[Il 12 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Caccuri. [...] Sono però contrario all'immissione delle donne nella Magistratura.

È vero che esse hanno dato ottime prove in tanti uffici, ma l'arte del giudicare, oltre a richiedere particolari doti di equilibrio e di logica, richiede una costante serenità di giudizio che le donne, per ovvie ragioni fisiologiche e per naturali facoltà psicologiche, non possono avere, specie se si tien conto che normalmente in esse il sentimento prevale sul raziocinio, mentre nella risoluzione delle controversie deve avvenire il contrario.

Ritengo che si possa consentire alle donne di partecipare a limitate e determinate forme di giudizio nelle sezioni specializzate, ma non generalizzare fino al punto di consentire il libero accesso nella Magistratura.

[...]

Scalfaro. [...] Vi è un altro problema che ha interessato e a volte turbato, in un modo che vorrei dire anche strano, l'Assemblea: è quello delle donne, vale a dire se esse debbano o meno entrare a far parte della Magistratura.

Lasciando quel che può essere il mio parere personale, di un giovane che sarebbe certo tacciato di mentalità del '700, io penso che l'articolo 48 da noi già votato, possa aver arato il terreno ed aperto la strada per la soluzione di un tale problema. Quando l'Assemblea ha dichiarato che «tutti i cittadini di ambo i sessi possono accedere alle cariche elettive ed agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge», è possibile che comunque il problema possa ritenersi, se non del tutto, quasi risolto. Si potrebbe obiettare che questo articolo è sotto il titolo dei Rapporti politici; comunque è stato scritto e non è facile ora andare a vedere le motivazioni che l'hanno determinato o le varie dichiarazioni di voto per cercar di restringere il più possibile il contenuto. Ormai è scritto.

Per questo ritengo che sia inutile la presentazione dell'emendamento che, firmato dall'onorevole Mattei Teresa e dalla collega Rossi Maria Maddalena dice: «le donne hanno diritto di accesso a tutti gli ordini e gradi della Magistratura», ma che sia molto più saggio mantenere le parole del progetto, che portano con sé una grande saggezza, la quale, cioè, pur di fronte a questa uguaglianza, che io credo ancora voglia essere uguaglianza che non nega, ma presuppone le diversità nell'ordine di natura, abbia posto così un principio, abbia cioè detto che se la donna è uscita di casa per la vita politica, per la vita pubblica, comunque per un'attività che non sia quella sua primaria di maternità nella casa, la donna è chiamata ad essere «donna» in questa Assemblea come in ogni altra attività, ed è grande ed è a suo posto solo se è donna, perché solo in questo modo è madre di quella maternità spirituale, profonda, dolce e dolorosa insieme. Così potrà esser chiamata anche nella Magistratura, ma per portare questo suo palpito di maternità per cui in questo ufficio, in quell'incarico, sia necessario, o più opportuno che vi sia una donna. Ma ritengo comunque, che le doti altissime del suo animo dove prevale il sentimento che più è capace di renderla eroica, si confacciano alla specifica funzione del giudicare.

[...]

Gullo Fausto. [...] E insieme con questa necessità, ossia che venga abrogata la parte del progetto che si riferisce al divieto di appartenenza dei magistrati a partiti politici, io affermo un'altra necessità, che sia cioè consentito alla donna di essere giudice. Alessandro Dumas figlio, sostenitore eloquente del diritto delle donne ad essere immesse nella vita pubblica con tutte le prerogative degli uomini, con riferimento alla cruenta epopea napoleonica, disse da artista: «Quando passa un conquistatore e uccide alla madre un milione di figli, per questo fatto la donna acquista il diritto di partecipare al Governo politico della nazione». Che cosa avrebbe detto ora, quale accento avrebbe tratto dalla sua arte Alessandro Dumas, se avesse visto che alla madre è stato inferto uno strazio ancora più grande, nel momento in cui le è stato sulle sue stesse braccia ucciso il figlioletto poppante, travolto in una tempesta che ha atterrato tutti, vecchi, bambini, donne?

Non v'è una ragione sola che autorizzi ad affermare che la donna non debba avere una completa parità di diritti con gli uomini. Non v'è un motivo solo per dimostrare che la donna eserciti, meno bene dell'uomo, qualunque carica; potrà commettere degli errori, ma gli errori li commettono anche gli uomini. Non v'è quindi ragione, perché la donna non sia anch'essa ammessa all'esercizio della potestà giurisdizionale. Essa forse intenderà meglio di noi uomini tanti stati d'animo che a noi sfuggono, ma che invece sono appresi con quella più acuta sensibilità, che è propria della donna. La donna giudice intenderà più e meglio degli uomini ogni motivo di pietà e di sofferenza. Vi sono circostanze, fatti e sentimenti che noi uomini non sappiamo valutare pienamente così come possono e sanno le donne.

Io sentirei di affermare una inferiorità ingiustificabile, nel momento in cui, avendo dato alla donna tutti gli altri diritti, noi persistessimo a negare ad essa il diritto di essere giudice. (Approvazioni a sinistra).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti