[Il 15 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Targetti. [...] Ma io non intendo svolgere ora il nostro emendamento. Richiamo più che altro l'attenzione dell'Assemblea sopra la portata, il significato politico e le conseguenze degli emendamenti, in senso contrario, presentati da altri colleghi, i quali vorrebbero che, non solo non si aggiungesse la specificazione «di lavoratori», ma che, nel secondo comma dell'articolo, non si dicesse neppure «la Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Alcuni propongono di attribuire al lavoro un concorso nell'organizzazione della vita della Repubblica. Altro che concorso!

Altri vorrebbero affermare che il fondamento della Repubblica non sta nel lavoro, ma nella libertà e nel lavoro, mentre, poi, mettono da parte i lavoratori per sostituirli con i cittadini nell'indicare l'organizzazione del Paese.

Altro collega, di altro settore, propone di sopprimere senz'altro la parola «lavoro» con tutti i suoi derivati.

Per concludere su questo punto, per noi oggi non si tratta di un'affermazione di principî, quanto di una constatazione storica. Il nostro Paese se risorgerà, come vogliamo che risorga, come, nonostante tutto, sta risorgendo, se troverà, e la deve trovare, certezza di vita e di prosperità, sarà un Paese di lavoratori.

La fatica della ricostruzione sarà gigantesca. Diranno i credenti che richiederà un aiuto divino. Certo ci vorranno sforzi e fatiche, che il lavoro potrà compiere soltanto se avrà la certezza di non servire interessi egoistici, ma di giovare a tutti, alla collettività. Devono i lavoratori avere questa certezza e la sensazione che la Repubblica è cosa e casa loro.

[...]

Vi è poi l'articolo 7 che dice: «i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza e di lingua, di opinioni religiose e politiche sono eguali davanti alla legge».

Siamo tutti d'accordo nella sostanza e la sostanza è che la legge è uguale per tutti e che tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge. Anche qui evidentemente, in questa specificazione, si sente la condanna del regime nefasto che si caratterizzò nella sua attività criminosa, anche più barbaramente che in qualsiasi altro modo, con la persecuzione razziale; e si è voluto stabilire un principio di eguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di razza.

Ma questa parola «razza», suona tanto male. Mi pare sia stato l'onorevole Lucifero a proporre in seno alla prima Sottocommissione di sostituirla con la parola «stirpe». «Razza» fa pensare più che agli uomini, agli animali. Ma esaminando la questione dal punto di vista linguistico, storico, scientifico è difficile sostituirlo e anche «stirpe», non credo che potrebbe essere un termine proprio. Comunque ho voluto richiamare l'attenzione dei colleghi anche su questo punto della disposizione. Certo, che se non si cede a certi tristi ricordi ed al bisogno di condannare, ogni volta che se ne presenta l'occasione, inumane, odiose distinzioni che nel passato portarono a tante iniquità, basterebbe dire che tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge, salvo poi colpire la eventuale propaganda antirazziale, annoverandola tra le attività criminose, e dando così vita ad una forma di reato che dovrebbe trovar nel Codice penale una severa sanzione.

[...]

Ravagnan. Onorevoli colleghi, mi propongo di svolgere davanti a voi succintamente la materia che è contenuta negli articoli 6 e 7 del progetto della nostra Costituzione. È una materia che è in connessione diretta, a mio modo di vedere, con l'articolo 1.

Qual è il contenuto fondamentale degli articoli 6 e 7? Mi sembra che essi contengano tre elementi essenziali:

1°) Essi riconoscono e riaffermano quelli che si conviene di chiamare i diritti di libertà, già sanciti nelle varie Costituzioni dell'800, aggiungendo a questi il riconoscimento di quelli che conveniamo di chiamare i diritti economici e sociali;

2°) Questi diritti di libertà e diritti economici e sociali non sono soltanto riconosciuti al singolo, ma anche alle formazioni sociali nelle quali gli individui sviluppano e perfezionano la loro personalità;

3°) Non solo è dato questo riconoscimento, ma è data la garanzia dell'effettivo godimento di questi diritti, cioè la garanzia della rimozione degli ostacoli che si frappongono al libero godimento dei diritti di libertà e dei diritti economici e sociali.

[...]

se vogliamo che la nostra Costituzione abbia un carattere effettivamente moderno, aderente alla realtà attuale, se vogliamo che la democrazia non sia soltanto una democrazia formale, ma che sia effettiva, dobbiamo integrare il riconoscimento dei diritti di libertà con i diritti economici e sociali. Ne viene, come corollario, che non si tratta soltanto del riconoscimento, ma che è necessaria anche la garanzia epperciò gli articoli 6 e 7 giustamente affermano che è garantito l'esercizio dei diritti di libertà e dei diritti economici e sociali, prendendo lo Stato impegno di rimuovere gli ostacoli di carattere economico e sociale che si frappongono all'esercizio e al godimento di questi diritti.

Ora, coloro i quali sostengono che questa affermazione, che questo riconoscimento non hanno che un semplice carattere programmatico, errano, a mio modo di vedere, perché questa garanzia rappresenta, effettivamente, una norma costituzionale, ossia un impegno che il legislatore costituzionale affida al legislatore ordinario, quello di emanare leggi e disposizioni, le quali attuino questa garanzia e la rendano effettiva.

[...]

Vi è un problema secondario che, secondo me, deve essere anche risolto, quello di vedere se la formulazione degli articoli 6 e 7 corrisponda effettivamente ai concetti che la Commissione ha creduto di introdurre, e che, secondo noi, sono giusti, ai concetti cioè della dichiarazione del riconoscimento dei diritti di libertà e dei diritti economici e sociali e della loro garanzia.

E qui è da rilevare, come già è stato rilevato dall'onorevole Togliatti nel suo precedente discorso, che fra il testo della prima Sottocommissione ed il testo del progetto che ci è presentato è occorso un processo di levigazione, vi è stato una specie di laminatoio, io penso, che ha operato sopra questo testo, nel senso che il rilievo è stato perduto o è stato attenuato. Io domanderei agli onorevoli colleghi di confrontare il testo degli articoli 6 e 7 come è stato redatto dalla prima Sottocommissione con il testo del progetto. Questo afferma che la Repubblica italiana garantisce i diritti essenziali agli individui e alle formazioni sociali; il testo della prima Sottocommissione dice: «riconosce e garantisce i diritti dell'uomo sia come singolo, sia nelle forme sociali nelle quali esso organicamente e progressivamente si integra e si perfeziona».

Mi pare che sia più corretto il testo della prima Sottocommissione.

Nell'articolo 7 — testo del progetto — è detto: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale che limitano la libertà e l'eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana»; mentre il testo della prima Sottocommissione è il seguente: «È compito della società e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico o sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza degli individui, impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana ed il suo completo sviluppo».

Io penso che sia più corretto, nel senso e nella forma, il testo della prima Sottocommissione che non il testo del progetto che ci è presentato, ed a questo proposito noi ci riserviamo di presentare le opportune proposte di emendamento in sede di discussione degli articoli.

[...]

Condorelli. [...] Per altro, quando noi diciamo la partecipazione effettiva non dei lavoratori, ma dei cittadini, anzi io direi di «tutti i cittadini», all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, in fondo noi veniamo a riaffermare che si è cittadini attivi dello Stato in quanto si partecipa con la propria attività, o economica, o sociale, o morale, o politica, alla vita della collettività.

Solo a questo titolo si è cittadini dello Stato. No, no: togliete quell'espressione che creerebbe dei cittadini optimo iure e dei cittadini minoris iuris. E poi è un'espressione pericolosa che potrebbe sopprimere la libertà, nella quale io penso anche voi crediate. (Proteste a sinistra).

Pertini. Quell'«anche» è esagerato: ci siamo battuti venti anni per la libertà. Anche! Quale generosità!

Condorelli. Io penso che non ci sia aderenza nella vostra dottrina alla libertà, ma che ci sia aderenza nel vostro sentimento.

Ora, se conservassimo questa espressione, potremmo cadere in errori gravissimi. Perché voi dite: «Ma noi con questa espressione vogliamo raggiungere soltanto questo effetto: che i lavoratori siano immessi nella cittadella dello Stato, ma non che ne siano esclusi gli altri».

Ma guardate come può essere interpretata questa parola «lavoratori». Io vi porto l'esempio di un economista, non dell'avvenire, ma di oggi, uno dei più celebrati economisti di oggi — Pareto — che distingue le classi sociali in rapporto alle occupazioni, e fa una distinzione quadruplice: parla di occupazioni dirette a produrre beni economici o servizi; poi di occupazioni che producono indirettamente dei beni economici — e sarebbero appunto le occupazioni ausiliarie; probabilmente gli avvocati, nella migliore delle accezioni, potrebbero appartenere a questa categoria subliminale di lavoratori — poi c'è una terza categoria: gli oziosi; e infine una quarta, che sarebbe costituita da coloro che attraverso un'attività legale o illegale si impadroniscono dei beni altrui. Le prime due classi sono probabilmente di lavoratori; dico probabilmente, perché per la seconda si potrebbe discutere; ma gli oziosi non sono certamente dei lavoratori; e nessuno si sentirebbe di mettere fra i lavoratori coloro che con mezzi legali o illegali si appropriano dei beni altrui.

Ora, lo sapete da chi è costituita la terza classe, quella degli oziosi? Da coloro che vivono di rendita e amministrano il loro patrimonio. Questi sono degli oziosi, in quanto traggono dal loro patrimonio qualche cosa di più, o molto di più, di quella che potrebbe essere la remunerazione della loro attività di amministratori. Quel di più che traggono li fa diventare degli oziosi, cioè dei non lavoratori. Nella quarta categoria, naturalmente, ci entrerebbero tutti i proprietari, perché, secondo la vostra dottrina, la proprietà è un mezzo attraverso il quale si espropria il lavoro degli altri.

Voi vedete, anche interpretando le cose alla luce del pensiero di un grande economista moderno, a che cosa si potrebbe arrivare. Ma poi, guardiamo anche soltanto alla prima categoria. Oggi sareste tutti pronti a dirmi che persone che rendono certi generi di servizi, che tutti consideriamo poco leciti e poco decenti, certamente non sono dei lavoratori. Come i sacerdoti, i religiosi, che pregano o che esercitano un ministero di assistenza spirituale, sono dei lavoratori, perché esercitano una funzione che concorre allo sviluppo della società. Ma lasciate che cambino queste posizioni mentali, che divenga comune un certo modo di pensare, che è affiorato in questa Assemblea, in questo dibattito, e allora vedrete che i sacerdoti, i religiosi, gli spirituali saranno messi subito al livello degli indovini, dei fattucchieri, degli stregoni, e perciò relegati senz'altro nella quarta categoria, di coloro che con mezzi legali o illegali si appropriano dei beni altrui.

Voci a sinistra. No!, No!

Condorelli. Ma certamente sarebbe così! Noi consideriamo in questo modo gli stregoni delle tribù primitive, in quanto sappiamo che sono superstiziose le loro pratiche. Ma solo che prevalga l'opinione che anche la religione di Cristo è una superstizione (e non sarebbe la prima volta nella storia che si sono relegati senz'altro i religiosi, i sacerdoti, nella quarta categoria nella quale sono posti i parassiti, e non sarebbe la prima volta che si sentono chiamare parassiti i sacerdoti, i frati, i discepoli di San Francesco), e che le etere esercitano una funzione sociale, voi vedrete le etere entrare trionfanti nella prima categoria e le monache uscirne per passare nella quarta!

Ma, per niente hanno scritto gli studiosi! Per niente si insegna nelle Università! Ma non per il prevalere di formule trite, che se ebbero un significato in un certo momento storico, lo hanno totalmente perduto ora!...

[...]

C'è poi nell'articolo 7 un'espressione che ha richiamata l'attenzione anche del nostro collega dottor Capua. L'espressione è la seguente: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale che limitano la libertà e l'eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana». Stiamo attenti alla espressione «rimuovere gli ostacoli». Badate, che si parla di ostacoli economici e sociali cioè di ostacoli umani, di ostacoli che vengono dagli uomini. Come rimuove lo Stato questi ostacoli? Noi già avvisiamo nella stessa Costituzione delle leggi che tendono a favorire la conquista di questa eguaglianza di fatto. Non basta infatti enunciare una eguaglianza di diritto — è vero, Mancini? — perché l'eguaglianza ci sia. L'eguaglianza deve essere di fatto. Naturalmente, come tendenza. L'eguaglianza di fatto non si può raggiungere. Dunque, lo Stato prometta di aiutare l'uomo nella conquista di questa eguaglianza di fatto. Gli dia l'eguaglianza di diritto e poi gli permetta di integrare la sua attività per conquistare l'uguaglianza di fatto, ma non gli può promettere di rimuovere gli ostacoli economici e sociali. Gli può promettere di aiutarlo a superare questi ostacoli, ma non di rimuovere gli ostacoli.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti