[Il 6 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale dei seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Mastino Pietro. [...] Non si è accennato finora, onorevoli colleghi, a proposito dell'indipendenza della Magistratura, ad un argomento che è veramente essenziale. Intendo riferirmi a quello da me indicato nell'articolo 102-bis, così redatto: «Lo Stato garantisce l'indipendenza economica del magistrato e dei funzionari dell'ordine giudiziario»: Onorevoli colleghi, noi dobbiamo avere del magistrato — e l'abbiamo — una visione alta; la visione del magistrato che con nobiltà e dignità adempie alle sue funzioni, e tutti siamo d'accordo nel riconoscere che la generalità dei magistrati ha degnamente esercitato il proprio ministero. Dobbiamo però, nello stesso tempo, riconoscere che egli è un uomo come tutti gli altri, che ha necessità pratiche come tutti gli altri, e che per la tranquillità, per la serenità del suo lavoro, per la dignità del suo ministero, per la dignità stessa dello Stato, che delega ai magistrati una parte della propria sovranità, dev'essere a lui ed ai funzionari dell'ordine giudiziario garantita l'indipendenza economica. Quanto difficile sia amministrare giustizia, e non tradire i suoi segreti (e con ciò intendo soprattutto riferirmi alla posizione dei dipendenti ausiliari dell'amministrazione), mentre si vive in gravi strettezze economiche, fra mille difficoltà e troppe tentazioni, è cosa risaputa.

Necessità quindi di provvedimenti al riguardo, che non si limitino a riconoscimenti verbali. Mi pare che questo mio emendamento, se potrà essere discusso nella forma, dovrà trovarci tutti d'accordo nella sostanza.

[...]

Ciampitti. [...] L'indipendenza della Magistratura deve essere assicurata anche con un adeguato trattamento economico. Per il prestigio effettivo della Magistratura e per invogliare gli elementi validi ad entrare nella Magistratura stessa, bisogna separare la Magistratura dall'esercito di funzionari ed impiegati statali, per farne un corpo sceltissimo, non numeroso, ben retribuito di rappresentanti della giustizia, cioè di un effettivo e vero potere dello Stato. Si impone quindi l'autogoverno finanziario lasciando alla Magistratura, nei limiti stabiliti ogni anno dal Parlamento, la determinazione degli emolumenti e delle indennità spettanti ai suoi componenti.

Né dovrebbe essere difficile la istituzione di una cassa speciale, cui potessero affluire i proventi degli atti giudiziari a vantaggio dei magistrati. Non è giusto che vada alle casse dello Stato tutto ciò che si ricava dall'amministrazione della giustizia. Del resto, il bilancio della Giustizia, come è noto, è attivo, forse il solo attivo fra tanti bilanci. E nel trattamento economico della Magistratura non è il caso di lesinare.

Il magistrato si vede oggi in uno stato di inferiorità e di impossibilità di vita. Dai frequenti contatti coi magistrati, so che essi vivono di stenti; in molti casi, nella maggior parte dei casi, essi fanno una vita grama, piena di sacrifici veramente enormi. Eppure essi devono rispettare le leggi della dignità e del decoro personale e della propria famiglia; e non hanno i mezzi per sostenere le spese richieste da una vita, anche la più modesta. Non bisogna dimenticare che le ristrettezze della vita materiale dei magistrati hanno un'influenza diretta anche sul potere spirituale e sulle energie mentali del magistrato stesso. Non si può pretendere un grande rendimento, aderente alle esigenze della magistratura, quando si soffre addirittura la fame, o non si hanno i mezzi materiali per poter provvedere alle esigenze più elementari della vita.

Se si fanno poi paragoni fra gli stipendi dei magistrati e quelli di molte categorie di impiegati statali o non statali, si vede in quale umiliante situazione i magistrati si trovino rispetto ad essi. È un quadro di avvilimento quotidiano quello al quale coloro che esercitano la professione forense debbono assistere, con vero rincrescimento ed anche con un senso di commiserazione per questi paria della società, i quali, pure esplicando una nobile funzione, non sono retribuiti in maniera da potere campare la vita con certa dignità e certo decoro.

Quindi, credo che non vi debba essere alcuno tra di noi che dissenta dal proposito, veramente fermo e concreto, di poter fare quanto è in noi per sollevare, oltre che moralmente, anche materialmente, la posizione della Magistratura italiana, che veramente deve essere considerata con quei criteri di umanità, che presiedono in tutte le altre risoluzioni prese dall'Assemblea.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti