[Il 12 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Prima di iniziare la discussione, l'onorevole Lucifero parla sul processo verbale.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Lucifero. [...] ho chiesto la parola per una rettifica. L'onorevole Togliatti ha detto, a proposito dell'ultimo capoverso dell'articolo primo del progetto di Costituzione queste parole:

«Ad esempio, all'articolo primo avevamo proposto la formula: la sovranità risiede nel popolo, i poteri emanano dal popolo». Ora, per esattezza storica ed anche per un significato politico, sono voluto andare ad illuminare la mia memoria e ho preso i resoconti sommari della prima Sottocommissione e della Commissione plenaria. Dal resoconto sommario della prima Sottocommissione risulta che la proposta che si modificasse l'articolo nel senso che la sovranità risiede nel popolo, già contenuta in certo qual modo nell'articolo originario del relatore onorevole Cevolotto e controbattuta nella relazione dell'onorevole Dossetti, fu da me fatta in questi termini; e l'onorevole Togliatti si associò alla tesi dell'onorevole Dossetti; la mia proposta fu respinta con due soli voti favorevoli, il mio e quello dell'onorevole De Vita.

Ugualmente, nell'Assemblea dei settantacinque del 22 gennaio, io riproposi la formula: «La sovranità risiede nel popolo». Essa fu nuovamente respinta ed ebbe tre soli voti favorevoli: quello dell'onorevole De Vita, quello dell'onorevole Nobile ed il mio.

Ad ogni modo, sono lieto, che l'onorevole Togliatti, che è uomo riflessivo, e ciò gli fa onore, si sia convertito all'esattezza della nostra tesi.

E visto che in questa sede ho ripresentato lo stesso emendamento, sarò lieto di votarlo con lui.

[...]

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. [...] Il maggiore degli economisti italiani viventi, il nostro Einaudi, ha scritto che il capitalismo storico è al tramonto. Se altri non vi è, sarò io a dire la grandezza del capitalismo, che ha preso in mano, un secolo fa, un'Europa di pochi milioni di uomini, e ne ha aumentato la popolazione con un ritmo sconosciuto al passato, ed ha diffuso la civiltà sugli altri continenti, ha conquistato i più grandi progressi della scienza e del progresso tecnico, ha creato la grande industria e l'agricoltura intensiva, ha portato il tenore di vita delle masse ad un livello non mai raggiunto, ha preparato le loro vittorie di domani, è stata l'epoca più prospera e gloriosa di tutta la storia. Ma noi non possiamo ancora vivere con le forme di quel tempo. Gli economisti — i migliori — riconoscono che il loro edificio teorico, la scienza creata dall'Ottocento, non regge più sul presupposto di una economia di mercato e di libera concorrenza, che è venuto meno, non soltanto per gli interventi dello Stato, ma in maggior scala per lo sviluppo di tendenze e di monopoli delle imprese private. Quando vedo i neo liberisti, come l'amico Einaudi, proporre tale serie di interventi per assicurare la concorrenza, che qualche volta possono equivalere agli interventi di pianificazione, debbo pur ammettere che molto è mutato. Non pochi vanno affannosamente alla ricerca della terza strada. La troveranno? Non lo so. Questo so: che si avanza la forza storica del lavoro. Non potevamo rifiutarci a questa affermazione. Mazzini diceva che noi tutti un giorno saremo operai; i cattolici hanno il codice di Malines e quello di Camaldoli, dove sono stati stabiliti i principî d'una economia del lavoro. Ho sentito da questa parte (Accenna a destra) chi pur faceva vive critiche: «Se per socialismo si intende un rinnovamento sociale, anche noi siamo socialisti». Allora, perché avremmo dovuto rifiutarci a riconoscere che la nuova Costituzione è basata sul lavoro e sui lavoratori? Parlando di lavoratori, noi intendiamo questo termine nel senso più ampio, cioè comprendente il lavoratore intellettuale, il professionista, lo stesso imprenditore, in quanto è un lavoratore qualificato che organizza la produzione, e non vive, senza lavorare, di monopolî e di privilegi. Sono cieche le correnti degli imprenditori che non rivendicano — se sono ancora in tempo lo dirà la storia — la loro vera funzione ed il titolo glorioso di lavoratori. Perché dobbiamo avere paura del nome e dei diritti del lavoro?

[...]

Seguendo le disposizioni del nostro Presidente, non entrerò in particolari; mi varrò soltanto, ove occorre, di esempi per vedere quali sono i consensi, quali sono i dissensi, dove è possibile trovare l'idea unificatrice e conciliatrice. Cominciamo dal quasi preambolo, dall'atrio, dalle disposizioni generali.

La Repubblica. Due radici: la sovranità popolare, il fondamento del lavoro. Sulla prima vi è assoluto consenso; e non è senza significato. L'onorevole Lucifero vuole che invece di dire: la sovranità «emana» si dica: «risiede» nel popolo. Emana, risiede, appartiene, è del popolo; è questione di scegliere l'espressione più esatta. La nuova Costituzione francese ripete la frase di Lincoln sul campo di Jettersburg: sovranità del popolo, dal popolo, per il popolo.

Nell'affermare la sovranità popolare, il nostro progetto pone anche, inscindibilmente, il concetto dello Stato di diritto, in quanto ogni esplicazione di sovranità e di potere deve avvenire nelle forme della Costituzione e delle leggi. E il popolo stesso si dà Costituzione e leggi; non vi è dunque nello Stato di diritto alcuna menomazione della sovranità popolare.

Qualche dissenso nasce per l'altra base: il lavoro; tema che rimando ai diritti sociali ed economici.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti