[Il 4 ottobre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione generale sui principî dei rapporti sociali (economici).

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]

Il Presidente Tupini invita i Commissari a voler tenere presente il testo degli articoli già approvati dalla terza Sottocommissione che hanno interferenza col tema che attualmente è oggetto dell'esame della Commissione.

Richiama particolarmente l'attenzione dei Commissari sul primo articolo già approvato dalla terza Sottocommissione:

«Ogni cittadino ha il diritto e il dovere di lavorare conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta.

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento».

Rileva che, per alcuni punti, tale articolo può essere considerato come un testo molto vicino a quello proposto dall'onorevole Togliatti e per altri punti al testo proposto dall'onorevole Lucifero.

Lucifero, Relatore, dichiara di accettare in linea di massima l'articolo della terza Sottocommissione. Fa soltanto una riserva sul fatto dell'imperativo del lavoro, che lo preoccupa, perché non vede come possa accordarsi con il concetto di libertà, e sul termine «lavoro» che preferirebbe fosse sostituito dall'espressione «attività economica». Ci possono essere determinati lavori che non sono tali se si ha riguardo al termine corrente della parola, eppure si identificano con l'attività dell'uomo. L'espressione «attività economica» gli sembra più comprensiva.

Il Presidente Tupini domanda all'onorevole Togliatti se può presentare alla Commissione il testo dell'articolo concordato con l'onorevole Dossetti.

Togliatti, Relatore, informa che l'onorevole Dossetti e lui si sono trovati d'accordo sulle prime quattro linee dell'articolo. L'onorevole Dossetti si era incaricato di dare un'elaborazione diversa della parte centrale, cioè al capoverso dell'articolo, precedentemente abbozzato insieme con l'oratore, e che dovrebbe formare un articolo a sé.

[...]

Il Presidente Tupini ricorda all'onorevole Togliatti di aver osservato che la terza Sottocommissione ha già trattato l'argomento contenuto nell'articolo 1 da lui proposto, ed ha presentato in proposito un'altra formulazione, che potrebbe rappresentare il punto di partenza per poter avvicinare le due distinte formulazioni presentate dei due Relatori.

L'onorevole Lucifero ha già risposto di poter accettare, salvo una riserva di carattere formale, la formulazione proposta dalla terza Sottocommissione per quanto riguarda il primo articolo. Domanda all'onorevole Togliatti il suo parere circa questo primo articolo della terza Sottocommissione.

Togliatti, Relatore, dichiara di considerare la formulazione della terza Sottocommissione stilisticamente non troppo felice, in quanto afferma due volte lo stesso diritto al lavoro.

Il Presidente Tupini osserva però che nella prima proposizione di questo primo articolo della terza Sottocommissione c'è riferimento alla facoltà di scelta e alle possibilità di lavoro, su cui egli ritiene che si possa essere d'accordo.

Togliatti, Relatore, dichiara di accettare il concetto contenuto in tale proposizione.

Lucifero, Relatore, dichiara che, pur non essendo contrario ad accettare il testo proposto dalla terza Sottocommissione, non è nemmeno contrario alla prima parte dell'articolo nella formula proposta dall'onorevole Togliatti: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro ed ha il dovere di svolgere un'attività socialmente utile». Infatti in questa prima parte è espresso quel tale concetto che l'oratore ha manifestato nella seduta di ieri, ma di cui non è fatto cenno nel testo proposto dalla terza Sottocommissione. Perciò, se l'onorevole Togliatti può trovare il modo di inserire nella sua formula che quella attività socialmente utile può essere liberamente scelta, ritiene di poter accettare anche il testo proposto dall'onorevole Togliatti.

Il Presidente Tupini propone che, tenendo presente il testo presentato dall'onorevole Togliatti, si aggiunga alla formula contenuta nella prima proposizione del primo articolo l'espressione: «conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta» tolta dalla formulazione della terza Sottocommissione.

Lucifero, Relatore, dichiara di accettare questa nuova formula.

Togliatti, Relatore, dichiara anch'egli di accettarla.

Il Presidente Tupini pone in discussione la prima proposizione del primo articolo, nella seguente formula concordata: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività socialmente utile conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Moro osserva che un continuo riferimento al lavoro della terza Sottocommissione, per ricollegarsi ad essa, complicherebbe di più il lavoro invece di facilitarlo.

Circa la struttura di questo articolo domanda se nell'espressione «attività socialmente utile» restano compresi anche i lavori familiari delle donne di casa. Questi lavori indubbiamente e sostanzialmente sono utili dal punto di vista generale. La formula potrebbe indurre anche a ritenere che si tratti solo del lavoro che abbia carattere immediato di evidente utilità sociale. Non c'è dubbio che questa non è l'intenzione del proponente. Ritiene quindi necessario introdurre una specificazione su questo punto, a tutela della integrità della famiglia.

Il Presidente Tupini risponde all'onorevole Moro che egli non intende confondere il lavoro della prima Sottocommissione con quello della terza, ma solo tenerlo presente al fine di una eventuale migliore formulazione.

Togliatti, Relatore, fa presente all'onorevole Moro che nella terminologia del lavoro socialmente utile è compreso senza dubbio il lavoro domestico.

Moro replica che sarebbe in ogni modo opportuno aggiungere qualche parola che tolga ogni dubbio in proposito.

Lucifero, Relatore, dichiara di accettare la spiegazione dell'onorevole Togliatti, perché essa risolve un dubbio espresso dall'oratore nella seduta precedente. Domanda però all'onorevole Togliatti chi giudicherà della utilità sociale del lavoro, dato che sulla utilità sociale di una determinata attività vi possono essere notevoli differenze di opinioni e di interpretazioni. Concorda sul principio che il lavoro debba essere socialmente utile, ma, esaminando il caso di certe persone che svolgono una determinata attività, si preoccupa che possa sorgere la contestazione se il lavoro sia o no socialmente utile. Domanda, ad esempio, se il lavoro dello studioso, del sacerdote, dell'archeologo, del bibliotecario, sia un lavoro socialmente utile. Ritiene che il problema esista e che occorra risolverlo.

Il Presidente Tupini osserva che si può cercare un termine più chiaro e quindi idoneo ad eliminare ogni preoccupazione.

La Pira ritiene utile chiarire il principio con una norma la quale dica, per esempio, che ci sono tante funzioni sociali di natura manuale ed intellettuale che si possono identificare con il lavoro.

Fa presente che in alcune Costituzioni moderne o progetti di Costituzioni moderne, vi è appunto una formula che parla del lavoro nelle sue varie forme, intellettuali, manuali, ecc.

Caristia dichiara di essere molto perplesso nel giudicare se l'espressione «attività socialmente utile» sia adeguata o no.

Certamente esistono dei lavori che sono evidentemente utili alla società, specialmente quelli riguardanti l'attività economica; ma ci sono anche lavori che hanno un grado di finezza e di elevatezza notevole, per i quali egli non sa fino a qual punto si possa dire che sono utili alla società, e, se lo sono, lo sono in maniera molto indiretta.

Perciò un'espressione come quella proposta, la quale coinvolge un giudizio sulla attività sociale di un determinato lavoro, lo lascia molto dubbioso.

Il Presidente Tupini insiste sulla necessità di trovare una formula sostitutiva di quella «socialmente utile», che possa riscuotere il consenso di tutti. Nel caso che questa formula non si trovi, propone di sopprimere senz'altro le parole «socialmente utile», e di tornare press'a poco a quello che diceva la prima parte dell'articolo 1° approvato dalla terza Sottocommissione: «Ogni cittadino ha il dovere e il diritto di lavorare conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta», poiché dicendo «scelta» e «possibilità» si tengono presenti tutti gli elementi che, almeno fino a questo momento, hanno formato oggetto delle preoccupazioni dei vari oratori.

Mastrojanni fa presente che non vede come si possa temere che il cittadino non voglia lavorare. Il popolo italiano è un popolo lavoratore. In Italia si deve lamentare che non ci sia lavoro per tutti, non che vi siano persone che si sottraggono al lavoro pure avendone la possibilità. Perciò giudica esatto il principio che il lavoro sia un dovere sociale; ma d'altra parte ritiene che non sia il caso di stabilire in sede costituzionale che il cittadino ha l'obbligo al lavoro. In tal modo, da un punto di vista etico, si verrebbe ad ammettere che nella Repubblica italiana l'obbligo del lavoro possa corrispondere a qualche cosa di coercitivo.

Propone invece la seguente formula: «Il cittadino deve considerare come suo dovere sociale il lavoro».

A questa prima parte si potrebbe far seguire l'affermazione contenuta nell'articolo approvato dalla terza Sottocommissione: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini italiani il diritto al lavoro e predispone i mezzi necessari al suo godimento».

Fa presente che con tale formula egli mira a trasformare la prima parte dell'enunciazione in un'affermazione che abbia un carattere etico, più che un carattere imperativo, e lasciando che il cittadino consideri come suo dovere sociale il lavoro, si garantisce a tutti il diritto al lavoro.

Lucifero, Relatore, propone la seguente formula intermedia tra quella dell'onorevole Togliatti e quella del Presidente: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività conforme alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Togliatti, Relatore, dichiara che le preoccupazioni espresse da alcuni Commissari riguardo al pericolo che l'espressione «socialmente utile» escluda determinate forme di attività intellettuale o speculativa, non hanno fondamento.

Ricorda che sono stati già introdotti negli articoli approvati precedentemente, soprattutto nel primo, alcune determinazioni qualificative di diritti con carattere finalistico, che poi non sono state specificate. Quando si è parlato dello sviluppo della persona umana, dal punto di vista fisico, economico, culturale e spirituale, non si è precisato attraverso quali forme si possa raggiungere questo sviluppo. Parimenti, non c'è bisogno, in questa sede, di introdurre tutte le specificazioni, circa la formula del «lavoro socialmente utile», la quale non esclude l'indagine scientifica e l'attività speculativa.

Il Presidente Tupini rileva che tra le attività socialmente utili vanno anche comprese quelle del sacerdote, del religioso, del missionario.

Occorre considerare che ci sono dei cittadini i quali si sono dedicati a questa attività religiosa, e preoccuparsi di tutelare la loro personalità.

Togliatti, Relatore, fa rilevare che in altra parte della Costituzione si parlerà anche di questo argomento.

Cevolotto osserva che vi sono forme di vita contemplativa, praticate da certi ordini religiosi, che bisogna ammettere, ma che non hanno certamente una funzione sociale, bensì una funzione individuale, relativa alla propria anima.

Il Presidente Tupini replica che anche questi ordini religiosi hanno una funzione sociale, la quale, secondo il pensiero cattolico, consiste nel ristabilimento dell'equilibrio tra chi prega e chi non prega, tra chi pecca e chi non pecca, equilibrio che trova consistenza ed espressione in quella che la Chiesa chiama la Comunione dei Santi. Non si può perciò dire che queste attività non abbiano una funzione socialmente utile; anzi, ne hanno una altissima e di particolare rilievo.

Cevolotto osserva che tutto questo può essere interessante, elevato, nobile e molto giusto, ma potrebbe non esserlo da un altro punto di vista. Per questo, ritiene che sia necessario specificare o sopprimere.

Caristia osserva che l'onorevole Togliatti afferma di avere un concetto esatto di quello che è utilmente sociale, ma sta di fatto che quello di utilità sociale è un concetto relativo. Un esempio si è avuto proprio ora, in tema di Ordini religiosi. Alcuni ritengono che siano socialmente utili soltanto le attività meccaniche, atte a produrre la ricchezza o gli strumenti necessari a tale scopo, e considerano socialmente inutili coloro che studiano o meditano. Non vede come si potrà stabilire un concetto esatto della utilità sociale. L'onorevole Togliatti dice di averlo, ma bisogna vedere se chi deve applicare la Costituzione avrà la stessa lucidità di idee e darà la stessa interpretazione del concetto di «socialmente utile».

La Pira osserva che si potrebbe raggiungere una maggiore chiarificazione sostituendo alla parola «attività» la parola «funzione».

Mancini osserva che non si può dire «svolgere una funzione». Le funzioni si esplicano e le attività si svolgono.

Mastrojanni invita la Commissione a considerare dal punto di vista pratico la impossibilità di attuare il principio dell'obbligo del lavoro, in considerazione anche del fatto che il cittadino ha il diritto alla scelta del lavoro. Fa presente che in alcune province o regioni nelle quali le attività lavorative sono orientate prevalentemente in un determinato senso, le situazioni ambientali e contingenti non consentono a tutti di esplicare quel medesimo lavoro; e che di conseguenza, non presentandosi la possibilità di un lavoro confacente alle proprie attitudini, il cittadino, obbligato al lavoro, avrebbe diritto di rifiutarvisi. Si dovrebbe pervenire, in tali casi, alla conseguenza illogica di obbligare il cittadino a trasferirsi da un luogo all'altro per soddisfare all'obbligo del lavoro e al diritto di scelta del lavoro.

Fa presente inoltre il caso di ragazze di famiglia nell'età post-puberale e precedente al matrimonio, che obbligate al lavoro e portate fuori del loro ambiente familiare, potrebbero rimanere turbate nel loro sviluppo psicofisico; di coloro che, in possesso di rendita derivante da risparmi o da eredità, dato che non è abolito dalla Costituzione il diritto di ricevere per testamento, si accontentino di vivere modestamente senza lavorare, e che dovrebbero invece essere obbligati al lavoro. È una coercizione quella generica dell'obbligo del lavoro che l'oratore non ritiene si possa affermare come imperativo categorico. Si potrebbe, invece, esaudire il concetto con un'affermazione, per esempio, così formulata: «La Repubblica protegge il lavoro», statuendosi in tal modo che si disinteressa di chi non esplica un'attività socialmente utile.

Caristia fa osservare all'onorevole Mastrojanni che già si sono fatte in questa Costituzione delle affermazioni che non costituiscono un concetto di diritto o di obbligo vero e proprio, le quali hanno un valore più morale che giuridico e d'altra parte non dovrebbero mancare in una Costituzione.

Mastrojanni replica prospettando la ipotesi che un partito prevalente abbia una sua concezione, in uno Stato totalitario, in cui non ci sia posto se non per chi lavora effettivamente, e in cui per lavoro socialmente utile si intenda solo quello che renda in modo tangibile ed attuale, astrazione fatta da ogni considerazioni di ordine filosofico e spirituale. In uno stato siffatto il legislatore avrebbe la possibilità, prendendo argomento da quanto è sancito nella Costituzione, di formulare una legislazione nella quale i professori universitari, per esempio, potrebbero essere adibiti a lavori manuali, in quel momento ritenuti più utili dell'insegnamento di discipline universitarie.

Il Presidente Tupini riassume la discussione e comunica che l'onorevole Moro propone la seguente formula: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività capace di incrementare il patrimonio economico e spirituale della società umana, conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Moro fa presente che l'intento che lo ha mosso nel presentare la sua formulazione è stato di evitare i due estremi tra i quali si dibatte la Commissione: l'estremo della indicazione un po' vaga «socialmente utile», sulla quale sono state fatte fin da principio delle riserve, e la proposta di soppressione totale dell'inciso. Dichiara di non essere favorevole all'abolizione perché, parlando genericamente di lavoro, l'interpretazione della parola «lavoro» potrebbe dar luogo a dispute; e in secondo luogo perché ritiene opportuno che la Costituzione contenga un'affermazione di questo dovere sociale del lavoro, di questo contributo che ogni uomo deve dare alla società umana che per i cristiani è una comunità di fratelli.

Si dichiara d'accordo con l'onorevole Togliatti, che, quando si parla di «utilità sociale», si comprendono tutti i valori umani; ma ritiene sia bene precisare che il lavoro può avere una duplice direttiva, tanto verso valori spirituali quanto verso quelli economici.

Mastrojanni ritiene che la formula dell'onorevole Moro, per quanto ispirata da una concezione spiritualistica e conciliativa, cada in una gravissima contraddizione quando considera come dovere di lavoro quello di incrementare spiritualmente la società umana. Il fatto di incrementare spiritualmente la società è spontanea manifestazione della psiche umana, che rifugge in modo assoluto da qualsiasi coercizione di dovere; lo stesso fatto della coercizione impedisce che si possa spontaneamente esercitare questa azione. Cita l'esempio del sacerdote, che spontaneamente assume i voti, fa opera di sacrificio e si prodiga per il bene dell'umanità. La sua spiritualità non deriva da un imperativo categorico, ma da un imperativo della sua coscienza; e quindi non si può snaturare questo principio col far intervenire lo Stato a considerare questa attività spirituale come un lavoro comandato dalla Costituzione, né si possono considerare questi eroi dello spirito come esercenti di un lavoro comandato dal consorzio umano.

Per tali ragioni si dichiara contrario alla formula proposta dall'onorevole Moro.

Merlin Umberto dichiara di essere contrario alla formula presentata dall'onorevole Lucifero che, a suo parere, specifica troppo. Ricorda a questo proposito gli ordini religiosi che hanno come fine esclusivo la preghiera, e si domanda perché si voglia proibire a queste creature umane di pregare anche per coloro che non pregano mai. È favorevole alla formula indicata dal Presidente, che nella sua genericità, comprende tutti i casi e non fa specificazioni pericolose.

Il Presidente Tupini dichiara di essere solidale con l'onorevole Moro, dato lo spirito che lo ha mosso a fare la sua proposta. Si preoccupa soltanto del fatto che stabilire la capacità di incrementare o di accrescere il patrimonio spirituale, oltre che economico, della società umana, possa essere interpretato nel senso di accettare preventivamente un controllo da parte di coloro che rappresentano la società, i quali debbono giudicare se una determinata attività sia spiritualmente utile o meno, per cui potrebbe darsi il caso che l'attività del predicatore o dell'insegnante religioso sia ritenuta tale da arricchire il patrimonio spirituale, mentre non sia ugualmente valutata l'opera degli Ordini contemplativi. Al fine di eliminare tale pericolo è stata proposta la soppressione delle parole «socialmente utile».

Dossetti distingue due problemi: quello dell'affermazione del principio che il Relatore voleva fare con questo articolo e sul quale sono d'accordo la maggior parte dei colleghi, e quello particolare di trovare una formula la quale non escluda certe attività per le quali in passato si sono riscontrate difficoltà di interpretazione.

Dichiara anzitutto, a proposito del primo problema concernente l'affermazione fondamentale che ciascuno ha il dovere di svolgere un'attività socialmente utile, di non essere completamente d'accordo con le conclusioni a cui è pervenuto il Presidente. L'oratore, se fosse stato presente all'inizio della seduta, avrebbe fatto la proposta di premettere all'articolo in esame un altro articolo di carattere più programmatico, il quale avrebbe dovuto sottolineare questo concetto dell'attività socialmente utile che deve essere il fondamento della nostra struttura economica, sociale e politica.

Osserva che la proposta del Presidente e dell'onorevole Lucifero, che afferma che si deve svolgere un'attività, dice ad un tempo, troppo e troppo poco.

Dice troppo, perché, a suo parere, la formula «deve svolgere un'attività conforme, ecc.» può essere suscettibile di quella interpretazione non rettilinea che si vuole evitare. Anche di fronte ad un articolo come quello proposto dall'onorevole Lucifero, è sempre possibile che si riapra il problema, per esempio, se gli ordini contemplativi svolgano o meno un'attività socialmente utile.

Dice poi troppo poco, perché non indica il tenore di questa attività che invece, a suo parere, deve essere indicato.

Quanto alla seconda questione, essa consiste nell'evitare che la formula, comunque escogitata, dia luogo ad esitazioni o a dubbi di interpretazione; occorre, cioè, che essa non lasci la possibilità di escludere da questa attività socialmente utile certe forme di attività che potrebbero essere escluse, o certe funzioni, certi modi di vita che possono rappresentare una utilità sociale di carattere superiore, morale o spirituale. Ricorda a tale proposito le leggi evasive che sciolsero gli ordini religiosi, esclusi quelli che esplicavano un'attività educativa o di assistenza agli infermi, in quanto si ritenne di individuare solo in questi due tipi di attività un'attività socialmente utile.

Ritiene perciò che debba essere ribadito il concetto di un'utilità sociale, e che debba introdursi un chiarimento tale da consentire di superare ogni dubbio e di escludere qualsiasi possibilità di interpretazione arbitraria.

Dichiara di preferire, per le ragioni esposte, alla formula dell'onorevole Lucifero quella suggerita dall'onorevole Moro, alla quale però proporrebbe di apportare alcuni emendamenti e completamenti, allo scopo di sottolineare meglio la possibilità di esplicare funzioni socialmente utili che non siano interpretabili in misura restrittiva. Così, nella dizione «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività o una funzione idonea all'incremento del patrimonio», alle parole «all'incremento del patrimonio» sostituirebbe, d'accordo con l'onorevole Togliatti, le altre «allo sviluppo economico o culturale, o morale o spirituale della società umana», perché tale specificazione darà la possibilità di interpretare la disposizione in modo estensivo, in quanto l'aggiunta del concetto di sviluppo morale o spirituale dà affidamento che nella disposizione rientreranno anche i casi ai quali ha dinanzi accennato.

Moro dichiara di accettare l'emendamento dell'onorevole Dossetti.

Dossetti aggiunge che, del resto, si potrebbe evitare ogni dubbio con un chiarimento esplicativo da farsi in sede di discussione con una precisazione che potrebbe anche non emergere dal testo della Costituzione, ma essere oggetto di una dichiarazione di opinione da parte dei Commissari; cioè che gli Ordini religiosi che si dedicano ad un'attività spirituale o ad un'attività contemplativa sono suscettibili di essere considerati come esplicanti un'attività socialmente utile. Dichiara che, ove rispetto a questi Ordini si dovesse assumere un atteggiamento negativo, si riserverebbe di riconsiderare la formula generale.

De Vita fa notare agli onorevoli Dossetti e Moro che non si tratta soltanto dell'attività contemplativa; e ricorda che nella scienza economica, ad esempio, si discute ancora se il lavoro degli impiegati dello Stato sia produttivo o meno, naturalmente sotto il profilo economico. Prospetta quindi l'opportunità di attenersi soltanto al termine «lavoro» senza alcuna specificazione, facendo presente che tale parola ha un significato economico e che è appunto sotto tale significato che questo termine dovrebbe essere considerato.

Il Presidente Tupini comunica che la formulazione proposta dall'onorevole Moro, dopo le osservazioni dell'onorevole Dossetti, è stata modificata nei seguenti termini: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività o esplicare una funzione idonee allo sviluppo economico, o culturale, o morale o spirituale della società umana conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Comunica inoltre che l'onorevole Mastrojanni, oltre alla primitiva proposta «Il cittadino deve considerare come suo dovere sociale il lavoro, ne ha presentata un'atra in subordine; «Il lavoro è un dovere sociale». Domanda all'onorevole Mastrojanni quale delle due formule desideri che sia posta in votazione.

Mastrojanni indica la prima.

Il Presidente Tupini informa infine la Commissione che l'onorevole De Vita ha ritirato la sua proposta, perché ha ritenuto che dal momento che la questione del diritto rimaneva impregiudicata, era inutile che se ne parlasse fin da questo momento.

Ritiene che debba essere votata per prima la proposta dell'onorevole Mastrojanni che ha, in confronto delle altre, una posizione autonoma.

Per suo conto, dichiara di votare contro, non perché non consideri come dovere sociale il lavoro, ma soltanto perché dubita della idoneità della formula in relazione alla discussione fatta.

Lucifero, Relatore, non ritiene di poter accettare la formula proposta dall'onorevole Mastrojanni, perché mantiene tutta l'incertezza di imperativo che non è qualificato, e che quindi non risolve il problema su cui si discute.

De Vita domanda all'onorevole Mastrojanni se sia favorevole alla fusione della sua formula con quella da lui proposta.

Mastrojanni accetta.

Il Presidente Tupini mette ai voti la seguente formulazione combinata De Vita-Mastrojanni:

«Il lavoro nelle sue diverse forme è un dovere sociale».

Dichiara che voterà contro tale proposta.

(La proposta è respinta con 14 voti contrari e 2 favorevoli).

Fa presente che la formula primitiva Togliatti-Lucifero si deve intendere superata, in quanto l'onorevole Lucifero ha presentato un'altra proposta e l'onorevole Togliatti ha aderito alla proposta Moro-Dossetti.

Togliatti, Relatore, conferma che, per facilitare la votazione, si associa alla proposta dell'onorevole Moro.

Il Presidente Tupini constata che la proposta Tupini-Lucifero, che sopprime l'espressione «socialmente utile» dalla formula primitiva Togliatti-Lucifero, e lascia l'articolo così formulato: «Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta», rappresenta un emendamento soppressivo rispetto alla formula primitiva; mentre invece la proposta Moro-Dossetti, che sostituisce al «socialmente utile»la proposizione: «o esplicare una funzione idonea allo sviluppo economico o culturale, o morale o spirituale della società umana», rappresenta un emendamento aggiuntivo.

Basso chiede se l'aggettivo «idonea» si riferisce solo alla funzione o anche all'attività.

Moro risponde che si riferisce a tutte e due.

Il Presidente Tupini pone ai voti l'emendamento soppressivo presentato dagli onorevoli Tupini e Lucifero, e così formulato:

«Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

(L'emendamento soppressivo è respinto con 11 voti contrari e 4 favorevoli).

Pone ai voti l'emendamento Moro-Dossetti:

«Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività o esplicare una funzione, idonee allo sviluppo economico o culturale, o morale o spirituale della società umana conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Merlin Umberto dichiara di votare a favore, perché le spiegazioni fornite dall'onorevole Dossetti hanno completamente soddisfatto tutte le sue preoccupazioni. La formula non è felice, ma ad ogni modo l'accetta in mancanza di una migliore.

Caristia dichiara di votare a favore della formula, in mancanza di un'altra più precisa.

Dossetti dichiara di votare a favore della formula con l'intendimento preciso che, senza voler discendere ad analisi che sono inopportune in un testo costituzionale, siano comprese tra le attività doverose del cittadino anche quelle più spirituali, cioè le religiose e quelle di carattere contemplativo.

Lucifero, Relatore, dichiara di non potere accettare la formula Moro-Dossetti, perché, quando si entra nelle casistiche, queste risultano sempre limitate, e perché ritiene che la formula non sia da testo costituzionale, in quanto non ne vede la pratica realizzazione giuridica (per far sue le parole dell'onorevole Dossetti), oppure ne vede troppa (per far suo il concetto dell'onorevole Caristia).

La Pira dichiara che voterà a favore della formula per le ragioni esposte dall'onorevole Dossetti.

Mastrojanni dichiara di votare contro, perché, pur riconoscendo il diritto al lavoro e pur considerando il lavoro socialmente doveroso, non ritiene che tale dovere possa essere imposto al cittadino, in coerenza con tutto quanto fin qui questa stessa Costituzione ha sancito.

Togliatti, Relatore, dichiara che voterà a favore, in quanto considera la formula interpretativa ed esplicativa della sua originale proposta.

Il Presidente Tupini dichiara che la ragione che lo portava ad insistere sull'emendamento soppressivo era che l'emendamento esplicativo e aggiuntivo risolvesse meno dell'emendamento soppressivo le preoccupazioni di carattere spirituale e religioso, che erano affiorate nella discussione. In mancanza di una formula migliore, voterà in favore della proposta Moro-Dossetti.

Mancini e Cevolotto dichiarano che voteranno a favore, ma non per le ragioni espresse dall'onorevole Dossetti.

Corsanego dichiara che voterà a favore.

De Vita dichiara che voterà contro, perché ritiene che si siano fatte delle specificazioni eccessive.

(L'emendamento è approvato con 11 voti favorevoli, 4 contrari e 1 astenuto).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti