[Il 20 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la votazione degli ordini del giorno sui seguenti Titoli della Parte seconda del progetto di Costituzione: Titolo IV «La Magistratura», Titolo VI «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda alle appendici generali della Parte seconda per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. L'onorevole Mannironi ha presentato il seguente ordine del giorno, che reca anche le firme degli onorevoli Guerrieri Filippo, Ciampitti, Tozzi Condivi, Scalfaro e Cappi:

«L'Assemblea Costituente ritiene che nella prossima riforma della legislazione penale sia istituito il giudizio di appello anche per i reati di competenza di Corte di assise, secondo le modalità da stabilirsi con la legge».

Ho l'impressione che sia uno di quegli ordini del giorno, i quali, perché non possono comunque tramutarsi in nessuna disposizione specifica da inserire nel testo costituzionale, non avrebbero ragione di essere presentati e svolti.

Ad ogni modo, se l'onorevole Mannironi si impegna a svolgerlo in maniera rapidissima, gli do facoltà di parlare.

Mannironi. Io sono abitualmente breve; però desidero far rilevare che l'argomento contenuto nel mio ordine del giorno fa parte anche di alcuni emendamenti ed è stato già illustrato, mi pare, dall'onorevole Rubilli.

L'argomento, peraltro, del quale mi devo occupare è, a parer mio, di natura squisitamente costituzionale. Si è detto qui e fuori di qui da taluno, che in questa parte del progetto costituzionale si siano voluti inserire molti principî, che non sarebbero strettamente costituzionali. Penso che, in ogni caso, l'abbondare in questa parte del progetto nel definire determinati principî ed affermazioni non sia inutile, perché in sostanza noi ci stiamo preoccupando di creare la struttura del potere giudiziario e di garantire, per altre vie, le libertà del cittadino. Ad evitare che domani facili maggioranze parlamentari possano modificare certi principî, che riteniamo di carattere fondamentale, mi pare che l'unico rimedio debba proprio consistere nell'agganciare questi principî alla Costituzione. Ora io intendo brevemente illustrare le richieste contenute nell'ordine del giorno, che tendono a fare affermare il principio, secondo il quale, nella legislazione italiana, debba esistere sempre il secondo grado di giurisdizione e debba esistere anche nei giudizi di Corte di assise, nei quali oggi il giudizio di appello non è ammesso.

Gli onorevoli colleghi che si sono occupati di studi di diritto sanno che da lungo tempo si è discusso nella dottrina se dovesse essere ammesso o no l'appello.

Dai sostenitori dell'abolizione dell'appello si è detto che, se l'appello è ammesso per reati minori, lo si dovrebbe a maggior ragione ammettere anche per i reati più gravi, quali quelli di competenza della Corte di assise; e si è aggiunto che, per evitare che i giudizi più gravi si dilunghino in inutili fasi dilatorie, meglio sarebbe abolire l'appello.

Onorevoli colleghi, voi capite quanto un ragionamento di questo genere possa essere pericoloso. Il diritto di appello è qualcosa, che è connaturata all'uomo e rientra nelle sue esigenze naturali e legittime. Il magistrato che interpreta la legge e l'applica al caso specifico, si preoccupa sempre di una cosa fondamentale: di accertare l'effettiva responsabilità dell'imputato. Ora questo giudizio di accertamento della responsabilità è proprio quello che costituisce la sostanza della giustizia e l'opera della Magistratura. Qualunque sforzo e qualunque tentativo possa essere fatto in questo senso, allo scopo di garantire e meglio assicurare la libertà del cittadino e allo scopo di scoprire la verità giudiziale e di impedire, in sostanza, che un'ingiustizia sia fatta, mi pare sia proficuo, utile e necessario. In tutti i tempi e presso tutti i popoli è esistito un giudizio di appello. Mi pare di aver letto che Platone si considerava soddisfatto di una sentenza e di un giudizio solo quando era passato attraverso tre vagli.

Senza dilungarmi troppo e senza sfoggio di inutile erudizione, voglio tralasciare di richiamare i precedenti del diritto romano e medievale. Comunque è certo questo: che il diritto di appello, fin dalle epoche più remote, è stato, direi, reclamato dalla coscienza di tutti i popoli, che di una cosa sola sempre si sono preoccupati; di garantire in tutte le maniere la libertà del cittadino, per evitare che questa libertà potesse essere violata e, in qualche modo, compromessa o coartata da giudizi erronei o da giudizi affrettati e irreparabili. Il giudizio di appello, onorevoli colleghi, è fondato su un concetto popolare, che è pieno di buon senso e di logica: quando si dice che quattro occhi vedono meglio di due, si afferma una verità sacrosanta. Ora il giudizio di appello porta proprio a questo; a far in modo che uno stesso fatto od una serie di fatti, che hanno costituito oggetto di esame e di giudizio da parte di un giudice, possano in un secondo tempo essere riesaminati da altro giudice diverso, lontano dal fatto, dal tempo e dal luogo del delitto, in modo che possa avere quella maggiore serenità di giudizio, che è la garanzia più sicura per la bontà e la correttezza del giudizio stesso.

Per combattere questa tesi del giudizio di appello anche per i reati di competenza delle Corti di assise, si adducono generalmente due motivi. Uno è di carattere formale. Si dice che non è consentito il giudizio di appello per i reati di competenza delle Corti di assise, in quanto tale giudizio è pronunciato da un giudice che è già di appello. Mi pare che questa sia una obiezione di natura formale, facilmente superabile. Non è necessario che il giudizio di primo grado per i reati gravi sia affidato ad un giudice di appello; può benissimo essere affidato ad altro giudice. E, d'altra parte, seppure fosse vero che il primo grado è affidato ad un giudice di appello, nulla esclude che una seconda fase di giurisdizione sia affidata ad altri giudici di appello, che sono sì di pari grado, ma di diversa giurisdizione. Si potrebbe, in sostanza, adottare il criterio già seguito quando la Cassazione cassa una sentenza e rinvia il giudizio per il riesame ad un altro giudice di appello, la cui sentenza resta definitiva.

L'altro argomento di merito e più grave, che si adduce contro l'opportunità del giudizio di appello per i reati gravi, lo si fa consistere nel fatto che i reati di Corte di assise sono di competenza della giuria popolare. E poiché la giuria è sovrana in tale suo giudizio, non si può consentire che un altro giudice superiore sia in diritto di giudicarne l'operato.

Qui si potrebbe riaprire nuovamente e a lungo la discussione sulla questione della giuria. Per quello che mi riguarda personalmente vi dirò che sono anch'io contrario alla giuria popolare, così come lo sono molti avvocati che hanno fatto l'esperienza del giudice popolare. In quest'Aula abbiamo potuto ascoltare il parere di autorevolissimi colleghi, che sono lustro del Foro e sono considerati meritatamente dei maestri. Io vorrei però dimostrarvi che l'ammettere oggi il principio dell'appello anche per i reati di Corte di assise, non porta come conseguenza all'abolizione della giuria. Vi sono dei colleghi che hanno proposto un emendamento tendente a far sopprimere il giudice popolare; vi sono altri colleghi che hanno chiesto che questo argomento sia rimandato al legislatore ordinario. Ora, se voi vi orientaste in questo senso e decideste di demandare al legislatore di domani la decisione sulla giuria popolare o se voleste anche fin d'ora conservarla, pare a me che oggi possiate, senza contraddirvi, affermare il principio della necessità del secondo grado di giurisdizione anche per i reati di Corte d'assise.

Quando voi parlate di giudice popolare, credo che non dobbiate cristallizzarvi a quell'ordinamento di giurati che vigeva nella legislazione passata; credo che anche quelli che sono sostenitori tenaci della giuria popolare, debbano ammettere che la giuria è suscettibile di modificazioni e di perfezionamenti e che, per esempio, la giuria popolare non escluda la necessità della sentenza motivata.

In sostanza, con questo si tornerebbe al parere ed all'opinione espressi da un autorevolissimo politico e studioso di diritto, quale era Giuseppe Pisanelli. Egli era uno dei più tenaci difensori della giuria popolare, come ebbe a manifestarsi nelle discussioni avvenute alla Camera nel 1874; ma fu anche autore di un libro nel quale sosteneva che tutte le sentenze dovessero essere motivate, comprese quelle dei giurati. Egli disse tra l'altro che «nessuno può dubitare che l'obbligo imposto al giudice di rendere ragione della sua sentenza è una delle maggiori garanzie della innocenza in quanto la motivazione era, ad un tempo, sussidio e freno per i magistrati, ecc.».

E si potrebbero richiamare qui anche altri principî fondamentali, enunciati dal Pisanelli in quel suo pregevole libro.

Ora, onorevoli colleghi, se anche voi siete dei tenaci assertori della giuria, potete e dovrete ammettere che questa giuria non debba essere considerata come un oracolo. Nessuno può essere ritenuto infallibile: neppure i giurati popolari. Anche a loro perciò bisogna imporre l'obbligo della motivazione del giudizio, perché soltanto in tal modo avremo dato la possibilità di esercitare un utile controllo anche su di loro e sui loro giudizi. Così soltanto si potrà inspirare, nelle cause più gravi, la necessaria fiducia nel popolo, che guarda all'operato della giustizia e della Magistratura, e vuole essere però in grado di controllarlo.

Badate, il pubblico, il popolo non si preoccupa tanto di sapere che giustizia è fatta o che è fatta rapidamente; si preoccupa, anzitutto, di sapere che la giustizia è stata fatta bene e di essere messo nella condizione di accertare veramente se bene è stata fatta.

Ora, questo accertamento soltanto per una via si può esercitare ed è attraverso l'esame della motivazione che il giudice pone a base del proprio giudicato. Ora, ripeto, se anche voi vi preoccupate della esistenza dell'istituto della giuria nella legislazione di domani, credo che vorrete essere concordi in questo, nel riconoscere la necessità della motivazione in ogni sentenza. Non sarà inutile ricordare che già un po' in questo senso vi siete pronunciati, onorevoli colleghi, quando avete approvato l'articolo 8 della Costituzione.

In tale articolo è detto che «non è ammessa forma alcuna di detenzione né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria». Ora, la giuria può rientrare, deve rientrare in questa dizione generica di «autorità giudiziaria» e quindi mi pare che il concetto generale dell'obbligo della motivazione in tutte le sentenze, comprese quindi quelle di assise, debba ritenersi sancito fin da quando si è approvato l'articolo 8. Ad ogni modo, il ripeterlo o il precisarlo con apposito emendamento, sarà sempre utile e opportuno.

La motivazione delle sentenze, onorevoli colleghi, è d'altra parte la base di ogni giudizio di appello ed è la base anche dei giudizi di Cassazione. Perché, se la Cassazione fosse soltanto chiamata a giudicare sull'applicazione retta della legge, indipendentemente dall'esame di ogni giudizio sul fatto, o dal criterio che il giudice ha seguito anche nell'accertamento del fatto, credo che sarebbe messa, direi, in una condizione di inferiorità. Sarebbe messa nella condizione di emanare giudizi assolutamente parziali, che non potrebbero investire l'intero giudizio, e quindi non potrebbero offrire quelle sicure garanzie di cui il popolo ha bisogno per tranquillarsi dell'esito delle sentenze, specie di condanna nei reati gravi.

La Costituente francese, in una agitata seduta del maggio 1790, si era proposto questo quesito: devono esistere oppur no due gradi di giurisdizione? E la maggioranza aveva votato e risposto affermativamente a questo quesito.

Credo, onorevoli colleghi, che questa stessa preoccupazione vorrete avere voi. Credo che faremo opera utile e saggia se fra i principî fondamentali della nostra Costituzione fisseremo anche noi questo principio del doppio grado di giurisdizione per tutti i giudizi: principio che non mira a priori ad abolire la giuria popolare, ma mira soprattutto a garantire la libertà dei cittadini e ad una migliore amministrazione della giustizia.

Questa libertà del cittadino, come sapete, può essere insidiata non soltanto da atti illegali e illegittimi dei privati, ma può essere menomata, trasformata, ridotta anche da atti del potere legislativo, del potere esecutivo, e, purtroppo, anche da atti del potere giudiziario.

Ora, per evitare che errori commessi siano irreparabili, per evitare che ingiustizie anche per un solo nostro simile siano commesse irrimediabilmente, mi pare che la garanzia del giudizio di appello sia la conquista migliore o una delle conquiste principali che realizzeremo, in concomitanza con tutti gli altri principî affermati nella prima parte della Costituzione e tendenti tutti a salvare la libertà dell'uomo e del cittadino. (Applausi).

[...]

Presidente Terracini. [...] Sono del parere che noi possiamo votare questi ordini del giorno, se mai, mano a mano che incontreremo gli argomenti specifici che essi trattano.

Occorrerebbe che in precedenza, però, i presentatori dei vari ordini del giorno, che toccano problemi comuni, con soluzioni eguali, si mettessero d'accordo, per presentare un testo solo, in maniera da togliere all'Assemblea la preoccupazione della scelta dell'ordine del giorno da porre in votazione.

Non vorrei che, accingendoci poi a votare quegli ordini del giorno che presentano una analogia e che sono confondibili tra di loro, sorgesse la questione della precedenza.

[...]

io sono del parere che (essendo stato utile ed interessante ascoltare in soprannumero, oltre agli oratori iscritti nella discussione generale, anche i presentatori degli ordini del giorno), giunti a questo punto, possiamo passare all'esame degli emendamenti.

Se non vi sono obiezioni, o se qualche presentatore di ordine del giorno non rivendica il diritto di porlo in votazione, propongo dunque all'Assemblea di passare all'esame degli emendamenti relativi all'intitolazione di questo titolo.

L'onorevole Ruini ha facoltà di esprimere il parere della Commissione a questo riguardo.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Aderisco pienamente alla proposta del Presidente.

(Così rimane stabilito).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti