[Il 27 novembre 1947, nella seduta antimeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo IV della Parte seconda del progetto di Costituzione: «La Magistratura».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 111 per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] Segue l'emendamento dell'onorevole Mastino Gesumino:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Entro otto mesi dalla data in cui venne arrestato deve essere disposto il rinvio a giudizio dell'imputato detenuto; o ne deve essere ordinata la scarcerazione».

Ha facoltà di svolgerlo.

Mastino Gesumino. Il mio emendamento è così formulato:

«Entro otto mesi dalla data in cui venne arrestato deve essere disposto il rinvio a giudizio dell'imputato detenuto; o ne deve essere ordinata la scarcerazione».

Io ritengo che con questa norma noi porremo giuridicamente una garanzia fondamentale non solo per la libertà, ma anche per la tutela della personalità del cittadino.

L'obiezione che prima sorge è la stessa che è sorta in molteplici discussioni in questa Aula, in merito a svariate norme costituzionali, ed è questa: che la norma che io intendo inserire nella Costituzione non avrebbe carattere costituzionale.

Ora, o signori, io ritengo che sulla costituzionalità o meno di una norma ci siano idee molto vaghe, perché la costituzionalità si afferma o si nega a seconda che la norma aderisca o meno a determinate ideologie o criteri. È mia ferma convinzione che tutto ciò che attiene alle fondamentali libertà del cittadino è di ordine strettamente costituzionale. Del resto questo principio noi l'abbiamo già attuato alle soglie del nostro lavoro costituzionale: perché, quando abbiamo fissato la norma secondo la quale la polizia giudiziaria o la pubblica sicurezza devono presentare al magistrato entro 48 ore l'arrestato, abbiamo stabilito un principio che era già in tutti i codici di procedura penale: variava il termine, ma la norma c'era; il che dimostra che non basta che una norma sia contenuta nei normali codici di procedura penale perché la si debba ritenere di carattere non costituzionale.

Il problema da risolvere è quindi un problema fondamentale, essenziale; e perciò io credo di affermare che, se si bada alla essenza della norma, quando ci troviamo di fronte alla necessità di garantire il diritto fondamentale di ogni cittadino di non essere trattenuto in arresto oltre le necessità dell'amministrazione della giustizia, quando ci troviamo di fronte ad una di queste norme, noi ci troviamo di fronte ad una norma essenzialmente costituzionale.

Quindi l'obiezione che si può opporre — che cioè la norma che fissa i termini al di là dei quali non è consentita la detenzione istruttoria dell'imputato è già contenuta in leggi normali ed anche in una legge speciale — secondo il mio modesto avviso non ha valore alcuno.

Io parlo qui ad un'Assemblea alla quale partecipano molti illustri avvocati, i quali sanno che se c'è una norma che è stata sempre violata, è proprio quella che riguarda i termini della istruttoria, scaduti i quali, l'imputato dovrebbe essere rinviato a giudizio. Il che dimostra che esiste la necessità di fissare costituzionalmente la norma, in modo che sia stabilito, nella forma più definitiva ed inviolabile, l'obbligo di non tenere il cittadino in carcere se non il tempo strettamente necessario per la istruttoria. Io, nel fissare il termine, ho stabilito otto mesi, perché l'esperienza mi dice che in otto mesi non c'è istruttoria che non possa essere compiuta. Le attuali lungaggini, che tutti noi deploriamo, sono dovute al fatto che l'autorità giudiziaria, data la scarsità del personale (mi rendo perfetto conto delle difficoltà in cui si dibatte l'amministrazione della giustizia) troppe volte indulge in minute indagini che non sono essenziali, e fa girare a vuoto i fascicoli processuali.

Ho constatato in un processo recentemente definito presso una Corte di assise, — processo che è durato in istruttoria due anni e mezzo e si è concluso dopo 3 anni con l'assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto — che gli atti hanno girato per tre mesi attraverso l'Italia alla ricerca di un carabiniere verbalizzante, che avrebbe dovuto solamente confermare la sua denunzia.

Ora, questo stato di cose pone una situazione che io non esito a definire vergognosa, per chi abbia amore della giustizia o meglio, direi, intuito della giustizia; e, soprattutto, dimostra che noi italiani, che ci vantiamo di essere i creatori del diritto, abbiamo smarrito quel completo concetto del diritto che impone assoluto rispetto della personalità umana; rispetto che era stato la gloria dei nostri avi e che noi abbiamo completamente dimenticato attraverso le tempeste che abbiamo dovuto attraversare.

Mi pare quindi, onorevoli colleghi, che la norma, che chiedo venga posta, sia la diretta conseguenza della prima parte dell'articolo che stiamo discutendo. Perché la prima parte dell'articolo contiene la fissazione di norme che ritengo fondamentali. L'articolo 101 dice:

«L'azione penale è pubblica. Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitarla e non la può mai sospendere o ritardare».

Mi pare che sia consequenziale e di naturale evidenza, la necessità di porre qui la norma che l'esercizio dell'azione penale deve essere limitato al tempo strettamente indispensabile alle necessità istruttorie.

Non si può opporre che una volta che il cittadino è stato deferito al magistrato la garanzia sussiste già in questo fatto, cioè che la sua sorte sarà decisa da chi, per un concetto unanime dei cittadini, è degno, avendone la capacità morale e giuridica, di vegliare affinché la libertà non sia vincolata per un periodo di tempo superiore al necessario.

Ma io osservo — e l'osservazione mi pare decisiva — che il magistrato al quale è affidata in questa fase la libertà del cittadino non è il magistrato nella pienezza dei suoi poteri giurisdizionali: si tratta del magistrato inquirente, che ha limitati poteri e non del magistrato che, nell'esercizio della sua sovrana funzione, veramente rappresenta tutti i cittadini ed assomma la fiducia e la speranza della nazione.

Perciò, onorevoli colleghi (desidero essere brevissimo e, d'altra parte, il mio emendamento è molto chiaro) vi prego di volere accogliere questa norma; sono sicuro che così porremo un principio basilare, fondamentale, a garanzia della personalità umana, che è il centro etico e il motore di ogni giustizia e di ogni libertà.

[...]

Presidente Terracini. L'onorevole Crispo ha proposto di aggiungere all'emendamento Mastino Gesumino[1] queste parole:

«senza che possa successivamente, o con la sentenza di rinvio, emettersi altro mandato di cattura».

L'onorevole Crispo ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Crispo. Onorevoli Colleghi, se l'Assemblea riterrà di approvare l'emendamento del collega Mastino, cioè se riterrà che il contenuto di quell'emendamento sia materia che debba essere compresa e regolata dalla Costituzione, io ritengo indispensabile integrare l'emendamento stesso con le parole che mi sono permesso di proporre, per una ragione semplicissima.

Oggi, secondo il nostro Codice di diritto penale, e secondo le speciali norme, emesse soprattutto durante il periodo della guerra, è fuori discussione che debba essere comunque limitato entro un termine determinato il periodo della detenzione preventiva dell'imputato, durante il periodo della istruttoria. C'è anzi una norma che distingue i reati di competenza del tribunale e quelli di competenza della Corte d'assise, stabilendo un termine più breve per la escarcerazione nel caso di reati di competenza del tribunale, e un termine più lungo per quelli di competenza della Corte d'assise.

Ma la questione che sorge è un'altra, non nuova, perché fu dibattuta già durante la discussione del Codice di procedura del 1913, che prevedeva un istituto ad hoc. Tale questione è sorta anche adesso, se cioè il giudice, non avendo potuto espletare l'istruttoria e avendo perciò dovuto escarcerare l'imputato, possa, dopo l'escarcerazione, emettere un nuovo mandato di cattura, soprattutto all'atto dell'emissione della sentenza di rinvio a giudizio.

Si è giustificato l'istituto della cosiddetta perenzione, in quanto si è ritenuto non potersi prolungare indefinitivamente lo stato di detenzione, soprattutto quando il giudice non fosse stato sollecito a compiere l'istruttoria del processo, onde si disse che quando il giudice avesse completato l'istruttoria da cui risultasse la presunzione della colpevolezza dell'imputato avrebbe potuto di nuovo emettere un mandato di cattura.

Io penso che questo non dovrebbe accadere, perché altrimenti la escarcerazione sarebbe una lustra, potendosi verificare che pochi giorni dopo l'escarcerazione si emetta un nuovo mandato di cattura.

Ora a me sembra che si debba consacrare il principio, che, quando si è verificata la perenzione dell'arresto, quando il giudice ha lasciato trascorrere quel termine entro il quale avrebbe dovuto completare l'istruttoria, emettendo sentenza di rinvio a giudizio, non gli sia consentito di emettere un nuovo mandato di cattura durante l'istruttoria.

[...]

Presidente Terracini. Ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi Paolo, per esprimere il pensiero della Commissione.

Rossi Paolo. [...] Vorrei cominciare a rispondere agli onorevoli Mastino Gesumino e Mannironi che le loro preoccupazioni — preoccupazioni di libertà che sono comuni a tutti noi — mi paiono assolutamente ingiustificate di fronte alla disposizione dell'articolo 8, già inserita in capo alla Costituzione: «La legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva». È una disposizione di carattere molto ampio. Non volendo trasformare la Costituzione in Codice di procedura penale mi pare che possiamo accontentarci delle affermazioni solenni dell'articolo 8: «Nessuno può esser privato della libertà personale; la libertà personale è inviolabile; la legge determina i limiti massimi della carcerazione preventiva».

All'onorevole Crispo vorrei osservare che l'emendamento che egli propone non mi pare di rilevanza costituzionale. E solleverebbe anche dubbi in un penalista. Vero è che non si può, per la inerzia del giudice, tenere un prevenuto indefinitamente in prigione; ma è altresì vero che questa colpevole pigrizia del giudice non deve tornare a danno e pericolo della società in determinati casi. Quando vi è la sentenza di rinvio a giudizio che riconosce sufficienti elementi di colpevolezza a carico dell'autore di un delitto gravissimo, forse è più opportuno che sia emesso un nuovo mandato di cattura, anche se vi è stata scarcerazione per decorrenza dei termini.

Per queste semplici ragioni mi pare che gli emendamenti degli onorevoli Mannironi, Mastino Gesumino e Crispo siano da respingersi, bastando largamente l'affermazione dell'ultima parte dell'articolo 8 della Costituzione.

[...]

Mastino Gesumino. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Mastino Gesumino. La Commissione si è limitata a dire che esiste l'articolo 8 delle norme costituzionali approvate, il quale rimanda al legislatore futuro i termini per la carcerazione preventiva. Orbene, il fatto che il legislatore futuro si debba occupare dei termini della carcerazione, i quali partono da un minimo e vanno fino ad un massimo, e debba dettare le disposizioni dirette a precisare le forme e le norme della carcerazione e della scarcerazione, non attiene affatto al problema puramente costituzionale da me posto. Perché, quindi, deve rimanere una simile lacuna fra le norme che garantiscono le libertà del cittadino? È possibile che si lasci indeterminato in ogni modo il massimo del termine che è concesso al futuro legislatore per la detenzione preventiva del cittadino? Questo è un problema di ordine strettamente costituzionale, in quanto attiene alle libertà fondamentali del cittadino.

[...]

Presidente Terracini. Chiedo ai presentatori degli emendamenti se li conservano.

Onorevole Crispo, conserva i suoi due emendamenti?

Crispo. Mantengo l'emendamento aggiuntivo all'emendamento dell'onorevole Mastino Gesumino, come ho già affermato, nel caso che si votasse favorevolmente all'emendamento dell'onorevole Mastino, mantengo anche l'emendamento al primo comma, nel caso che non passasse il testo così come è modificato dalla Commissione.

[...]

Presidente Terracini. Onorevole Mastino Gesumino, mantiene il suo emendamento?

Mastino Gesumino. Lo mantengo.

[...]

Presidente Terracini. [...] Pongo adesso in votazione l'emendamento aggiuntivo dell'onorevole Mastino Gesumino, che la Commissione ha dichiarato di non accettare: anche in questo caso non perché sia contraria al concetto, ma perché non ritiene che debba essere incluso nella Costituzione:

«Entro otto mesi dalla data in cui venne arrestato deve essere disposto il rinvio a giudizio dell'imputato detenuto, o ne deve essere ordinata la scarcerazione».

Rossi Paolo. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Rossi Paolo. Mi scusi, onorevole Mastino, perché questo termine di otto mesi? Noi siamo più solleciti della libertà dei detenuti, quando devono essere scarcerati, ed il termine di otto mesi può presentarsi soverchiamente lungo.

Credo che il principio secondo cui la legge deve determinare i limiti della carcerazione preventiva, già incluso nel testo costituzionale, costituisca una maggiore garanzia di quella rappresentata dall'emendamento Mastino. Perché, colleghi, cosa farà il legislatore? Si riferirà ai precedenti. Ora, i termini stabiliti dal codice del 1913 per la carcerazione preventiva erano molto più brevi degli otto mesi, arrivando fino ad un anno solo in alcuni casi!

Credo che, se stabiliamo il termine di otto mesi, invece di stimolare l'attività del futuro legislatore per creare un sistema ben organizzato, che distingua tra imputazioni di una certa gravità, e altre di minor gravità, i reati di competenza del pretore, del tribunale e della Corte d'assise, indulgiamo al suo ozio e alla sua inerzia, perché il legislatore si limiterà semplicemente ad accettare il termine di otto mesi, con danno degli interessi di libertà che l'onorevole Mastino intenderebbe proteggere.

Quindi, mi pare che sia meglio tutelato il desiderio legittimo e spiegabilissimo dell'onorevole Mastino col respingere il suo emendamento e col richiamare ancora una volta l'affermazione che la legge deve determinare il limite massimo della carcerazione.

Presidente Terracini. Onorevole Mastino mantiene l'emendamento?

Mastino Gesumino. Mantengo l'emendamento ed osservo che queste norme sono state sempre violate.

Presidente Terracini. Pongo in votazione l'emendamento dell'onorevole Mastino Gesumino:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Entro otto mesi dalla data in cui venne arrestato deve essere disposto il rinvio a giudizio dell'imputato detenuto, o ne deve essere ordinata la scarcerazione».

(Non è approvato).


 

[1] Il resoconto stenografico della seduta riporta erroneamente «Mastino Pietro».

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti