[Il 23 ottobre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo secondo della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Il Capo dello Stato».

Sono in discussione gli emendamenti all'articolo 84 del progetto di Costituzione (articolo 88 del testo definitivo), tuttavia, nella prima parte la discussione tratta argomenti di carattere generale relativamente al Presidente della Repubblica.]

Presidente Terracini. L'ordine del giorno reca: Seguito della discussione del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Nella seduta pomeridiana di ieri sono stati svolti gli emendamenti presentati all'articolo 84 ed hanno anche preso la parola alcuni colleghi per esporre particolari considerazioni sugli emendamenti stessi.

Spetta adesso alla Commissione di esprimere il suo avviso. Ha pertanto facoltà di parlare l'onorevole Ruini.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Desidero, prima di parlare dell'articolo 84, fare un breve cenno sulle osservazioni che la voce autorevolissima di Orlando ha fatto al nostro progetto di Costituzione. Vorrei dirgli una semplice e rispettosa parola di risposta.

Orlando ieri ha mostrato la sua meravigliosa freschezza di mente, quando ha contrapposto ad una tesi di prerogative, che sapevano un po' di Medio Evo, il concetto della responsabilità ministeriale e della irresponsabilità del Capo dello Stato, che è un canone acquisito alla forma di Stato parlamentare, di cui egli è stato insuperato teorico e maestro. Questo concetto rimane anche nella nuova fase di Stato più democratico che ora viviamo e che la Commissione ha cercato di assumere a base del suo progetto.

Ma Orlando ha preso occasione per alcuni rilievi appunto sull'indirizzo da noi seguito nella parte finora approvata della Costituzione. Si è più specialmente lagnato perché noi avremmo tolto al Presidente della Repubblica un contenuto di funzioni essenziali, così da renderlo più fantoccio del re, che era già fantoccio.

Potrei far presente l'insieme, non esito a chiamarlo imponente, delle attribuzioni che abbiamo dato con l'articolo 83 al Capo dello Stato: per le leggi e decreti, per la nomina dei funzionari, per i rapporti internazionali, per le forze armate e la guerra, per la grazia ed il condono; mentre in altri articoli gli abbiamo attribuito di nominare e revocare i Ministri e di sciogliere le Camere. La figura del Presidente della Repubblica risulta (anche per la espressione raccolta e densa della nostra formulazione) abbastanza forte e spiccata. Noi non possiamo ricorrere alle aureole vaghe ed in gran parte vane che circondavano la figura del re (e del resto, onorevole Orlando, non ha ella detto che il re era già un fantoccio?). Fantoccio o no, non possiamo rievocare quello spettro: «il re è morto»; e non possiamo, nel vecchio gergo, ripetere «viva il re!».

Come ho detto in altri interventi, lo Stato parlamentare, nella fase storica che Orlando vive ancora, aveva due piloni: uno era il re, che aveva sempre della «grazia di Dio», e l'altro era il Parlamento, la «volontà del popolo»; tra i due piloni si lanciava l'arco di ponte del Gabinetto. Ora il pilone del re è definitivamente ed irremissibilmente caduto; e dobbiamo certamente sostituirlo, perché è necessario un Capo dello Stato; che deve fra l'altro reggere uno dei lati dell'arco di ponte. Ma è impossibile, ed Orlando si illude se crede che possa essere ricostituito come prima; un re nei panni del Presidente della Repubblica; il pilone risorge in altra forma, nell'edificio che si ricompone ormai anche sotto altri aspetti in forme rinnovate; e possiamo ancora chiamarlo Stato parlamentare; ma non è più precisamente il tipo storico caro all'onorevole Orlando. È qualcosa di diverso, perché tutte le sue fondamenta sono ormai nella sovranità popolare; anche il pilone del Capo dello Stato; e si noti che la sovranità popolare non si esprime neppur più nella sola costituzione del Parlamento; ha altre emanazioni, ad esempio il referendum. Né del resto noi facciamo questione di nomenclatura e di etichetta; sarà sempre lo Stato parlamentare; ma questa è una formula che ha varie realizzazioni storiche; e noi teniamo d'altra parte a calcare che, caduto il potere del re, non vogliamo che il Parlamento diventi tutto; perché sarebbe andar incontro alla concezione estremista e rivoluzionaria che vuol fare del Parlamento il vero e solo sovrano, il quale, dopo la investitura, una volta tanto dal popolo, è l'unico padrone; e tutti gli altri organi dello Stato sarebbero suoi commessi, dal Presidente della Repubblica alla Magistratura. No; l'etichetta dello Stato parlamentare si presta proprio alla concezione ultraparlamentare, e piuttosto di Convenzione e di Assemblea, che si vorrebbe ora far strada. Noi cerchiamo di reagire all'assalto, ricorrendo più largamente alla sovranità popolare in altre sue manifestazioni, ed al sistema di equilibri e di contrappesi che non deve sparire, ma rivive in forme nuove, fra i poteri che attingono alla fonte del popolo, esso sì sovrano.

Mi perdoni l'onorevole Orlando se, senza fare teorie che sarei nei suoi confronti incapace di fare, ho esposto le idee base da cui siamo partiti. Vengo ora alle sue specifiche osservazioni. Egli si è lagnato perché abbiamo «tolto» (la parola «tolto» rivela che egli ha sempre davanti agli occhi la figura del re) la facoltà di iniziativa legislativa, che è in sostanza il decreto con cui il re autorizzava il Governo a presentare disegni di legge alle Camere. Intervento formale, per la responsabilità non sua, ma del Governo; ad ogni modo intervento che si addice al Capo dello Stato. Ebbene; posso assicurare l'onorevole Orlando che noi abbiamo sempre pensato che eguale intervento dovesse esercitare il nostro Presidente della Repubblica.

Non l'abbiamo detto, perché lo ritenevamo implicito in tutto il sistema, pel quale gli atti più importanti del potere esecutivo si svolgono formalmente con atti del Presidente della Repubblica. Nulla vieta di aggiungere all'elenco delle attribuzioni dell'articolo 83 che il Presidente della Repubblica «autorizza con suo decreto la presentazione alle Camere dei disegni di legge del Governo». Non è necessario, ma dirlo non contrasta affatto, anzi interpreta il nostro pensiero.

Che noi volessimo attribuire al Capo dello Stato funzioni di questo genere, risulta dal fatto che, sempre nell'articolo 83, gli abbiamo attribuito la facoltà di promulgare le leggi, di emanare decreti aventi forza di legge e regolamenti. L'onorevole Orlando può notare che per questi ultimi atti abbiamo parlato di «emanare», il che egli troverà giuridicamente corretto. Abbiamo bensì riconosciuto al Capo dello Stato la facoltà di promulgare, non già di sanzionare le leggi. L'onorevole Orlando lamenta che abbiamo lasciato cadere questo fulmine della sanzione che è sempre rimasto spuntato nelle mani del re. L'istituto delle sanzione è rimasto sempre sulla carta; non fu usato mai in quasi un secolo di Regno: salvo in un caso, che lo stesso Orlando ci ha insegnato; un solo caso d'un minuscolo trattato di commercio con un minuscolo Stato; che le Camere avevano approvato; ma poi il Governo si accorse che era un errore; e pregò il re di... non sanzionare. Tutto qui. Della sanzione non se ne fece mai nulla; tanto che i giuspubblicisti parlavano di «desuetudine».

Noi non potevamo lasciare al Presidente della Repubblica un potere di sanzione, che lo avrebbe, almeno in via di principio, fatto partecipe della funzione legislativa. Ma gli abbiamo — ed è stato perfettamente possibile con la sola figura della promulgazione — conferito la facoltà di un veto sospensivo, nel senso di chiedere un riesame della legge alle Camere. È qualcosa di più sostanzioso ed effettivo della sanzione; e si addice al compito del Capo dello Stato come regolatore fra i poteri dello Stato; non occorre risuscitare, per il gusto di una affermazione in sostanza teorica, perché rimasta sempre lettera morta, la facoltà regia della sanzione.

Noi non abbiamo nessuna simpatia per certe vecchie frasi che suonano, solenni ma vuote — e nella loro portata antidemocratiche — nelle Costituzioni degli Stati parlamentari nella fase storica dei due piloni, e del re.

Veda, onorevole Orlando, vi sono tre disposizioni dello Statuto albertino che la Commissione, e credo tutta l'Assemblea, non può accogliere; tre reliquati. L'articolo 3: «Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle due Camere»; l'articolo 5: «Al re solo appartiene il potere esecutivo»; l'articolo 68: «La giustizia emana dal re, ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce». È, sistematicamente, la preminenza del re nei tre poteri fondamentali. Ma sono disposizioni pompose e di fastigio; che lo stesso svolgimento dello Stato parlamentare aveva già svuotato, nella stessa età dei re.

Ho già detto della prima disposizione, a cui tengono tanto i nostalgici — anche se non della realtà — della concezione monarchica. Il re partecipe del potere legislativo; il re «terza Camera», terzo ramo del Parlamento. La frase viene dalla vecchia Inghilterra; ma ormai è superata e vuota; lo riconoscono gli stessi costituzionalisti inglesi dei nostri giorni; ormai la «terza Camera» è come la parrucca che i giudici inglesi tengono in capo nell'esecuzione delle loro funzioni. Noi non l'abbiamo conservata. In uno Stato democratico, come quello che noi pensiamo e viviamo, il Presidente della Repubblica non può far parte del potere legislativo, alla pari del Parlamento; può bensì, come Capo dello Stato, regolatore dei poteri, promulgare e chiedere con un veto il riesame; come può sciogliere le Camere; senza che si debba invocare la defunta teoria della terza Camera!

Quanto alla seconda disposizione, che fa del potere esecutivo un appannaggio del re, è un'altra impostazione eccessiva. Si sentirebbe l'onorevole Orlando di metterla nella nostra Costituzione pel Presidente della Repubblica? Lo svolgimento storico del sistema parlamentare è stato, anche nella fase dei re, nel senso di attribuire la realtà del potere esecutivo al Gabinetto. Vero è che gli atti più importanti di governo han luogo, formalmente, attraverso interventi e decreti del Capo dello Stato; e ciò noi l'abbiamo conservato, come è giusto, per lo stesso concetto e per la posizione del Capo dello Stato; ma abbiamo preferito — ed anche questo ci sembra un progresso — indicare punti concreti d'intervento, come all'articolo 83, piuttosto che rievocare la insussistente ed antidemocratica impostazione del passato.

Non nascondo che ci siamo preoccupati di distinguere il Capo dello Stato dal Governo. In certo senso, è vero, Governo in senso lato potrebbe riferirsi anche al Capo dello Stato, in quanto gli atti di governo si estrinsecano per suo mezzo. E, senza dubbio, il Presidente della Repubblica ha sovrattutto rapporto col potere esecutivo; ma non ne è il detentore come nello Statuto albertino, né il capo. Per noi il Capo dello Stato non è capo del Governo; resti ben fermo che non abbiamo accettato la forma di repubblica presidenziale, di tipo americano, in cui il Capo dello Stato è anche Capo del Governo. È un regime che ha fatto magnifica prova al Nord, pessima al Sud d'America; e non si è mai trapiantato in Europa, dove si è invece realizzato per forze storiche, nel solco dell'esempio e della «scoperta» inglese, il tipo di Governo parlamentare o di Gabinetto, che nessuno scrittore, neppure straniero, ha studiato più genialmente dell'onorevole Orlando. Noi a questo tipo europeo vogliamo esser fedeli; — beninteso con gli ulteriori sviluppi cui ho accennato — il Capo dello Stato non è capo del Governo, anche se, nella sua qualità di supremo regolatore, ha esplicazioni di rapporti più continuativi con l'esercizio delle facoltà di governo; rapporti che — in ciò è l'inverso del sistema americano — avvengono con la irresponsabilità del Capo dello Stato e con la responsabilità dei membri del Governo, per gli atti che il Presidente della Repubblica compie come Capo dello Stato. Teniamo fermo questo caposaldo, perché ci sembra necessario; né vogliamo avventurarci in forme completamente nuove e distaccate dalle preesistenti; sentiamo di dover andare più in là; ma senza salti nel buio; dove sono i salti nel buio, onorevole Orlando? È stato lei, non lo dimentichiamo mai, che ha pronunciato qui nell'Aula la frase bellissima; che noi viviamo in un momento, in cui il vecchio muore, ed il nuovo non è nato. Non possiamo conservare ciò che muore; manteniamo gli istituti e le forme che ci sembrano indispensabili per cercar, intanto, le vie del nuovo.

Infine, per l'ultimo degli inammissibili reliquati albertini, che fa anche del potere giudiziario un appannaggio del re, non dirò neppure poche parole; la giustizia, nello Stato democratico, non può che emanare dal popolo, ed essere esercitata in suo nome, con tutte le necessarie garanzie per l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati. Il Capo dello Stato non ha lui il potere giudiziario, anche se pur qui interviene come altissimo regolatore; e noi nel nostro progetto lo abbiamo messo, fra l'altro, alla Presidenza del Consiglio supremo della magistratura.

Mi pare di avere così chiarito il pensiero che anima il nostro progetto, e che è diverso in più punti dal pensiero dell'onorevole Orlando. Il nostro progetto non si mette per nulla sulla china, che condurrebbe allo Stato ultraparlamentare, ed in realtà totalitario, degli estremisti di sinistra. Abbiamo ascoltato qui le affermazioni su tali direttive degli onorevoli Togliatti e Nenni; che però ne han fatto una meta d'avvenire; ed intanto nella Commissione hanno, essi o i loro seguaci, accolto le linee fondamentali della Commissione. Il progetto è ben lontano dalla concezione degli onorevoli Togliatti e Nenni; ma lo è anche da quella troppo conservatrice degli onorevoli Orlando e Nitti; lo ripeto ancora una volta. Questi due altissimi parlamentari, che sono anche altissimi pensatori, pensano alla Costituzione in forme ormai superate; e vedono l'edificio ancora come se il pilone del re non fosse caduto. Non vogliono il ritorno dei Savoia e della monarchia, ma la loro è una concezione ancora monarchica, che non si addice alla democrazia repubblicana, che noi cerchiamo di fondare.

Non le dispiaccia, onorevole Orlando, se ho osato rispondere ad un maestro come lei. Io credo che sopratutto, nel cercare oggi di spingersi avanti nelle vie democratiche del costituzionalismo, si imita il suo esempio, quando in altri momenti ed in altri tempi, ella segnò passi avanti, che l'Italia vuole oggi superare. (Applausi).

Orlando Vittorio Emanuele. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Orlando Vittorio Emanuele. Chiedo di parlare perché c'è stato un fatto personale, scientifico e giuridico, da parte dell'onorevole Ruini, il quale ha creduto dunque di rispondere alle considerazioni da me fatte ieri, le quali muovevano da questa constatazione: un dissenso profondo. L'onorevole Ruini ha confermato il dissenso, sicché io non posso che dargli atto di una cosa di cui ero d'altronde convinto. Quindi, anche per questa ragione non mi soffermerò sui particolari, perché, se mi vi soffermassi, sarebbe come rifare la discussione generale e non credo che sia il momento, né che ce ne sia l'opportunità.

Ma qualche osservazione particolare potrò fare, specialmente quando l'onorevole Ruini mi considera come un minore democratico, come un democratico più attenuato.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

Orlando Vittorio Emanuele. Ora, lascio stare che lo spunto del mio discorso di ieri fu dato da una preoccupazione nettamente opposta.

Qui c'è la teoria dei piloni. L'amico Ruini dice che nel sistema passato c'è il pilone re e il pilone Camere.

Io avrei molte cose da dire, perché il concetto dell'istituto parlamentare è non di distinguere e di contrapporre i piloni, ma di unificarli nel Capo dello Stato. Il che è vero, e dev'essere vero per tutte le forme di Governo. In primo luogo.

In secondo luogo, anche ammettendo l'analogia col ponte e col pilone, io dico: l'antico pilone fu demolito come species re, ma ciò non significa che fu demolito come genus, cioè come Capo dello Stato. Il pilone fu abolito come re, ma non come Capo dello Stato.

E allora, se io persisto nel considerare i rapporti fra quei due organi sovrani, non mi sembra che ciò l'autorizzi a dire che sono meno democratico.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non l'ho detto mai!

Orlando Vittorio Emanuele. Oppure, che si sopravaluti codesta vostra democrazia sotto forma di una diminuzione dei poteri del Capo dello Stato?

Io dico che non sono meno repubblicano in confronto a voi, se voglio un Capo dello Stato repubblicano con più larga competenza e quindi maggiore autorità del Capo dello Stato monarchico! Il mio punto di vista si pone contro il vostro: posso avere ragione io come potete avere ragione voi, non ho mai aspirato all'infallibilità. Ma il vostro giudizio, come qualificazione politica della mia tendenza, non corrisponde al sentimento mio, né, obiettivamente, alla mia maniera di considerare l'argomento.

Voi, mio caro amico, avete citato alcune disposizioni dello Statuto Albertino, ma sono quelle ormai sorpassate dalla consuetudine. Esse non esistevano più!

Voi avete detto: non vogliamo la dichiarazione di principio contenuta in quello Statuto che solo al re appartiene il potere esecutivo. E apparteneva forse solo ad esso? Neanche per sogno! Io non ho censurato o riprovato per non avere riprodotta quella dichiarazione senza effettivo contenuto, ma ho detto: avete esautorato il Presidente della Repubblica per ciò che riguarda competenza ed attribuzioni nell'ordine del potere esecutivo. E ve ne darò subito la prova. Intanto, per ciò che riguarda l'iniziativa che io lamentavo essere stata tolta al Presidente, voi replicate di averla attribuita al Governo ed aggiungete che non sarebbe incompatibile una tale attribuzione con quell'altra: di potere aggiungere persino in sede di coordinamento (tanto vi pare ovvia la conseguenza!) che la presentazione del disegno di legge proceda per mezzo di un decreto del Presidente della Repubblica.

Va bene, ma con ciò voi avete dato al Presidente della Repubblica la qualità di Capo del Governo.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. No.

Orlando Vittorio Emanuele. No? Vedete dove spunta subito la difficoltà, onde io dicevo oggi che parliamo due lingue diverse! Ed è difficoltà di sostanza, ma non perché noi muoviamo da punti di vista diversi si può essere autorizzati a trovare me in contraddizione. Io sono coerente ai miei principî, quando trovo che è questo uno dei difetti maggiori del vostro sistema, di cui si dovrebbe riparlare in sede di articolo 86, perché non si capisce come questo Governo si colleghi col Presidente della Repubblica, se ne dipenda o sia autonomo. Voi mi dite che l'iniziativa da voi attribuita al Governo può essere esercitata con decreto del Presidente, ma poi negate che il Presidente sia Capo del Governo.

Vi è sfuggito or ora quello che io vorrei considerare come un lapsus linguae, e non credo che ci persisterete, dicendo in via di contrapposizione che il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio dei Ministri è il Capo del Governo. Ma Capo del Governo si qualificava Mussolini! E l'espressione Capo del Governo la inventò Mussolini!

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non vogliamo la Repubblica presidenziale.

Orlando Vittorio Emanuele. Ma la Repubblica presidenziale è tutt'altra cosa! Certo è, comunque, che voi avete dato al Presidente del Consiglio una qualità di Capo di Governo che era stata fatta propria precisamente dal dittatore.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ma in Inghilterra è la stessa cosa.

Orlando Vittorio Emanuele. Ma non vedete come tutte queste proposizioni non legano fra di loro? Avete rotto proprio quell'unità, fra Parlamento, Governo e Capo dello Stato, che è la caratteristica di quella forma parlamentare, creata proprio in Inghilterra. Insomma bisogna che si sappia quali siano i rapporti fra i Ministri e il Capo dello Stato. Il vostro progetto non lo dice: inconcepibile lacuna. La potrete correggere e farete bene; ma sinora non si dice, non si precisa il rapporto giuridico che lega il Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri col Capo dello Stato.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Ne riparleremo.

Orlando Vittorio Emanuele. E vi pare lacuna di poco? Non si sa bene: i Ministri rispondono verso chi? Voi dite: rispondono verso il Parlamento, ma questo è un secondo momento. Rispondono essi verso il Capo dello Stato? E se non è così, quale sarà il nesso che lega questi due organi? Ho parlato troppo, onorevole Presidente, e chiedo scusa. Ad ogni modo qui è una questione fondamentale in cui noi divergiamo.

Evidentemente voi non fate il sistema parlamentare. Fate un'altra cosa. È un salto nel buio, ma l'Italia ha buone gambe e nessuno più di me augura che cascherà con molta eleganza e potrà ritrovarsi felicemente in piedi. (Applausi).

 

Home

 

 

A cura di Fabrizio Calzaretti