[Il 12 dicembre 1946 la seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere giudiziario.]

Il Presidente Conti. [...] Apre quindi la discussione sull'articolo 1 del progetto Calamandrei:

«Statualità della giurisdizione;

intestazione delle sentenze.

«Il potere giudiziario appartiene esclusivamente allo Stato che lo esercita per mezzo di giudici indipendenti, istituiti e ordinati secondo le norme della presente Costituzione e della legge sull'ordinamento giudiziario. Le sentenze e gli altri provvedimenti dei giudici sono resi in nome della Repubblica».

Bozzi approva il principio, ma fa presente, per lealtà, che la formulazione potrebbe far sorgere dubbi (che, secondo lui, tuttavia, non avrebbero seria ragion d'essere) sulla validità, ad esempio, delle giurisdizioni non statali in materia matrimoniale o ecclesiastica.

Leone Giovanni, Relatore, riconosce che la definizione della statualità della giurisdizione può correre il rischio segnalato dall'onorevole Bozzi. Per la giurisdizione ecclesiastica però non si richiede un giudizio di delibazione.

Si domanda se, ai fini dei rapporti internazionali derivanti dal Concordato e anche per altri rapporti internazionali, valga la pena di stabilire questo principio della statualità.

Quello che a lui sembra indispensabile è di definire il potere giudiziario o di stabilire, sia pure con una definizione approssimativa, quale è la funzione del potere giudiziario. Il dire semplicemente che appartiene esclusivamente allo Stato potrebbe far sorgere, nei non tecnici, il sospetto che dipenda dal potere esecutivo. Occorre quindi sganciare il concetto di potere giudiziario da quello di potere dello Stato, per non ingenerare confusione nel grosso pubblico. E ciò tanto più in quanto non sono stati ricollegati allo Stato gli altri due poteri. Propone pertanto che nella definizione che ne dà l'onorevole Calamandrei il potere giudiziario sia sganciato dal riferimento allo Stato.

Bozzi crede necessaria l'affermazione della statualità del potere giudiziario, tanto più in quanto si profila un ordinamento regionale. La giurisdizione emana dallo Stato, ed è bene affermarlo nella Costituzione.

Calamandrei, Relatore, prima di tutto propone di intitolare la parte della Costituzione che riguarda il potere giudiziario con l'espressione «Del potere giudiziario». Avverte poi che nell'articolo 1 si afferma il principio della statualità della giurisdizione, ma non si affronta il problema della definizione di quello che sia il potere giudiziario: la definizione è riservata all'articolo 2.

L'affermazione della statualità della giurisdizione esisteva già nello Statuto Albertino, che diceva: «La giustizia emana dal Re»; ed era stata introdotta nella Carta costituzionale per ragioni storiche, perché prima della rivoluzione francese la giurisdizione veniva talvolta esercitata anche da enti o da corporazioni e le cariche giudiziarie avevano carattere patrimoniale. A fortiori è necessario affermare questo principio in un ordinamento che sarà fondato sulle autonomie regionali.

A questo punto si affacciano problemi di carattere contingente. Affermato questo principio, nascerà la questione se con esso siano conciliabili i vari casi di sentenze di cui si riconosce l'efficacia, per quanto emanate da autorità non statali. Poi il problema delle sentenze straniere nei giudizi di delibazione; il problema delle sentenze dei Tribunali ecclesiastici, che sono sottoposte per la trascrizione alla Corte di appello. Finora, nonostante che questo principio fosse già affermato nello Statuto, è stata data applicazione alle sentenze dei Tribunali ecclesiastici.

Di Giovanni dichiara di essere d'accordo nell'affermazione del principio, ma sostituirebbe all'espressione «appartiene allo Stato» la seguente: «è emanazione diretta della sovranità dello Stato».

Anche nel caso accennato dall'onorevole Leone, lo Stato afferma la propria sovranità attraverso il giudizio di delibazione.

Calamandrei, Relatore, alla parola «emanazione» preferirebbe l'altra: «manifestazione».

Bozzi propone che sia tolto l'avverbio «esclusivamente», perché gli sembra che diminuisca il valore dell'affermazione.

Leone Giovanni, Relatore, insiste nelle sue riserve circa la necessità e la opportunità di un'espressione che affermi l'appartenenza allo Stato del potere giudiziario. Agli onorevoli Bozzi e Calamandrei, i quali ritengono che l'affermazione di questo principio sia necessaria, poiché la nuova Costituzione pone le autonomie regionali, osserva che non v'è dubbio che il potere giudiziario debba essere dello Stato, ma non perciò occorre dirlo: la natura dell'istituto si ricava dalla sua disciplina e, quando nell'articolo che riguarda il potere giudiziario di regionalismo non si parla, resterà affermato tacitamente che il potere giudiziario non subisce influenze da parte di organizzazioni amministrative decentrate dello Stato.

Il secondo rilievo che si fa è che il principio della statualità era già affermato nello Statuto Albertino; ma a questo proposito fa rilevare che lo Statuto Albertino non era una Costituzione rigida, tanto che lentamente alcune sue disposizioni furono modificate o abrogate: quindi questo non è un argomento decisivo. A quale finalità si obbedisce stabilendo esplicitamente la statualità? Se è per precisare che si tratta di una emanazione dello Stato, ritiene che la parola «appartiene» sia la più esatta e preferibile a «manifestazione». Ma, ripete, che si tratti di uno dei poteri dello Stato risulta dalla sua disciplina: è uno dei tre poteri tradizionali, attraverso i quali si afferma la sovranità dello Stato. Più che stabilire questo principio, riterrebbe conveniente definire la giurisdizione e stabilire la sua normale funzione, anche nei confronti dell'autorità esecutiva.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti