[Il 29 novembre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo VI della Parte seconda del progetto di Costituzione: «Garanzie costituzionali».

Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 136 per il testo completo della discussione.]

Presidente Terracini. [...] Passiamo pertanto all'esame dell'articolo 128. Se ne dia lettura.

Riccio, Segretario, legge:

«Quando, nel corso di un giudizio, la questione d'incostituzionalità di una norma legislativa è rilevata d'ufficio o quando è eccepita dalle parti, ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata; la questione è rimessa per la decisione alla Corte costituzionale.

«La dichiarazione d'incostituzionalità può essere promossa in via principale dal Governo, da cinquanta deputati, da un Consiglio regionale, da non meno di diecimila elettori o da altro ente ed organo a ciò autorizzato dalla legge sulla Corte costituzionale.

«Se la Corte, nell'uno o nell'altro caso, dichiara l'incostituzionalità della norma, questa cessa di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento, perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali».

[...]

Presidente Terracini. L'onorevole Costa, che oggi non è presente, aveva proposto il seguente emendamento:

«Al secondo comma, alle parole: da cinquanta deputati, sostituire: da cinquanta membri delle Camere legislative».

Perassi. Lo faccio mio; soltanto che, anziché dire «da cinquanta membri delle Camere legislative» — il che potrebbe far pensare che siano presi dall'una e dall'altra Camera insieme — basterebbe dire: «cinquanta membri di una Camera».

Presidente Terracini. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Aggiungere, in fine, il seguente comma:

«Nell'ipotesi di cui al 1° comma di questo articolo la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte non si applica alla controversia.

«Martino Gaetano».

«Aggiungere il seguente comma:

«Il magistrato dovrà rimettere gli atti alla Corte di cassazione quando ritenga che le leggi che dovrebbe applicare siano contrarie alla Costituzione dello Stato.

«Mastino Pietro».

[...]

Presidente Terracini. L'onorevole Gullo Fausto ha presentato un emendamento tendente a sopprimere la prima parte dell'articolo. Non essendo presente si intende che abbia rinunziato a svolgerlo.

L'onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma sopprimere le parole: da non meno di diecimila elettori».

L'onorevole Nobile ha facoltà di svolgerlo.

Nobile. Volevo osservare che per raccogliere diecimila firme bastano oggi anche dieci sezioni di un partito, ed allora non si sarebbe mai sicuri della validità di una legge.

Pertanto, le stesse osservazioni che testé hanno indotto l'onorevole Mastino a proporre che sia messo un termine di tempo, spingono me a proporre questa soppressione, non potendosi ammettere che appena diecimila elettori possano infirmare la costituzionalità di una legge.

Presidente Terracini. L'onorevole Bertone ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma, sopprimere le parole: e il giudice non la ritiene manifestamente infondata».

L'onorevole Bertone ha facoltà di svolgerlo.

Bertone. Ho già avuto occasione ieri di accennare ai gravi inconvenienti cui può condurre la formula del progetto.

È detto in essa che, quando l'eccezione di incostituzionalità è sollevata dalle parti ed il giudice non la ritiene manifestamente infondata, il giudice senz'altro rimette le carte alla Corte costituzionale.

Ora, io mi pongo il quesito: il giudice ritiene l'eccezione manifestamente infondata e prosegue oltre nel proprio giudizio; ma la parte che ha proposto l'eccezione avrà certamente il diritto di appello e, occorrendo, anche il diritto di ricorrere in Cassazione contro la pronuncia del giudice che ha negato l'esame dell'eccezione di incostituzionalità. E non è escluso che il magistrato d'appello o la Cassazione possano ritenere fondata la eccezione di incostituzionalità che il primo giudice ha ritenuto infondata, e che investano la Corte costituzionale dell'esame negato dal primo giudice. Di modo che, per evitare che si protragga ingiustamente, con una eccezione pretestuosa, il giudizio, si va incontro al pericolo di protrarlo ancora di più con il giudizio di appello e di Cassazione cui la parte ha il diritto certamente di adire.

E pertanto io ritengo che sia opportuno non includere nell'articolo la formula «se il giudice la ritiene manifestamente infondata»; ma che senz'altro, quando l'eccezione di incostituzionalità viene rilevata d'ufficio o è proposta dalle parti, immediatamente debba venir sospeso il giudizio e dato corso all'eccezione di incostituzionalità.

Qualcosa di analogo avviene, onorevoli colleghi, quando viene sollevata dinanzi al magistrato la questione della giurisdizione, della potestà del magistrato. Gli articoli 37, 41 e 368 del Codice di procedura civile regolano perfettamente questa materia e stabiliscono che, quando l'eccezione venga sollevata d'ufficio o proposta dalle parti, senz'altro la Cassazione sia investita della questione. E viene anche stabilito un termine breve per la proposizione della eccezione al Supremo Collegio: trenta giorni.

Se anche noi pertanto, ci regoleremo in tal modo, si giungerà assai più presto alla dichiarazione di costituzionalità o di incostituzionalità della norma. Invece con i gravami contro la pronuncia del giudice che ha ritenuto infondata la eccezione, avremo perduto non dei mesi, ma forse degli anni prima che la questione venga risolta. Parmi pertanto che sia opportuno uniformarsi a ciò che costituisce l'jus receptum nei confronti di una questione analoga come quella della potestà di giurisdizione.

Resti dunque il principio che, una volta sollevata una questione di incostituzionalità, essa venga senz'altro rimessa alla Corte costituzionale. Del resto, non è da pensare che anche le parti possano sollevare con leggerezza una simile eccezione: la serietà della toga, la serietà del patrocinio legale, ci vietano di pensare ciò.

Presidente Terracini. L'onorevole Targetti ha presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma, sostituire a cinquanta deputati: cento deputati, e aggiungere cinquanta senatori; sostituire a un Consiglio regionale: cinque Consigli regionali; sostituire a non meno di diecimila elettori: non meno di cinquantamila elettori».

Ha facoltà di svolgerlo.

Targetti. La mia proposta mi sembra non abbia bisogno di essere illustrata. Può incontrare favore o disfavore, a seconda del pensiero degli egregi colleghi, ma le argomentazioni che si possono portare per illustrarla sono facilmente intuibili.

Credo che si debba essere tutti d'accordo nel ritenere che per mettere in moto questo meccanismo tutt'altro che semplice, si debbano richiedere nell'agente delle condizioni che non attribuiscono un'azione così importante anche a chi non abbia autorità per iniziarla. Cinquanta deputati mi sembra che siano troppo pochi. Il nostro Parlamento risulterà, se non erro, di 560 deputati o anche più. Basterebbe, quindi, una piccolissima quota di deputati per investire di incostituzionalità qualsiasi legge. Si finirebbe col rendere possibile una specie di sabotaggio dell'attività legislativa. Riterrei quindi opportuno che si aumentasse il numero dei deputati, portandolo a cento, e che si aggiungesse anche il concorso di cinquanta senatori. Soltanto così mi sembra che si eviterebbero i gravi inconvenienti di un'eccessiva facilità di esercizio dell'azione.

In quanto ai Consigli regionali, nessuno mi accusi di anti-regionalismo se dico che un Consiglio regionale è un po' poco per promuovere un'azione di questa portata. Quindi proporrei che i Consigli regionali fossero almeno cinque per poterla iniziare.

Quanto al numero degli elettori, riporterò quanto osservò — sia pure al fine di sostenere l'inopportunità di questa istituzione — l'onorevole Nitti, quando disse che qualsiasi piccolo movimento potrebbe mettere insieme diecimila firme per provocare questo giudizio di incostituzionalità. Io porterei, quindi, il numero minimo a centomila.

Presidente Terracini. Scusi, onorevole Targetti, centomila o cinquantamila?

Targetti. Cinquantamila. Ho detto centomila, perché il mio desiderio sarebbe di andare oltre ai cinquantamila; ma ormai ho detto, anzi ho scritto cinquantamila.

Mastino Pietro. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Mastino Pietro. Volevo osservare al collega Targetti ed ho fatto male cercando di dirlo con una interruzione — che non capisco come praticamente sia possibile ottenere che una Regione possa proporre l'azione di incostituzionalità di una legge, quando questa incostituzionalità ferisca solamente i suoi interessi; se non troverà altre Regioni le quali accomunino la propria azione con la sua non potrà agire avanti la Corte costituzionale. Potrà anche in pratica verificarsi che il diritto eventualmente violato ai danni di una Regione rappresenti un vantaggio per le altre e quindi praticamente, la proposta dell'onorevole Targetti — ove venisse accolta — si risolverebbe in una condizione di inferiorità fatta a certe Regioni. (Approvazioni al centro).

Presidente Terracini. L'onorevole Benvenuti ha proposto il seguente articolo 128-bis:

«La dichiarazione di incostituzionalità può essere altresì promossa in via principale dal Presidente della Repubblica ogni qualvolta egli ravvisi nei provvedimenti legislativi, che gli vengono proposti per la promulgazione, disposizioni inconciliabili con gli ordinamenti costituzionali della Repubblica ovvero con le libertà e coi diritti garantiti ai cittadini dalla Costituzione.

«Il Presidente della Repubblica non può promuovere azione di incostituzionalità oltre i termini di promulgazione della legge di cui all'articolo 71.

«È facoltà del Presidente della Repubblica di sospendere la promulgazione degli atti per i quali abbia promosso dichiarazione di incostituzionalità sino a quando non sia intervenuta la decisione della Corte costituzionale.

«Gli atti del Presidente della Repubblica di cui al precedente articolo non richiedono la controfirma ministeriale.

«Subordinatamente, fermi restando i primi due commi dell'emendamento, sostituire i successivi due commi come segue:

«Ove intervenga, entro i termini di cui all'articolo 71, dichiarazione di incostituzionalità, il Presidente della Repubblica non dà corso alla promulgazione.

«Qualora il Presidente della Repubblica non possa promuovere azione di incostituzionalità per mancanza della controfirma ministeriale di cui all'articolo 95, è riconosciuta al Presidente stesso la facoltà di promuovere tale azione a titolo personale negli stessi modi e cogli stessi effetti previsti dalla legge per gli altri cittadini, organi ed enti a ciò autorizzati».

L'onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgerlo.

Benvenuti. Onorevoli colleghi, il mio emendamento propone un problema di carattere generale che già ebbi l'onore di proporre precedentemente in altra formulazione e che già ebbe l'onore di una breve delibazione da parte del Presidente della Commissione dei Settantacinque, onorevole Ruini: è il problema dell'atteggiamento del Capo dello Stato di fronte alle leggi incostituzionali.

Mi permetto di ricordare (e mi si consenta questa battuta, direi quasi, di polemica personale coll'egregio Presidente della Commissione dei Settantacinque, onorevole Ruini) un passo del suo interessantissimo studio Verso la Costituente, nel quale, definendo la posizione del Capo dello Stato, quale egli auspicava che fosse configurata nella nostra Carta costituzionale, specificava: «Il Capo dello Stato deve stare sopra il Governo; non può avere soltanto un compito simbolico e decorativo, riducendosi ad una finzione giuridica costituzionale. Alla posizione meramente simbolica va sostituita quella del Capo dello Stato non responsabile dei singoli atti del Governo, ma responsabile nell'esercizio dei compiti che gli spettano per promuovere gli interessi nazionali e per difendere contro ogni minaccia la Costituzione e le libertà».

Quando ebbi occasione di porre il quesito alla Commissione, in occasione del riconoscimento o meno al Capo dello Stato del diritto di sanzione, il problema venne appena sfiorato e non fu risolto. Anzi, quando, attraverso un emendamento, posi il quesito se si dovesse inserire nella Carta costituzionale una menzione espressa del Capo dello Stato come tutore della Costituzione, l'allora Relatore onorevole Tosato mi rispose che la dichiarazione era pletorica, in quanto dalla sostanza del nostro sistema costituzionale emerge che il Capo dello Stato è effettivamente tutore della Costituzione della nostra Repubblica.

Io ritengo, onorevoli colleghi, che, nonostante che non sia stato riconosciuto al Presidente della Repubblica il diritto di sanzione, il Presidente della Repubblica non possa e non debba promulgare leggi anticostituzionali. Infatti qui si ripropone il vecchio problema: il Capo dello Stato è rappresentante del popolo o agente delle Assemblee? Anzi il Presidente Ruini, con frase drastica, ha posto il problema: è il Capo dello Stato commesso delle Assemblee legislative?

Effettivamente, sotto un aspetto, il Capo dello Stato è e deve essere agente del potere legislativo, in quanto dà esecuzione agli atti di tale potere. Ma quando il potere legislativo commette un eccesso di potere, quando il potere legislativo esorbita dalle facoltà riconosciutegli dalla Costituzione, è certo che il Capo dello Stato cessa di essere agente del potere legislativo e deve opporre la propria resistenza, consecutiva all'esame di merito che egli deve compiere sotto il profilo costituzionale, degli atti esecutivi che gli sono sottoposti. Esame di merito, ripeto, sotto il profilo costituzionale, non mai per quanto attiene al contenuto politico dell'atto. Tale esame sotto il profilo della costituzionalità è implicito nell'atto della promulgazione: in quanto il Capo dello Stato, in tanto promulga l'atto legislativo, in quanto è stato approvato con quella maggioranza e attraverso quella procedura che la Costituzione prescrive. Una legge che modifichi la Costituzione richiede una maggioranza e una procedura particolare. A questi fini, e solo a questi fini, il Presidente della Repubblica deve entrare nel merito della legge ed esaminare se il contenuto della legge rientri o no fra le leggi che, integrando o modificando la Costituzione, implicano una particolare maggioranza o un particolare procedimento. Una legge che modificasse la Costituzione e che non fosse votata con quella particolare procedura e maggioranza, di cui all'articolo che successivamente esamineremo, non sarebbe una legge, come non sarebbe una legge ordinaria, se non fosse approvata in Parlamento dalla maggioranza della Camera e del Senato. Certamente il Presidente della Repubblica non dovrebbe promulgarla, e così non deve promulgare una legge che, modificando la Costituzione e richiedendo particolare maggioranza, non possa avere la figura formale di atto legislativo regolarmente approvato. E qui si pone un successivo problema: di fronte a una legge incostituzionale, non approvata colle maggioranze e colle procedure dovute e quindi non promulgabile, in quale situazione costituzionale si verrebbe a trovare il Presidente della Repubblica? Io non ritengo affatto che si debba dare al Presidente la facoltà di erigersi a giudice della costituzionalità o incostituzionalità delle leggi. Ritengo logica, esatta soluzione conferire al Presidente della Repubblica la facoltà di deferimento della legge al corpo costituzionale. E qui si pone il problema, il vecchio problema della controfirma ministeriale, onorevoli colleghi: perché contro una legge incostituzionale a nulla vale la facoltà concessa al Presidente della Repubblica di rinviare la legge alle Camere per un nuovo esame perché evidentemente quella Camera legislativa, quel potere legislativo, quel Parlamento che intende far promulgare una legge incostituzionale, esprime dal proprio seno un Governo che certamente non controfirmerà in nessun caso la domanda di promozione dell'azione di incostituzionalità. Nessun Governo si presterà a controfirmare la richiesta di decadimento di una legge che esso stesso, attraverso la sua maggioranza, ha deliberato.

Badate, onorevoli colleghi, questa della mancanza della controfirma ministeriale non è una questione sollevata capricciosamente, a suo tempo, dall'onorevole Dominedò e da me. Questo problema si è imposto ad altri organi costituenti ogni qualvolta si è voluto, entro certi determinati limiti, conferire al Capo dello Stato un potere autonomo. Sempre in tal caso si è dovuto superare il problema della controfirma. Questo problema non riguarda affatto l'obbligo, la necessità democratica della controfirma ministeriale per tutto quanto riguarda gli atti legislativi ordinari e gli atti di Governo. Quindi avevano torto quei Presidenti della Repubblica francese, cominciando da Casimir Perier che lamentavano di nulla poter fare senza il permesso del Governo; perché erano semplicemente autorizzati ad assistere a cerimonie patriottiche, e si vedevano ridotti, secondo la frase di Gladstone, a depositari di un arsenale le cui armi erano adoperate da altri, o a semplici comparse, ultimi residui del vecchio cerimoniale dell'Antico regime. Sotto tale profilo quei Presidenti avevano sostanzialmente torto, perché in nessun caso si potrebbe ammettere che in regime democratico il Presidente della Repubblica possa sindacare il merito di atti legislativi o di atti esecutivi. Ma qui siamo in un altro campo, siamo di fronte alla necessità di svincolare dalla controfirma ministeriale quegli atti del Presidente, che tendono ad impedire a un organo dello Stato di esorbitare dai propri poteri. Quindi si impone la sospensione della promulgazione e il deferimento alla Corte costituzionale.

Sorge qui, diciamolo francamente, un problema morale. Si tratta di evitare una mostruosità giuridica e morale. Ossia, se il Presidente dovesse, obbligatoriamente, promulgare una legge incostituzionale, arriveremmo a questa conseguenza: che il Presidente della Repubblica, dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione, dovrebbe promulgare un atto incostituzionale sotto pena di esser imputato di violazione della Costituzione. Quindi, dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione, il Presidente della Repubblica rischierebbe di essere deferito all'Alta Corte di giustizia per essersi rifiutato di promulgare la legge violatrice della costituzione da lui giurata. Sarebbe ripeto, una mostruosità giuridica e morale. Non vedo come si possa ammettere che il Capo dello Stato debba essere necessariamente prescelto fra uomini capaci di piegare in tal modo la loro coscienza. A meno che si veda un rimedio nelle dimissioni del Presidente della Repubblica: ma ciò porterebbe che proprio nel momento della maggiore crisi dello Stato, quando cioè una maggioranza tende ad imporre leggi contrarie alla Costituzione e alla libertà, si arriverebbe alla decapitazione della Repubblica, in seguito alle dimissioni del suo capo.

Onorevoli colleghi, noi dobbiamo costruire un edificio repubblicano che sia saldamente difendibile, anche e soprattutto sul piano morale. Il mio emendamento svincola il Presidente dalla controfirma ministeriale per questo particolare atto: la promozione dell'azione di incostituzionalità. Io escludo che il sacro canone della controfirma obbligatoria non possa essere superato. La Costituzione austriaca, alla cui elaborazione ha partecipato un uomo come Kelsen, ha esentato dalla controfirma alcuni atti. La Costituzione finlandese esenta dalla controfirma lo scioglimento della Camera. Simili disposizioni contenevano le Costituzioni lettone ed estone. Ma se non si dovesse superare questo sacro canone, permettetemi di prospettare per lo meno, che al Presidente della Repubblica, individualmente, sia data la facoltà che abbiamo data a diecimila cittadini irresponsabili. Non si metta il Presidente della Repubblica nel tragico dilemma di coscienza di dovere o promulgare l'atto incostituzionale o mettere in crisi lo Stato colle sue dimissioni, senza che a lui sia dato rimedio alcuno. È chiaro che la posizione dei comuni cittadini è ben diversa. Se essi, raccolti in un certo numero, sono contemplati come soggetti attivi dell'azione di incostituzionalità, a maggior ragione tale facoltà deve essere riconosciuta al Presidente della Repubblica che con la sua promulgazione dà vita ed efficacia ad atti che possono ferire i principî fondamentali della democrazia e della libertà. Mettiamo il Presidente in condizioni di poter difendere costituzionalmente la sua reazione morale. È in nome di questa reazione morale, che deve accomunare il cittadino e il capo dello Stato, che mi permetto di raccomandare all'approvazione dell'Assemblea il mio emendamento. (Applausi al centro).

Presidente Terracini. L'onorevole Arata ha presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere il primo e il secondo comma.

«Sostituire al terzo comma la seguente formulazione:

«Quando la Corte dichiara l'incostituzionalità di una norma questa cesserà di avere efficacia. La decisione della Corte è comunicata al Parlamento perché, ove lo ritenga necessario, provveda nelle forme costituzionali».

Ha facoltà di svolgerlo.

Arata. Voglio dire due parole soltanto, che mi sono suggerite da questa osservazione: in sostanza, i primi due commi dell'articolo 128 attengono essenzialmente alla procedura. Infatti, nel primo comma è previsto un caso — uno dei tanti — in cui può sollevarsi una questione di incostituzionalità. Il secondo comma vuol regolare la legittimazione attiva nella procedura da stabilirsi per le dichiarazioni di incostituzionalità. Siamo dunque nel campo centrale della procedura. Il terzo comma, invece, ha carattere sostanziale, in quanto riguarda e regola gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità.

È mio sommesso avviso, pertanto, che le disposizioni contenute nei primi due commi ben possono essere dettate dalla legge, mentre quella del terzo dev'essere contenuta nel testo costituzionale.

Il mio emendamento ha relazione inscindibile con quello, che ho contemporaneamente presentato, all'articolo 129, in cui chiedo che la legge, oltre che regolare i conflitti di attribuzione, regoli anche le azioni di incostituzionalità; cioè anche la procedura, ed ho presentato entrambi, perché, ripeto, penso che sia conveniente non addentrarci ora in problemi di carattere esclusivamente procedurale, ma lasciare questa parte alla legge, la quale stabilirà come potranno sorgere e come dovranno essere avviate le questioni di incostituzionalità, stabilendo chi sarà legittimato a proporle ed in quali termini potranno essere svolte.

Presidente Terracini. L'onorevole Bertone ha presentato un secondo emendamento del seguente tenore:

«Sopprimere nel secondo comma le parole: da un Consiglio regionale, e far seguire il seguente alinea:

«Per le leggi riguardanti le Regioni, la dichiarazione di incostituzionalità deve essere promossa da almeno tre Consigli regionali, se la disposizione riguarda genericamente le Regioni, o dal Consiglio regionale della Regione a cui è limitata la disposizione».

Ha facoltà di svolgerlo.

Bertone. Penso che sia opportuno togliere dal secondo comma dell'articolo 128 la parte che riguarda il diritto di reclamo della Regione, perché questo comma, in quanto regola le opposizioni che vengono fatte o da 50 deputati o da 50 mila elettori o da altri enti ed organi autorizzati dallo Stato, vuole riferirsi evidentemente alla legge, che riguarda la intera nazione.

Ora quando si introduce in questa disposizione la frase, che l'opposizione può essere fatta anche da un Consiglio regionale, si viene a creare il dubbio che un Consiglio regionale possa fare opposizione ad una legge, che riguarda l'intera nazione.

Non per nulla poco fa c'è stato un piccolo dibattito fra l'onorevole Targetti e l'onorevole Mastino Pietro. Questi osserva giustamente che non occorre, quando si tratta di interessi, che riguardano una Regione, il consenso di più Regioni per promuovere la dichiarazione di incostituzionalità; perché quelle altre Regioni potrebbero anche non aderire all'iniziativa, che non le riguarda. Appunto per questo, è necessario separare la parte che riguarda la Regione, dalla parte che riguarda la nazione in generale. E per questo il mio emendamento deve essere completato in questo senso: togliere dal secondo comma le parole «da un Consiglio regionale» e facendo seguire il comma da un alinea, quello letto, cioè: «Quando la disposizione di legge riguarda genericamente le Regioni ecc....».

Può esserci una disposizione di legge che riguarda le Regioni in generale. Ed allora non è giusto che una sola Regione possa impugnare di incostituzionalità la disposizione; se ne richiedano almeno tre. Se viceversa la disposizione impugnata riguarda solo una Regione è giusto che essa possa da sola proporre il reclamo.

Mi pare che questa distinzione sia perfettamente ragionevole e possa essere accolta dalla Commissione e dalla Camera.

Fabbri. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Fabbri. Vorrei osservare all'amico onorevole Bertone: l'ordinamento regionale, che voi della Democrazia cristiana avete voluto, o lo rispettate o non lo rispettate. Perché ci può essere un'unica Regione, la quale, avendo fatto per conto suo una legge che ha applicazione nell'ambito regionale in una determinata materia (mentre le altre Regioni non hanno fatto una analoga legge), quella sola Regione abbia interesse a difendere la costituzionalità della sua propria legge regionale, che vede pregiudicata da una disposizione di ordine generale successiva. O l'autonomia legislativa regionale la disconoscete, come io sarei propenso a fare (Rumori al centro), tanto che non volevo dare il potere legislativo alla Regione, o, una volta che l'avete ammesso e sanzionato, bisogna che abbiate il disagio di essere coerenti e di rispettare l'autonomia legislativa anche di una singola Regione.

Bertone. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Bertone. Se la legge viene a ferire soltanto quella Regione, rientra perfettamente nel mio emendamento che quella Regione abbia diritto di far reclamo contro la legge: ma se la legge riguarda gli interessi, di tutte le Regioni, non è giusto che una sola Regione possa insorgere contro una legge di ordine generale.

Presidente Terracini. Tutti gli emendamenti all'articolo 128 sono stati svolti.

L'onorevole Rossi Paolo ha facoltà di esprimere il parere della Commissione.

Rossi Paolo. Posso rispondere brevissimamente.

Gli emendamenti Costa e Perassi sono di semplice chiarificazione e la Commissione li accetta subito e volentieri. Si intende che debbono essere cinquanta membri del Parlamento, deputati o senatori, e che la somma di venticinque deputati e venticinque senatori non può giungere allo stesso effetto. Ci vogliono cinquanta deputati, o cinquanta senatori.

[...]

L'onorevole Nobile vuole sopprimere l'inciso riguardante i diecimila elettori. Questo emendamento verrà esaminato con la proposta dell'onorevole Targetti, che è della stessa portata.

L'onorevole Bertone ritiene opportuno sopprimere la disposizione relativa ad un controllo preliminare del giudice: egli teme di vedere una eventuale eccezione di incostituzionalità portata attraverso giudizi, che possono durare due o tre anni, dal giudice di primo grado fino alla Corte di Cassazione. È un'obiezione seria, tanto che abbiamo pensato se non si potesse mutare la disposizione attuale: «se il giudice non la ritiene manifestamente infondata», con quella, non ignota al nostro linguaggio giuridico e più drastica ancora: «se il giudice non la ritiene temeraria», per escludere vieppiù che il giudice possa respingere eccezioni che poi risultino non infondate.

Comunque abbiamo pensato che stabilire nella legge di attuazione tutto un complesso regolamento di competenza, sarebbe difficile e gravoso. Meglio sopportare, rara ipotesi, che, talora, una eccezione ritenuta manifestamente infondata da un primo e da un secondo giudice, sia, poi, in terzo grado, accolta. Gli inconvenienti evidentemente ci sono; il minore sembra quello di conservare il testo della Commissione.

All'emendamento Targetti vorrei rispondere sullo stesso tono del suo intervento. È discutibile se la cifra di cinquanta sia sufficiente, ma anche la cifra di cento potrebbe essere insufficiente. Tanto vale l'una, sostanzialmente, come l'altra. Un gruppo di cinquanta deputati dà garanzia di serietà... o vogliamo sperarlo.

Quanto alla proposta d'attribuire il diritto d'impugnativa a cinque Consigli regionali, in luogo di un Consiglio regionale soltanto, come previsto nel progetto, valga per l'onorevole Targetti la ragione che opporrò fra un momento ad altri colleghi e che è stata svolta brillantemente dall'onorevole Mastino Pietro: può darsi che una legge turbi gli interessi legittimi di una sola Regione e che una sola Regione abbia motivo d'impugnazione.

Mi si dice — e vengo con ciò al secondo emendamento Bertone — che si potrebbe introdurre una norma la quale distingua fra leggi che riguardino tutte le Regioni e leggi che riguardino una sola Regione. Io mi permetto di rilevare che questa distinzione è incerta e difficile. Una legge può colpire indirettamente una sola Regione, pur senza riguardare nominativamente quella Regione; può essere una legge che abbia l'apparenza d'una legge di carattere nazionale, ma, di fatto, interessare o colpire una Regione soltanto. Supponiamo che si emetta una legge relativa alle saline e che la sola Sardegna abbia delle saline; supponiamo che si faccia una legge relativa ai pascoli montani o ai laghi sopra i duemila metri. In questi casi, la sola Sardegna, o la sola Val d'Aosta, avrebbero interesse all'impugnazione. Secondo l'emendamento Bertone si risponderà alla Regione interessata: non puoi impugnare il provvedimento se non trovi altre quattro Regioni che ti fiancheggino, perché queste leggi non riguardano solo la Sardegna, o la Val d'Aosta, ma tutte le possibili saline, tutti i possibili pascoli alpini, tutti i possibili laghi a duemila metri, anche se non risulta in questo momento che vi siano pascoli o saline o laghi montani in altre regioni che non siano la Sardegna o la Val d'Aosta.

Non mi pare, quindi, che possa introdursi questa limitazione, né secondo la formula Bertone, né, meno ancora, secondo quella dell'onorevole Targetti, al quale faccio rilevare, come mi osserva in questo momento l'onorevole Perassi, che la legge impugnabile può anche essere una legge regionale.

[...]

L'onorevole Benvenuti ha toccato un punto delicato, e molto elevatamente, quando ha sostenuto l'opportunità che al Capo dello Stato sia consentito il diritto di denunciare alla Corte costituzionale la incostituzionalità di una legge, decreto, o provvedimento, che sia presentato alla sua firma dal Capo del Governo. Ma qui cominciano a nascere dubbi gravi: il Capo dello Stato verrebbe posto nelle condizioni di litigante, dal suo altissimo soglio scenderebbe al grado di un ricorrente. Supponiamo che la Corte costituzionale gli dia torto; dove va il prestigio del Capo dello Stato? A me sembra che garanzie ci siano già nel sistema che abbiamo cercato di creare. La prima garanzia è questa: il Capo dello Stato non è, nella nostra concezione, un amanuense, non ha una mano meccanica che deve necessariamente firmare, senza un altissimo sindacato, tutti i provvedimenti che gli vengono portati nella cartella di marocchino per la sua sottoscrizione. Il Capo dello Stato esaminerà i provvedimenti che il Governo gli sottopone, compirà un'indagine di costituzionalità e ricuserà la firma ai decreti ed alle leggi incostituzionali, provocando la crisi ministeriale, se del caso.

Nel testo definitivo c'è una disposizione che non era nel progetto di Costituzione e che è stata introdotta con un articolo aggiuntivo, l'articolo 72. Per quanto riguarda i decreti e le altre disposizioni, il Capo dello Stato può anche non firmare. Per le leggi è invece un'altra questione; perché le leggi deve firmarle e promulgarle, ma, per l'articolo 72...

Benvenuti. Questo non serve a niente.

Rossi Paolo. Ma è come se il ricorso fosse già stato prodotto e la Corte lo avesse già accolto. Che cosa fa la Corte costituzionale di fronte ad una impugnativa? Se dichiara che la legge è incostituzionale, la rimette al Parlamento per nuova deliberazione; quindi il Capo dello Stato fa già da solo, per l'articolo 72, quello che nel caso più favorevole potrebbe fare la Corte costituzionale, e ciò senza creare un conflitto e subire un'umiliazione nel caso che la Corte costituzionale respingesse il reclamo.

Condorelli. Ci vuole la maggioranza parlamentare!

Benvenuti. Ed è necessaria la controfirma.

Rossi Paolo. Allora, non ci comprendiamo. Non vedo in che cosa consista l'argomento dell'onorevole Benvenuti. Può, o non può il Presidente della Repubblica rinviare la legge alle Camere per un nuovo esame?

Benvenuti. Non può, senza il permesso del Governo, essendo il Governo, che ha una maggioranza parlamentare, che deve dare la sua controfirma. Questa è la verità: il Presidente della Repubblica deve firmare qualsiasi cosa.

Condorelli. Abbiamo fatto un regime di Assemblea! (Commenti).

Benvenuti. Avremo lo stesso regime di Vittorio Emanuele III, contro il quale abbiamo combattuto per tanti anni! Il Presidente della Repubblica commetterà gli stessi sconci che ha connesso Vittorio Emanuele III: non può farne a meno!

Condorelli. Vittorio Emanuele III vi era obbligato! (Commenti).

Rossi Paolo. Abbrevio. La Commissione è gravemente preoccupata che la Corte costituzionale possa sconfessare il Capo dello Stato. Questo è il motivo preminente per cui non crede di poter aderire all'emendamento Benvenuti.

L'emendamento dell'onorevole Arata è ragionevole, senza dubbio. Ma bisogna che l'Assemblea assuma interamente la sua responsabilità. Si vuole delegare al legislatore futuro, si vuole rimettere alla legge ordinaria tutta questa delicata e complicata procedura, l'arbitrio di stabilire chi possa impugnare le leggi e i decreti, se una Regione, o tre, o cinque Regioni; diecimila o cinquantamila cittadini; cinquanta o cento deputati? Si vuole rimettere tutto ciò alla futura Assemblea? Facciamolo, se credete. Dal punto di vista sistematico la vostra Commissione non avrebbe nulla in contrario ad accogliere il criterio dell'onorevole Arata. È una questione di responsabilità dell'Assemblea. Se l'Assemblea decide di doversi spogliare di questa prerogativa, la Commissione si può anche rimettere.

Concludo: manteniamo il testo originario, respingendo tutti gli emendamenti.

Targetti. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Targetti. Io non posso dolermi di non essere stato bene interpretato. Ma mi debbo dolere di non essermi saputo esprimere: se si fosse trattato di un esame, meriterei la disapprovazione in iscritto e in orale, perché questo difetto di chiarezza lo riscontro sia nel testo dell'emendamento, sia in quello che ho detto per illustrarlo.

Il mio concetto era questo: da una parte affermare un principio indiscutibile, cioè il diritto di ciascuna Regione di promuovere questa speciale azione in tutti i casi in cui una legge ledesse gli interessi specifici della Regione stessa. Al tempo stesso intendevo dire che, come si dà il diritto, secondo il progetto a cinquanta e secondo la mia proposta a cento deputati uniti a cinquanta senatori, come si dà il diritto a centomila elettori di agire in via principale contro l'incostituzionalità di una legge, lo stesso diritto si debba dare non ad un Consiglio regionale, ma a cinque Consigli regionali.

Sicché, secondo il mio convincimento, ogni Regione potrebbe dolersi di qualsiasi legge che ledesse i suoi interessi, mentre soltanto cinque Consigli regionali uniti potrebbero sostituirsi ai cento deputati e cinquanta senatori, ai centomila elettori, e potrebbero agire in nome di un interesse che non sia particolare di una singola Regione, ma che sia genericamente ritenuto contrario alle norme costituzionali.

Questo era il mio concetto. Io credo quindi che su ciò si possa essere d'accordo anche con l'onorevole Mastino Pietro.

Mastino Pietro. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Mastino Pietro. Non c'è dubbio che ella, onorevole Targetti, abbia voluto dare al suo emendamento il significato al quale ora ha accennato, ma devo rilevare che con la sua insistenza nella tesi già svolta e che già è stata formulata, con precisione di termini, nell'emendamento dell'onorevole Bertone, non ha però ancora dato risposta al Relatore onorevole Rossi. Egli ha invitato lei e l'onorevole Bertone a considerare l'ipotesi — che è normalissima — che una legge apparentemente estranea ad una data Regione, di fatto invece, per quella specie di circolazione di sangue che si verifica fra le Regioni tutte nella vita nazionale, la riguardi e ne colpisca gli interessi. La Regione colpita non potrà, da sola, appellarsi alla Corte costituzionale.

Se c'è quindi un dubbio da chiarire, onorevole Targetti, ella avrebbe potuto farlo dando risposta all'ipotesi formulata dal collega onorevole Rossi: all'ipotesi cioè di una legge che apparentemente riguardi solo una data Regione, ma di fatto e sostanzialmente invece riguardi anche le altre.

Presidente Terracini. Onorevole Mastino, non assuma il ruolo dell'onorevole Rossi: l'onorevole Rossi ha ben compreso ed ha creduto di rispondere nel modo con cui ha risposto.

Mastino Pietro. Onorevole Presidente, io mi riferisco a quanto ha detto l'onorevole Rossi non perché egli abbia bisogno d'un mio aiuto, ma perché, riferendomi a quanto ha detto, non ho bisogno di ripeterne gli argomenti.

Bertone. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Bertone. Desidererei sapere se l'onorevole Targetti sarebbe disposto ad aderire all'emendamento da me presentato in relazione al numero dei Consigli regionali che possono avanzare ricorso alla Corte costituzionale, rinunziando conseguentemente alla sua formulazione.

Targetti. Non posso aderirvi, perché non corrisponde esattamente al mio concetto.

[...]

Presidente Terracini. Sta bene. Gli emendamenti degli onorevoli Costa e Perassi sono stati accolti dalla Commissione.

Gli onorevoli Martino Gaetano e Gullo Fausto non sono presenti e pertanto i loro emendamenti si intendono decaduti.

Onorevole Mastino Pietro, mantiene il suo emendamento?

Mastino Pietro. Lo mantengo, sostituendo però, alle parole «Corte di cassazione», le parole «Corte costituzionale».

Presidente Terracini. Sta bene.

Onorevole Bertone, lei ha due emendamenti; li mantiene tutti e due?

Bertone. Sì, tutti e due.

Presidente Terracini. Onorevole Nobile?

Nobile. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Arata?

Arata. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Onorevole Targetti?

Targetti. Lo mantengo.

Presidente Terracini. Allora resta inteso che questi sono gli emendamenti sui quali voteremo nella seduta prossima, salvo altri emendamenti in conseguenza della votazione sull'articolo 127.

[...]

Presidente Terracini. E allora, onorevoli colleghi, abbiamo concluso l'esame degli emendamenti anche all'articolo 128. Resta inteso che le votazioni sugli articoli 127 e 128 avverranno nella prossima seduta dedicata all'esame del progetto di Costituzione.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti