[Il 24 settembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo primo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Parlamento».]

Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Ricordo che nella seduta di ieri sono stati votati il primo comma dell'articolo 52, e gli articoli 53 e 54. Passiamo ora all'esame dell'articolo 55. Se ne dia lettura.

Mattei Teresa, Segretaria, legge:

«La Camera dei senatori è eletta a base regionale.

«A ciascuna Regione è attribuito, oltre ad un numero fisso di cinque senatori, un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila. La Valle d'Aosta ha un solo senatore. Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all'altra Camera.

«I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età».

Presidente Terracini. A questo articolo sono stati presentati vari emendamenti. Il primo è quello dell'onorevole Nitti.

«Sostituire gli articoli 55 e 56 col seguente:

«Il Senato è eletto sulla base di un senatore per 200 mila abitanti.

«Il territorio della Repubblica è diviso in circoscrizioni elettorali, che eleggono un solo senatore ciascuna.

«A ogni Regione è inoltre attribuito un numero fisso di tre senatori.

«Sono elettori i cittadini che hanno compiuto 25 anni e sono eleggibili quelli che hanno compiuto 40 anni.

«Del Senato fan parte, salvo la loro rinunzia, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio dei Ministri.

«Alla costituzione del Senato entrano a farne parte gli ex deputati che hanno appartenuto alla Camera dei deputati per cinque legislature, senza che però questo fatto costituisca alcun precedente per l'avvenire.

«Fanno parte del Senato il Presidente della Corte di cassazione di Roma, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e 6 professori di Università designati per elezione dal Consiglio superiore della pubblica istruzione.

«I senatori di nomina elettiva durano in carica sei anni e sono rinnovabili per un terzo ogni due anni».

Questo emendamento, però, riguarda anche l'articolo 56. L'onorevole Nitti ha facoltà di svolgerlo nel suo complesso o, se lo ritenga più opportuno, trattando la sola parte che si riferisce all'articolo 55.

Nitti. Se l'Assemblea mi consente, desidero dire le ragioni in generale delle proposte che ho l'onore di presentare all'Assemblea. Mia idea è che il Senato deve essere efficiente e deve essere espressione nazionale, cui partecipino tutti gli elettori. Deve essere il più che possibile selezionato, ma nello stesso tempo si deve evitare ogni cosa che costituisca privilegi inutili e, quindi, io son contrario a ogni idea di ridurre il Senato ad un'Assemblea. Le fonti della sovranità devono essere le stesse: il popolo intero, tutti devono essere elettori se si trovano nelle condizioni generali richieste. Quindi, nessun privilegio.

Bisogna, quindi, prima di tutto, fissare l'idea del Senato. Il Senato e la Camera dei deputati sono due cose diverse, come sono nei Paesi dove il Senato ha funzionato, come negli Stati Uniti d'America, come era in Francia. Non è che la Camera e Senato devono essere soggetti alle stesse disposizioni. Il Senato non cade mai, il Senato non finisce; la Camera dei deputati può essere sciolta; il Senato, in nessun Paese, può essere sciolto. Perciò l'America ha trovato la maniera semplice di tenere la consultazione popolare sempre in movimento, in modo che si possa sapere ciò che il popolo pensa. In America dunque la Camera dei deputati dura due anni; il Senato dura sei anni; il Presidente della Repubblica dura quattro anni. Non è che queste istituzioni devono essere sincrone; possono e devono essere del tutto diverse, durare diversamente. Il Senato in America è una grande Assemblea, che regola, essendo poco numerosa, soprattutto la politica estera. La Camera dei deputati in America dura due anni, di modo che la Nazione sappia sempre ciò che il popolo vuole perché è consultato a brevi intervalli e ciò mette in condizioni di comprendere i mutamenti delle correnti popolari. Il Senato dura sei anni ed il Presidente della Repubblica dura quattro anni. Noi pretendiamo di fare queste istituzioni sincrone, cioè il Senato e la Camera dei deputati durano allo stesso modo cinque anni.

Il Senato può essere sciolto come la Camera dei deputati. In nessun Paese serio, dove esiste un Senato, il Senato può essere sciolto. Così è in America, così è stato sempre in Francia dopo la costituzione del 1875. Il Presidente della Repubblica dura quattro anni in America; durava sette anni in Francia. Periodo troppo lungo in Francia. In ogni modo, dunque, queste tre basi della vita costituzionale hanno una funzione e durata diverse. Prima di tutto bisogna raffigurare queste tre basi della vita nazionale e considerarle nella loro stessa essenza, di tal guisa che ci spieghiamo la distinzione. Noi pretendiamo l'uniformità. L'uniformità non ci può essere, perché l'uniformità soffoca.

In America il Senato dura sei anni ed è rinnovabile per un terzo ogni due anni; in Francia è durato finora nove anni (troppo lunga durata) rinnovabile per un terzo ogni tre anni.

Quindi prendiamo, come esempio da considerare, i tipi di Costituzione più interessanti per la loro serietà e durata e non già quei Paesi in cui vi sono o vi sono state Costituzioni durate solo qualche anno o che non hanno più di qualche anno e che hanno solo incerta esistenza. Ed allora la prima questione che viene è il numero dei senatori.

Io credo — e non vi nascondo il mio dispiacere nel considerare la decisione adottata riguardo alla Camera dei deputati — che più si aumentano le Assemblee di numero e più si rendono disordinate e inefficaci. Non è possibile che un'Assemblea numerosa di 600-700 membri sia efficiente, se non ha soprattutto una tradizione lunga e rispettata. E però fui molto dolente quando la Camera adottò quella decisione dannosissima di aumentare il numero dei suoi componenti. Più aumenta il numero e maggiori sono le probabilità di disordine e di incompetenza. Per il Senato sarebbe ancora più grande errore essere in grande numero. Il Senato deve essere una Assemblea che — siccome ha una durata più lunga — deve avere la maggiore solidità.

Bisogna però che le fonti delle elezioni siano le stesse; ma che le elezioni si presentino in forma più appropriata secondo che si tratti dell'una o dell'altra Assemblea. La prima cosa, dunque, è il numero dei rappresentanti: un rappresentante al più per ogni 200 mila abitanti. Su questo non vi può essere difficoltà grave, tanto più che si ammettono nel Senato elettivo, altri, sia pure poco numerosi, che non risultano da elezioni.

Ma la cosa essenziale è la forma di elezione. Noi abbiamo già adottato la proporzionale. Non vi scandalizzate: i fatti mi daranno ragione. Voi vedrete i risultati disastrosi tra qualche anno — forse solo fra un anno — di questa aberrazione della Costituzione che è la proporzionale, non solo per lo Stato ma per gli enti locali, e nella pratica perfino per il Governo. Voi stessi vi pentirete di molte cose. Noi abbiamo difficoltà a far funzionare tutte le Assemblee elette con la proporzionale: fra poco moltissime saranno in paralisi.

Ma ora siamo ad un fatto nuovo: quale deve essere la formula che dobbiamo adottare per il Senato? La proporzionale è una cosa che, a quelli stessi che l'hanno voluta estendere, dà ora un'intima tristezza. Quando si parla serenamente si vedono tutti i pericoli: tra poco non funzionerà la maggior parte delle amministrazioni municipali italiane e fra poco lo sconvolgimento sarà generale. Attendete e constaterete il disordine dovunque.

Ora, per verità, ovunque, nei paesi vincitori e nei paesi seri, esiste il collegio uninominale. Si tratti dell'Inghilterra, dell'America, della Russia, è dovunque il collegio uninominale. Tutto è fatto sulla base di un solo nome, si vota un solo nome, il collegio uninominale è garanzia di serietà e di durata. Questo esiste dovunque fra i paesi vincitori e pare che sia il triste privilegio nostro di concederci un lusso che i vincitori non si sono ancora concessi e forse non si concederanno mai.

Vogliamo eleggere il Senato con la proporzionale? Io credo che questo sarebbe uno spaventoso errore, tanto più data la natura dell'istituzione e dato il fatto che la durata deve essere lunga, perché non può esistere un Senato breve. Un Senato deve durare tanto che possa approfondirsi nel costume politico, vivere nel fondo della vita del Paese. Senati di durata breve non ne esistono. «Senato» già vuol dire durata. I senatori erano in origine i discendenti dei fondatori della città. Ciò non spiega l'aberrazione e l'assurdo di questo progetto di Costituzione, di mettere una disposizione per cui i candidati senatori devono essere nati o dimoranti nel Paese; errore cui è necessità rinunziare, perché questa servitù della gleba politica non può riguardare una nazione moderna. Chi aspira al Senato deve essere candidato dovunque crede. Nella stessa America, dove sono 48 Stati che hanno legislazioni diverse, codici diversi, bisogni, territori enormi — di cui qualcuno, come il Texas, è tanto più grande dell'Italia — nella stessa America il Senato, pure regolato da leggi ferree, è costituito in tal modo che si può essere candidati in qualunque Paese del territorio nazionale.

Si aggiunga che l'Italia è un Paese talmente piccolo di estensione, in proporzione ai grandi Paesi moderni, e i mezzi di locomozione e di scambio e di viaggio sono talmente progrediti che si può andare da una estremità all'altra del territorio nello stesso giorno, per cui inserire una norma di carattere così antiquato sarebbe assurdo. Con quale sistema fare le elezioni? Credo che noi dobbiamo, per il Senato, andare al collegio uninominale; dobbiamo andare al collegio uninominale che prevale ovunque nel regolare la vita dei popoli civili. Il Senato non può essere eletto che con il collegio uninominale.

L'uniformità delle due Camere non è necessaria ed è dannosa. Infatti, in tutti i Paesi dove esiste il sistema del bicameralismo, le due Camere rispondono ciascuna a una propria funzione. Anche in America. Io vi parlo dell'America molto spesso: non lo faccio per feticismo, né per simpatia politica soltanto, ma perché la Costituzione americana ha ispirato tutte le altre migliori. L'America sola ci ha dato questo tipo di civiltà che noi chiamiamo democrazia. Vi erano state in passato piccole democrazie sul tipo dei Cantoni svizzeri, sul tipo delle città anseatiche, sul tipo delle piccole repubbliche italiane del medioevo. Ma queste non erano ancora la vera democrazia; la democrazia è un prodotto dell'America.

Tutti i grandi fatti sociali nascono prima nella vita e poi si trasformano in legge. Non è che gli studiosi inventino nuove società: sono spontanee trasformazioni o innovazioni che si producono. Faust avea ben ragione di dire: in principio era l'azione.

La democrazia americana è nata dai profughi, è nata dai perseguitati della religione e della politica che fuggivano le persecuzioni del re d'Inghilterra e le persecuzioni della chiesa ufficiale. Che cosa dovevano fare allora questi perseguitati per vivere insieme in un nuovo territorio? Dovevano darsi la loro legge. Le istituzioni politiche non nascono ex novo; nascono dalla realtà dei fatti. E nasce prima la cosa e poi la legge che la regola.

I perseguitati che andarono nella Virginia crearono poi il primo statuto: era il modo per vivere insieme. Questa è la grande origine delle democrazie moderne.

Non è dunque per preferenza politica che io parlo sempre dell'America, ma ne parlo perché la Costituzione concepita in senso veramente democratico è nata in America.

Ora, in America, cioè nella realtà, voi trovate le cose che sembrano più inverosimili: trovate il Senato che dura in carica sei anni e che ha immensi poteri, in cui tutti gli Stati hanno solo due rappresentanti per ciascuno, siano essi piccoli Stati, come il Vermont, che hanno una popolazione la quale si aggira intorno ai 300 mila abitanti, sia lo Stato di New York che si avvia ai 20 milioni di abitanti.

Ora, l'America ha sempre concepito che il Governo centrale e il Presidente della Repubblica, il quale assomma in sé tutti i poteri efficienti e che ha anche il potere esecutivo, si trovino in condizioni di essere a contatto del Senato e della vita pubblica. Vi sono disposizioni che a noi sembrano inspiegabili, eppure sono risultate pratiche e utili. Il Senato è presieduto dal Vicepresidente della Repubblica, che non ha diritto di voto e non è senatore.

Noi vogliamo dovunque l'architettura della uniformità. Come ci rassegneremmo a una aspirazione simile?

Non dobbiamo meravigliarci se avremo due sistemi elettorali differenti: uno per la Camera e l'altro per il Senato. Si vedranno tutte e due le forme elettorali. E poi in avvenire, come è inevitabile, si tornerà in tutto al collegio uninominale. Introduciamo ora per il Senato il collegio uninominale senza nessuna difficoltà, dividendo il territorio nazionale in tante circoscrizioni di 200.000 abitanti. La nomina di un senatore è facile, perché non richiede nessuna complicazione. Non vi sono liste; vi sono candidati. Cadrà così anche l'accusa che si è fatta finora (e che è la profonda verità) che la Camera dei deputati — quale l'abbiamo avuto nella nostra Costituente — è fatta da partiti di massa che non concedono a individui di attitudini elevate di affermare la loro personalità. Se noi abbiamo, agli effetti della elezione del Senato, il territorio diviso in circoscrizioni di 200.000 abitanti, ogni individuo che ne ha le attitudini può essere candidato, senza che occorrano i mezzi poderosi come per le grandi liste delle grandi circoscrizioni. Anche un individuo isolato può arrivare al Senato; non vi è persona notevole che, almeno nel suo paese o dove esercita la sua attività, non possa essere candidato. Noi, dunque, col collegio uninominale del Senato potremo dare la possibilità ad ogni grande personalità di manifestarsi; e ogni individuo potrà aspirare alla vita legislativa, senza per questo aver bisogno di sottomettere la sua attività intellettuale all'inevitabile dominio di un grande partito, cui deve appartenere se vuol fare della politica.

Ora, nella forma nella quale era stato concepito il Senato, si ammetteva che ogni Regione potesse disporre di cinque senatori: io credo che questo numero fisso si possa ridurre, senza alcun inconveniente, a 3.

Ma chi devono essere gli elettori? Ritengo che tutti coloro che abbiano i requisiti richiesti per l'elettorato politico della Camera dei deputati devono essere elettori del Senato, con una sola differenza: cioè che, mentre per la Camera dei deputati le condizioni per l'elezione sono, fra l'altro, di ventun anni di età e di venticinque per l'eleggibilità, per il Senato devono cambiare, nel senso che l'età per l'elettorato attivo venga fissata a 25 anni e per l'elettorato passivo a 40 anni, come in altri Paesi dove l'età minima per i senatori è di 40 anni. All'impulso che vi può essere nella prima Camera legislativa — che in America dura solo due anni — deve corrispondere la gravità, la serietà e anche la continuità del Senato. Dunque, io vorrei che tutti potessero essere candidati. Senza limitazioni territoriali e senza alcun sistema di elezioni a doppio grado, che ci condurrebbero alla confusione e alla corruzione.

Vi sono poi alcune obiezioni. Non vi saranno, dunque, si dice, manifestazioni del pensiero, dell'arte, non vi saranno senatori i quali sfuggano inevitabilmente alla pressione di una selezione attraverso il partito o attraverso l'organizzazione?

Io mi sono permesso di proporre che del Senato debbano e possano far parte coloro i quali hanno di fronte al pubblico il privilegio di rappresentare la cultura, mediante l'elezione — fatta dal Consiglio Superiore della pubblica istruzione — di sei senatori, che vengano dagli studi e dalle ricerche. Ed ho parlato di sei senatori, nel pensiero che le facoltà universitarie essenziali possano ognuna avere (se ne hanno) le attitudini, e siano in condizioni di averne la fiducia, affinché vi possano essere sei senatori che vengano dagli studi.

La Costituzione del Senato non può essere fatta che in una forma libera, senza privilegi.

Ho sentito che qui si parla di elezioni in secondo grado.

Per il Senato, alcuni vogliono non l'elezione in primo grado, ma in secondo grado, come esiste negli Stati Uniti e come esisteva in Francia.

Ciò negli Stati Uniti non era cosa difficile, perché nel Senato degli Stati Uniti — essendovi due senatori per ognuno dei 48 Stati della Federazione — l'elezione non poteva essere fatta in forma diretta. Si capisce che in un Paese di estensioni così enormi, dove le intese erano difficili, si dovevano adottare delle forme che consentissero la scelta senza pregiudicare i cittadini nelle loro manifestazioni politiche. L'elezione in secondo grado era una necessità e non ha dato cattivi risultati.

In Francia l'elezione di secondo grado ha dato risultati non apprezzabili, almeno in alcuni dipartimenti. Rare volte vi è stata tanta corruzione come nella nomina dei rappresentanti di coloro che dovevano eleggere i senatori.

Sono rimasti celebri alcuni scandali, come lo scandalo Coty in Corsica, come di altri candidati nello stesso dipartimento. Si compravano ad alti prezzi gli elettori per l'elezione di secondo grado. Ogni persona che voleva diventare senatore, siccome ogni senatore era eletto in fondo dai comuni (cioè un certo numero per ogni comune), si preoccupava soprattutto di fare la scelta degli individui sicuri. E allora non vi era prezzo. Coty non si chiamava Coty, ma soltanto Spoturno. Era italiano di origine. Francesco Spoturno, ma con il nome di Coty era conosciuto in tutto il mondo: François Coty. Voi tutti forse non lo conoscete, ma le signore a cui avete l'onore di rendere omaggio vi diranno che lo conoscono certamente. Egli ha creato la profumeria di lusso e di grandi spese. Prima, anche la profumeria d'Orsay non fabbricava in grandi quantità le bottiglie di profumo al di là dei cento franchi; Coty l'ha portata assai in alto, a prezzi fino allora ignoti. Ad un certo momento è stato uno degli uomini più potenti di Francia: ha comprato quanto poteva per miliardi, ha avuto insieme quella forza formidabile della stampa, quando si manifesta nelle più opposte correnti. Coty ha posseduto insieme il Figaro e l'Ami du Peuple e tutti gli altri giornali che erano aderenti a quei movimenti. Ha speso centinaia di milioni, ed in quei tempi i milioni valevano veramente qualche cosa, ed ha potuto, attraverso la stampa, avere una enorme influenza sull'opinione pubblica. Quando egli voleva essere deputato o senatore, nessuna spesa era eccessiva. Egli volle essere senatore della Corsica e non badò a spese. Si pagavano gli elettori a quei tempi, coloro che dovevano eleggere il senatore (in Corsica era abitudine il pagamento in natura) due cavalli o quattro buoi, o cinquanta o centomila lire per un voto solo. Dopo Coty, gli stessi sistemi sono stati applicati in Corsica e in qualche altro dipartimento. Quando si va alle elezioni con questi criteri, in paesi non ricchi, non vi è nessuna sorpresa dei risultati che si ottengono.

Io desidero quindi che non vi siano elezioni a doppio grado, dato che il nostro Paese non ha ancora una struttura politica, dopo tante vicende, che assicuri contro le cattive influenze e contro la corruzione. Credo quindi che si debba escludere ad ogni modo l'elezione a doppio grado. Del resto non vedo proposte da nessuna parte in questo senso.

Come dunque dovrebbe essere composto il Senato? Il senatore deve essere eletto in ogni circoscrizione a collegio uninominale di almeno 200 mila abitanti.

Siamo così abituati a parlare di uniformità e a concepire l'assurdo che tutti i voti devono essere rappresentati, che non pochi dicono: vi sono tanti voti che si perdono, ed allora riuniamo i resti e facciamo un polpettone e da tutti questi resti facciamo senatori, come ora i deputati che non si sa da chi sono nominati. Io ho avuto l'onore di essere eletto in tre circoscrizioni, benché non appartenga a nessun partito di massa. Faccio ora parte della lista nazionale. Io mi domando spesso chi rappresento. Quando tanti anni fa ero deputato e rappresentavo un collegio, sapevo chi mi eleggeva. Adesso invece non so niente. Non so chi mi fa stare qui dentro, nel senso che io ho abbandonati i miei elettori e credo che essi mi abbandoneranno.

Il Senato deve rappresentare la continuità e deve avere lunga durata. Il Senato che sia eletto sulla base del collegio uninominale è una necessità politica. Si dice che vi sono ingiustizie, ma è naturale che vi siano ingiustizie. Quando voi vedete i collegi inglesi o americani e notate la differenza di voti tra coloro che sono eletti e coloro che non sono eletti, e notate che coloro che sono eletti hanno avuto qualche volta meno voti di coloro che non sono eletti, vi sembra che ciò sia una grande ingiustizia. Ma l'ingiustizia apparente si compensa, perché in un collegio è a danno di un partito mentre in un altro collegio è a danno di un altro collegio di avverso partito e quindi si stabilisce quel compenso delle ingiustizie che si trasforma in giustizia, perché tutti quanti hanno gli stessi vantaggi e gli stessi danni. Quindi credo che l'idea del collegio uninominale è non solo una necessità, ma una convenienza per tutti e non vedo perché non possa essere adottata senza resistenza.

Nel progetto era già preveduto che un certo numero di Senatori dovesse essere attribuito a ciascuno dei collegi elettorali; naturalmente a ciascuna delle circoscrizioni che avrebbero avuto la forma attuale richiesta dalla proporzionale. Ora, siccome la proporzionale non verrebbe a funzionare, si possono attribuire tre collegi senza nessuna difficoltà a tutto l'insieme della circoscrizione; e si può stabilire che il voto per questi tre nuovi rappresentanti sia dato poi a tutta la Regione sempre con votazione per un sol nome, cioè con il collegio uninominale. Comunque, ho cercato di semplificare la cosa come meglio potevo. Vi è un fatto nuovo che già vedevo annunziato dovunque ed è: cosa ne è di coloro che formano il Senato? Chi forma il Senato? Prima di tutto i senatori eletti. Ma vi è un fatto nuovo nella coscienza generale di cui bisogna tener conto: che vi devono essere anche dei senatori non eletti. Senatori non eletti con votazione, ma che sono nella generale coscienza. Il Senato ha avuto una lunga fase in cui non ha funzionato, mentre la Camera dei deputati è stata per molti anni attiva. Ora è naturale che quelli che furono deputati onorevolmente, prima del fascismo, che stettero in Parlamento prima di quella lunga crisi costituzionale che fu il fascismo, possano venire in certo numero là dentro a rappresentare non solo la tradizione ma il buon nome del Parlamento. È giusto che deputati, i quali servirono lungamente il loro Paese e poi furono messi fuori, e si trovarono in condizioni di essere isolati dalla vita pubblica, possano venir là dentro in un certo numero, possano venire nella prima nostra legislatura del Senato, a riprodurre ancora il sistema libero. E sono uomini di ogni partito. Ve ne sono qui dentro che erano dei partiti più avanzati e che anche all'estrema sinistra avevano notevole rappresentanza e notevole partecipazione. Ora ciò può bene essere ammesso. Noi discuteremo dopo il dettaglio; ma ammettiamo il principio che essi possano rappresentare il Parlamento libero per la prima legislatura. Ora, per la prima legislatura del Senato come e in quale misura occorre che questo fatto avvenga?

I deputati che hanno appartenuto alla Camera per un certo numero di legislature — compresa naturalmente la Costituente attuale, questa che io considero la prima espressione di Camera perché eletta a suffragio universale — e anche, quindi, coloro che qua dentro fanno parte dell'Assemblea Costituente devono poter unire le legislature che noi crediamo necessarie per formare il numero di legislature atto per entrare nel Senato. Noi dobbiamo tener conto anche della Costituente come di un'Assemblea politica, ma non della Consulta che fu solamente Camera consultiva e non venne da elezioni, ma da scelta e che quindi non può esser considerata come Camera legislativa.

Avremo, dunque, una Camera di senatori, cioè una Camera composta di senatori e che si chiamerà solamente «Senato» e non Camera del Senato e ancor meno Camera del Senato della Repubblica.

Sarebbero denominazioni stravaganti, come se si indicasse nella Costituzione la Camera dei deputati della Repubblica, quasi potesse essere Camera dei deputati di un altro Paese o di un altro regime.

Basta dire semplicemente Camera dei deputati e Senato. Queste due Camere, elette col suffragio in forma diversa, dovranno essere la base della Costituzione.

Durata: negli Stati Uniti il Senato dura sei anni, ed è rinnovabile per un terzo ogni due anni; in Francia durava 9 anni, periodo troppo lungo, che deprimeva spesso la serietà dell'azione. Ma bisogna ricordare che il Senato di Francia ha salvato il Paese molte volte dalla dittatura, a cominciare dalla dittatura militare di Boulanger e da tutte le altre che furono concepite e si tentò di realizzare. Fu solo la resistenza del Senato, il cui Presidente osò affrontare personalmente il minaccioso generale, a salvare la dignità del Parlamento. Il Senato ha salvato per molto tempo la Francia dai tentativi fascistizzanti e fascisti di Tardieu e di Lavai, i quali, in forma diretta o indiretta, sognavano il fascismo in Francia.

Questa istituzione è stata più giovanile della stessa Camera dei deputati nei momenti più critici per la Francia. Mentre io non ammiro tutta l'azione politica della Repubblica francese degli ultimi anni, devo dire che il Senato, nonostante tutto, si è comportato assai spesso meglio della Camera dei deputati. Questa Assemblea di vecchi è stata, in molte occasioni, più giovanile che la Camera dei deputati. Spero che noi faremo un'Assemblea anche migliore, perché vi entreranno forze diverse, a cominciare dai vecchi parlamentari fino a quelli che verranno eletti per suffragio, col collegio uninominale; sistema col quale ciascun candidato viene conosciuto e valutato dai suoi elettori e finisce col conoscerli e coll'interessarsi di loro; la reciproca simpatia prelude sempre alla reciproca fedeltà.

Ora, io vorrei che nel primo Senato non mancassero uomini di esperienza e vi fossero i rappresentanti delle tre grandi magistrature dello Stato: uno per ogni grande magistratura, la Suprema Corte di cassazione di Roma, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti. Suppongo che tutti abbiamo la dottrina necessaria in un'Assemblea politica, ma non tutti abbiamo la pratica. La presenza nella nuova Assemblea del Senato di un certo numero di uomini sperimentati, quali i rappresentanti delle tre grandi magistrature, è a vantaggio di tutti. Si dice che essi, non essendo eletti, possano costituire pericolo o disordine. Quale disordine? Quale pericolo? Credete che si diventi Presidente di cassazione a 50 o a 40 anni? Non credete che uomini di così lunga esperienza portino piuttosto elementi di equilibrio? Dunque, questa modifica mi pare necessaria: ammettere i deputati che hanno avuto un certo numero di legislature.

In quale proporzione? Io ho indicato la proporzione che mi è parsa necessaria ed utile. Vi prego soltanto di non esagerare.

Ieri si dovette discutere il numero dei deputati di questa Assemblea e la fiera dichiarazione dell'onorevole Conti, a cui mi sarei volentieri unito, proponeva un deputato per centocinquantamila abitanti. Io avevo proposto un termine medio nella soluzione, centomila abitanti per ogni deputato. Si tornò con la votazione a ottantamila e se ci fosse stata una proposta di cinquanta mila o non più di quarantamila, io credo che sarebbe stata accolta. (Commenti), tanto fu l'entusiasmo che notai tra alcuni colleghi (che pure parevano e che dovevano essere contrari) per questa assicurazione sulla vita data agli onorevoli membri di questa Assemblea.

Conti. Anche i discepoli si sono ribellati! Ne ha anche uno vicino.

Nitti. Ora accetterete, io spero, questa indicazione, di ammettere nella nostra Assemblea un certo numero di ex deputati che rispondano per la loro condotta, per il loro passato, alle condizioni di stima che deve avere ogni grande Assemblea alla sua costituzione.

In quanto al numero, vi prego di essere moderati, perché più allargherete il numero, più renderete la cosa difficile, se non impossibile.

Io debbo limitarmi a queste brevissime dichiarazioni e delucidazioni, nella speranza che ne teniate conto. Se vi saranno obiezioni io sarò lieto di rispondere. Non mi muove nessuna idea di parte, nessuna d'interesse di ceto o di classe, nessun movimento che possa essere dichiarato al servizio di una parte o dell'altra della Camera. Perciò attendo le vostre osservazioni. (Applausi).

Ricordo, comunque, di aver proposto di sostituire gli articoli 55 e 56 con il seguente:

«Il Senato è eletto sulla base di un Senatore per 200 mila abitanti.

«Il territorio della Repubblica è diviso in circoscrizioni elettorali, che eleggono un solo Senatore ciascuna.

«A ogni Regione è inoltre attribuito un numero fisso di tre Senatori.

«Sono elettori i cittadini che hanno compiuto 25 anni e sono eleggibili quelli che hanno compiuto 40 anni.

«Del Senato fan parte, salvo la loro rinunzia, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio dei Ministri.

«Alla costituzione del Senato entrano a farne parte gli ex Deputati che hanno appartenuto alla Camera dei Deputati per cinque legislature, senza che però questo fatto costituisca alcun precedente per l'avvenire.

«Fanno parte del Senato il Presidente della Corte di cassazione di Roma, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente della Corte dei conti e 6 professori di Università designati per elezione dal Consiglio superiore della pubblica istruzione.

«I Senatori di nomina elettiva durano in carica sei anni e sono rinnovabili per un terzo ogni due anni».

(Applausi).

[...]

Presidente Terracini. Riprendiamo la discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

All'articolo 55 gli onorevoli Lami Starnuti, Rossi Paolo, Carboni Angelo, Di Giovanni, hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Camera dei Senatori è eletta, per circoscrizioni regionali, a suffragio universale diretto con sistema proporzionale in ragione di un senatore ogni 120.000 abitanti o frazione superiore a 60.000».

L'onorevole Lami Starnuti ha facoltà di svolgerlo.

Lami Starnuti. Onorevoli colleghi, noi dobbiamo insistere nelle proposte contenute nell'emendamento da noi presentato all'articolo 55 del progetto di Costituzione; ma poiché ieri, a proposito della Camera dei deputati, l'Assemblea Costituente deliberò che il sistema elettorale di formazione della Camera non dovesse essere contenuto nella Costituzione della Repubblica italiana, pensiamo che lo stesso ordine di idee debba valere per la formazione del Senato.

Modifico in questo senso l'emendamento da noi proposto, riservandomi però di trasferire, proprio come si è fatto ieri, in un ordine del giorno quelle che sono le affermazioni e le proposte di portata puramente elettorale. Corretto, il nostro emendamento verrebbe a suonare così:

«La Camera dei Senatori è eletta a suffragio universale diretto in ragione di un senatore per ogni 120.000 abitanti o frazione superiore ai 60.000 abitanti».

Nell'ordine del giorno noi trasferiremo il concetto della circoscrizione regionale e l'affermazione che il Senato della Repubblica deve essere eletto col sistema proporzionale, eletto nella sua interezza, senza quelle particolari porzioni (e mi libero dalle questioni minute) che il progetto di Costituzione assegna ai Consigli regionali. Se è vero (e lo diceva testé l'onorevole Nitti) che la fonte della rappresentanza politica deve essere unica, non si vede perché una quota-parte dei senatori dovrebbe essere eletta dai Consigli regionali.

Il nostro emendamento non è molto dissimile dall'emendamento dei compagni dell'altro Gruppo socialista, per quanto essi rinviino alla legge elettorale il sistema di formazione; rinvio che però appare inopportuno al punto in cui siamo arrivati.

Il problema della formazione del Senato è stato il problema il quale ha assillato di più la Commissione per la Costituzione, per le questioni d'ordine politico che la formazione del Senato portava con sé e per le difficoltà d'ordine tecnico insite in molti degli espedienti che erano stati suggeriti alla Commissione.

Oggi, l'onorevole Nitti, con l'autorità che a lui deriva dal suo passato, dalla sua dottrina e dalla sua esperienza politica, si è fatto paladino della elezione dei senatori a collegio uninominale, tesi che troverà consensi in altri settori della Camera, anche in settori molto distanti dal suo, ma che non ci ha persuasi, non perché noi disconosciamo gli elementi di bontà che sono insiti nel sistema del collegio uninominale, non perché noi crediamo in modo assoluto alla perfezione del sistema proporzionale, ma perché, nella realtà politica italiana attuale e davanti alla decisione di ieri, secondo la quale la Camera dei deputati dovrà formarsi col sistema proporzionale, noi riteniamo inopportuno e, sotto certi aspetti, pericoloso, introdurre questo differente sistema per la formazione della seconda Camera.

Il sistema del collegio uninominale viene «sostenuto perché, si dichiara, è necessario differenziare la seconda Camera dalla prima, concetto che da un punto di vista astratto potrebbe tessere anche accolto, ma che dobbiamo respingere quando lo esaminiamo sotto il punto di vista della concretezza.

Il sistema del collegio uninominale è un sistema di maggioranza, che potrebbe diventare un sistema di minoranza se venisse attuato — di questo non è stata fatta parola né nelle proposte scritte, né dall'onorevole Nitti nel suo discorso — se venisse attuato senza il correttivo del ballottaggio. Noi affideremmo in tal modo l'elezione dei senatori non alla maggioranza di un determinato collegio elettorale, ma al gruppo politico di minoranza più forte e noi andremmo a creare una seconda Camera che potrebbe rappresentare la minoranza del Paese, in contrasto, forse stridente, con la prima Camera.

Chi ricorda i risultati elettorali del nostro vecchio sistema a collegio uninominale sa che in pochissimi collegi l'elezione a primo scrutinio dava risultati positivi. Anche nelle elezioni del 1909 e del 1913, che sono le ultime elezioni italiane (Commenti) a collegio uninominale, i ballottaggi hanno superato di molto il numero delle elezioni in primo scrutinio...

Voce al centro. No, no.

Lami Starnuti. Ad ogni modo, sono stati così numerosi i ballottaggi, da porre il problema così come io lo ponevo poc'anzi, e cioè che il collegio uninominale, se non è corretto dal ballottaggio, può creare una Camera in rappresentanza di forze politiche agguerrite e numerose ma costituenti la minoranza del Paese.

Se così è, la formazione del Senato a collegio uninominale potrebbe portare inevitabilmente ad un conflitto permanente tra la prima Camera e la seconda Camera, che nessun uomo politico può augurarsi e che nessun uomo politico può contribuire a creare, anche perché i rimedi per il componimento dei conflitti non sono né facili né sicuri, e noi vedremo quando discuteremo l'articolo 70 del progetto di Costituzione, la disparità delle idee fra i vari settori della Camera su questo problema che pure è un problema fondamentale. Per questo, pur riconoscendo, dicevo, che il collegio uninominale ha anche i suoi pregi, noi non possiamo aderire all'emendamento dell'onorevole Nitti né all'emendamento dell'onorevole Laconi.

Data la distribuzione delle forze dell'Assemblea, dato lo schieramento dei partiti rispetto a questo problema, credo che il collegio uninominale non sarà accolto. E allora l'Assemblea si troverà necessariamente costretta ad adottare il sistema proporzionale e si troverà di fronte a due proposte diverse dello stesso sistema proporzionale. Alla nostra proposta infatti di proporzionale a suffragio diretto, si contrappone la proposta dell'amico onorevole Perassi, per un sistema proporzionale di secondo grado, in cui la nomina effettiva dei senatori sia fatta non più dal corpo elettorale nella sua spontaneità e nella sua sincerità, ma da un collegio più o meno ristretto...

Uberti. Filtrato.

Lami Starnuti. Ristretto, anche se filtrato: ad un collegio dunque più o meno ristretto, il quale in definitiva creerà il Senato.

Ora, l'onorevole Nitti ha già fatto presente all'Assemblea Costituente quali sono i pericoli di affidare ad un ristretto gruppo di elettori una nomina tanto importante come quella del Senato della Repubblica.

Quando vi sono in gioco interessi politici così notevoli e così cospicui, un ristretto collegio di elettori può subire tutte le influenze e tutte le tentazioni e può dare di conseguenza all'elezione una fisionomia non rispondente ai sentimenti e al pensiero del Paese.

Se l'Assemblea Costituente — questo voglio dire a conclusione — se l'Assemblea Costituente non accoglierà, come io ritengo, la proposta dell'onorevole Nitti per il collegio uninominale, se l'Assemblea Costituente si troverà costretta a decidere che anche la seconda Camera sia eletta con il sistema della proporzionale, io penso e spero che tra il sistema di secondo grado, proposto dall'onorevole Perassi, e il nostro sistema a suffragio universale diretto, preferirà questo secondo metodo di votazione, per la maggiore spontaneità, per la maggiore sincerità e — consentite ch'io lo dica — per la maggiore onestà di esso. (Approvazioni).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Preti, Ruggiero e Persico hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«La Camera dei Senatori è eletta, con sistema proporzionale, dalla Camera dei Deputati in ragione di 1 senatore ogni 120.000 abitanti».

L'onorevole Preti da facoltà di svolgerlo.

Preti. Ho presentato questo emendamento d'accordo con l'onorevole Lami Starnuti, all'emendamento del quale il mio è subordinato. È sembrato al nostro Gruppo che nella democrazia parlamentare moderna — che è assai diversa da quella ottocentesca — sia fuor di strada chi va a cercare nel Senato una specie di correttivo della Camera dei deputati, cioè un correttivo del suffragio universale abbinato al sistema proporzionale, nell'illusione di poter dare, per questa via, stabilità ai regimi politici. Esista pure il Senato, visto che tanta parte dell'Assemblea lo ritiene necessario. Esso, peraltro, non deve alterare l'equilibrio politico della Camera dei deputati. Anche il Senato deve esprimere il più genuinamente possibile la volontà popolare.

Io temo d'altronde che i «filtri», che tanto piacciono all'onorevole Uberti, in particolare il «filtro» del collegio dei grandi elettori, di cui alla proposta dell'onorevole Perassi, finiscano in pratica per generare proprio le complicazioni alle quali ha accennato l'onorevole Lami Starnuti. D'altra parte, questi «filtri», in fondo, non modificano quello che è il dato fondamentale, cioè che anche il Senato risulti espressione del suffragio universale abbinato al sistema proporzionale. Perché dunque insistere su di essi?

Ho espresso in sede di discussione generale le ragioni che mi fanno ritenere più democratica di ogni altra la elezione del Senato da parte della Camera. Il mio Gruppo è pure di questo avviso. Ma subordiniamo questa proposta, che non facilmente sarebbe accolta in quanto apparentemente troppo radicale, a quella dell'onorevole Lami Starnuti.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Targetti, Amadei, Carpano Maglioli, De Michelis, Fedeli Aldo e Malagugini:

«Sostituirlo col seguente:

«La Camera dei senatori è eletta a base regionale, con suffragio universale e diretto.

«A ciascuna Regione è attribuito un senatore per 150.000 abitanti o per frazione superiore a 75.000. La Valle d'Aosta ha un solo senatore».

L'onorevole Carpano Maglioli ha facoltà di svolgerlo.

Carpano Maglioli. Onorevoli colleghi, prima di tutto il nostro emendamento deve essere così modificato:

«La Camera dei senatori è eletta con suffragio universale e diretto in ragione di un senatore per 150.000 abitanti o per frazione superiore a 75.000. La Valle d'Aosta ha un solo senatore».

Corretto così, il nostro emendamento, come bene osservava il collega onorevole Lami Starnuti, di poco si differenzia dal suo; e perciò io non ripeterò quello che già è stato detto bene, nel senso che noi riteniamo che a fondamento di ogni formazione di assemblea legislativa deve sempre concorrere il sistema del suffragio universale diretto, perché noi pensiamo che le elezioni di secondo grado presentino pericoli di deviazioni attraverso interferenze, che allontanano l'eletto dalla volontà diretta degli elettori.

E su questo punto io credo non sia più il caso di spendere una sola parola per sostenere l'opportunità e la necessità che anche la Camera dei senatori sia eletta a suffragio universale diretto. Noi abbiamo eliminato quanto è indicato nel progetto, e cioè che a ciascuna Regione sia attribuito un numero fisso di 5 senatori; e ciò per impedire sproporzioni, nel senso che Regioni con piccolo numero di abitanti vengano ad avere una rappresentanza uguale ad altre con una popolazione maggiore e territorio più vasto. Pare a noi che fissare il numero dei rappresentanti in rapporto agli abitanti sia un criterio preciso, nel senso che consente di formare un collegio legislativo di proporzioni razionali.

Abbiamo fissato il numero di 150 mila abitanti (un numero che si differenzia di poco dal numero dell'emendamento Lami Starnuti), appunto perché pensiamo che il Senato debba essere meno numeroso della Camera dei Deputati; assegnando un senatore per ogni 150 mila abitanti, noi avremmo un Senato composto di circa 300 unità.

Non crediamo, in conformità a quanto già si è accennato ieri, che si debba e si possa inserire nella Costituzione una norma per il sistema elettorale, né che sia opportuno parlare di proporzionale, di circoscrizione regionale o di collegio uninominale. Questo problema formerà tema della legge sull'elettorato passivo, perché noi pensiamo che la Costituzione debba avere una durata, direi, indefinita contenendo direttive di principio e si debba rinviare i particolari alle leggi, le quali possono subire tutte le modifiche imposte dal mutare dei bisogni e delle necessità. Perciò, poiché modalità relative alle elezioni sono certamente costrette a mutamenti assai più frequenti che non la Costituzione, queste modalità devono essere fissate da leggi speciali e non dalla Carta costituzionale.

Noi abbiamo fiducia che il nostro emendamento possa trovare accoglimento da parte della Camera per la chiarezza e l'opportunità dei concetti in esso presentati e cioè: il Senato della Repubblica deve essere eletto a suffragio universale diretto in ragione di un senatore per 150 mila abitanti.

Per quanto riguarda il sistema elettorale, proporzionale o collegio uninominale, questo problema, come già ho accennato, formerà oggetto della legge elettorale; su questi due temi il nostro Gruppo si riserva di esprimere il suo pensiero tempestivamente.

Riteniamo, solo, che sia inopportuno inserire una norma che rifletta il sistema elettorale nella Costituzione, perché — ripeto — la Costituzione è legge fondamentale e durevole mentre le norme elettorali sono mutevoli e devono conformarsi alle esigenze del tempo in conformità delle circostanze anche momentanee e degli uomini e delle cose.

Per quanto sopra esposto abbiamo fiducia che la Camera possa aderire al nostro emendamento.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Laconi, Grieco e Gullo Fausto hanno presentato un emendamento, del seguente tenore:

«Sostituirlo col seguente:

«La Camera dei senatori è eletta a suffragio universale, diretto e segreto, secondo il sistema uninominale, in ragione di un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila».

L'onorevole Laconi ha facoltà di svolgerlo.

Laconi. Il nostro gruppo parlamentare non è stato fra quelli che hanno sostenuto la necessità di una seconda Camera. Non abbiamo assunto questa posizione in quanto non crediamo che la creazione di una seconda Camera risponda ad una esigenza funzionale ed organica del regime democratico di tipo parlamentare.

Respingiamo infatti due delle motivazioni principali che vengono addotte a questo proposito; e cioè respingiamo la tesi secondo cui un'Assemblea politica non costituirebbe una rappresentanza integrale del Paese, e respingiamo anche la tesi secondo la quale l'Assemblea politica, per sua natura avventata e irriflessiva, avrebbe necessità di un secondo organo che le faccia da freno e da correttivo.

Se abbiamo acceduto alla proposta di creazione di una seconda Camera, l'abbiamo fatto perché abbiamo riconosciuto che esiste un motivo, secondario, ma che è accolto dalla pubblica opinione e largamente condiviso da questa Assemblea. Questo motivo secondario consiste nell'esigenza che la legge trovi, attraverso il vaglio di una seconda Camera, una sua maggiore elaborazione e un maggiore suo perfezionamento.

A questa stregua mi pare evidente che noi sul problema del come debba essere organizzata questa seconda Camera non abbiamo una posizione di principio. Esaminiamo serenamente tutte le proposte che vengono presentate e ci studiamo di scegliere fra esse quella che meglio si inquadri nella tradizione italiana e meglio risponda all'esigenza di una maggiore elaborazione della legge.

Le proposte che sono state presentate, almeno le principali, si muovevano originariamente su due linee: la linea della rappresentanza di interessi, che è stata ieri eliminata attraverso un voto contrario della Assemblea, e la linea della rappresentanza a carattere territoriale, che ha trovato in parte un accoglimento nel progetto di Costituzione e che è variamente echeggiata in diverse proposte che vengono poste in discussione attraverso gli emendamenti.

Ieri l'Assemblea ha respinto la prima di queste proposte e penso che abbia concorso in questo voto anche la considerazione che io ho avuto l'onore di fare ieri e cioè che la proposta dell'onorevole Piccioni presupponeva tutta una Costituzione diversa da quella che invece noi siamo andati elaborando.

Io penso che queste medesime considerazioni valgano anche per tutte le proposte che delineano una formazione della seconda Camera su base territoriale. Le proposte di una rappresentanza su base regionale, o comunque su base locale, conferiscono in sostanza alle Regioni, in quanto tali, un loro diritto di partecipazione alla direzione politica del Paese e muovono quindi da una concezione dello Stato che non è quella che ha trovato accoglimento nel titolo delle autonomie regionali. Le Regioni non sono state da noi configurate come organi di potere politico. Noi non abbiamo creato uno Stato federale per cui oggi debba discenderne naturalmente una rappresentanza delle Regioni nella seconda Camera. Noi abbiamo creato la Regione come ente puramente autonomo ed incluso nell'unità politica dello Stato.

Si dirà che nel progetto attuale si è ricorso ad un compromesso, contemperando la rappresentanza regionale con altre forme di rappresentanza, ma io penso che proprio da questo compromesso scaturiscano i maggiori pericoli. Se noi ci trovassimo in uno Stato federale e dinanzi ad unità territoriali storicamente determinate ed organiche, che hanno una tradizione storica, probabilmente nell'accogliere anche integralmente il principio della rappresentanza regionale nella formazione della seconda Camera non ci sarebbero dei pericoli; ma qui in Italia, dove nascono delle Regioni con tutt'altra configurazione, io penso che corriamo un grande pericolo a concedere una rappresentanza fissa alle Regioni, corriamo cioè il pericolo di dare la stura domani a tutta una serie di movimenti regionalistici i quali altro scopo non avrebbero se non quello di conquistare a determinate Regioni o talvolta anche a determinati gruppi politici prevalenti in quelle Regioni le rappresentanze senatoriali. Io vorrei che questo punto che è stato così scarsamente toccato da questa discussione, e mi pare sia ancora largamente accettato in questa Assemblea, venisse sottoposto ad una discussione particolareggiata.

Io vorrei far notare ai colleghi che questo premio concesso gratuitamente ad ogni Regione, è un incentivo alla creazione di nuove Regioni, incentivo che può essere favorito anche dal fatto che in determinate zone di certe Regioni possono prevalere determinati gruppi politici interessati ad ottenere questo premio.

È ben noto che in ogni Regione esistono particolari zone in cui un partito è in prevalenza. Chi potrà escludere che questo partito si faccia promotore della costituzione di una Regione la quale domani avrà, per il fatto che si costituisce, il premio gratuito di cinque senatori? Noi verremmo a trovarci inermi di fronte a questo pericolo: quello di vedere da un lato la Regione trasformata in un semplice strumento di competizione politica, e dall'altro lato di veder trasformato il Senato in una Camera che rappresenti unicamente, e nel modo più ristretto, degli interessi locali di piccoli gruppi configurati territorialmente e politicamente.

A nostro avviso il Senato deve rappresentare la nazione in modo indiscriminato. Abbiamo ieri escluso che vi fosse una rappresentanza di gruppi sociali in quanto tali. Io penso che dobbiamo escludere che vi sia una rappresentanza di gruppi territorialmente configurati in quanto tali. La sovranità appartiene al popolo nella forma più indiscriminata. Non possiamo ammettere che nel quadro dello Stato unitario italiano vi siano enti di qualsiasi natura, sia sociale che territoriale, i quali detengano un determinato diritto per il fatto che esistono, e in nome della loro esistenza e della loro costituzione. Rappresentanza, quindi, indiscriminata. Ma è evidente che se vogliamo che questa rappresentanza indiscriminata risponda a quelle esigenze — che sono state riconosciute anche da noi, e credo dalla maggioranza della Camera — di una maggiore elaborazione della legge; se vogliamo che la seconda Camera risponda a queste esigenze, è evidente che dovremmo avere una rappresentanza opportunamente selezionata.

Ci è stata presentata tutta una serie di proposte. Si è presentata la proposta della scelta dall'alto; si è presentata la proposta dei membri di diritto. Si sono presentate proposte di elezioni indirette e proposte di elezioni a suffragio universale. Quale scegliere tra queste?

La corrente che io rappresento ed il mio Gruppo parlamentare sono nettamente contrari alla prima di queste soluzioni, e cioè ad una qualsiasi investitura dei senatori dall'alto. Mi sembra che non sia necessario soffermarci su questo punto: contrasta con qualsiasi esigenza della democrazia qualsiasi forma di designazione che affidi la scelta dei senatori a persone o organi, che possono essere i più qualificati del mondo, ma che non rappresentano in questa funzione, in alcun modo, la totalità del Paese.

Per quanto riguarda i membri di diritto, la questione si pone altrimenti. È evidente che vi sono uomini che per il fatto di essersi trovati a capo dello Stato o di una formazione governativa vengono a rappresentare direi, quasi un periodo della storia. Le proposte che si muovono in questo senso possono dar luogo ad una discussione e possono esser prese in considerazione.

Per quanto riguarda le proposte di elezione indiretta, che sono state formulate da diversi colleghi, io stesso sono stato il presentatore di un ordine del giorno in questo senso durante i lavori della Commissione dei Settantacinque, o, se non erro, della seconda Sottocommissione. Questo ordine del giorno rappresentava un'opinione che aveva qualche seguito nel mio Gruppo. Noi non siamo quindi contrari per principio ad una soluzione di questo genere.

Solo, nessuno di noi può esserne contento. Se domani il Paese fosse chiamato ad eleggere la seconda Camera secondo questo sistema, rimarrebbe in ciascuno di noi un senso di insoddisfazione perché ciascuno sentirebbe che è una soluzione provvisoria, adottata allo scopo di eludere il problema. Non v'è alcuna ragione, che gli elettori debbano eleggere delle persone unicamente allo scopo che queste, riunite, eleggano i loro rappresentanti. Nessuno in Italia potrebbe comprendere un tale sistema in questo momento. È vero che in Francia esso è stato adottato, ma è anche vero che in Francia perdura la sensazione che questo sistema sia stato un rimedio dell'ultim'ora.

Una voce al centro. Chi lo dice?

Laconi. La soluzione alla quale penso si debba giungere è la soluzione più semplice...

Piccioni. ...e la più vecchia.

Laconi. Se l'onorevole Piccioni mi ha fatto l'onore di ascoltarmi fin dalle prime mosse del mio intervento, ha avuto modo di notare che io son partito determinatamente dalla tradizione. Io penso che questa tradizione italiana si continua oggi in qualche modo. In larghi strati della popolazione italiana vi è una diffusa simpatia per il collegio uninominale, che merita di essere presa in considerazione. Se l'onorevole Piccioni guarda a certi strati del popolo italiano, che seguono anche il suo partito, avrà modo di avvertire questa esigenza, largamente sentita.

Io parlavo però delle soluzioni che si muovono entro il suffragio universale e che sono evidentemente due: quella che mantiene anche per la seconda Camera il sistema della rappresentanza proporzionale e quella che, invece, innova attraverso l'introduzione del collegio uninominale. Io penso che questa soluzione, la quale ha il pregio di differenziare la seconda Camera dalla prima e, contemporaneamente, di rispondere all'esigenza funzionale — cioè, l'esigenza di creare una seconda Camera capace di dare una maggiore elaborazione ed un maggiore perfezionamento alla norma — penso che questa soluzione sia la più accettabile, anche perché verso di essa si dirigono le simpatie di taluni strati del popolo italiano e di correnti politiche tradizionali che hanno il loro peso.

Dal 1848 al 1913, con una breve interruzione, l'Italia ha avuto il collegio uninominale. Penso che sia stato un decisivo passo in avanti della democrazia italiana l'atto con cui a questo sistema elettorale è stato sostituito il sistema della proporzionale.

Non condivido quindi il pensiero dell'onorevole Nitti su questo punto.

Nitti. Sono stato io a introdurre quel sistema.

Laconi. Penso che sia stato il progresso a introdurre quel sistema di formazione della prima Camera. Ma penso anche che il dar luogo al sistema che più si lega alle tradizioni del passato, nella formazione della seconda Camera, sia cosa saggia e meritevole di trovare accoglimento nella nostra Assemblea.

Con questo intento ho presentato l'emendamento in discussione. (Applausi a sinistra).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Macrelli e De Vita hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire alle parole: La Camera dei senatori, le altre: Il Senato della Repubblica».

Dopo l'approvazione dell'articolo 52, lo si deve ritenere assorbito; salvo a tenerne conto in sede di coordinamento.

L'onorevole Russo Perez ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo e secondo comma, sostituire alle parole: La Camera dei senatori è eletta a base regionale. A ciascuna Regione è attribuito, le parole: La Camera dei Senatori è eletta a base territoriale, attribuendo a ciascuna Regione».

Condorelli. In assenza dell'onorevole Russo Perez, faccio mio il suo emendamento pur rinunziando a svolgerlo.

Presidente Terracini. L'onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«A ciascuna Regione è attribuito un senatore per 200.000 abitanti o frazione superiore a 100.000».

Non essendo presente l'onorevole Caronia, si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L'onorevole Colitto ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma sopprimere le parole: che manda all'altra Camera, e, al terzo comma, le parole: e diretto».

Ha facoltà di svolgerlo.

Colitto. L'articolo 55 del progetto di Costituzione stabilisce che nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati. A mio avviso non occorre aggiungere altro perché il pensiero del legislatore traluce più che chiaro da queste parole. Perciò io ho proposto la soppressione delle parole che si leggono nel progetto: «che manda all'altra Camera». Penso che tali parole trovansi nel testo perché in una prima edizione di esso anche i senatori erano qualificati deputati o si distinguevano i senatori dai deputati chiamandosi questi deputati alla prima e gli altri deputati alla seconda Camera. Esattamente, quindi, la seconda Sottocommissione aveva proposto questo testo: «Nessuna Regione può eleggere un numero di deputati alla seconda Camera superiore al numero che essa manda alla prima Camera». Ma è evidente l'inutilità di queste ultime parole ora che i componenti la seconda Camera sono nel progetto qualificati senatori e non più deputati.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Mortati, Fuschini, Ferrarese, De Palma, Sullo, Dominedò, Carignani, Bubbio, Balduzzi, Salizzoni e Viale, hanno proposto di sopprimere al secondo comma l'ultimo periodo:

«Nessuna Regione può avere un numero di senatori maggiore di quello dei deputati che manda all'altra Camera».

L'onorevole Mortati ha anche proposto di sospendere la determinazione del numero fisso di senatori fino a quando non sia stabilito il numero delle Regioni.

Ha facoltà di svolgere gli emendamenti.

Mortati. A illustrazione del primo emendamento devo richiamare il concetto che il numero fisso stabilito dal secondo comma dell'articolo 55 ha una ragion d'essere in quanto il Senato sia costituito in funzione dell'ordinamento regionale. Sull'esigenza di questo collegamento non insisto, avendone ampiamente trattato pochi giorni fa, in occasione del mio intervento in qualità di relatore. È errata l'opinione secondo cui l'attribuzione di un numero fisso di senatori ad ogni Regione, indipendentemente della sua popolazione, importi l'affermazione di un principio federalistico. Essa ha invece la funzione di attenuare, sia pure in limiti molto ristretti, la sproporzione di rappresentanza regionale, che si verifica in Italia, tenuto conto dell'enorme differenza di peso demografico fra alcune Regioni ed altre. Ciò premesso è ora da esaminare questo punto, se cioè si possa in questo momento procedere alla determinazione della entità di questa aliquota fissa da assegnare ad ogni complesso regionale. Sostengo con questo emendamento che la Camera debba limitarsi ad affermare il principio della assegnazione del numero fisso, rinviando ad un secondo momento la fissazione del numero complessivo. Questo rinvio è reso necessario in base a due considerazioni.

Anzitutto dal fatto che determinare il numero fisso in un modo od in un altro porta a modificare l'entità numerica complessiva del Senato. Evidentemente il numero dei componenti di un organo costituzionale è un elemento che influisce sulla natura che questo viene a rivestire e sul suo funzionamento, sicché assume una evidente rilevanza costituzionale. Quindi mi pare che non possiamo determinare questo numero fisso fin quando non sapremo quante saranno le Regioni.

È, in secondo luogo, necessario attendere di sapere come sarà regolata la formazione di nuove Regioni. L'onorevole Laconi adduceva, poco fa, un'obiezione a questo punto, cioè l'allettamento che la determinazione di un numero fisso di senatori può esercitare nel senso di incitare singoli gruppi di popolazione a richiedere la costituzione di Regioni autonome al solo scopo di aumentare il numero dei rappresentanti di queste al Senato. Ad evitare un siffatto, possibile inconveniente, sarebbe bene attendere che siano conosciute le modalità per la formazione delle nuove Regioni, in quanto se fra tali modalità vi sia quella (già proposta) che consiste nel richiedere un numero cospicuo di abitanti (di un milione e mezzo o due milioni) perché possa essere consentita la formazione di una nuova Regione, il pericolo rappresentato dall'onorevole Laconi viene ad essere evitato. Analogamente si deve affermare, l'opportunità di sospendere la determinazione di questo punto fino quando non saranno approvate le altre condizioni per la formazione di nuove Regioni. Secondo la proposta del progetto, non basterebbe a tale scopo la semplice volontà delle popolazioni interessate, ma occorrerebbe quella dello Stato, emessa con legge costituzionale: ciò che evidentemente varrebbe ad eliminare le formazioni artificiose, di cui si è parlato. Pare quindi che la proposta fatta di sospendere la determinazione del numero fisso, pur affermando il principio, trovi un valido fondamento nelle considerazioni che ho esposte.

Per quanto riguarda l'altro emendamento di soppressione dell'inciso dell'articolo 55, che preclude la possibilità per le Regioni di avere un numero di senatori maggiore del numero dei deputati ad esse assegnati, osservo che tale inciso, che fu approvato in Sottocommissione a debole maggioranza, non trova alcuna giustificazione ed anzi contrasta con quella esigenza che ha portato a dare base regionale al Senato. Ed è causa di sorpresa constatare che sia stato proprio l'onorevole Lussu, cioè un convinto regionalista, a farsi sostenitore della disposizione criticata.

Se il numero fisso tende a meglio determinare il carattere regionalistico della composizione della seconda Camera, cioè a consentire di dare anche alle piccole Regioni una rappresentanza tale da riflettere in modo quanto più possibile adeguato la loro composizione economico-sociale, non si comprende come debba influire nel senso di limitare la esplicazione del principio, la considerazione del numero dei deputati assegnati alla stessa Regione. Il fatto che le piccole Regioni possano avere più senatori che deputati trova la sua giustificazione nella funzione specifica attribuita al Senato di rafforzare la voce delle Regioni, ed in particolare delle minori, in seno agli organi centrali dello Stato. Anche questa mia proposta mi pare che rimanga così giustificata.

Lussu. Onorevole Presidente, vorrei pregarla di darmi modo di parlare sulle questioni prospettate dall'onorevole Mortati.

Presidente Terracini. Onorevole Lussu, presenti un emendamento anche solo di poche parole e le do la facoltà di parlare.

Lussu. Non posso presentare emendamenti perché il testo è mio e quindi se non lo difende l'onorevole Ruini — e non mi pare che egli parta con entusiasmo alla difesa di questo emendamento — chi lo difenderà mai?

Presidente Terracini. Io non ho la possibilità di darle la parola se lei non ne crea le condizioni. Intanto, non sappiamo ancora che cosa dirà l'onorevole Ruini. E poi, lei ha sempre la possibilità di parlare per dichiarazione di voto.

Segue l'emendamento dell'onorevole Nobili Tito Oro, che è del seguente tenore:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti per metà a suffragio universale, per l'altra metà, in parti eguali, dal Consiglio regionale e dai Consigli comunali di ciascuna circoscrizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobili Tito Oro. Questo emendamento, onorevoli colleghi, non è contrapposto, ma subordinato all'emendamento già svolto per il nostro Gruppo dal collega Carpano, con il quale l'elezione dei senatori viene per intero rivendicata al suffragio universale, come unica, legittima espressione della sovranità popolare. Io confido che questo principio raccoglierà i più larghi consensi dell'Assemblea, e pertanto questo mio emendamento deve considerarsi proposto solo in contemplazione della eventualità che, rigettate tutte le altre proposte concorrenti, l'Assemblea sia chiamata a pronunciarsi sul testo del progetto di Costituzione, che la elezione dei senatori solo in parte riserva al suffragio universale segreto e diretto e per il resto attribuisce al Consiglio regionale della circoscrizione.

L'Assemblea ha già compresa la portata che va attribuita alla intrusione della Regione nella consultazione elettorale, il risalto che per essa la Regione stessa verrebbe ad acquistare, unico fra gli enti locali, anche nell'ordinamento politico della Repubblica, le caratteristiche che deriverebbero al Senato medesimo dal fatto che la Regione possa presentarsi nel firmamento parlamentare, e specialmente nella progettata Assemblea Nazionale, nella figura di suo grande elettore. Ecco perché, di ciò preoccupato, nella prudente previsione della ipotesi anzidetta, ho proposto che alla duplice forma di elezione se ne aggiunga, come correttivo, una terza: nel senso che la elezione di una parte dei senatori sia riservata anche ai Consigli comunali della circoscrizione. I senatori di ciascuna Regione dovrebbero, a tenore dell'emendamento, essere eletti per metà a suffragio popolare diretto, col sistema che stabiliremo con la legge speciale, l'altra metà in parti eguali dai Consigli comunali e dal Consiglio regionale della circoscrizione. Il rapporto nella ripartizione non ha carattere essenziale e può formare oggetto di facile accordo.

L'idea non è originale: essa ha avuto già una notevole manifestazione in sede di Commissione per iniziativa di parecchi colleghi e ha avuta testé un'eco autorevole anche in questa Assemblea.

Quale è la giustificazione di questa mia formale proposta, che credo di aver giustamente chiamata «correttiva»? Voi avete udito or ora, attraverso la convincente parola del collega Laconi, alcune delle principali critiche che si rivolgono al progetto di Costituzione nella parte riflettente il Parlamento, per il ruolo che vi si attribuisce alla Regione; e risuonano ancora ai vostri orecchi quelle che una parte notevole dell'Assemblea ha portato contro l'ordinamento amministrativo nel suo caposaldo.

Quelle critiche interpretavano il pensiero del Paese; lo ha dimostrato la risonanza che hanno trovata nell'anima popolare, nei consensi dei cittadini di ogni ceto, dalle personalità dell'alta coltura al più modesto manuale. L'audace riforma trasvalicava i limiti logici e politici delle reclamate autonomie locali pienamente realizzabili attraverso gli enti locali di già esistenti; essa erra immatura e assolutamente carente di quel requisito etico che consiste nel riconoscimento della sua necessità e della sua maturità da parte della coscienza popolare; e fu comunque «avventata», in quanto i suoi sostenitori non vollero riconoscere nemmeno la necessità prudenziale di attendere, a regolamentarla, il risultato degli esperimenti delle autonomie regionali speciali già deliberate dal Governo e ormai quasi tutte in corso. E tutto il Paese la teme come una minaccia alla unità nazionale, come l'affermazione, — per lo meno — di una tendenza federalistica destinata soltanto a dar soddisfazione al tradizionale spirito antiunitario del guelfismo; vero fenomeno di panico, quanto meno determinato dalla immeritata sciagura del Paese, dalla mancata reazione al timore del peggio, dalla preoccupazione egoistica di sovrapporre l'interesse del proprio ambiente locale e quello dello Stato.

Orbene tutte queste critiche, tutte queste preoccupazioni si riaffacciano oggi al nostro spirito, e si riaffacceranno nel Paese: perché il progetto della Commissione, nella parte relativa alla seconda Camera (che noi ritenevamo assolutamente superflua e alla quale finimmo per non opporci solo per spirito di concordia e per desiderio di raccogliere i più larghi consensi attorno all'attesa Costituzione), non fa che colorire il proposito di attribuire alla Regione anche una funzione politica, iniziando il tentativo d'infeudare ad essa, quale «grande elettore», il Senato della Repubblica. La Regione dovrebbe, in altri termini, sostituire, almeno in parte, il potere regio nella partecipazione alla costituzione del Senato; e gli accorgimenti completivi sarebbero affidati all'avvenire.

Considerate l'obbligo imposto dall'articolo 56 di trarre i senatori dall'ambito della Regione, limitandone la eleggibilità agli elettori che in essa siano nati o abbiano residenza: chi non vi legge il proposito di staccare sempre più i nuovi ordinamenti dall'indirizzo unitario di quelli precedenti, di fare della Regione un campo sempre più lontano dalla rimanente parte della nazione, uno staterello nello Stato, coll'affidare ad essa la nomina dei rappresentanti obbligatoriamente locali al progettato Senato, che sorgerebbe subito in funzione embrionale di federazione delle Regioni. Voi avete udite testé le critiche rivolte dal collega Laconi alla proposta di assegnare ad ogni Regione, indipendentemente dal numero di senatori che possano spettarle in base al numero degli abitanti, un numero fisso di cinque senatori, indistintamente per le Regioni grandi e per le piccole; e quelle critiche io non ripeto. Mi limito a concludere che il proposito di dar risalto alla Regione a scapito dello Stato, di sostituire allo spirito unitario del nostro Risorgimento la preoccupazione regionalista, particolarista e — perché no? — a poco a poco separatista, è ormai anche troppo colorito: i senatori dovrebbero rappresentare, territorialmente, non più l'intiera Nazione, ma la propria Regione, dovrebbero difendere non più gl'interessi generali dello Stato e del Paese, ma quelli particolaristici della Regione; così come ieri si tentava di attribuire al Senato, funzionalmente, non più la rappresentanza dei supremi interessi di tutto il Paese, ma quella d'interessi particolari di gruppi e di categorie, nostalgico rimpianto del crollato corporativismo.

Come evitare che a tanto si arrivi, quando, respinto ogni altro emendamento che abbia diritto a precedenza, si rendesse necessario votare sul testo del progetto, di questa parte del progetto? Come disperdere queste avvisaglie, questi germi di federalismo avanzante, come impedire che il Senato sorga in funzione di incipiente federazione delle Regioni? Non si sorrida e non si protesti: è un principio, ma questo è: e a certi principî bisogna reagire. Poniamo comunque che si tratti soltanto di un timore ingiusto, in altri termini di un semplice sospetto; nessuno potrà contestare che come sospetto sia giustificato. E a mettere le nostre coscienze in pace, io penso che nella ipotesi che si pervenga alla ibrida forma di elezioni presa in esame, gioverebbe attribuire anche ai comuni il diritto di eleggere un numero di senatori pari a quello che eleggerebbe il Consiglio regionale. Questa introduzione del Comune nella vita politica italiana, mediante la sua partecipazione alla nomina di rappresentanti al Senato della Repubblica, avrebbe indiscutibilmente un'alta risonanza: anzitutto dimostrerebbe che lo Stato considera alla stessa stregua gli enti locali minori e più periferici e quelli maggiori; attenuerebbe il sospetto delle particolari finalità che si attribuiscono alla Regione; accrescerebbe l'autorità del Senato per la più capillare diffusione dei consensi dai quali derivano le nomine dei suoi membri; accrescerebbe in pari tempo l'autorità di costoro, in quanto ripeterebbero la elezione non da quelle oligarchie che inevitabilmente si formeranno in seno ai Consigli regionali, ma dalla maggioranza di tutti i Comuni, compresi i più lontani dal capoluogo regionale, con una investitura che per larghezza di base e per espressione di consensi non diversificherebbe troppo da quella del suffragio popolare diretto. E avrebbe risalto maggiore la stessa funzione dei senatori; il loro contatto coi Comuni e con le popolazioni gioverebbe a stringere vincoli di simpatia e di collaborazione, che mentre conferirebbero maggiore lustro alla dignità senatoria, si risolverebbero in un'assistenza più assidua agli enti locali, specie nei loro rapporti con l'amministrazione centrale, e in un più costante interessamento per le necessità delle popolazioni. Il Senato ne acquisterebbe in popolarità; i Comuni e i bisogni delle popolazioni sarebbero meno ignorati; le popolazioni stesse sentirebbero maggiormente la presenza dello Stato.

Si sono levate obiezioni per il preteso scompenso che si verificherebbe fra piccoli e grandi Comuni nella influenza sul risultato delle elezioni. Ma la preoccupazione è ingiustificata, perché i grandi Comuni, che del resto godono normalmente di una più assidua assistenza di parlamentari, hanno un numero di consiglieri molto attenuato in proporzione di quello dei Comuni minori. Comunque, qualora si volesse raggiungere una condizione di proporzionalità, in rapporto alle popolazioni anche in questa forma di elezione, non mancano i sistemi più rispondenti a tal fine, e potrà essere compito della legge elettorale stabilire quello che si riterrà più rispondente.

Si è obiettato pure che questa triplice forma di elezione crea un sistema troppo eclettico: ma l'eclettismo è la già constatata conseguenza delle numerose correnti di pensiero che operano in questa Assemblea; è la situazione che ha eliminato ogni residuo pregiudizio contro il compromesso parlamentare e che lo ha esaltato come strumento necessario del sistema elettorale proporzionale che impedisce il formarsi di maggioranze decisive. Anche il collega Gullo, nello svolgimento del suo ordine del giorno, si è ieri l'altro occupato di questo fenomeno in forma appassionata; e ha constatato che questa nostra opera deve, per necessità, svolgersi sul terreno del compromesso; e troppo spesso occorre negoziare concessioni contro concessioni. Purtroppo — egli ha concluso — in questa negoziazione coloro che perdono siamo sempre noi.

Una critica del genere partì proprio all'inizio della discussione generale, anche dall'onorevole Calamandrei; chi non ricorda quel suo caustico discorso pieno di garbato sarcasmo fiorentino? Dopo aver lamentato, fra l'altro, che il testo del progetto sentisse troppo della diversità di stile e di terminologia, egli avvertì che in esso v'era ben altro di peggio: esso rivelava di frequente un lavoro di mosaico, talvolta ben dissimulato, talvolta troppo appariscente, di pensieri politici diversi. Il Presidente della Commissione, dopo avere assicurato che nella ulteriore elaborazione si sarebbe certamente ottenuta, presso a poco, la stesura «monostile» vagheggiata dal preopinante, saggiamente rispose che l'incolpato mosaico di pensieri politici diversi non era un difetto, ma costituiva proprio il pregio principale di questa Costituzione. Per questo difetto e per questo pregio la Costituzione italiana, da patto fra principe e popolo che prima era, diventava patto fra le varie correnti di pensiero del popolo stesso. Questa era veramente la caratteristica più bella per la funzione di «contratto sociale» che questa Carta costituzionale avrebbe potuto, nelle presenti contingenze, acquistare. Disgraziatamente, non tutti i partiti hanno sentito il dovere di uniformarsi a questa necessità, e bene spesso, quando ad essi ha fatto comodo, noi ci siamo trovati di fronte a votazioni che non potranno non diminuire l'autorità della Carta costituzionale di fronte al popolo.

Non si dimentichi che le questioni fondamentali sono state votate con venti, dieci, e anche con due soli voti di maggioranza; e rifletta ognuno che lo stesso pericolo incombe sulla votazione finale.

Oggi, in occasione dello svolgimento di questo emendamento, nel momento più critico, più delicato della formazione di questa Costituzione, giacché si tratta proprio della parte nucleare di essa, noi dobbiamo sentire una responsabilità maggiore. Dobbiamo ricordare la rievocazione che il Presidente della Commissione, nella sua Relazione scritta, ha fatto di quel simpatico amico della Roma del primo Ottocento e dell'Italia tutta che fu Henry Beyle, alias Stendhal, che vi è definito «spirito lucido» (e sarebbe il caso di aggiungere «illuminato») egli diceva, ricorda la Relazione, che avvicinandosi ad una Costituzione, provava un vero senso religioso. Per tale senso religioso, che diventa paura religiosa in noi che a quest'opera attendiamo in momenti così calamitosi per il nostro Paese e per l'intiera umanità, io mi permetto — e non so se la sede sia opportuna, e se l'onorevole Presidente me lo consentirà — di rivolgere una calda preghiera al Presidente della Commissione perché, prima che si vada in votazione, faccia quello sforzo che da una parte dell'Assemblea era stato invocato ieri: convochi i presentatori degli ordini del giorno e degli emendamenti e cerchi di trovare un accordo fra loro, in modo che quelle qualsiansi soluzioni, quelle qualsiansi formule che saranno concordate, poste in votazione, abbiano a riportare una maggioranza tale da conquistare una imponente autorità di fronte al popolo, tanto imponente da restituirgli la fiducia nell'opera nostra, anche per tutta la parte di lavoro in precedenza compiuta.

Io mi auguro che in tal modo noi possiamo dare tutto il pregio che intensamente desideriamo a questa Costituzione, che oltre a completare l'ordine democratico, repubblicano che è stato raggiunto, è destinata a consolidare nello sforzo per la rinascita e nel trionfo della ricostruzione raggiunta, la durevole pace sociale dell'Italia nostra. (Applausi a sinistra).

[...]

Presidente Terracini. L'onorevole Perassi ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti per un terzo (in via subordinata: per un quarto), col minimo di tre, dal Consiglio regionale e per il resto da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nei comuni della circoscrizione elettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

Perassi. L'emendamento da me proposto riguarda il terzo comma dell'articolo che stiamo esaminando; non entro quindi in merito ai primi due commi, partendo dal presupposto che essi così, come sono, o con qualche ritocco, restino.

Il terzo comma ha per oggetto di regolare in che modo si procede all'elezione dei senatori assegnati a ciascuna Regione. L'emendamento che ho proposto si allontana dal testo della Commissione in tre punti di diversa importanza.

Il primo punto concerne l'elezione dei senatori da parte del Consiglio regionale. Nel testo proposto dalla Commissione si dice: «I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale». In primo luogo, dal punto di vista formale, è opportuno dire «dal Consiglio regionale» e non «dai membri», perché l'elezione è fatta dall'organo collegiale come tale.

Per quanto concerne il numero dei senatori la cui elezione sarebbe assegnata al Consiglio regionale, nel mio emendamento si mantiene il terzo, ma con un piccolo correttivo, cioè con un minimo di tre. A me pare che questo correttivo sia opportuno, anche per la considerazione che, se un Consiglio regionale è chiamato a fare l'elezione di almeno tre senatori, è possibile applicare il voto limitato, assicurando così una certa rappresentanza delle minoranze.

Il secondo punto è di carattere esclusivamente formale: in luogo di dire, cioè, «gli altri due terzi», nel testo da me proposto è detto: «il resto». La ragione di tale modificazione è semplice ed è che non sempre il numero totale assegnato a ciascuna regione è divisibile per tre. Conseguentemente, quella che sarà la quota da eleggersi diversamente potrà, in concreto, risultare maggiore o minore di due terzi. Dal punto di vista tecnico è quindi preferibile dire «il resto».

Il terzo punto è quello che presenta maggiore importanza dal punto di vista pratico e politico. Esso riguarda il modo con cui dovrebbe procedersi all'elezione del maggior numero di senatori assegnati a ciascuna Regione. Come è stato già rilevato, nell'emendamento proposto si accoglie l'idea dell'elezione di secondo grado, idea che, come giustamente ricordava l'onorevole Laconi, è stata diverse volte e sotto diverse forme prospettata in seno alla seconda Sottocommissione.

Io non voglio, onorevoli colleghi, entrare in discussioni teoriche sulla preferibilità dell'elezione diretta, rispetto a quella di secondo grado. Mi limito a constatare che, contro l'elezione di secondo grado sono state portate, così in sede di Sottocommissione, come qui in Assemblea, delle critiche che mi sembrano nettamente contrastanti.

Vi fu infatti, da un lato, qualche membro della Commissione il quale osservò che, in fondo, le elezioni di secondo grado sono — per usare l'espressione da esso adoperata — una farsa. Perché? Perché gli elettori di secondo grado si possono paragonare a macchine automatiche che non fanno se non eseguire quella che è stata la designazione di primo grado. Certo, questa critica riassunta nell'espressione molto drastica da me ora ricordata si può fino ad un certo punto ritenere fondata, quando si pensa all'elezione di secondo grado che ha per oggetto la designazione di una persona: esempio tipico l'elezione di secondo grado del Presidente degli Stati Uniti d'America. È evidente infatti che il giorno stesso in cui si chiudono le elezioni di primo grado, si sa già qual è la persona del Presidente che sarà eletto, cosicché l'elezione effettiva del Presidente si riduce in realtà ad un'operazione quasi meccanica.

Ma qui non siamo di fronte all'elezione di uno; qui siamo di fronte all'elezione di un numero variabile, ma sempre abbastanza elevato di persone. Conseguentemente, quell'inconveniente dell'elezione puramente meccanica, qui non c'è. In realtà i «grandi elettori» hanno la possibilità di fare una scelta, e quindi, di far giocare anche elementi personali.

Da parte dell'onorevole Nitti è stata fatta un'altra osservazione, ed egli ha ritenuto anche di appoggiarla a qualche esempio storico. Ma anche qui, mi pare che lo stesso onorevole Nitti sia caduto in qualche contraddizione. Egli, in particolare, si è riferito all'esperienza del Senato francese, il quale in realtà, dal 1875 in poi, era una seconda Camera eletta col sistema delle elezioni di secondo grado. E l'onorevole Nitti ha ricordato che ci sono stati dei casi in cui qualche senatore, molto ben provvisto, è riuscito ad esplicare, con mezzi molto persuasivi, una particolare influenza sul gruppo dei «grandi elettori».

Io non contesto l'esattezza storica di questa osservazione per qualche caso; però mi limito a constatare che lo stesso onorevole Nitti, nello stesso suo discorso, ad un certo punto rilevava l'importanza che il Senato francese ebbe nella vita della Terza Repubblica, e giustamente ricordò che in certi momenti fu il Senato francese che difese la Repubblica contro qualche atteggiamento di partiti o di uomini indirizzati su altre vie. Quindi, anche qui mi pare vi sia un po' di contraddizione.

In conclusione, con una semplice osservazione di buonsenso, io constato che le critiche opposte al sistema sono nettamente contrastanti; e, quindi, si può dire in un certo senso che si elidono.

Ciò premesso, e senza insistere ancora su concetti generici, vengo rapidamente a spiegare il meccanismo della elezione quale è proposto nel mio emendamento. In esso si dice che il resto dei senatori assegnati a ciascuna Regione è eletto «da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori iscritti nei comuni della circoscrizione elettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».

Ciò che caratterizza questo emendamento per quanto riguarda la parte tecnica è che esso lascia un notevole margine alla legge elettorale, limitandosi a fissare i principî fondamentali; e sotto questo punto di vista è correlativo al sistema che è stato seguito per la Camera dei deputati. L'articolo già adottato, limitandosi a dire che la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, rinvia alla legge elettorale politica tutti gli altri problemi tecnici e politici relativi all'elezione dei deputati. Così per il Senato della Repubblica la Costituzione, secondo l'emendamento proposto, si limiterebbe ad indicare il criterio sopra enunciato al quale la legge elettorale dovrebbe informarsi. La legge elettorale determinerà le circoscrizioni di primo grado (le quali potranno essere, mettiamo, mandamentali o circondariali). Ogni elettore del suffragio universale nell'eleggere i cosiddetti «grandi elettori», dovrà sceglierli fra coloro che sono iscritti nelle liste elettorali della circoscrizione. La legge determinerà una certa proporzione, cioè quanti saranno i «grandi elettori», rispetto alla massa degli abitanti: se 1 per 1.000, 1 per 2.000, od 1 per 500. La questione è rimessa alla legge. Il gruppo dei «grandi elettori» così eletti, viene ad essere, in sostanza, una riproduzione ridotta del corpo elettorale di primo grado. Poi la legge dovrà fare un'altra precisazione tecnica: cioè, dovrà stabilire qual è il collegio elettorale chiamato a fare l'elezione vera e propria dei senatori, raccogliendo gli elettori usciti dal suffragio universale in un collegio che sarà necessariamente più ampio di quello in cui è avvenuta l'elezione in primo grado; per esempio, un collegio provinciale. È questo collegio elettorale che dovrà compiere l'elezione.

È evidente che questo meccanismo è tale da permettere l'applicazione della rappresentanza proporzionale, sia nell'elezione di primo grado, sia nell'elezione definitiva. Quindi, esso va incontro ad una esigenza che in quanto sia sentita può esser soddisfatta dalla legge.

D'altra parte esso è un sistema che in larga misura tiene conto di quello che è considerato un carattere a favore del sistema uninominale, cioè il maggiore apprezzamento dei valori individuali. I grandi elettori, per quanto siano in numero abbastanza cospicuo, potranno esercitare una notevole libertà di scelta nelle persone che in concreto saranno elette.

Mi pare dunque che il sistema sia tale da andare incontro alle diverse esigenze; e, sotto questo punto di vista, credo che potrebbe essere una soluzione che ci permetta di uscire da questi contrastanti punti di vista.

È con questo spirito, è soprattutto con questa idea di trovare una formula che vada incontro a queste diverse e contrapposte concezioni, che noi abbiamo proposto questo emendamento.

Mi si permetta di aggiungere una breve osservazione. Sarà svolto ora un emendamento dell'onorevole Zuccarini, nel quale vi è una idea che non c'è nel mio, ed alla quale — per quanto mi concerne — non ho difficoltà ad aderire. La proposta dell'onorevole Zuccarini è di introdurre una limitazione nella libertà di scelta dei grandi elettori, stabilendo che il suffragio universale dovrà cadere non soltanto sugli iscritti nella circoscrizione, ma sugli iscritti aventi una certa età, cioè un'età superiore ai 25 anni.

È un'idea interessante che potrebbe essere aggiunta alle altre che sono indicate qui e all'insieme delle altre che servono a differenziare — in quanto opportuno e in quanto necessario — la formazione del Senato dalla formazione della Camera dei deputati.

[...]

Presidente Terracini. L'onorevole Zuccarini ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti, per la quota fissa attribuita a ciascuna Regione, dal Consiglio regionale, e, per il resto, da delegati eletti a suffragio universale fra gli elettori che abbiano superato i 25 anni di età, iscritti nei Comuni della circoscrizione elettorale di primo grado, in proporzione degli abitanti, secondo le modalità determinate dalla legge».

Ha facoltà di svolgerlo.

Zuccarini. Il mio emendamento porta appena due modificazioni all'emendamento presentato dall'onorevole Perassi, che è stato abbondantemente illustrato.

Io tengo ad accentuare il carattere di questi due nostri emendamenti, i quali si preoccupano soprattutto di conservare al Senato quel carattere col quale esso fu inserito nella Costituzione. Il Senato deve rappresentare per noi un correttivo degli interessi locali e regionali alla legislazione ordinaria della prima Camera. Non si comprenderebbe il Senato, se il Senato non avesse una propria caratteristica, e questa caratteristica gli è data proprio dalla forma della sua composizione. Non è vero che la Regione, dal momento che l'abbiamo costituita, non rappresenti nulla nella vita nazionale; anzi noi l'abbiamo costituita perché essa rappresenti un organismo chiamato a risolvere per suo conto i suoi particolari problemi e a portare nella seconda Assemblea la voce di questi interessi particolari perché si armonizzino con gli interessi generali. Quindi è necessario, secondo noi, nella composizione della seconda Camera, cioè del Senato, di accentuare il carattere regionale e locale della sua composizione. Ciò può essere ottenuto (come nella discussione della Commissione dei Settantacinque fu deciso) a mezzo di una rappresentanza diretta del Consiglio regionale, il quale per se stesso, prendendo delle deliberazioni, facendo una legislazione propria nell'ambito regionale, ha tutto l'interesse ad avere una voce sua nella legislazione nazionale. Non si capirebbe l'ente Regione se l'ente Regione non potesse far pesare anche il proprio particolare punto di vista nella legislazione generale, ciò che è possibile attraverso il Senato. Ecco perché fu pensato di assegnare un numero fisso di senatori ad ogni Regione. Non per incoraggiare la tendenza verso la creazione di nuove Regioni. Non credo che per avere un senatore di più o di meno si costituiranno nuove Regioni. Se fu stabilito il numero fisso, fu fatto con criterio equilibratore. Noi non dimenticammo e non dimentichiamo il contrasto che si è sempre verificato nella vita nazionale fra Nord e Sud, fra Regioni ricche e regioni povere, fra Regioni meglio trattate dalla legislazione generale e dallo Stato e Regioni peggio trattate. Volevamo superare tale contrasto. E, l'avere stabilito un numero fisso, serve appunto ad equilibrare il peso fra il Mezzogiorno e il sud d'Italia, delle Regioni meridionali, e le Regioni del Settentrione. Si è voluto dare insomma un maggior peso alle Regioni che hanno maggiori bisogni e maggiori diritti da rivendicare. Che poi questo numero fisso sia di cinque o di tre, ciò è perfettamente indifferente ed è in relazione a questo numero fisso che io ho proposto il mio emendamento. Non credo invece che all'Assemblea regionale debba spettare addirittura la nomina di un terzo o di una quarta parte od anche della metà dei propri rappresentanti in Senato.

Nella Commissione dei Settantacinque si pensò di fare eleggere il resto dei senatori ad una rappresentanza dei Comuni. Sennonché di fronte a questa proposta si trovarono una infinità di difficoltà di attuazione pratica. Si osservò che c'erano Comuni di 100 mila 200 mila ed anche di oltre un milione e due milioni di abitanti e Comuni con poche centinaia o migliaia di abitanti; e allora si pensò che dare ai consiglieri comunali di una grande città un peso, che in base al numero dei consiglieri sarebbe soverchiato da un piccolo numero di piccoli Comuni che hanno un minimo di 15 consiglieri, creasse una ingiustificata sproporzione. I Comuni piccoli avrebbero finito col determinare essi l'elezione dei senatori. Come si poteva ovviare a tale inconveniente? C'è un modo solo ed è quello proposto dall'onorevole Perassi e sostenuto anche da me. Esso non è affatto complicato; è semplicissimo. Si tratta di una elezione di secondo grado che può svolgersi normalmente e senza nessuna difficoltà. Invece di essere i consiglieri comunali a votare per il Comune, sarebbe nominato per ciascun Comune un numero di elettori di secondo grado in proporzione degli abitanti; e in tal modo la città grande non peserà diversamente dal piccolo Comune, cioè ogni gruppo di cittadini si troverà ad avere lo stesso peso nelle elezioni dei senatori. È in questo senso che è fatta la nostra proposta, che non è affatto complicata nella sua attuazione. Può essere infatti attuata con una grande semplicità ed anche con una procedura molto precisa e chiara che non lascia dubbi. Male è stato, secondo me, il non averla proposta in sede di Commissione dei Settantacinque; ma riproponendola qui oggi crediamo di avere semplificato in questo senso il problema. E badate, che la elezione che parte dagli enti locali, anche con l'elezione così come l'abbiamo proposta, non è vero che non abbia il suo peso e non contribuisca alla caratterizzazione della seconda Assemblea. Solo per il fatto che l'elezione avviene in rappresentanza di interessi locali, solo per il fatto che gli elettori saranno rappresentanti dei Comuni, si sentiranno investiti della rappresentanza di quei particolari interessi per quello che di essi rientra nella generale vita della Nazione.

C'è una seconda modificazione introdotta dal mio emendamento, e cioè che gli elettori di primo grado per la nomina dei senatori abbiano compiuto almeno 25 anni di età. Perché questo? Perché io penso che sia pure esso un modo per differenziare e migliorare ancora la seconda Assemblea, la quale, avendo un compito — e non credo di dover insistere su questo — di revisione, di miglioramento e di perfezionamento delle leggi che possono partire anche affrettatamente dalla prima Camera è necessario che, pure essendo meno numerosa, abbia una maggiore capacità e competenza. Gli amici democristiani hanno cercato il miglioramento del corpo rappresentativo attraverso la rappresentanza degli interessi: problema molto difficile da risolvere. Invece, con la differenza dell'età, noi avremo già una selezione negli elettori: avremo intanto elettori che, avendo alcuni anni di più, sono evidentemente più posati e più capaci. Con la elezione di secondo grado, avremo poi una seconda selezione fatta dagli elettori stessi. Non si tratterebbe più di una massa elettorale indifferenziata, anche se i partiti partecipano con gli stessi diritti e gli stessi risultati alla votazione. Evidentemente, nel formare la lista dei candidati i partiti si preoccuperanno di scegliere i loro migliori e si sarà ottenuto un corpo elettorale più selezionato e più capace. Ciò può dare una maggiore garanzia che a comporre il Senato saranno nominate persone all'altezza del loro compito.

Con questo intento ho proposto il mio emendamento e lo raccomando all'approvazione dell'Assemblea.

Presidente Terracini. L'onorevole Rubilli ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti per un quarto con nomina del Presidente della Repubblica e per tre quarti con elezioni a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età, col sistema del collegio uninominale».

Ha facoltà di svolgerlo.

Rubilli. Il mio emendamento consta di due parti.

Per la prima parte insisto nel ritenere che per lo meno una esigua frazione dei membri del Senato sia da nominare dal Presidente della Repubblica; non sto a ripetere le ragioni già esposte in sede di discussione generale, esigenze di giustizia, da una parte, e di utilità, dall'altra, per potere usufruire anche del contributo che uomini preclari, ma estranei ai partiti ed alla competizione elettorale, possono dare alla formazione delle leggi. Tengo a chiarire, però, che io non intendo che questa nomina debba essere a vita, ma che vada limitata alla legislatura del Senato, salvo riconferma. Aggiungo che questo criterio non inficia in alcun modo il concetto fondamentale che le Assemblee legislative debbano essere espressione della volontà popolare: sia perché sarebbe molto limitato il numero dei senatori a nomina presidenziale, sia perché non si tratta più di nomina regia, ma di nomina da parte del Presidente della Repubblica, che di per se stesso e per le sue origini rappresenta la più alta espressione del popolo intero; si avrebbe così quasi una forma di suffragio indiretto.

Altri due emendamenti, a questo riguardo, collimano col mio: quello dell'onorevole Russo Perez e quello dell'onorevole Nitti.

Ora io mantengo l'emendamento nei limiti nei quali l'ho segnato. Non credo che si possa eccedere nella frazione che dovrebbe entrare per nomina presidenziale, come vorrebbe il collega Russo Perez con il suo emendamento, portandola ad un terzo. Sarebbe troppo. Io mi accontenterei di un quarto e sarei disposto a ridurre ancora, purché non si precluda a persone, che per i loro meriti e la loro utilità possono contribuire alla tutela degli interessi nazionali, un ingresso per via di nomina da parte del Presidente della Repubblica; mi accontenterei persino di un quinto, purché vi sia comunque questa frazione riserbata a coloro che non vogliono o non possono correre l'alea elettorale, pur meritando di far parte dell'Assemblea legislativa. Insomma sui limiti potrà meglio deliberarsi con criteri di maggiore o minore opportunità, ma un'affermazione del concetto espresso nel mio emendamento mi pare assolutamente indispensabile.

Tanto meno posso condividere l'idea dell'onorevole Nitti, il quale giunge a riduzioni eccessive ed inaccettabili, perché secondo lui dovrebbero entrare nel Senato, e di diritto, soltanto 9 persone: 9 persone disperse nel Senato. Tre giureconsulti (i capi delle grandi Magistrature) e sei professori (letterati o scienziati) nominati dal Consiglio superiore della pubblica istruzione. Ora, una simile proposta eliminerebbe ogni collaborazione utile ed efficace. Nove persone, di diversa origine, di diversa mentalità ed attitudine politica non potrebbero nemmeno formare un piccolo gruppo. Quest'idea servirebbe solo a portare scompiglio nella classe dei professori. (Commenti). Già sono in perenne lotta tra loro: sono tali e tante le reciproche gelosie che non ce n'è uno che parli bene dell'altro. (Rumori). Immaginate cosa avverrà, se noi stabiliremo questa gara tra i professori universitari, ed in quale imbarazzo metteremmo il Consiglio dell'istruzione. Mi pare che non si dovrebbe tener conto né degli eccessi in più — che vengono da una parte — né di quelli in meno, che vengono dall'altra parte. Tra un quarto ed un quinto dei componenti si potrebbe decidere meglio ed utilmente sulla opportunità di immettere nel Senato persone che meritano e la cui opera può essere veramente efficace.

Nel caso in cui il mio emendamento non passasse così come è redatto, cioè sotto forma di norma permanente, io sarei disposto a ridurlo ancora e verrei — come si dice nel gergo giudiziario — ad una subordinata: per lo meno, direi, ammettiamolo per la prima costituzione del Senato. Veniamo da un ventennio in cui ogni libertà, ogni senso di democrazia ed ogni attività politica sono stati completamente soffocati. Almeno per questa prima formazione di una nuova Assembla politica e legislativa facciamo in modo che possano entrare, come guide, delle forze pratiche ed esperte che valgano a dare veramente un indirizzo serio ed utile al funzionamento del Senato.

Si può dire del resto che il mio concetto venga anche avvalorato da parecchie parti. Non soltanto gli emendamenti da me presentati sono in discussione, ma anche altri emendamenti (sui quali l'Assemblea deciderà come crede, e sui quali mi astengo, per delicatezza, di dire anche una parola soltanto) si occupano di questo argomento, e vorrebbero almeno mandare al Senato dei vecchi parlamentari coi quali si potrebbe raggiungere lo stesso scopo. Insomma, c'è una corrente che sotto una forma o sotto l'altra, per lo meno per la prima costituzione del Senato, vuole immettere nell'Assemblea forze vive ed efficaci, che possono veramente essere utilizzate in una compagine nuova che non si sa come possa essere configurata. Perciò anche se non volete accettare la mia proposta come norma permanente per la costituzione del Senato, vi prego di accettarla per lo meno in linea transitoria per la prima volta in cui si costituisce la seconda Camera, salvo a vedere meglio se debba essere mantenuta in seguito.

Per quello che riguarda poi la seconda parte dell'emendamento, in relazione al collegio uninominale...

Presidente Terracini. Onorevole Rubilli, ha già parlato tanto a lungo sul collegio uninominale!

Rubilli. Signor Presidente, non è che voglia parlarne ancora, ma desidero avere la semplice soddisfazione di togliermi una curiosità...

Presidente Terracini. Se è legittima.

Rubilli. Sì, una legittima curiosità. Su questo concetto del collegio uninominale io conosco benissimo quale è il pensiero del Partito democratico cristiano, che rispetto ampiamente e doverosamente, pur non condividendolo. Abbiamo sentito oggi quale è il pensiero autorevole dell'onorevole Nitti; poi abbiamo sentito quello dell'onorevole Laconi in rappresentanza del Gruppo comunista; ma non sono riuscito ancora a capire bene il pensiero del Partito socialista.

Una voce. È riservato!

Rubilli. Finora hanno sviato; fino a questo momento non hanno voluto affrontare la questione.

Nobili Tito Oro. Si è detto che spetta alla legge speciale.

Rubilli. Ho sentito due oratori: Nobili Tito Oro e Carpano. Per quello che riguarda Nobili Tito Oro, egli non si è pronunciato per niente. Dal suo ordine del giorno, come è redatto, mi pare di dedurre che egli propenda per il collegio uninominale, perché quando dice che la metà soltanto dei senatori sarebbe eletta a suffragio universale diretto, come può mai a questa metà, che si prevede presso a poco sulle trecento persone in tutta l'Italia, applicare la proporzionale?

Quindi se non l'ha detto esplicitamente, in sostanza non si può dire sul serio che egli voglia affidarsi ad un metodo proporzionale. Il collega Carpano ha detto che bisognava riservare questo argomento alla legge elettorale, ed ha detto cosa giustissima. Amico mio, lo avrei detto pure io. Anzi ho di già detto nella discussione generale sul progetto che la legge costituzionale si è voluta occupare di troppe cose e pensa ora perfino di includere ed assorbire la legge elettorale. Ma che ci possiamo fare se così si vuole? Io ho osservato persino che la Costituzione è diventata quasi un'enciclopedia giuridica! Giustamente, ripeto, diceva Carpano che bisognava rinviare questo argomento alla legge elettorale politica e che in quella sede si doveva stabilire quali metodi elettorali fossero da applicare sia per la Camera dei deputati, sia per il Senato. Intanto, la proporzionale è passata quasi inosservata, in cinque minuti, senza discussione. L'Assemblea ha adottato la proporzionale per la Camera dei deputati, assumendoci così una non lieve responsabilità, senza nemmeno approfondire l'argomento. Purtroppo è così, caro Carpano. Noi abbiamo ragione, ma non siamo l'Assemblea. L'Assemblea è sovrana, come qui si ripete sempre, ma non credo che essere sovrana significhi che può fare quello che vuole. Intanto quasi senza che nessuno se ne accorgesse, nella seduta di ieri, immediatamente dopo una votazione a scrutinio segreto, quando di solito si verifica un certo sbandamento, una certa confusione, in quest'Aula si approvò per alzata e seduta un ordine del giorno per la proporzionale nella elezione alla Camera dei deputati.

Ora, se si è stabilito il metodo elettorale per la Camera dei deputati, bisogna farlo pure per il Senato. Non se ne può fare a meno. Si doveva prima stabilire il rinvio alla legge elettorale, come io ho sostenuto sempre; ma giacché si è seguito un sistema diverso, non possiamo fare a meno di ammetterlo anche per il Senato.

Presidente Terracini. Onorevole Rubilli, c'è a questo proposito un ordine del giorno che impegnerà i colleghi socialisti a votare.

Rubilli. Ma sino a questo momento non si sono affatto espressi in modo chiaro e preciso, mentre occorre che ognuno si pronunci su di una questione che senza dubbio è di non lieve importanza. Nulla di serio ho mai sentito contro il collegio uninominale, di cui non voglio ora ricordare tutte le benemerenze (è argomento questo del quale ci siamo occupati altre volte). Ora ho sentito fare una sola obiezione: se abbiamo stabilito, si dice, per la Camera dei deputati la proporzionale, come possiamo non stabilirla anche per il Senato? Come si potrebbe giustificare la difformità?

Appunto per questo anzi vogliamo il collegio uninominale; appunto perché avete stabilito la proporzionale per i deputati, vogliamo il collegio uninominale pel Senato, perché occorre che il Senato non sia un doppione, non sia una riproduzione precisa e fedele della Camera dei deputati, ma da questa si diversifichi, per essere efficiente, altrimenti, come è stato riconosciuto da ogni parte, sarebbe una istituzione onerosa e senza utilità di sorta. Quindi la vostra obiezione, o colleghi, si riduce ad un argomento a favore, e se non vi fossero altre ragioni, appunto per quello che voi opponete, noi insistiamo nel collegio uninominale ed aspettiamo che il terzo dei partiti forti, dei partiti di massa, nella sua duplice forma, si pronunzi tra qualche giorno sulla scelta della proporzionale o del collegio uninominale per l'elezione del Senato. (Applausi).

Presidente Terracini. L'onorevole Caronia ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il terzo comma col seguente:

«I senatori sono eletti dai membri del Consiglio regionale con il sistema maggioritario».

Ha facoltà di svolgerlo.

Caronia. Mi duole che in mia assenza sia stato dichiarato decaduto il mio primo emendamento, con cui proponevo che ad ogni Regione fosse assegnato un senatore per 200.000 abitanti, perché questo secondo è in rapporto col primo.

Partendo da quanto ha proposto la Commissione, che il Senato è eletto a base regionale, ritengo che sia logico dare una parte notevole, nella scelta dei senatori, alle Assemblee regionali.

Mi si obietta che le Assemblee regionali sono costituite da un numero molto limitato e che affidare la elezione dei senatori a un numero ristretto di elettori sarebbe cosa assurda e darebbe eccessivi poteri a tali Assemblee. Ma qui è questione di numero. In sostanza, secondo quanto propone l'onorevole Perassi, viene affidata per delega ad un numero limitato di elettori la scelta dei senatori. E non è preferibile che questa delega sia data ai componenti le Assemblee regionali, che sono in fondo l'espressione della totalità degli elettori, essendo stati eletti a suffragio universale? Bisogna piuttosto, secondo quanto ho espresso nel primo emendamento, ridurre quanto più è possibile il numero dei senatori, escludendo anche l'assegnazione di un numero fisso di senatori per ogni Regione e lasciando, con l'assegnazione di un senatore per ogni 200.000 abitanti, la rappresentanza proporzionale. Questo anche per prevenire l'obiezione che si potrebbe avanzare da chi si preoccupa del fatto che dare un numero fisso di senatori alle singole Regioni possa portare queste al rango di sovranità, come avviene nelle Nazioni federali. La proporzionalità dei rappresentanti al Senato da parte delle Regioni è più consona al nostro concetto di Stato unitario a struttura regionale. Mantengo pertanto la mia proposta di assegnare un senatore per ogni 200.000 abitanti, senza il di più di un numero fisso e di affidare alle Assemblee regionali la elezione dei senatori assegnati alle singole Regioni. Verrebbe così semplificato il procedimento elettorale e nello stesso tempo meglio differenziato il carattere del Senato.

Dichiaro infine che ove i miei emendamenti dovessero essere respinti, aderirò all'emendamento Perassi che più ai miei si avvicina.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento proposto dall'onorevole Russo Perez, del seguente tenore:

«Al terzo comma, alle parole: I senatori sono eletti per un terzo dai membri del Consiglio regionale e per due terzi a suffragio universale e diretto, sostituire le parole: I senatori sono per un terzo nominati a vita per libera scelta del Capo dello Stato e per due terzi eletti col sistema del collegio uninominale».

Condorelli. In assenza dell'onorevole Russo Perez faccio mio l'emendamento e rinuncio a svolgerlo.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento proposto dall'onorevole Conti, del seguente tenore:

«Al terzo comma, alle parole: il venticinquesimo anno di età, sostituire le altre: il ventunesimo anno di età».

Ha facoltà di svolgerlo.

Conti. Lo mantengo, ma rinunzio a svolgerlo.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento proposto dall'onorevole Alberti, del seguente tenore:

«Aggiungere il seguente comma:

«Cinque senatori sono nominati a vita dal Capo dello Stato fra coloro che, con meriti insigni, nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario, hanno illustrata la Patria».

Ha facoltà di svolgerlo.

Alberti. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione generale sui temi che ora stiamo trattando, insigne per valenti oratori di ogni parte dell'Assemblea, ha avuto però — soprattutto a causa dell'ecatombe degli iscritti — una andatura piuttosto spedita che, su qualche punto, è stata persino un po' troppo succinta.

Ora qui, in sede di emendamenti, non è certo il caso di interrompere questo ritmo, che è opportunamente veloce. Soltanto, vorrei dire al Signor Presidente che io, avendo presentato — e la Commissione me lo perdoni! — quattro emendamenti, vorrei, col consenso del Signor Presidente, rubare qualche minuto sul tempo regolamentare per i primi, promettendo di restituire questi minuti, e con larghi interessi, nel trattamento degli altri due.

Il concetto che ispira l'emendamento che io vado trattando è un concetto che non ha trovato né favore né aperta ostilità fra la maggior parte degli oratori, sia in sede di Commissione che di Assemblea; soltanto da parte dei colleghi della sinistra estrema è venuta qualche critica vivace. Oggi stesso l'onorevole Laconi ha avuto accenti quasi sdegnosi contro questa investitura dall'alto, che offenderebbe gravemente la sovranità popolare, che farebbe parte anch'essa dell'armamentario di equilibri, di contrappesi, di freni, che sono ritenuti ormai muffe e rottami del passato.

A proposito di sovranità popolare, viene in mente la frase celebre: «la sovranità popolare non ammette confine che l'arresti, ragione che la costringa, forza che le si sovrapponga». Chi, onorevoli colleghi, non si inchina alla sovranità popolare? Chi non la saluta come una grande conquista umana? Si può polemizzare fra sacerdoti, ma tutti venerano la dea. Dea veramente; poiché il popolo, il popolo in tutti i suoi ordini che ascende nel lavoro, armato di diritti, di esperienze e, via via, sempre più anche di sapere, non è solo il protagonista ma è la realtà viva della storia.

Però, onorevoli colleghi, neanche la sovranità popolare è un assoluto: l'assoluto non esiste in natura; non esiste — vi direbbe il mio amico Clerici che è uno squisito cultore d'arte, oltre ad essere, come ne avete avuto conferma pochi giorni fa, un politico ed un giurista di alto valore — non esiste, dicevo, neanche in arte, l'assoluto: il senso del limite è anzi uno dei suoi attributi essenziali.

Non esiste in politica; non è esistito nemmeno nelle monarchie assolute, perché è stato giustamente osservato che anche le monarchie assolute trovavano la loro limitazione nella nobiltà feudale di provincia o di corte, nel papato e nelle chiese nazionali, o nelle città libere, o nei corpi autonomi: limitazioni di carattere ora feudale, giurisdizionale, ora popolare, secondo i tempi.

Ma, onorevoli colleghi, qui non si tratta di limitazione bensì di integrazione. La parola integrazione è affiorata in questi ultimi giorni sulle labbra di molti colleghi che hanno parlato su questi temi. L'onorevole Clerici, parlando della rappresentanza degli interessi che egli, con molti altri, ed io fra essi, avrebbe auspicato, ha avuto una frase felice; ha detto: si tratta di fotografare la nazione sotto un altro profilo.

Io avrei aggiunto una parola sola; avrei detto: come si fa con le persone a cui si vuol bene. E noi tutti vogliamo bene al Paese. Anche qui, onorevoli colleghi, si tratta di fotografare — di scorcio — il Paese nelle più alte manifestazioni della cultura e dell'arte. Si è detto, a proposito di questo emendamento, nello stesso modo come ci si era opposti a Clerici e agli altri che patrocinavano la rappresentanza degli interessi, si è detto: sono nascoste manovre di carattere conservatore. A me anzi si è detto in anticipo: si vuole spingere anche così il Senato a destra. È una vera profanazione: lo ha detto, se non con queste precise parole, con questo concetto, l'onorevole Laconi. Ma perché siano manovre conservatrici non si è detto. Si è però insistito su questo concetto, che il criterio unico, il metodo unico, l'unico strumento della vita politica debba essere la volontà della maggioranza espressa dal popolo indiscriminatamente nel suffragio universale.

Ora, da quando i greci hanno fornito, perfezionandolo, allo svolgimento della vita politica, questo strumento della volontà della maggioranza, il mondo non ne ha trovato — e probabilmente non ne troverà mai più — uno migliore. Ma, badate bene, onorevoli colleghi; si tratta di un concetto empirico. Prima di essere vero in politica, questo concetto era vero nello scontro delle forze fisiche: nella legge della foresta, come ora si dice. Ora, la democrazia (ossia la civiltà) deve tendere a conquistare, attraverso il trionfo del numero, il trionfo della razionalità.

La maggioranza e la razionalità molte volte concordano e si identificano. E guai se non fosse così. Ma sarebbe un po' temerario ritenere che si identifichino sempre. Se questo fosse vero, onorevoli colleghi, non sarebbe vera la sentenza che voi, onorevoli colleghi dell'estrema, certamente non ripudiate: sono le minoranze quelle che anticipano i tempi e fanno la storia.

Nella Commissione, quando si è trattato — sempre fugacemente tutte le volte che è venuto in discussione questo tema — della possibilità dell'investitura dall'alto, ossia della nomina da parte del Capo dello Stato, è risuonata una parola energica, intensiva, quasi spietata: «mostruosità».

Perdonatemi, illustre e amato Presidente, la breve battuta polemica. Honor et onus, direbbe anche in questo caso — e giustamente — il mio amico Cappi. Ma si tratta anche qui di una specie di deificazione, come è stato detto. Una volta si deificava la ragion di Stato, che poi, nella maggior parte dei casi, era soltanto l'interesse delle case regnanti; più tardi — in tempi, purtroppo, a noi vicini — si è deificato lo Stato, considerato ed elevato non solo a «primo» politico, ma a «primo» etico insieme. Ed ora... Ma badate bene, onorevoli colleghi, con questa proposta noi riteniamo, però, di muoverci nell'ambito della più ortodossa democrazia.

In Commissione si è detto: «L'opinione di quanti pensano che, in sostanza, la stessa designazione dall'alto potrebbe in certa guisa considerarsi come un'elezione di forma indiretta, non è accettabile, perché la designazione del Capo dello Stato sorge da un'elezione di secondo grado, e coloro che da lui fossero designati come membri della seconda Camera, trarrebbero la propria investitura da una elezione di terzo grado. E a questo punto, parlare ancora di volontà e di scelta popolare sarebbe puro artifizio, perché il tramite tra gli pseudo-eletti e la volontà degli elettori di primo grado sarebbe del tutto evanescente».

Perfettamente accettabile questa osservazione, se noi considerassimo il mandato che il Presidente riceve dal popolo attraverso l'Assemblea (Assemblea Nazionale, il cui parto si preannunzia piuttosto difficile, ma che almeno in questo, penso, avrà vita: nella designazione e la nomina del Capo dello Stato) soltanto come un mandato di rappresentanza, nel senso che ogni gesto del Capo dello Stato non debba compiersi se non in relazione esatta, e vorrei dire matematica, con un impulso elettorale. Invece esso è anche un mandato di fiducia.

L'onorevole Tosato, in sede di Commissione, aveva osservato che, con l'elezione, il popolo compie un atto di fiducia verso la Camera. Questo stesso atto di fiducia, attraverso l'Assemblea, compie il popolo anche nei riguardi del Presidente.

Pochi giorni or sono l'onorevole Nitti ha parlato (su un'interruzione, se non sbaglio, dell'onorevole Lussu) con commossa riverenza del ricordo di Roma. Ebbene, lasciate, amici, ch'io ricordi a me stesso che la grandezza di Roma è consistita soprattutto in questo: nel pieno e perfetto congiungimento del principio democratico, onde aveva libera espansione la volontà della massa, e la fiducia — d'onde il prestigio di autorità — delle magistrature elette.

A proposito dei poteri che il progetto di Costituzione vorrebbe conferire al Presidente, alcuni dicono che sono eccessivi, altri che sono scarsi; il mio caro amico La Rocca ne è addirittura sgomento; e quando parla del potere che il progetto vorrebbe affidare al Presidente, di sciogliere le Assemblee, adopera una parola veemente, dice che è un potere «tremendo»!

Ebbene, onorevoli colleghi, se a questo modestissimo gregario è consentito esprimere il suo parere, io vorrei che la funzione del Presidente fosse quanto più è possibile spoliticizzata (scusate la barbara parola); vorrei che il Presidente della Repubblica fosse soprattutto una grande forza morale. Si dice una grande forza morale: ed ecco che subito si aderge davanti ai nostri occhi l'alta figura di Enrico De Nicola! — grande forza morale che non contraddice alla sua funzione politica, se è vero — come indubbiamente è vero — che la politica è (o dovrebbe essere) la morale nella vita pubblica.

Questa grande forza morale dovrebbe essere quella che non soltanto fa da moderatrice, ma quella che impersona e simboleggia la nazione in tutte le sue manifestazioni più alte. Ecco perciò che a questa grande forza morale dovrebbe essere commessa la scelta dei cinque rappresentanti della Nazione nel campo della cultura, dell'arte e della scienza. La scelta sarebbe fatta con criteri morali, nel senso più alto della parola; l'altezza del costume nell'intelletto e nel sentimento.

Ma — incalzano — nell'Assemblea questi sommi, non servono a niente. C'è stato Manzoni, c'è stato Verdi, c'è stato Marconi. Raramente hanno varcato la soglia dell'Assemblea.

Ebbene, quando parliamo di Manzoni — questa sovrana grandezza morale e intellettuale che non si finirebbe mai di ammirare — bisogna tener conto, nei riguardi della sua partecipazione ai lavori dell'Assemblea legislativa, che notoriamente egli era affetto da una non grave balbuzie, che certamente non è qualità che sospinga a prendere parte alle discussioni di un'Assemblea.

Comunque, per essere completamente sinceri, occorre anche dire che questa sovrana grandezza ha avuto, come tutte le cose umane — anche le migliori — qualche sua menda. Il dire che Manzoni abbia partecipato nella misura in cui avrebbe potuto alle vicende della resurrezione nazionale sarebbe irriverente verso questo grande morto. Qualcuno di voi tra i meno giovani ricorderà l'invettiva di Cavallotti: «Ma quando i fati italici — penso ed i giorni bui — e le inutili folgori — che stetter chiuse in lui — penso che a tal silenzio — Dio non l'avea sortito!», con quel che segue.

Verdi: qui abbiamo sentito da qualcuno che Verdi non aveva mai varcato le soglie del Senato se non per prestare giuramento. L'onorevole Rubilli ha evocato invece giorni fa non so se la storia o la leggenda di un Verdi che si dilettava di costellare di note musicali sui resoconti parlamentari le polemiche fra i senatori.

Micheli. Nella Camera dei deputati.

Alberti. La ringrazio della correzione. Ad ogni modo, nella vecchiezza Verdi era più che mai rapito nelle sue melodie e soprattutto turbato dai suoi dolori.

Ma di Marconi, per esempio, i suoi colleghi di Assemblea mi hanno detto che la sua frequenza alle sedute del Senato era piuttosto notevole.

Comunque sia, onorevoli colleghi, queste sono contingenze. La ragione pratica — perché c'è la ragione pratica — che mi ha spinto o che mi ha suggerito la proposta di questo emendamento è un'altra: assicurare ai sommi, ai geni tutelari della Patria (consentitemi la fugacissima scorribanda nel linguaggio retorico) una tribuna che essi non hanno, che non hanno più. Occorre un angolo luminoso in cui si possa collocarli e dove le moltitudini possano sempre vederli...

Una voce a destra. Ci sono le accademie...

Alberti. Quali accademie? Quella dei Lincei? È certamente un'accolta di illustri personaggi, ma non è una tribuna dalla quale si possa parlare al Paese nelle ore solenni della Patria. Questa ragione pratica non mi pare vada ad urtare con i principî. Il principio, si dice, non deve essere mai infirmato. Siamo d'accordo. Ma quando la pratica può contemperarsi con il principio, ossia quando effettivamente non lo compromette, mi pare che anche la pratica possa essere accettata. Si è fatto altrove? Non so e non voglio sapere. So che un giorno l'onorevole Porzio, in seduta di Commissione, con bella fierezza, ha detto: abbiamo titoli storici sufficienti per fare una Costituzione italiana senza modellarci su Costituzioni straniere.

Vi dicevo che il contemperare la pratica con il principio effettivamente non compromette niente. Perché? perché sarebbero non più di cinque i personaggi illustri che il Presidente dovrebbe nominare. Cinque, perché? Cinque, perché l'esperienza, mi dicono, dimostra che in media una generazione non dà più di cinque geni. Non facciamo commenti sfavorevoli a questa che stiamo attraversando... (Si ride). Speriamo nella prossima.

La seconda ragione è questa: cinque, perché nessuno possa sospettare che qui vogliamo foggiare uno strumento per dare dei passaporti falsi a geni e a fame di princisbecco. Ad ogni modo, questi cinque non potranno mai in nessun modo spostare il centro di gravità di una situazione politica al Senato. Capisco che è stato detto che anche lo spostamento di un atomo ha la sua influenza sul corso degli astri; ma qui vaghiamo nell'inafferrabile, mentre noi dobbiamo invece trattare cose concrete.

Anche a questo punto si dice che l'alta cultura ha delle tendenze conservatrici.

Onorevoli colleghi; non è vero — e basta a dimostrarlo questa Assemblea, nella quale le celebrità scientifiche, letterarie ed artistiche sono distribuite equanimamente su tutti i banchi — non è vero... ma se fosse vero, onorevoli colleghi, se fosse vero che l'alta cultura ha delle tendenze conservatrici, quale tema di meditazione per tutti noi, e specialmente per voi, colleghi ed amici della estrema sinistra! (Applausi al centro).

Noi, dunque, vorremmo che nel Senato fosse costituito un piccolo limbo dei saggi e dei sapienti: un piccolo limbo (senza che con questo il mio pensiero corra al cono infernale, il che sarebbe gratuita irriverenza verso l'Assemblea nascitura).

Ma anche il Senato sarà un'Assemblea come tutte le Assemblee, e, se non vedrà scatenarsi fra i suoi banchi la «bufera infernale», qualche volta potrà accadere che si determini anche nel suo seno qualche ritmo incomposto.

Ad ogni modo, giova sempre a tutti gli istituti avere l'assistenza della sapienza e della saggezza. Certo, le parole del presidente del tribunale rivoluzionario che, al Lavoisier, il padre della chimica moderna condannato a morte nel 1794 e invocante una breve proroga all'esecuzione della sentenza per aver modo di portare a compimento certi suoi esperimenti, rispondeva: «la République n'a pas besoin de savants», non sono certo parole che possano trovare eco, non dico qua dentro, ma in tutta la vita moderna. Onorevole Presidente e onorevoli colleghi, un'ultima considerazione ed ho finito.

È stato detto che la democrazia non deve essere il raduno dei mediocri, ma l'aspirazione di ognuno di noi verso l'alto; deve essere il terreno adatto per il fiorire delle individualità. È certo però che nel corso della sua evoluzione non sempre la democrazia — e in tutti i luoghi — ha tenuto fede a questo superbo programma. Qualche critico arcigno ha potuto dire che la democrazia è sembrata qualche volta l'incoraggiamento alla mediocrità. Ebbene, noi domandiamo che anche da questi banchi e con questo modestissimo provvedimento, noi smentiamo questa che è una oltraggiosa leggenda. Noi chiediamo modestamente che da parte di questa Assemblea la votazione — siccome spero che essa sarà favorevole all'emendamento — significhi omaggio al genio dell'Italia. Scusate se insisto su questa nota che è stata toccata e modulata da tanti, e così bene, qua dentro. Vi insisto perché essa ci canta nel cuore, perché è il canto della nostra speranza. Il nostro genio, il genio italiano, è il solo patrimonio che nessun trattato iniquo può depredarci o comprimere. Veramente il suo primato invitto sovrasta e risplende sui lutti e sulle rovine. Per questo, onorevoli colleghi, noi domandiamo che voi dichiariate che l'alta cultura, i sommi geni della Patria, saranno ospiti del nostro Senato; perché anche di là essi ricorderanno al mondo immemore quello che siamo stati e faranno presente al mondo ingiusto quello che ancora, malgrado tutto, saremo. (Vivi applausi al centro Molte congratulazioni ).

Presidente Terracini. L'onorevole Alberti ha proposto anche il seguente articolo 55-bis, aggiuntivo:

«Sono senatori di diritto e a vita gli ex-Presidenti della Repubblica.

«Sono pure senatori di diritto e a vita gli ex Presidenti del Consiglio e gli ex Presidenti delle Assemblee legislative, i quali abbiano coperto la carica almeno per un anno anche se non continuativamente.

«A tale diritto si può rinunziare, purché la rinunzia sia fatta prima della firma del decreto di nomina da parte del Capo dello Stato».

Ha facoltà di svolgere la sua proposta.

Alberti. Con l'emendamento, che ho testé finito di illustrare, proponevo che si immettesse nel Senato un piccolo numero di personaggi insigni, i quali preferiscono gli ameni paesi della letteratura e dell'arte o gli austeri panorami della scienza agli scoscesi e tribolati sentieri della politica.

Con quest'altro emendamento, dovrei dire, all'opposto: vi propongo di includere i personaggi più cospicui della politica.

Intanto, per disarmare le diffidenze, devo farvi rifletterei che si tratta anche qui di un numero esiguo di persone, per legge di natura e per necessità di cose.

Devo anche fare una premessa. Io ho posto la firma ad un altro emendamento, che segue immediatamente questo, col quale si propone un provvedimento eccezionale, che sistemi la posizione di alcune persone insigni, facenti parte di questa Assemblea, in questo eccezionale momento. Tale emendamento ha avuto già sostanzialmente l'appoggio dell'onorevole Nitti e di altri.

Mi soffermo soltanto sul mio emendamento, che riguarda il tempo futuro.

Propongo che a fare parte del Senato siano chiamati, di diritto, gli ex Presidenti della Repubblica e gli ex Presidenti del Consiglio e delle Assemblee legislative, i quali abbiano tenuto l'ufficio almeno per un anno, anche se non continuativamente.

Per quel che riguarda il Presidente della Repubblica, mi pare che occorra breve discorso. Si tratta di collocare nel Senato personaggi, i quali non solo hanno simboleggiato, ma hanno sintetizzato dei periodi politici. Ora, il Presidente della Repubblica mi pare che sia veramente il tipico rappresentante riassuntivo di questa sintesi.

Sul Presidente della Repubblica, l'altro giorno l'onorevole Condorelli — in un discorso notevole, come sempre, e, come sempre, meritevole della maggiore meditazione — si esprimeva in termini che ci hanno un po' sconcertato. Egli negava al Presidente, al Presidente anonimo si capisce, non dirò il prestigio, ma il prestigio sufficiente a rappresentare una forza unificatrice nel paese. Voglio rispondergli con le bellissime parole contenute a questo proposito nella prima relazione dell'onorevole Ruini: «Egli (il Presidente) rappresenta ed impersona l'unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato al di sopra delle mutevoli maggioranze. È il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale, più ancora che temporale, della Repubblica». Quella forza morale a cui facevo riferimento poc'anzi.

Ma anche per i Presidenti del Consiglio ed i Presidenti dell'Assemblea, gli eletti degli eletti, questi ultimi, si può dire che sintetizzano periodi politici e che qualche volta sintetizzano un periodo storico. Viene alle labbra il nome di Giovanni Giolitti. Noi non possiamo dimenticare che i consoli a Roma davano il nome all'anno. Si dice: lasciamo stare la storia di Roma; non c'è nulla in comune tra l'antica storia romana e noi. Potrà essere vero; anzi... è vero soltanto in una qualche misura. Onorevoli colleghi, penso per esempio che la storia di Roma, dopo Canne, potrebbe essere utilmente riletta e rimeditata dagli italiani dopo la loro catastrofe. Ma — si obbietta dall'estrema sinistra e da qualche amico, in private conversazioni — volete ricominciare secondo la moda dello Statuto albertino a popolare anche il Senato di «ex»? Ebbene, giacché la parola mi ha portato a Roma antica, non posso non ricordare che il Senato di Roma — il più alto consesso politico che la storia abbia mai avuto, «il consesso dei re», come diceva il Ministro di Pirro — era un consesso di «ex:» ex consoli, che erano poi i ministri degli interni è degli esteri, ex questori, ecc.: era veramente una «élite». Parola questa un po' sospettata in questi tempi, eppure, attraverso l'esperienza dei secoli, una parola che ha ed avrà sempre una grande risonanza nella storia e nella scienza politica. Si tratta proprio di costituire anche nel Senato una piccola «élite» di uomini illustri per prestigio di autorità e per preziosa esperienza. Guardate che saranno uomini di ogni fede. Sono già uomini di molte fedi, se ci guardiamo intorno, quelli che potrebbero fruire di questa disposizione, attualmente. Potranno essere di tutte le fedi in avvenire. Accettate queste parole, amici dell'estrema sinistra, come una possibilità, come una previsione o come un augurio, come meglio vi piace.

Noi diciamo che non soltanto dovrebbe essere conferito questo seggio in Senato a questi personaggi, in omaggio alla loro autorità, che in fondo è un concetto tutt'altro che incompatibile con la democrazia, ma anche perché essi dovrebbero andare là dentro a rappresentare la continuità della vita nazionale, quella continuità della vita nazionale, che nei decenni si chiama continuità, e che nei secoli diventa la tradizione.

Un grande rappresentante della idea democratica ha scritto: «La sovranità popolare si estrinseca attraverso una serie di singoli atti che riguardano il momento attuale, mentre la vita della Nazione e dello Stato si svolge indefinitivamente nel tempo. Un grande albero, si è detto, che profonda le sue radici nel passato e protende i rami nell'avvenire. Al di sopra del principio della sovranità popolare sta quello ancora più vasto e più armonico della solidarietà, il quale stringe insieme le generazioni che furono a quelle che sono ed a quelle che saranno».

Si tratta, vi dicevo, di uomini di ogni fede, e la loro assunzione a quel seggio non può certo rappresentare offesa alla democrazia, in quanto che proprio nella pratica della democrazia hanno operato e nella pratica della democrazia sono diventati eminenti. Dunque, la sovranità popolare non contrasta con questo senso della solidarietà fra generazioni ma soltanto si assomma. È qualcosa che non si aggiunge alla sovranità popolare, e qualcosa di cui bisogna tener conto perché è un «dato» della vita, e della storia da cui non si può prescindere. Onorevoli colleghi, quando la storia deve subire, contro la sua legge, delle fratture troppo violente, se ne vendica.

Voi certo condividete con me il pensiero che Robespierre non prevedeva certamente Napoleone, e molto meno Luigi XVIII e Carlo X. Ecco la ragione per la quale noi siamo per l'evoluzione.

«La vita incomincia domani» è il titolo di un romanzo che ha avuto una qualche fortuna, ma non è la legge della storia. Se voi guardate gli avvenimenti storici per trasparenza, avrete delle impressioni curiose. Ricordo di aver letto un giorno, proprio in Salvemini, che è un uomo non certo sospetto, che Diderot e Voltaire erano dei conservatori in tutto, tranne che in religione. E questo passo mi ritornava alla mente un giorno in cui Nenni, con molta franchezza e da par suo, rivendicava l'origine illuminista della dottrina socialista.

Con questo, onorevoli colleghi, io non voglio certo negare la legge della storia, la quale procede in una sola direzione (è un articolo di fede, e guai se non fosse così), in quella direzione che è sintetizzata nella formula mirabile: «Diffondere sempre più il benessere sul maggior numero dei consociati». Ciò vuol dire che qualche volta, quando la storia vede violata troppo bruscamente la sua legge, il suo pendolo incomincia a fare dei sobbalzi che sono veramente strani. Ecco, vi dicevo, la ragione per la quale siamo per l'evoluzione.

Presidente Terracini. Onorevole Alberti, forse è giunto il momento di fare il calcolo del tempo dal quale ha preso la parola.

Alberti. Ho svolto due emendamenti. Avrei quaranta minuti a disposizione.

Presidente Terracini. Lei moltiplica per due i suoi diritti. Due emendamenti significano venti minuti e lei ha parlato più di quaranta minuti.

Alberti. Ho finito, onorevole Presidente, e mi scusi.

Noi vorremmo che questi personaggi illustri entrassero nel Senato anche per rappresentarvi il passato prossimo, il passato prossimo di questi tempi vertiginosi e di tempi a venire, che spero siano meno burrascosi di questi. Gli illustri colleghi che sono in quest'Assemblea, e che fruirebbero di questa disposizione, ci mostrano che con la rettitudine, con il sapere e con l'ingegno sanno anche abbracciare il presente e presentire l'avvenire.

Ho finito, onorevole signori. Soltanto vi facevo osservare che la limitazione di un anno almeno all'esercizio della potestà è una necessità a cui non si può venir meno.

Certo, se un Presidente dell'Assemblea legislativa appena eletto se ne va o lo mandano via, se un Presidente del Consiglio è nominato dal Presidente della Repubblica e si presenta all'Assemblea e non riesce ad avere la fiducia, vengono a mancare e agli uni e agli altri tutti gli attribuiti che sono venuto elencando.

Per questa ragione è bene che si dica: è necessario che abbiano coperto la carica almeno per un anno.

Ed ho finito davvero e domando scusa. Nelle mie previsioni sono stato un cattivo calcolatore. Lo sono stato anche in tante cose della mia vita. Soltanto vorrei che l'Assemblea mi desse almeno atto di questo: che non sono venuto meno ai canoni della democrazia, di quella democrazia che secondo uno dei suoi più illustri commentatori, che del resto ha rubato la frase all'Apostolo, è «l'atmosfera» nella quale ormai noi viviamo e ci moviamo, quella democrazia che anche per questo modesto gregario è e resterà il credo fondamentale ed insostituibile della sua fede politica.

Presidente Terracini. Vi sarebbero ancora due emendamenti, dei quali uno, già stampato nel fascicolo, è stato presentato dall'onorevole Giovanni Leone, mentre il secondo mi è stato consegnato in questo momento dall'onorevole Martino Gaetano. Ambedue gli emendamenti si riferiscono a norme valide soltanto per la prima elezione del Senato. Mi pare pertanto che debbano essere considerati e decisi non in questa sede, ma in sede delle disposizioni transitorie. D'altra parte se immettessimo queste norme nell'articolo 55, che dovrebbe comprendere eventualmente anche la materia dell'articolo 55-bis, lo appesantiremmo troppo. E pertanto ritengo che per il momento possiamo accantonare gli emendamenti in questione salvo a riprenderli dopo deciso l'articolo 55; a meno che i membri dell'Assemblea non ritengano che essi costituiscano norme di carattere transitorio, ché allora dovremmo esaminarli quando esamineremo tutte le norme di tale carattere.

Il seguito della discussione sopra il progetto di Costituzione è rinviato a domani, per udire l'avviso del Presidente del Comitato di redazione sopra gli emendamenti e successivamente per procedere alle relative votazioni.

È stato presentato il seguente ordine del giorno, a firma degli onorevoli Lami Starnuti, Binni, Morini, Rossi Paolo, Treves, Longhena, Bennani, Canevari, Bocconi, Caporali, Villani, Zanardi, Momigliano e Filippini:

«L'Assemblea Costituente ritiene che l'elezione dei componenti il Senato della Repubblica debba avvenire a suffragio universale e diretto, con sistema proporzionale e per circoscrizioni regionali».

Quest'ordine del giorno è stato già di fatto largamente svolto nel corso della discussione e pertanto ritengo che non abbia più bisogno di particolare trattazione.

Potrà essere posto in votazione prima che si passi alla votazione degli emendamenti sull'articolo 55.

 

PrecedenteSuccessiva

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti