrare in certo modo soddisfacente, non altrettanto soddisfacente può apparire alla mente di chi vuole, soprattutto, che si faccia tesoro dell'esperienza del passato e di chi desidera che siano le Assemblee legislative come tali ad esercitare quella funzione di controllo sull'azione di Governo che si è in ogni tempo dimostrata sommamente efficace. Si vuole, in altri termini, che sia il Parlamento, inteso come azione concomitante delle due Assemblee, a continuare ad esercitare la funzione di controllo sull'attività di Governo, senza che tale funzione venga attribuita ad un organo particolare, quale deve considerarsi quello risultante dalle due Camere riunite.

Noi non possiamo ammettere, cioè, che l'Assemblea Nazionale finisca con il compiere tutti gli atti di maggiore importanza nel campo politico: sarebbe questo un ritorno al monocameralismo, cui ci siamo opposti.

A tale proposito ricordo, a titolo, direi, ricreativo, che nel Progetto si attribuisce all'Assemblea Nazionale la deliberazione relativa alla mobilitazione generale. Rispetto ai tempi, rispetto ai sistemi di guerra, parlare oggi ancora di mobilitazione generale può ritenersi, penso, un anacronismo. Che dire, poi, del fatto che una simile deliberazione dovrebbe essere presa da un'Assemblea legislativa, per trovare poi applicazione soltanto dopo la dichiarazione del Capo dello Stato! Ciò verrebbe, come è evidente, a ritardare l'azione delle nostre forze armate e ad avvantaggiare non poco l'eventuale nemico.

Accennerò ora ad un'altra questione: quella della formazione delle leggi. Mentre, a questo proposito, noi avevamo in passato la deliberazione delle due Assemblee, la sanzione da parte del Capo dello Stato, la promulgazione e la pubblicazione, è interessante osservare che, nell'attuale Progetto, non si parla di sanzione. Si è ritenuto che la sanzione sia una caratteristica dei sistemi monarchici, inaccettabile in altri sistemi. Si salta quindi questo atto della partecipazione del Capo dello Stato alla formazione della legge; e la legge ordinaria avrà così questo itinerario: deliberazione da parte di una delle due Camere; trasmissione all'altra; deliberazione da parte di questa entro i termini stabiliti e, finalmente, promulgazione da parte del Capo dello Stato.

Risorge qui la questione annosa sulla natura della promulgazione. Si è molto discusso se la promulgazione sia un atto legislativo, se faccia cioè parte della funzione legislativa, o se rientri invece nell'altra funzione, che veniva chiamata esecutiva: si riteneva cioè che la promulgazione non fosse altro che il primo atto con cui il così detto potere esecutivo dava esecuzione, dava attuazione alla legge. Altri hanno risposto che, in questa maniera, si faceva in modo che proprio la legge mancasse di una sua forma, perché mancava in fondo un documento redatto dagli organi legislativi stessi in cui fosse concretata la legge. In altri termini, come quando si fa un contratto occorre un notaio che lo rediga, così quando viene emanata una legge, è necessario che si proceda alla materiale documentazione di essa, è necessario che si offra un testo ufficiale di essa.

Questa è la ragione per cui alcuni, forse più giustamente, hanno ritenuto che in fondo la promulgazione rientri anch'essa nella funzione legislativa. E d'altra parte, quando noi affermiamo che il Capo dello Stato rappresenta l'unità della Nazione, quando noi affermiamo che esso unifica le diverse funzioni sovrane, non si riesce a comprendere come mai vi possano essere alcuni i quali si preoccupano di impedire la partecipazione del Capo dello Stato alla legislazione.

Ecco la ragione per cui forse non sarebbe inopportuno introdurre anche nel nuovo sistema costituzionale la sanzione della legge da parte del Capo dello Stato. La partecipazione del Capo dello Stato all'esercizio della funzione legislativa si riscontra, del resto, anche in sistemi completamente diversi da quelli monarchici, sia pure sotto forma diversa, sia pure limitata ad interventi puramente negativi del Capo dello Stato nell'esercizio della funzione legislativa, come quando gli è soltanto attribuito il potere di veto.

Sarebbe viceversa più opportuno conservare questa unificazione delle diverse funzioni nel Capo dello Stato e consentirgli un intervento, che d'altra parte avviene in ogni modo, perché è soltanto il Capo dello Stato che può procedere alla promulgazione. E questa promulgazione, secondo la concezione per me più convincente, è appunto una manifestazione della funzione legislativa, in quanto rivolta a rendere noto il testo ufficiale della legge.

In ogni modo, il Progetto si occupa giustamente della formazione delle leggi, e tra l'altro risolve in senso assolutamente negativo la grave e discussa questione dei decreti-legge, cioè dei provvedimenti legislativi di urgenza. In base al nostro progetto di Costituzione, cioè, non saranno più possibili i decreti-legge. Sono consentiti i decreti legislativi, ossia quelli che implicano una delega da parte degli organi legislativi agli organi di Governo; ma non saranno invece ammessi quei provvedimenti legislativi che vengono emanati, in caso di necessità e di urgenza, dagli organi governativi, senza preventiva delega da parte degli organi legislativi.

È stato molto discusso in seno alla Commissione dei Settantacinque se fosse opportuna o meno questa soppressione della potestà di emanare decreti-legge. Le discussioni sono state particolarmente attraenti, ma — e qui parlo a titolo personale — ritengo che in fondo non si possa fare a meno di questa potestà, sempre esercitata dai Governi, di emanare atti con forza di legge quando la necessità e l'urgenza lo richiedano.

Si è detto: in fondo, escludendo la possibilità dei decreti-legge, noi accogliamo il sistema anglosassone, sistema che non prevede la possibilità di atti legislativi d'urgenza emanati dal Governo, ma che tuttavia non ignora l'istituto, in quanto, coi famosi «Bills» d'indennità, vengono esonerati dalla responsabilità i membri del Governo che siano stati costretti ad emanare simili atti legislativi, così che viene sanata la violazione della Costituzione, compiuta in casi di necessità e urgenza.

Ma nel nostro sistema, l'accogliere un principio del genere, il volersi riferire al sistema anglosassone, non sarebbe opportuno, perché in quel sistema non funziona quella Corte costituzionale che funzionerà invece — perché è desiderata da tutti — nel nostro sistema. La Corte costituzionale, di fronte ad un decreto-legge, di fronte ad un atto legislativo emanato dal Governo in caso di necessità e d'urgenzai non potrebbe fare altro che dichiararlo incostituzionale ed invalidarlo, quindi, fin dall'inizio.

E allora, che cosa avverrebbe di tutto quello che si è compiuto in applicazione del decreto-legge? Meglio quindi, siccome non è possibile escludere praticamente l'esercizio da parte del Governo della potestà legislativa in caso di necessità e urgenza, meglio prevedere questa possibilità e contenerla entro limiti ben precisi.

Non si deve pensare che i decreti-legge abbiano avuto origine e trovato applicazione solo nel 1923 e nel periodo successivo. Fin dalla formazione dell'Italia riscontriamo l'uso di questa potestà, benché in maniera molto più limitata di quanto non fu fatto successivamente.

Ma, appunto, un'opportuna disciplina costituzionale, la necessità di presentare questi provvedimenti alle Assemblee legislative per la conversione in legge, potrebbero costituire una garanzia sufficiente, una garanzia integrata dalla possibilità di controllo della Corte costituzionale, che potrebbe assicurarci la giustizia nella legislazione alla quale aspiriamo, dopo la buona prova dei congegni predisposti per attuare la giustizia nell'amministrazione.

Delineata in questa maniera la formazione delle leggi, dopo avere accennato all'esclusione dei decreti-legge, necessari, per esempio, come i cosiddetti decreti-catenaccio, indispensabili allorché si debbano elevare tariffe doganali, per i casi di particolari necessità (si pensi alle catastrofi che purtroppo si verificano sempre e che richiedono provvedimenti di eccezione); dopo avere accennato a questa opportunità di non escludere la possibilità della decretazione di urgenza; dopo avere accennato alla necessità di prevederla e di regolarla per evitare abusi, è bene richiamare l'attenzione dell'Assemblea sull'opportunità di una disciplina costituzionale della potestà regolamentare.

La legge non può dare che disposizioni di carattere generale. Deve, perciò, essere integrata dai regolamenti. I regolamenti sono leggi in senso sostanziale, che nella nostra Costituzione trovavano una sufficiente disciplina, mentre nell'attuale Progetto vi è al riguardo una grave lacuna. Vi si trova un semplice accenno allorché viene affermato che il Capo dello Stato emana i regolamenti. Non si accenna invece, per esempio, a quella distinzione che oggi viene ammessa fra i regolamenti detti esecutivi, i regolamenti di organizzazione, che provvedono alla formazione dei diversi uffici, e i regolamenti autonomi e indipendenti, che si riferiscono a campi non disciplinati dalla legge formale.

Per la disciplina di questa attività legislativa, che spetta necessariamente al potere governativo, è importante ed è opportuno che, con emendamenti, si provveda ad integrare questa lacuna, già rilevata da parecchi studiosi di diritto.

Per quanto riguarda l'Assemblea Nazionale, potrà senza dubbio essere importante attribuire ad essa determinati atti, come per esempio la nomina del Capo dello Stato, ove si voglia lasciare questo compito alle Assemblee legislative, ed a questo scopo non sarebbe inopportuno far partecipare i presidenti delle varie Regioni all'Assemblea Nazionale che deve procedere alla scelta del Capo dello Stato; ma attribuire a questa Assemblea tutte le competenze che ad essa spettano secondo il Progetto è, secondo noi, in contrasto con il principio del bicameralismo, che dovrebbe essere fondamentale nella nostra Costituzione.

Passo ad accennare all'elezione del Capo dello Stato. Il sistema previsto dal Progetto fa che siano le due Camere riunite nell'Assemblea Nazionale, opportunamente integrate appunto dai membri delle Assemblee regionali che ho precedentemente ricordato, a scegliere il Capo dello Stato. Anche a questo proposito non sono mancate le discussioni e, data la necessità di dare al Capo dello Stato un certo prestigio, una certa rispondenza con le aspirazioni del popolo, non sembra imprudente sottoporre a questa Assemblea ancora una volta l'opportunità di fare in modo che il Capo dello Stato venga scelto da tutto il corpo elettorale. Per lo meno, se non si può arrivare a questo punto, ritengo che le due Camere riunite nell'Assemblea Nazionale — sia pure integrate da componenti dei vari Consigli regionali — non costituirebbero un corpo elettorale sufficiente agli scopi che si vogliono raggiungere. In relazione alla tesi che il Capo dello Stato debba essere eletto da tutto il corpo elettorale, vi è un argomento di carattere storico-politico che non dobbiamo dimenticare. In fondo, quando una elezione è di secondo grado, quando avviene da parte di persone elette a loro volta dal corpo elettorale, questo corpo elettorale si sente un po' lontano dalla persona singola che viene finalmente prescelta. Perché il Capo dello Stato abbia prestigio sufficiente, perché proprio trovi rispondenza nelle diverse aspirazioni del popolo, mi sembra più opportuno che esso venga eletto direttamente dal corpo elettorale. Ritengo che si debba tener conto delle aspirazioni del nostro popolo. Non va trascurata la grande realtà di cui dobbiamo occuparci, costituita precisamente dal popolo italiano. Ora, se guardiamo alla storia del nostro Risorgimento, noi vediamo come il desiderio che il Capo dello Stato sia una emanazione del popolo abbia trovato riscontro nelle formule dei diversi plebisciti. Lo stesso fatto che, ad un certo momento, accanto alla formula «per grazia di Dio» si sia aggiunto «e per volontà della Nazione» dimostra come il nostro popolo voleva in sostanza che il Capo dello Stato fosse emanazione sua, fosse quasi il simbolo delle sue aspirazioni; anche se non si intendeva sopprimere l'originaria formula, tanto più che altrimenti si sarebbe avuto un Capo dello Stato fuori della grazia di Dio!

Ritengo che, cambiata la forma dell'organo supremo dello Stato, non sarebbe inopportuno fare in modo che il popolo si sentisse rappresentato direttamente dal Capo dello Stato; e d'altra parte ciò potrebbe essere molto opportuno. In un Paese come il nostro, il quale ci tiene in fondo a vedersi simboleggiato da una persona, questa persona raggiungerebbe tanto meglio il suo compito quando risultasse emanazione diretta del corpo elettorale.

Si risponde che vi sono precedenti presso altre nazioni, i quali debbono farci dubitare dell'opportunità di un simile sistema, in quanto che si è detto che in Germania — per esempio — si è giunti, in questa maniera, al dispotismo ed alla tirannia.

Ma, mentre sarebbe opportuno fare in modo che il Capo dello Stato avesse sufficienti poteri, così da non ridurlo a figura di secondo piano, si deve tener conto d'altra parte che nel nostro sistema funzionerà quella Corte costituzionale che non vi era negli altri ordinamenti e che può costituire effettivamente una garanzia non indifferente contro gli abusi di potere. Vi saranno le Assemblee legislative, alle quali sarà possibile dare sufficienti poteri di controllo nei confronti del Capo dello Stato; ma vi sarà soprattutto questo organo giurisdizionale, in grado di opporsi a tentativi di dittatura o di tirannia.

Questa è la ragione per cui mi permetto di proporre all'Assemblea, ancora una volta, di stabilire nella Costituzione che il Capo dello Stato venga scelto direttamente dal corpo elettorale e non dalla sola Assemblea Nazionale; o, per lo meno, che questa Assemblea Nazionale venga opportunamente integrata, in modo da costituire un corpo elettorale più ampio di quello limitatissimo che altrimenti verrebbe ad aversi.

Quanto alle attribuzioni del Capo dello Stato, mi permetto di fare osservare come, nella redazione del progetto di Costituzione, si sia andati alle volte un po' rapidamente. Per esempio, si dice che il Capo dello Stato presiede il Consiglio supremo di difesa, il quale sarà forse nei progetti di qualcuno, ma per ora non risulta costituito.

Per quanto riguarda le forze armate, salvo qualche modificazione di forma che non sarà affatto inopportuna, si può ritenere che quanto il progetto stabilisce possa essere approvato.

Finalmente accenno al problema relativo al Governo. Ci si è preoccupati di fare in modo che coloro che si occupano di una fondamentale funzione dello Stato siano garantiti dal punto di vista della stabilità. Troppo abbiamo sofferto per le frequenti cadute dei vari Ministeri. L'esperienza passata ci dimostra come sia indispensabile assicurare al Governo una certa stabilità; ed a questo scopo mirano quegli espedienti che sono stati tradotti nel Progetto.

Il principio, già accolto nella legislazione vigente, secondo cui la semplice disapprovazione di un progetto di legge non equivale a voto di sfiducia, trova conferma nel nostro progetto di Costituzione, in quanto si ritiene che la sfiducia non possa essere votata se non mediante forme speciali, cioè mediante una espressa mozione in tal senso, che non può essere subito sottoposta a votazione, ma deve essere discussa e posta in votazione soltanto dopo un congruo termine.

La stabilità del Governo — si è detto — non dipende dal sistema, ma dagli uomini; perché, quando vi sono stati uomini all'altezza della situazione, i Governi si sono retti anche in passato ed hanno potuto compiere il loro dovere.

L'esperienza storica, però, dimostra come anche coloro i quali vengono ormai riconosciuti come i nostri migliori uomini politici, si sono trovati spesso in condizione di difficoltà, appunto perché troppo instabile era la loro posizione; e l'azione di Governo, interrotta ogni tre o quattro mesi, non può raggiungere quegli scopi, che essa potrebbe invece ottenere, quando, sia pure attuata in base a principî non perfetti, venga, però, svolta in maniera continua.

Questo è lo scopo che ci siamo proposti istituendo particolari forme per la votazione della fiducia al Governo.

È interessante poi occuparsi della particolare posizione prevista per il Primo Ministro e della posizione dei diversi Ministri. Anche qui si è cercato di attuare il principio del Primo Ministro primus inter pares, cioè persona la quale non ha possibilità di imporre la propria volontà ai colleghi del Ministero. Non si tratta d'un superiore gerarchico; ma nello stesso tempo la sua posizione di preminenza è garantita, in quanto che egli ha responsabilità completa ed i Ministri possono essere da lui spinti a svolgere una determinata azione, appunto perché egli è Presidente del Consiglio, responsabile dell'attività collegialmente svolta.

Altro particolare interessante è quello della posizione riservata ai diversi Ministri.

Ogni Ministro è collegialmente responsabile dell'azione di Governo e ciò impedisce di esimersi dall'assumere la responsabilità dell'azione collettiva; d'altra parte, il Ministro è responsabile per l'attività svolta nel suo ramo di amministrazione.

Tali i principî fondamentali, relativi alla posizione del Governo; tali le misure previste nel nostro Progetto per impedire il ripetersi di Governi instabili, che ci hanno portato a risultati molto insoddisfacenti.

Le mie critiche al Progetto riguardano, dunque, il fatto che il bicameralismo, principio accolto come fondamentale a parole, viene di fatto abbandonato per cedere il posto al sistema unicamerale.

Per quanto riguarda l'elezione del Capo dello Stato, ripeto che sarebbe preferibile sostituire alla formula del Progetto quella della elezione diretta da parte del corpo elettorale, che non sia costituito dalle sole Assemblee legislative.

Finalmente, per quanto riguarda il Governo, ritengo che il Progetto, rivolto ad assicurarne la stabilità, possa essere accolto e facilmente migliorato. Noi concepiamo la funzione governativa non come semplice esecuzione di quanto le leggi stabiliscono, ma come attività concreta, svolta giorno per giorno, nei limiti delle leggi, rispettando le leggi, ma senza limitarsi a eseguirle soltanto. Ecco la differenza che passa fra la nostra concezione del Governo e l'altrui concezione del semplice potere esecutivo. Vogliamo che coloro, i quali hanno la responsabilità della cosa pubblica, siano muniti di sufficienti poteri. Vogliamo che siano sottoposti a controllo, in maniera tale che non possano passare ad usi arbitrari dei poteri discrezionali loro conferiti; ma vogliamo, nello stesso tempo, che il Governo governi. (Applausi).

Presidente Terracini. È iscritto a parlare l'onorevole Crispo. Ne ha facoltà.

Crispo. Onorevoli colleghi, parlerò brevemente sul modo in cui il progetto di Costituzione contempla l'attività legislativa del Governo, argomento del quale, a mio avviso, non si rileva mai abbastanza la gravità, per i pericoli enormi che può produrre una legislazione che taluni scrittori definirono una vera e propria usurpazione del potere legislativo da parte del potere esecutivo.

E mi occupo esclusivamente di questo tema, perché mi pare che questa parte del Progetto presenti le maggiori manchevolezze, come mi sarà facile dimostrare.

Come è noto, l'attività legislativa del potere esecutivo si esplica in una duplice forma: attraverso la delega del potere legislativo; attraverso la forma autonoma del decreto-legge.

Il progetto di Costituzione, mentre si occupa dell'attività legislativa delegata, tace del tutto dell'attività legislativa autonoma, quella, cioè, determinata da un vero e proprio stato di necessità e di urgenza.

È stato or ora affermato dall'onorevole Codacci Pisanelli che si volle così abolire questa forma di attività legislativa. Non mi sembra che tale opinione sia da accogliersi essendo, ormai, da tutti riconosciuto che la necessità di fatto possa tramutarsi e si tramuti in una fonte di diritto, e che il decreto-legge ha il suo fondamento e la sua legittimità in uno stato di necessità. Basterebbe in proposito ricordare il decreto-catenaccio, tipico esempio di decreto-legge, determinato da opportunità ed esigenze fiscali o finanziarie. Il silenzio del progetto è, dunque, una lacuna che bisognerà colmare.

Per quanto attiene all'attività delegata, non si discute più, ormai, il principio della legittimità della delega: si discute soltanto, come è noto, se l'esercizio della delega debba essere circoscritto, vale a dire disciplinato e contenuto in una norma che ne stabilisca i limiti e determini la materia, quale oggetto dell'attività legislativa delegata, e prestabilisca eventualmente anche il tempo entro il quale questa attività legislativa sia destinata ad aver vigore.

Ed, infatti, nel Progetto l'articolo 74, lungi dal contemplare una delega generale, un trasferimento, cioè, di competenza legislativa dal potere legislativo al potere esecutivo, precisa che l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato se non previa determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.

A mio avviso, non può non approvarsi il divieto della concessione dei così detti pieni poteri; ma, d'altra parte, deve rilevarsi che la norma dell'articolo 74 obbedisce soltanto alle esigenze del tempo normale, e non a quelle straordinarie che possono presentarsi, per esempio, in tempo di guerra. Io ebbi già modo di fare lo stesso rilievo in rapporto alla sospensione eventuale dei diritti individuali, e ricordo che molto cortesemente l'onorevole Presidente della Commissione dei Settantacinque promise di tener conto delle osservazioni da me fatte in quella sede. Ora, anche a proposito dell'articolo 74, il rilievo ha la sua importanza. Perché non è possibile che in tempo di guerra si possa dare al Governo una delega, caso per caso, per gli eventuali provvedimenti che la condotta della guerra esige. È evidente, per altro, che quando mi riferisco alla delega generale per il tempo di guerra, essa debba trovare la sua limitazione nella natura dei provvedimenti da emanarsi, nel senso che la delega generale deve essere concessa esclusivamente per i provvedimenti resi necessari dalla condotta della guerra, e non potrà estendersi a provvedimenti estranei alla condotta della guerra.

Si può, adunque, concludere che, fermo restando il principio di una delega circoscritta, così come è stabilito nell'articolo 74, occorrerà aggiungere una norma nella quale si preveda la delega generale per il tempo di guerra in rapporto a quei provvedimenti che fossero resi necessari dalla condotta della guerra, provvedimenti la cui competenza non potrebbe essere se non del potere esecutivo.

Seconda manchevolezza del Progetto. In tema di attività legislativa delegata, è evidente che il potere delegato debba contenersi nei limiti della delega conferita. Ora, il Progetto non contempla alcun controllo per il caso di eccesso o di infedeltà nell'adempimento della delega. E non mi pare che si possa fare richiamo al capoverso dell'articolo 74, laddove è detto che per i decreti legislativi valgono le norme stabilite in ordine alla Corte costituzionale.

Nel senso, cioè, che se la Corte Costituzionale, a norma dell'articolo 126 del Progetto, giudica della incostituzionalità di tutte le leggi, secondo il richiamo del capoverso dell'articolo 74, dovrebbe poter giudicare anche eventualmente della incostituzionalità, dei decreti legislativi; ma altra cosa è la incostituzionalità della legge, la quale innegabilmente si riferisce a quei requisiti formali ed esteriori che i vari ordinamenti costituzionali stabiliscono perché un provvedimento acquisti la forma e la forza di legge, ed altra cosa è la mancata corrispondenza del contenuto del decreto alla delega, ossia il mancato rispetto da parte del potere delegato dei limiti della delega. In tale caso, non può esservi altro controllo che non sia quello del potere delegante, epperò manca nel progetto la norma che contempli tale controllo e lo disciplini.

Mi sembra, inoltre, che anche inopportunamente si sia fatto richiamo, a proposito dei decreti legislativi, alle norme sul referendum nell'ultimo capoverso dell'articolo 74, dove è detto che per i decreti legislativi valgono le norme stabilite per le leggi in ordine al referendum.

Difatti, nel caso di legge vera e propria, l'applicazione del referendum è subordinata a determinate condizioni, quale, per esempio, quella che la legge sia stata approvata con una maggioranza inferiore ai due terzi; mentre ciò non può avvenire nel caso di un decreto legislativo che è un provvedimento che rientra esclusivamente, per effetto della delega, nella competenza del potere delegato. Pertanto, se anche si dovesse ritenere applicabile il referendum ai decreti legislativi, dovrebbe farsi un opportuno emendamento, prescindendosi dalle condizioni per le quali si applica il referendum a proposito delle norme legislative vere e proprie.

Concludendo questa prima parte delle mie osservazioni, io rilevo, e presenterò un opportuno emendamento, che occorre aggiungere alla norma dell'articolo 74 un comma che preveda una delega generale in rapporto a provvedimenti contingenti ed urgenti, determinati dal tempo di guerra, e occorre stabilire una norma che preveda un controllo da parte del potere legislativo che permetta di verificare se il potere delegato si sia mantenuto nei limiti della delega conferita.

Osservavo or ora che l'articolo 74 non fa cenno del decreto-legge. Io ripeto ancora una volta che il silenzio del progetto di Costituzione non può interpretarsi nel senso che si è voluta vietare questa forma di attività legislativa, pur necessaria e inevitabile in determinate contingenze.

Peraltro, mi permetto ricordare che questa materia è interamente regolata da una legge che, per quanto io sappia, non è stata ancora abrogata: la legge del 31 gennaio 1926, n. 100, la quale disciplina il modo ed il funzionamento dell'attività legislativa del potere esecutivo per mezzo dei decreti-legge. Si devono, adunque, trasferire dal terreno propriamente legislativo al terreno costituzionale le norme in proposito, perché non sia aperto l'adito a maggiori e più pericolosi abusi.

Si ritiene che, durante il ventennio fascista, ammontarono a ben 30 mila i decreti-legge emessi dal Governo, alcuni dei quali perfino per la nomina di qualche impiegato. Né farebbe sorpresa che l'abuso continuasse in regime democratico: di qui la necessità di norme atte a stabilire che il decreto-legge può essere emanato esclusivamente nei casi di urgenza e di necessità, ed a precisare che tali casi non sono mai ammissibili quando le Camere legislative sono in funzione. Tali norme dovrebbero essere integrate con quelle relative alla conversione in legge, al termine di presentazione per la conversione, e a quello entro il quale la conversione debba aver luogo.

Occorrerebbe, infine, stabilire la necessità di delegazioni legislative anche per i decreti-catenaccio, come avviene in Francia, in Belgio, in Svizzera.

Osservo finalmente che nel progetto di Costituzione non è cenno alcuno delle così dette «ordinanze di necessità», le quali, pur avendo comune il principio sul quale si fonda il decreto-legge, obbediscono a ben altre esigenze.

L'ordinanza di necessità è quella che si emette nei casi di allarme, di pericolo pubblico, di guerra, o di stato d'assedio, quando, cioè, le libertà individuali corrono pericolo di essere limitate o sospese: è, quindi, necessario stabilire rigorose garanzie sull'uso della potestà, ad impedire eccessi e trasmodanze da parte del potere esecutivo.

Anche per quanto si riferisce alla potestà regolamentare, il progetto è del tutto manchevole. Difatti, nell'articolo 83 è detto che il Presidente della Repubblica promulga le leggi, ed emana i decreti legislativi ed i regolamenti. Quali regolamenti? Quelli per la esecuzione delle leggi, quelli delegati, quelli detti indipendenti, o quei regolamenti di indole generale, cosiddetti esterni, che possono valere erga omnes e per i quali occorrono le opportune riserve circa la materia che potrà formare oggetto di regolamento? Ora, il progetto di Costituzione tace del tutto, e non v'è alcuno che non intenda la necessità di norme in proposito.

Queste mie osservazioni, onorevoli colleghi, non hanno alcuna pretesa. Vogliono essere modesti rilievi di buon senso, intesi esclusivamente a richiamare l'attenzione della onorevole Commissione, nella fiducia che essa vorrà compiacersi di rivedere questa parte del Progetto, integrandola, se lo crederà, con le disposizioni di cui ho fatto cenno. (Applausi).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Russo Perez, Nobile e Perrone Capano, iscritti a parlare, si trovano a Gstaad, col gruppo dei membri di questa Assemblea che si è recato a quel convegno, e sebbene non abbiano un congedo regolare, possiamo considerare che si trovino assenti per una funzione che interessa direttamente anche l'Assemblea.

Non essendo presenti gli onorevoli De Michelis, Vinciguerra, Piccioni, Fuschini e Fusco, si intende che abbiano rinunziato a parlare.

È iscritto a parlare l'onorevole Preziosi. Ne ha facoltà

Preziosi. Onorevoli colleghi, io dirò poche parole soltanto su un argomento, che credo possa interessare molto l'Assemblea e soprattutto alcuni membri di essa. Parlerò brevemente del progettato metodo di formazione del futuro senato.

Comincio con l'affermare una mia opinione: il terzo dei componenti del futuro Senato non dovrebbe essere eletto, come è previsto nel progetto di Costituzione, dai membri dei Consigli regionali. A me pare gravissimo errore dare ai membri dei Consigli regionali la facoltà di eleggere un terzo dei senatori. È un errore perché l'elezione di questo terzo dei membri della seconda Camera, che nel loro complesso pare dovrebbero assommare a 311 o 315, affidata ai Consigli regionali, darebbe adito alla possibilità che una maggioranza, formatasi occasionalmente in seno ad essi, possa eleggere coloro i quali meglio potrebbero essere scelti direttamente dalla massa elettorale.

Insomma, noi avremmo questa situazione di fatto: che cioè i Consigli regionali, con una maggioranza di due, tre o quattro membri, eleggerebbero il terzo dei componenti del futuro Senato. Insomma, ad esempio, in una assemblea regionale come la siciliana — non voglio fare riferimento a nessuna situazione politica, ma solo ad una situazione di fatto — nell'assemblea regionale siciliana in cui c'è una maggioranza di 46-47 membri contro, non so, 38, 39 membri dall'altra parte, questi 46 o 47 membri soltanto eleggerebbero un determinato numero di senatori.

A me pare, onorevoli colleghi, che questo punto del progetto di Costituzione vada senz'altro modificato. Facciamo in modo che anche i membri della seconda Camera possano essere eletti a suffragio universale direttamente dagli elettori. Credo che si avrebbe un risultato migliore: si avrebbe cioè una seconda Camera espressione diretta della volontà popolare.

Ho finito per questa parte e passo a quella che si può considerare la parte più delicata, riguardante la composizione del futuro Senato.

Secondo il progetto, noi avremmo dunque un terzo di senatori eletti dai Consigli regionali, due terzi eletti dalla massa elettorale. Ora, a me pare che sia un gravissimo errore non costituire nella futura Camera alta, nel futuro Senato, un nucleo iniziale di senatori i quali possano davvero considerarsi come l'ossatura del Senato stesso.

Noi sappiamo — lo sentiamo già attraverso i discorsi che si fanno fra colleghi — che un po' tutti considerano necessario porre la propria candidatura alla Camera dei deputati, un po' tutti escludono la possibilità di porre la loro candidatura al Senato.

Quindi noi avremmo già questa specie di assurdo: che i candidati al Senato sarebbero coloro che, comunque, non avessero potuto essere eletti deputati. Avremmo insomma una massa nuova la quale non so come si regolerebbe inizialmente di fronte ai problemi importanti dei quali sarà investito il futuro Senato.

Insomma, noi non dobbiamo dimenticare che il Senato, così come è contemplato nel Progetto di Costituzione, avrebbe le stesse prerogative della Camera dei deputati, su per giù le stesse, se non superiori. Comunque, il Senato avrebbe le stesse alte funzioni della Camera in alcuni momenti gravi per la Nazione; come nel momento dell'elezione del Capo dello Stato.

Mi sembra, pertanto, giusto creare un nucleo iniziale di senatori con uomini democratici, con uomini degnissimi, che abbiano portato il loro contributo di intelligenza, di onore e di devozione alla Patria.

Quali dunque dovrebbero essere gli uomini i quali dovrebbero formare, secondo la mia modesta opinione, il nucleo iniziale del Sanato? Gli ex deputati, gli ex membri del Parlamento che abbiano almeno un determinato numero di legislature.

Voi sapete benissimo (basta scorrere l'elenco alfabetico dei deputati, là dove si parla dell'anzianità dei deputati dell'Assemblea Costituente) che di deputati con cinque legislature ve ne sono appena otto e di deputati con quattro legislature ve ne sono appena 19. Perché, onorevoli colleghi, noi vogliamo escludere questi uomini che hanno dato per lungo tempo il loro contributo alle fortune della Patria dalla vita politica attiva?

Perché qui sorge un problema di indole concreta. Tutti sappiamo che le future elezioni saranno durissime. Si parla di circoscrizioni ristrette, ma sotto altri punti di vista ci si accorge che le circoscrizioni sono allargate. Come si può pretendere, insomma, che uomini che hanno superato i 70 anni, che hanno dedicato la loro vita alla politica, che hanno onoratamente seduto su questi banchi per quattro o cinque legislature debbano fare una dura campagna elettorale, debbano girare così come può girare un giovane di 30-40 anni o un uomo di 50-60? Il problema bisogna guardarlo non solo da un punto di vista giuridico, ma anche da un punto di vista concreto e pratico. Insomma questi uomini dovrebbero deliberatamente ritirarsi dalla vita politica quando possono invece portare alla vita politica rinnovata del nostro Paese il loro contributo e la loro competenza. Fermiamoci su questo punto, onorevoli colleghi, ed io penso che non cascherà il mondo, che non si lamenteranno, ad esempio, gli amici socialisti, se in questa Assemblea passerà un emendamento il quale stabilisca che coloro che hanno quattro o cinque legislature possono essere nominati di diritto senatori con decreto del Capo dello Stato, salvo che, pur avendo quattro o cinque legislature, preferiscano fare ancora i giovanissimi o allontanarsi dalla politica attiva; in modo che, ad esempio, se c'è un deputato il quale ha già quattro o cinque legislature ed è ancora giovane di animo ed è nominato di diritto senatore, possa, se lo voglia, presentarsi candidato alla prima Camera. Per essere nominati senatori di diritto basterebbe avere un'anzianità parlamentare di quattro o cinque legislature; però è naturale che la nomina sarebbe subordinata all'accettazione dei prescelti.

A me pare che non si potrebbero lamentare di una simile regolamentazione, ad esempio, i colleghi socialisti se si pensa che su 19 membri di questa Camera che si trovano con quattro legislature, vi sono 5 socialisti. Ai fini statistici è interessante sapere che, su otto membri di questa Camera che si trovano con cinque legislature, vi sono tre socialisti, un comunista, un liberale, due demolaburisti ed un socialista indipendente, Labriola. Come vedete, non si urterebbe la suscettibilità di nessuno e poi non è qui il caso di fare questioni di partito o questioni politiche.

Si tratta di affermare un principio generale, un doveroso riconoscimento per coloro che hanno servito devotamente, fedelmente e democraticamente il Paese.

Quindi io penso che si possa votare un simile emendamento. Così si eviterebbe di avere un Senato — perdonatemi l'espressione un po' dura — raffazzonato; si avrebbe una seconda Camera con uomini che con la loro esperienza e competenza potrebbero insegnare molte cose ai nuovi arrivati pure degni; potrebbero insegnare molte cose a coloro che per la prima volta comincerebbero a servire in alto luogo il loro Paese. Io penso che così noi potremmo finalmente dare un riconoscimento a coloro che hanno sempre servito democraticamente il Paese; e non faremmo una cosa eccezionale. Oserei dire che compiremmo un dovere di riconoscimento verso gli anziani che ci sono stati maestri di vita, maestri di democrazia, maestri di onestà politica. In questo senso concludo le mie modeste parole e presenterò a parte un emendamento in relazione a quanto ho detto. (Applausi).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti