[L'8 maggio 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo terzo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti economici».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda al commento all'articolo 35 per il testo completo della prima parte della discussione.]

Nobili Tito Oro. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Nobili Tito Oro. Al primo comma dell'articolo 31 ho presentato il seguente emendamento aggiuntivo cui si è associato poi, con inserzione di altro emendamento, il collega Condorelli:

«Trasferire l'ultimo comma dell'articolo 10 al primo comma, che avrà in tal modo la formulazione seguente:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuove le condizioni per renderne effettivo l'esercizio e tutela il lavoro italiano all'estero».

Presidente Terracini. Onorevole Nobili, siamo all'articolo 30.

Nobili Tito Oro. Onorevole Presidente, voglia scusarmi. L'emendamento riguarda la tutela del lavoro italiano all'estero. Io desidero far presente all'onorevole Relatore la opportunità di esaminare in questa sede tale emendamento e di riferire il pensiero della Commissione su di esso insieme con quello relativo all'analogo emendamento Tremelloni all'articolo 30. Ritenendo che il principio della tutela del lavoro italiano all'estero vada inserito in aggiunta al riconoscimento del diritto di tutti i cittadini al lavoro e all'impegno che assume la Repubblica di promuovere le condizioni per renderne effettivo l'esercizio, vorrei che la onorevole commissione si pronunciasse su questa opportunità prima che essa sia pregiudicata dall'eventuale accoglimento dell'emendamento Tremelloni che la stessa inserzione propone invece all'ultimo comma dell'articolo 30. L'Assemblea è stata già concorde nel ritenere che questa necessità della tutela del lavoro italiano all'estero passasse dal Titolo I (rapporti civili) al Titolo oggi in esame (rapporti economici). Su questo c'è già l'accordo. Si tratta ora di vedere in quale articolo del Titolo III detto principio debba inserirsi. E pertanto i due emendamenti vanno, per la evidente connessione, esaminati contemporaneamente, salvo il provvedimento che l'onorevole Presidente, nella sempre saggia interpretazione del regolamento, riterrà di dover adottare in ordine alla votazione.

Presidente Terracini. Onorevole Nobili, in casi analoghi l'Assemblea ha giudicato che questo è un problema non essenziale, che potrà essere risolto alla fine, in sede di ordinamento e successione degli articoli. Per ora restiamo alla proposta di merito; poi esamineremo, all'articolo 31, se sia necessario ed opportuno inserire nell'articolo 30 il suo emendamento.

Chiedo ora agli onorevoli presentatori di emendamenti se, dopo le dichiarazioni dell'onorevole Ghidini, li mantengono, tenendo presente che l'onorevole Ghidini ne ha accettato qualcuno a nome della Commissione.

[...]

Presidente Terracini. [...] Passiamo ora all'articolo 31:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto.

«Ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività od una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società, conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta.

«L'adempimento di questo dovere è condizione per l'esercizio dei diritti politici».

A questo articolo 31 sono stati proposti numerosi emendamenti. L'onorevole Cortese ha già svolto il suo emendamento soppressivo dell'articolo. Anche l'onorevole Colitto ha svolto il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«Lo Stato promuove lo sviluppo economico del Paese e predispone le condizioni generali per assicurare più che possibile ai cittadini l'esercizio del loro diritto al lavoro».

Segue l'emendamento dell'onorevole Zuccarini:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto alla proprietà come condizione essenziale di libertà, e promuove i modi e le forme per renderlo possibile ed effettivo».

L'onorevole Zuccarini ha facoltà di svolgerlo.

Zuccarini. Questo emendamento da me presentato era in relazione all'intervento che mi proponevo e non ho potuto effettuare sulla discussione del Titolo, e si riallacciava a tutta un'impostazione generale del Titolo stesso. L'illustrazione dell'emendamento, fatta ora in dieci o anche in più minuti, non permette l'ampiezza e la illustrazione necessarie per l'impostazione che io intendevo dare all'argomento.

Il Titolo terzo ha lo scopo di assicurare quelle libertà di carattere sociale senza le quali la libertà politica verrebbe a mancare o per lo meno subirebbe certe menomazioni. Ora, è in relazione a ciò che mi proponevo di discutere e di fare la proposta del mio emendamento. Ciò non essendo possibile per la limitazione di tempo imposta in sede di emendamento, mi limiterò ad osservare che la mia modifica all'articolo 31 si riferiva ad una constatazione: o il diritto che si riconosce a tutti i lavoratori è un diritto formale, destinato a restare senza seguito nella nostra Costituzione, ed allora può capitare quello che è capitato in Germania, con la Costituzione di Weimar, ove, nonostante che lo stesso diritto fosse costituzionalmente affermato, sei milioni e più di lavoratori si sono trovati disoccupati; o vuole invece essere un diritto effettivo, ed allora impone allo Stato un investimento tale di capitali ed anche un tale sviluppo del proprio personale burocratico, destinato allo scopo, per cui c'è da domandarsi se l'esercizio di questo diritto non possa meglio effettuarsi attraverso una assegnazione a ciascun individuo di un minimo di disponibilità che permetta di crearsi una propria attività economica e sociale. Noi assistiamo oggi ad un'infinità di progetti sul pieno impiego. Anche questa nostra Costituzione è ispirata all'occupazione totale dell'individuo ed all'assicurazione di essa durante tutta la vita. L'impiego di un capitale per tale assicurazione diverrà quindi imponente. E non è da domandare: perché questo capitale, invece di assicurare il cittadino per il secondo periodo della vita, non potrebbe assicurare il cittadino fin dall'inizio della propria vita? Allora solamente si assicurerebbe al cittadino non solo l'esistenza, e cioè la possibilità di vivere, ma gli si darebbe anche la possibilità di svolgere l'attività che vuole, nel campo che vuole, in piena indipendenza, si otterrebbe cioè un risultato che dal punto di vista sociale e produttivo, mentre corrisponde alle esigenze di libertà che tutti sentiamo, corrisponde anche alle esigenze della società che sono quelle di una più attiva e intensa produzione.

È dunque una impostazione tutta diversa che io mi proponevo di sottoporre, non dico all'approvazione dell'Assemblea, ma almeno alla sua meditazione per gli ulteriori sviluppi, e cioè per considerare se quell'assicurazione del lavoro che noi vogliamo dare all'uomo al fine di tutelarlo nel secondo periodo della sua vita non debba invece diventare effettiva e operante fin dall'inizio della sua vita. Dal momento che in questi stessi rapporti economici noi, in alcune parti, ci preoccupiamo del diritto di proprietà non solo per il suo mantenimento ma anche per l'estensione dei diritti di proprietà, della diffusione cioè della proprietà, è da domandare se nella nostra Costituzione piuttosto di garantire la proprietà esistente, e cioè quella che proviene dalle disuguaglianze sociali e dai rapporti economici del passato, non dobbiamo invece assicurare un diritto di proprietà a ciascun individuo affinché ciascuno, nell'impiego della propria attività, manuale, intellettuale, ecc., possa operare liberamente, in posizioni di partenza uguali con tutti gli altri individui, in modo che il suo avvenire e l'impiego della sua attività debbano dipendere esclusivamente da lui.

Si tratta quindi di un principio di libertà. È un po' difficile — ripeto — illustrare tutto questo in dieci minuti e mettere la questione in relazione agli altri problemi, che interessano particolarmente le classi lavoratrici. Abbiamo in Italia istituti di previdenza e di assicurazioni sociali i quali costituiscono già di per se stessi, o almeno costituivano prima del fascismo, dei capitali abbastanza imponenti destinati ad assicurare agli operai determinati periodi di pensione. Ricordo che fra i tanti progetti più o meno fantasiosi che si vedono molto spesso fare in questo momento sulle riforme sociali (naturalmente progetti discutibili sotto tanti rapporti e condannabili anche per certi tentativi di realizzazioni poco pratiche) ne vidi uno nel quale si prevedeva di istituire sull'assicurazione sociale dei lavoratori un sistema destinato a mettere a disposizione del lavoratore un capitale capace di assicurargli addirittura la proprietà non già di un appartamento ma di una casa intera, e con tutti gli annessi. Ora, se queste possibilità sono oggi concepibili, data la estensione che si pensa di dare all'assicurazione sociale in genere, io mi domando se non sia anche possibile estendere un po' la nostra visione e vedere se addirittura l'assicurazione non possa essere data in partenza. Allora sì, quando a ciò si arrivasse, noi avremmo assicurato al cittadino quella piena disponibilità di se stesso che è piena garanzia di libertà! Ciò che è mancato sempre e che abbiamo rimproverato alle vecchie Costituzioni è proprio questo: che i cittadini, in partenza, non si trovano nelle stesse posizioni e che, di fronte all'esercizio della libertà, il salariato, chiunque non disponga di altro che della propria capacità di lavoro, non è veramente libero, e non è veramente libero appunto per la sua dipendenza economica, per lo stato d'inferiorità in cui si trova fin dalla nascita. Ricordo che in un voluminoso scritto sulla «Filosofia della Rivoluzione», Giuseppe Ferrari rimproverava appunto alla rivoluzione francese di avere, sì, assicurato i diritti del cittadino, ma di non aver assicurato il diritto alla proprietà che è il primo mezzo per cui quei diritti potevano essere esercitati. È — ripeto — in questo senso che si può risolvere un problema e giungere ad una realizzazione di libertà assai più efficace del diritto al lavoro; perciò ho presentato il mio emendamento. Naturalmente non vi insisto, perché la discussione su questo punto non sarebbe ora possibile e la votazione non sarebbe conclusiva e non rappresenterebbe un meditato pensiero. Ho voluto tuttavia farne un accenno in questa sede; ma è certo che, se avessi potuto farlo riallacciando la questione a tutti gli articoli di questo Titolo e a quella impostazione generale — che secondo me avrebbe dovuto darsi al problema della libertà nei rapporti economici — la mia proposta avrebbe forse ottenuto maggior numero di consensi e maggiore comprensione. Per ciò — e solamente per ciò — ritiro il mio emendamento.

Presidente Terracini. L'onorevole Foa ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto ed assicura l'apprestamento dei piani economici per la difesa dei consumatori e per garantire a tutti i cittadini il soddisfacimento dei minimi bisogni vitali».

L'onorevole Foa ha facoltà di svolgerlo.

Foa. Mi limiterò a trattare brevemente gli aspetti economici che hanno ispirato la proposta di questo emendamento, lasciando da parte tutte le critiche al testo proposto dalla Commissione. Vorrei sottolineare l'assoluta insufficienza della formulazione adottata nel testo del progetto: «promuove le condizioni per rendere effettivo il diritto al lavoro». Questa espressione (se noi vogliamo che le espressioni abbiano un significato tecnico e non siano parole che possano essere interpretate mutevolmente), questa espressione ha un significato nella valutazione economica odierna e cioè: la Repubblica promuove una politica di occupazione. Ora, all'infuori dell'ipotesi di una società socialista — ipotesi non attuale — e all'infuori di altre ipotesi, scomparse fortunatamente, di una mostruosa irreggimentazione del lavoro con la quale si pensava di poter risolvere il problema della disoccupazione, è chiaro che la politica di occupazione ha un significato tecnico nel mondo occidentale e particolarmente anglosassone. Questo significa: manovra del credito allo scopo di facilitare, attraverso una politica di lavori pubblici, l'assorbimento del risparmio disponibile e in conseguenza, di mettere in movimento la macchina produttiva. Credo sia noto a tutti i colleghi che conoscono il problema che quelle posizioni programmatiche che potevano avere la loro validità in America od in Inghilterra durante l'anteguerra, non possono avere validità oggi nell'Europa continentale e neppure in Inghilterra.

Il problema, per noi, non è un problema di mobilitazione del risparmio disponibile; è un problema di moltiplicare la produzione, gli strumenti di produzione ed i mezzi ai quali è associato il lavoro per aumentarne la produttività.

In sede di esame del Progetto, la discussione si è polarizzata fra la concezione dell'intervento economico e quella della libertà: discussione che non aveva ragion d'essere perché effettivamente vi sono alcuni dati obbligati della realtà odierna che sono dati di intervento, ed altri che sono dati di iniziativa. Ma il problema che è comune oggi a tutte le forze democratiche ed è comune alla coscienza di larghissimi strati di quest'Assemblea ed a tutti quei grandi partiti che si fondano sulle masse lavoratrici è un altro: dove il Governo non può rinunziare all'intervento, bisogna fare in modo che questa manovra del potere economico non sia esposta all'arbitrio di gruppi privilegiati, ma sia condotta nell'interesse delle masse popolari.

Questo è il punto centrale, per cui non si mette in discussione l'intervento o il non intervento, ma si parte dal dato di fatto preciso che certi interventi sono ineliminabili e si studia il modo di farli funzionare. Ritengo che il democristiano ministro Gronchi non si sia posto il problema in forma diversa dal ministro socialista Morandi: entrambi sapevano che alcuni vincoli dovevano essere aboliti, altri mantenuti, ma sottratti a quelle forze che, non soltanto nel campo agricolo, ma anche in quello industriale, e sopratutto finanziario, oggi dominano nel nostro Paese.

Quando si parla d'un problema di pianificazione, non si intende fare la scelta fra piano e libertà, ma si intende controllare democraticamente quel tanto di potere economico dello Stato che è necessario e farlo operare a vantaggio della collettività.

Questo è il significato moderno della pianificazione.

Credo che sotto questo punto di vista, potrà servire per la Costituzione solo un criterio obiettivo, per dare una traccia positiva all'opera dell'amministrazione economica pubblica: è il criterio del lavoro sotto l'aspetto del consumo, cioè del benessere dei cittadini.

Per queste ragioni credo che un impegno politico, come quello contenuto nella prima parte dell'articolo 31 — «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto» — se non vuole risolversi (volendo dare un significato tecnico alle parole) in un aumento dei segni monetari in circolazione, abbia il significato preciso di aumentare i mezzi di produzione nelle regioni con scarse risorse disponibili, in modo da assicurare un miglior tenore di vita alle classi popolari, intese non in senso strettamente marxista, ma nel senso comune a tutti i grandi partiti di questa Assemblea.

Questo è il senso dell'emendamento proposto: è un richiamo alla realtà di oggi, in cui non vi è più l'alternativa drammatica: intervento o non intervento? Vi è cioè un problema più urgente e drammatico: sapere come si interviene, posto che nessuno più oggi, quando abbia senso di responsabilità, può rinunziare ad intervenire.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Villani e Cairo hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. Promuove e disciplina le condizioni per rendere effettivo questo diritto».

L'onorevole Villani ha facoltà di svolgerlo.

Villani. Noi troviamo nel primo comma dell'articolo 31 un'affermazione precisa ed impegnativa:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto». Io ritengo che sia il caso di dover rilevare l'importanza di questa affermazione nel suo duplice aspetto.

Credo che lo Stato, in sostanza, venga ad assumere due impegni altrettanto importanti, altrettanto rilevanti nei confronti di tutti coloro che hanno diritto al lavoro, cioè di tutti i cittadini in condizione di esercitare il lavoro.

In primo luogo lo Stato viene ad assumere l'impegno di creare delle nuove possibilità di lavoro, delle nuove occasioni di lavoro, per coloro i quali non hanno possibilità di crearsele da sé.

In secondo luogo, ritengo che lo Stato venga anche ad assumere altro impegno: distribuire equamente il lavoro, che esso, come conseguenza del primo impegno, dovrà cercare di produrre.

Da questa constatazione credo si debba trarre qualche conclusione. Se lo Stato assume questo duplice impegno, è evidente che esso deve porsi in condizione di soddisfarlo; ed è evidente anche che deve disporre degli organi che possano soddisfarlo.

In altri termini, bisogna che, ponendosi lo Stato in condizione di studiare un piano di lavoro, come brillantemente ha detto testé l'onorevole Foa, crei degli organi che comunque siano in condizioni di controllare e intervenire nella gestione degli enti distributori di lavoro. Se facesse soltanto una di queste due cose ritengo che lo Stato farebbe solo in parte il suo dovere e quindi verrebbe a soddisfare soltanto una parte del duplice impegno che ha assunto.

D'altra parte, questo mio modo di vedere il problema, mi pare che si imponga anche se consideriamo non soltanto quello che è il primo comma dell'articolo 31, ma anche quello che è altrettanto esplicitamente affermato nel primo comma dell'articolo 35.

L'articolo 35 dice: «L'organizzazione sindacale è libera». Se l'organizzazione sindacale è libera è anche evidente allora che noi possiamo, sia pure in modo deprecabile, ipotizzare una molteplicità di sindacati, e se per dannatissima ipotesi (contro la quale noi lotteremo sino in fondo se sarà necessario) ci si trovasse in queste condizioni, sarebbe anche evidente che il collocamento dovrebbe avvenire all'infuori di questa o di quella organizzazione. Non ritengo necessario sviluppare più a lungo il problema della creazione di nuove possibilità ed occasioni di lavoro e della necessità, per me conseguente, che lo Stato in certa guisa direttamente o indirettamente si ponga in condizioni di provvedere a quello che è un suo preciso impegno. Conseguentemente a questo mio modo di vedere, mi è parso di ritenere che l'articolo 31, così come è formulato, rispondesse solo in parte a questa duplice esigenza. Ho creduto col mio emendamento, non certo di risolvere il problema qui accennato, ma in una certa guisa di porlo in modo tale che il futuro legislatore ordinario, quando eventualmente si dovesse trovare nella necessità di affrontare il problema stesso, trovi affermato nella Carta costituzionale il principio da me chiarito, principio che consentirà di risolvere in modo definitivo questo importante e delicato problema.

Presidente Terracini. L'onorevole Romano ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica promuove le condizioni per eliminare la disoccupazione e garentisce l'assistenza a quei cittadini che devono emigrare per trovare lavoro».

L'onorevole Romano ha facoltà di svolgerlo.

Romano. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, lo scopo del mio emendamento è unicamente quello di avvicinare di più alla realtà lo spirito dell'articolo 31. Chi legge l'articolo 31 è istintivamente portato a pensare ad uno Stato provvidenza, e si cade sotto l'incubo dello Stato totalitario con la sua vasta e profonda giurisdizione in tutta la vita dell'uomo.

Infatti, l'articolo 31 nel suo primo comma dice:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto».

Viene quindi da domandare: che cosa deve fare lo Stato per rendere effettivo questo diritto? Indubbiamente, per attuare questo principio, per poter rendere effettivo il diritto, bisognerebbe mutare le condizioni di oggi, passare dall'economia odierna ad una società completamente collettivista.

Questo problema è stato oggetto di studi da parte di Lord William Beveridge, il quale, pur essendo un liberale, parlando dell'occupazione integrale in una società libera, afferma che l'elemento fondamentale di una produzione nazionale sana sta nell'occupazione integrale di tutta la massa di lavoro esistente nel paese. In altri termini, stando al concetto di Lord Beveridge, bisognerebbe avere sottomano tutto il panorama della produzione nazionale, coordinare il bilancio dello Stato e degli enti pubblici e degli enti privati, il che significherebbe attuare in pieno una economia collettivista.

Agli stessi principî si è informato l'ex Ministro del commercio statunitense Wallace quando ha detto che, per poter assicurare la stabilizzazione del reddito globale del paese in duecento miliardi annui, bisogna assicurare l'occupazione di sessanta milioni di uomini nel lavoro. Ciò può valere per uno Stato di grandi risorse, ma lo stesso non può dirsi pel nostro Paese; e per persuadersi del come ciò per noi sia ben diverso basta dare uno sguardo a quello che è il settore principale della nostra economia, cioè l'agricoltura. Nel nostro Paese, nel 1871 avevamo appena 7 milioni 800 mila uomini occupati nell'agricoltura, su una popolazione di 26 milioni allora; nel 1936, su 42 milioni di uomini, l'occupazione nel settore dell'agricoltura era salita ad appena 8 milioni 700 mila. In proporzione l'aumento non è stato sensibile, perché mancano le possibilità per dar lavoro a tutta una popolazione tanto densa. La dura realtà è che l'agricoltura, che è il settore principale dell'economia italiana, non può assorbire di più, e non vi è rimedio ove si pensi che negli Stati Uniti d'America, su 114 milioni di ettari lavorano appena 10 milioni di uomini, mentre in Italia su 14 milioni di ettari lavorano quasi 9 milioni di uomini di età superiore ai dieci anni.

Ora, per poter dare attuazione pratica alla norma, bisognerebbe avere ben altre possibilità nei vari settori, dell'agricoltura, dell'industria e del commercio.

Il settore principale, quello dell'agricoltura, risponde negativamente: quindi non vi è altra possibilità per poter dare consistenza concreta all'articolo 31; onde si impone di modificare la struttura dell'articolo stesso in quanto è inutile promettere quello che non si può mantenere. L'Italia ha una sola valvola di sicurezza, che è l'emigrazione; questa valvola di sicurezza assicurava all'Italia prima del fascismo l'entrata di 600 milioni oro, che sono venuti a mancare appunto per l'arresto dell'emigrazione. L'Italia può disporre di una notevole energia di lavoro in un mondo che ne difetta. Per poter lasciare l'articolo 31 così come è redatto bisognerebbe che esso non limitasse la sua efficacia entro la frontiera della nazioni, ma divenisse un elemento fondamentale di una politica economica internazionale. Solo così ci avvicineremmo alla realtà. Infatti l'Italia oggi ha due milioni di disoccupati, per i quali spende giornalmente 300 lire per unità, quindi 600 milioni al giorno. Ora, anche se questo articolo che discutiamo sarà approvato, il popolo italiano, i disoccupati diranno: «sì, lo Stato ci riconosce questo diritto, ma che vale se questo diritto non può realizzarsi, se manca il soggetto passivo contro il quale farlo valere? Un diritto sfornito di azione è vuoto di contenuto. Per avvicinare alla realtà, lo spirito di questa disposizione, non si deve parlare di diritto, ma si deve dire soltanto che lo Stato promuove le condizioni per eliminare la disoccupazione e si impegna a proteggere tutti gli uomini che, per ristrettezza di territorio, sono costretti a varcare le frontiere nazionali. Sotto questo punto di vista, l'articolo acquisterebbe rilievo e per questo insisto nell'emendamento.

Presidente Terracini. L'onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento:

«Al primo comma aggiungere: Essi potranno esercitare la loro professione, arte o mestiere in qualsiasi parte del territorio nazionale».

Ha facoltà di svolgerlo.

Nobile. Avevo già presentato questo emendamento quando si discusse l'articolo 10. Ricordo ai colleghi che questo articolo stabilisce che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio italiano...» Mi sembrò allora e mi sembra anche adesso che, se nella Costituzione si afferma un diritto così elementare che certo nessuno oserebbe discutere, a maggior ragione bisogna affermare il diritto che ogni cittadino ha di esercitare la propria professione, arte o mestiere in qualsiasi punto del territorio nazionale. Mi fu suggerito allora dal Presidente della prima Sottocommissione di trasferire questo emendamento all'articolo 31, ciò che per l'appunto ho fatto. Non ho bisogno di aggiungere altre parole a titolo di giustificazione. Mi basta dire che esso serve a premunirci contro possibili aberrazioni dell'ordinamento regionale. Per metterci al riparo da esse bisogna che nella Costituzione sia detto qualcosa in proposito. Mi riferisco soprattutto al fatto che, già oggi, nell'Alto Adige, si comincia a rendere difficile il soggiorno e l'esercizio della propria professione a medici di altre parti d'Italia. Ad evitare che fatti di questo genere si possano ripetere su larga scala, quando avremo, se avremo, un ordinamento regionale, occorre inserire l'aggiunta da me proposta al primo comma dell'articolo 31. Mi faccio forte, per insistere che l'emendamento sia messo in votazione, anche della competenza, che nessuno mette in discussione, dell'onorevole Di Vittorio, il quale mi ha esortato a mantenere l'emendamento.

Presidente Terracini. L'onorevole Cortese ha già svolto il suo emendamento, tendente a sopprimere il secondo comma.

L'onorevole Foa ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La Repubblica può richiedere ai cittadini la prestazione di un servizio del lavoro.»

Ha inoltre proposto di sopprimere il terzo comma. L'onorevole Foa ha facoltà di svolgere i due emendamenti.

Foa. Si è ritenuto nel Progetto di stabilire una simmetria tra diritto al lavoro e dovere del lavoro. Credo che si debba rispettare questa esigenza di simmetria.

Ma, leggendo e rileggendo con attenzione il secondo comma dell'articolo 31, debbo confessare che non sono riuscito a trovare un accenno qualsiasi che concordi con questa affermazione. L'unico significato che mi è dato di trarne, almeno secondo le mie facoltà interpretative, è questo: che ogni cittadino ha il dovere di operare in conformità e secondo la propria scelta, cioè ha il dovere di fare i suoi comodi. È l'unica norma che si può trarre, a mio giudizio, dal secondo comma dell'articolo 31, ed il terzo comma dello stesso articolo è collegato a questo strano dovere che non mi sembra debba essere formulato esplicitamente nella Costituzione. Mi sembra che questa formulazione sia difettosa nel significato. Può essere che l'interpretazione difettosa sia la mia, ma mi pare che la formulazione che ogni cittadino ha il dovere di fare un lavoro in conformità della propria scelta è, oltre tutto, una amara ironia perché noi sappiamo molto bene che nonostante tutta la retorica che si possa fare sul lavoro, la quasi totalità del lavoro manuale non si svolge in conformità della propria scelta, ma che i dati che si pongono al lavoratore sono dati obbligati. Ora, mi pare che questa formulazione abbia un significato ironico che non dovrebbe trovare posto nella Costituzione.

Penso che se si deve stabilire un dovere al lavoro, corrispondente al diritto al lavoro, questo dovere deve riflettere l'atteggiamento del singolo nei confronti della società organizzata politicamente, cioè dello Stato, e che quindi il dovere al lavoro si traduca, come sua sola formulazione plausibile, in un diritto, da parte dello Stato, di richiedere la prestazione del lavoro dei singoli. Questo mi pare che sia, nell'articolo 31, esplicitamente escluso, perché quando si dice che ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività che concorra allo sviluppo, materiale o spirituale della società, conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta, è esclusa qualunque possibilità da parte della Repubblica di richiedere al cittadino un determinato lavoro.

Ora, noi sappiamo benissimo che lo Stato richiede ai cittadini un'aliquota del loro lavoro, in forma monetaria, attraverso tributi; noi sappiamo che in certe circostanze lo Stato richiede un'aliquota di lavoro in prodotti, attraverso i conferimenti obbligatori. Non credo che dobbiamo, per un indefinito avvenire, limitare ed escludere il diritto dello Stato di richiedere ai cittadini una prestazione di lavoro quando questa possa servire al benessere della collettività. Allo stesso modo come noi sappiamo che lo Stato ha il diritto di richiedere la prestazione al cittadino per la difesa del territorio della Repubblica, senza che sia fissata nessuna limitazione, perché le limitazioni saranno fissate dal grado di civiltà dei cittadini, così, per quello che sarà un eventuale diritto futuro, lo Stato italiano deve poter richiedere una prestazione di lavoro al cittadino, che sarà limitata dal grado di coscienza democratica e di evoluzione civile dello Stato democratico.

Con l'occasione, svolgo anche l'altro emendamento, di soppressione del terzo comma, che è collegato con quello che ho testé svolto. Rilevo che, se venisse accettato il mio emendamento al secondo comma, l'ultimo comma non avrebbe più ragion d'essere. Nel caso invece che il mio emendamento al secondo comma sia respinto, io intendo rinunciare all'emendamento soppressivo del terzo comma, perché è evidente che la sanzione della privazione dell'esercizio dei diritti politici, data la genericità con la quale è stato formulato il dovere del lavoro, è una sanzione di carattere morale, mancando qualunque possibilità di valore giuridico. Qualora invece si concretasse il dovere del lavoro, non vi sarebbe più bisogno di una sanzione di questo tipo, cioè di una sanzione morale. Io non faccio la questione del collegamento fra l'articolo 31 e l'articolo 45. Questa è una questione che, non essendo ancora stato votato l'articolo 45, non pone nessuna limitazione per la votazione dell'ultimo comma dell'articolo 31. Quindi, mantengo la mia proposta di soppressione del terzo comma, nel solo caso che venga approvato il mio emendamento al secondo comma.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento degli onorevoli Morini, Taddia, Persico, Gullo Rocco, Bennani, Di Giovanni, Lami Starnuti:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«Ogni cittadino ha il dovere di lavorare, conformemente alle proprie possibilità».

L'onorevole Morini ha facoltà di svolgerlo.

Morini. Siamo stati indotti a presentare l'emendamento al secondo comma dell'articolo 31 perché ci sembra che la dizione del Progetto sia troppo lata. E ciò anche in rapporto a quella che è un po' la caratteristica del nostro progetto di Costituzione, caratteristica che comporta allo Stato una quantità di aggravi i quali, se non vi si pone un freno, potrebbero diventare una soma eccessiva. Il secondo comma dell'articolo 31 deve essere considerato in rapporto alla prima parte dell'articolo 32.

Dice il secondo comma dell'articolo 31:

«Ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività od una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società, conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Dice l'articolo 32:

«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di un'esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia»

Immediatamente la domanda che viene spontanea è questa: chi paga queste retribuzioni? In genere paga il beneficiario di quell'attività o di quella funzione. Ma nella formula dell'articolo 31 rientrano attività che non si risolvono a favore di una determinata persona o ente, ma si svolgono a vantaggio della società, presa nella sua essenza religiosa, come direbbero i colleghi democristiani.

È inutile fare dei sottintesi: è pacifico che rientra in questo caso l'ordine religioso contemplativo, rientra in esso chi fa della propria vita una dura rinuncia, ad esempio, in una continua preghiera, a favore dell'umanità per i peccati degli uomini. Ed allora è pacifico che domani si potrà dire che questa retribuzione dovrà essere pagata dallo Stato, cioè dalla società organizzata.

Ed è qui il nostro dissenso: nessuna obbiezione a quella che è caratteristica gelosa dell'organizzazione della Chiesa, ma anche nessun addentellato per nuovi aggravi.

Sopprimere allora il secondo comma dell'articolo 31? No! perché esso è il completamento del primo comma. Nel primo comma si parla del diritto al lavoro, nel secondo comma si parla del dovere al lavoro. Inoltre esso è avvio e premessa al terzo comma, che contiene la sanzione politica per chi si sottrae al dovere del lavoro, circoscritto nei limiti delle sole possibilità di ciascuno. Manteniamo quindi il secondo comma nella nuova formulazione da noi proposta per impedire nuovi aggravi allo Stato, perché questo non continui ad essere il Cireneo moderno di tutte le situazioni in cui vi sia carenza o insufficienza di soggetto passivo.

Presidente Terracini. Segue l'emendamento della onorevole Federici Maria:

«Al secondo comma, sostituire la parola: attitudini alla parola: possibilità».

Ha facoltà di svolgerlo.

Federici Maria. Onorevole Presidente, questo emendamento è stato proposto da me in connessione con altri due emendamenti che si riferiscono rispettivamente agli articoli 48 e 98 del progetto e che appartengono ai Titoli relativi ai diritti politici e alla Magistratura. Mi riservo, in sede di discussione di quegli articoli, di chiarire questo concetto della «possibilità», perché tale parola in questo articolo costituisce una limitazione per la donna nel campo del lavoro.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Zotta e Cassiani hanno presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma sopprimere le parole: conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta, e sostituirle col seguente comma:

«Ogni cittadino è libero di scegliere la propria occupazione».

L'onorevole Zotta ha facoltà di svolgerlo.

Zotta. L'articolo 31 parla nel primo comma del diritto al lavoro, nel secondo comma del dovere del lavoro e della libertà di scelta della professione; nel terzo, infine, commina una sanzione contro chi non lavora, la quale consiste nella perdita dell'esercizio dei diritti politici.

Questo articolo, come d'altronde il complesso delle norme che riguardano la disciplina del lavoro, fissa uno status professionale. Indubbiamente ogni cittadino, in quanto lavoratore, si trova di fronte agli altri lavoratori in una specifica situazione di fatto e di diritto che qualifica, distingue la sua persona nella società. E ugualmente la categoria dei lavoratori del medesimo tipo assume di fronte alle altre categorie di lavoratori, nell'odierno assetto economico e giuridico, una particolare personalità ed autonomia e così si inserisce nell'organizzazione dello Stato. Dunque vi è uno status professionale.

Ora la questione che sorge è questa: se questo status abbia effetti nell'ordinamento costituzionale, nel senso cioè che esso costituisca un motivo di privilegio, di differenziazione tra i cittadini, una condizione per la partecipazione stessa alla vita politica della società. E allora mi viene da pensare alla strana situazione in cui in un tempo si trovavano i cittadini. Dante è costretto ad iscriversi alla Corporazione degli speziali per esercitare i diritti politici; la Costituzione russa prescrive che chi non lavora non mangia; e il medesimo concetto è ripetuto nella Costituzione jugoslava «chi non dà nulla alla comunità non ha diritto di ricevere nulla dalla stessa».

E la nostra Costituzione? Il progetto esclude chi non lavora dall'esercizio dei diritti politici. Al di fuori delle accennate costituzioni russa e jugoslava, le quali peraltro non si concretano in particolari disposizioni coercitive o in una sanzione particolare, l'Italia è il primo paese che introduca una limitazione nella capacità civile a carico dell'individuo che non lavora. Dunque lo status professionale incide sulla capacità giuridica del cittadino.

Finora si insegnava che per la persona fisica, unica condizione per essere subietto di diritto fosse quella di essere uomo, che la capacità giuridica, cioè quel complesso di poteri e di facoltà che definisce l'individuo nell'organizzazione sociale, appartenesse all'individuo fin dalla nascita, e che essa potesse essere limitata relativamente soltanto ad alcuni diritti, per ragione di sesso, di età, d'infermità o di condanna penale. Una innovazione fu introdotta tanto infelice e fu quella che metteva al bando della vita civile gli appartenenti alla razza ebraica. Vogliamo noi continuare nel sistema e dividere, senza un criterio sicuro ed obbiettivo di valutazione e di discriminazione, i cittadini in probi e reprobi?

Non tanto, onorevoli colleghi, mi preoccupa l'introduzione del principio, del quale è a temere soltanto la pericolosità, la tendenziosità dell'applicazione e non già la rispondenza ad uno stato di fatto sussistente nella realtà — io non ho mai trovato finora alcuna persona sana la quale non lavorasse perché non volesse lavorare, ma centinaia di migliaia di uomini che non lavorano perché non trovano da lavorare — non tanto, dicevo, mi preoccupa l'introduzione del principio in Italia, proprio in Italia dove tutti gli uomini, siano ricchi, siano poveri, vivendo in un'atmosfera di miseria che minaccia di giorno in giorno di soffocare il popolo tra gli artigli della fame, sono naturalmente stimolati da una spinta individuale e da una spinta collettiva ad acuire il proprio ingegno, a raffinare la propria intelligenza fino all'esasperazione, ad intensificare la propria attività sino a moltiplicarla per cercare di far fronte ai mille bisogni, cui le desolate condizioni di natura non provvedono: mi preoccupa invece che si perpetui il sistema di introdurre, ora per una ragione ora per un'altra, in una ininterrotta vicenda di azioni e di reazioni, di avvisaglie e di rappresaglie, limitazioni di capacità che costituiscono violazione dei diritti primordiali della personalità umana. Ciò è essenzialmente antidemocratico.

Chi non sente tutta la bellezza di questo principio etico del dovere sociale del lavoro? Ricordo i versetti della Scrittura: Siamo fatti per lavorare, come gli uccelli per volare. È un principio di natura e, appunto perché è un principio di natura, non era stato mai fissato precedentemente nelle Costituzioni.

Soltanto adesso alcune Costituzioni ne parlano; ma come di un dovere morale e sociale; usano termini elevati, termini non giuridici. La Costituzione estone parla di onore del lavoro. La Costituzione germanica dice in proposito: «Ogni tedesco, pur conservando la sua libertà personale, ha il dovere morale di impiegare le sue energie spirituali e corporali in modo da riuscire utile alla collettività». Quale obbligo sociale e con speciale riferimento alla protezione, della legge il lavoro viene definito nelle costituzioni di Costarica, Nicaragua, Panama, Uruguay.

Perché vogliamo offendere il popolo italiano, che è lavoratore al massimo, mostrando di non voler fidare nella sua sensibilità morale? I concetti morali hanno una forza, una vitalità che supera la contingenza politica del momento. Il lavoro è la legge immutabile della nostra vita, ed è condizione non solo del progresso economico, ma anche di elevazione intellettuale e morale, per cui già si pone male il problema quando si pensa che al lavoro abbiano la spinta soltanto coloro che siano stretti da necessità economiche. Ma, svuotato il termine lavoro del suo contenuto etico, cioè della condizione della sua obiettività ed universalità, e ristretto ad una nozione giuridica, cioè ad un obbligo di fare con minaccia di sanzione, ecco allora la grande questione: che cosa è il lavoro? E la risposta la darà la forza politica predominante nel momento. Si profila così, nel delineare il concetto, una pericolosa incertezza, una nebulosità di linee e di confini, che fa temere che domani saranno soltanto elementi contingenti e, forse, anche ciechi istinti a determinare chi bisogna proteggere e chi bisogna perseguitare, chi è lavoratore e chi non è lavoratore. È per questa ragione che chiedo la soppressione dell'ultimo capoverso dell'articolo.

Presidente Terracini. Gli onorevoli Caso, Coppa e De Maria, hanno presentato il seguente emendamento:

«Al secondo comma sopprimere le parole: e alla propria scelta, e aggiungere, dopo la parola: possibilità, le parole: fisiopsichiche e tenuto conto delle preferenze individuali».

L'onorevole De Maria ha facoltà di svolgerlo.

De Maria. All'articolo 31 si afferma che il cittadino ha il dovere di svolgere una attività o una funzione conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta.

Siccome le possibilità sono un'affermazione tanto generica quanto l'altra della propria scelta, proponiamo di specificare meglio al futuro legislatore cosa possa significare la frase nel suo insieme «conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta» e questo sopratutto allo scopo di richiamare l'attenzione sopra i postulati di una scienza moderna, cioè la psicotecnica, la quale studia appunto le possibilità dell'organismo umano in rapporto all'orientamento e alla selezione professionale.

Se si vuole limitare l'affermazione al dovere di svolgere una attività oppure una funzione qualsiasi che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società, allora varrà la pena di sopprimere il resto del secondo comma; ma se nella Costituzione si vuole fare accenno alle possibilità del cittadino (specificando di quali possibilità si tratti) e alla propria scelta (accennando alle condizioni e modalità della scelta di una determinata professione o di un determinato mestiere), allora converrà aggiungere alla parola «possibilità» le parole «fisiopsichiche e tenuto conto delle preferenze individuali» (se fisiopsichiche è troppo tecnico: organiche). Con questa dicitura si entra nel campo della razionalità scientifica: senza peraltro imporre preventivamente alcun obbligo al legislatore, gli si dà l'indicazione per una possibile attuazione, nelle future leggi di tutela del lavoro, di tutte quelle norme che servano a proporzionare sempre meglio le attività fisiche e psichiche di ogni individuo, non padrone assoluto di una scelta più o meno empirica della sua professione, ma disponendo delle proprie energie in rapporto con quelle preferenze individuali, che, insieme con lo studio, delle attitudini individuali, concorrono alla scelta del mestiere ma non lo determinano da sole. Di qui può arguirsi tutta la importanza di questa precisazione, a prima vista superflua o eccessivamente unilaterale dal punto di vista medico, sol che si tenga presente quanta dispersione di energie lavorative e quanta mancata selezione nei vari mestieri siano dovute, per lo più, alla scelta empirica della propria attività di lavoro, senza cioè il concorso di un accertamento, sia pure con una componente volontaria, delle attitudini individuali.

E si tenga conto inoltre che lo Stato, interpretando, disciplinando e razionalizzando anche questa componente volontaria nello studio e nella determinazione delle attitudini, alla luce delle ultime conquiste della psicotecnica, verrebbe ad immettere nella società un patrimonio intellettivo finora inesplorato fra i lavoratori, quanto mai suscettibili di sviluppi geniali o almeno educativi, a favore della intera Nazione.

Il secondo comma resterebbe dunque per noi così formulato:

«Ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività o una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società conformemente alle proprie possibilità fisiopsichiche e tenuto conto delle preferenze individuali».

Allo stesso articolo 31 proponiamo poi l'abolizione del terzo comma ove è detto che, in caso di inadempimento del dovere del lavoro, possono essere sancite delle limitazioni o abolizioni dei diritti politici. Questo comma è in contrasto con l'articolo 45 del Titolo quarto ove è detto: «Non può essere stabilita nessuna eccezione al diritto di voto se non per incapacità civile o in conseguenza di sentenza penale».

Il legislatore di domani, se fosse approvato il terzo comma dell'articolo 31, potrebbe trovarsi nella condizione di dover sancire la privazione del voto per un cittadino che non adempisse al suo dovere di lavoro; mentre all'articolo 45 è stabilito il contrario.

Per queste ragioni proponiamo l'abolizione del terzo comma dell'articolo 31.

Concludo insistendo sopratutto sulla opportunità del primo emendamento poiché, utilizzando i risultati conseguiti dalla scienza medica nel campo dello studio delle attitudini e attività professionali, contribuiremo efficacemente al migliore avvenire sociale e politico della Patria.

Presidenza del Vicepresidente Tupini

Presidente Tupini. L'onorevole Gabrieli ha proposto di sopprimere il terzo comma.

Ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Gabrieli. L'ultimo comma dell'articolo 31 si propone di condizionare l'esercizio dei diritti politici all'adempimento dell'obbligo stabilito nel secondo comma dell'articolo 30.

Mi permetto di far rilevare che questo comma contrasta in maniera assoluta con l'articolo 3 della Costituzione, dalla Costituente già approvato, nel quale si fa dipendere l'esercizio di tutti i diritti civili e politici dalla semplice qualità di cittadino. Esso contrasta inoltre con l'articolo 45 che dovremo approvare, in cui si dice che il diritto elettorale attivo non dipende se non dalla qualità di cittadino. Mi permetto di ricordare che la sospensione o la perdita totale dei diritti politici dipende da sentenza penale di condanna che supera determinati limiti di pena. Solamente in quel caso il cittadino entra in condizioni di inferiorità morale e giuridica e perde definitivamente o in maniera temporanea, a seconda della gravità della condanna, l'esercizio dei suoi diritti.

Presidente Tupini. Anche gli onorevoli Bosco Lucarelli, Cappi e Cappugi hanno proposto di sopprimere il terzo comma.

L'onorevole Bosco Lucarelli ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Bosco Lucarelli. Rinunzio allo svolgimento associandomi a quanto ha detto l'onorevole Gabrieli.

Presidente Tupini. Gli onorevoli Benvenuti e Dominedò hanno anch'essi proposto di sopprimere il terzo comma.

L'onorevole Benvenuti ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Benvenuti. Onorevoli colleghi, è evidente che sono in gioco in quest'ultimo capoverso dell'articolo 31 i diritti fondamentali del cittadino: in particolare verrebbe da tale disposizione ad essere minato uno dei diritti, senza dei quali non vi è democrazia, e cioè il diritto di partecipazione di tutti i cittadini alla formazione della legge.

Ora si può discutere se il potere costituente abbia, o non abbia, fra le sue facoltà quella di limitare o di togliere ad alcune categorie di cittadini questo particolare diritto. Quello che, a mio avviso, non può essere ammesso, è che un tale diritto venga messo in balìa degli arbitrî del potere legislativo, come praticamente avverrebbe se si approvasse questo capoverso.

Mi permetto di rilevare che la Corte costituzionale in nessun caso sarebbe in condizione di cassare una legge elettorale, la quale togliesse i diritti fondamentali politici ai cittadini sulla base del capoverso 2 dell'articolo: in quanto o la Corte costituzionale per non invadere l'orbita del potere legislativo dovrebbe dichiararsi incompetente, ovvero dovrebbe entrare in questioni sottili di apprezzamento di natura sociale e politica che, a mio avviso, esorbitano completamente dai poteri di un organo giurisdizionale. Quindi praticamente, nessuna legge elettorale, che limitasse i diritti dei cittadini in base al capoverso dell'articolo, 31 potrebbe andare soggetta a censura da parte della Corte costituzionale: donde possibilità di ripetuti arbitrii da parte di tutte le maggioranze parlamentari, che di volta in volta potrebbero, in certo modo, rifare il loro corpo elettorale appoggiandosi al terzo capoverso.

Quindi è fondamentale che il terzo comma sia soppresso.

Presidente Tupini. L'onorevole Cortese ha già svolto il suo emendamento tendente a sopprimere il terzo comma.

L'onorevole Mortati ha presentato un emendamento che propone di «rinviare la discussione dell'ultimo comma al momento dell'esame dell'articolo 45, col terzo comma del quale è in netta contraddizione».

Ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Mortati. È indubbia l'opportunità del rinvio dell'ultimo comma al momento dell'esame dell'articolo 45 relativo ai diritti politici, in quanto che, quando si discuterà l'articolo 45, si dovranno esaminare alcuni casi di esclusione dal diritto elettorale che hanno dei punti di collegamento e sono in riferimento con l'adempimento delle attività lavorative. Ed allora sarebbe opportuno che queste ipotesi siano considerate nella stessa sede e pertanto propongo il rinvio.

Presidente Tupini. Occorre che lei chiarisca, onorevole Mortati, la portata del suo emendamento, se cioè si tratta di rimandare la discussione nel merito o di fare una questione di collocamento, poiché in quest'ultimo caso potremmo studiare il problema dopo aver approvato il primo ed il secondo comma. Se fa una discussione di merito, le faccio osservare che la questione già è stata sufficientemente esaminata.

Mortati. La mia proposta — come risulta dalla sua stessa formulazione — era quella di rinviare la discussione, poiché vi sono altri casi ed altre ipotesi di limitazione del diritto del voto che potrebbero porsi in relazione con il dovere del lavoro (come quello dei ricoverati negli ospizi di mendicità), quindi è opportuno esaminarli globalmente. Propongo pertanto il rinvio della discussione all'articolo 45.

Presidente Tupini. L'onorevole Nitti ha proposto di sopprimere il secondo e il terzo comma.

Ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Nitti. Ieri avrei voluto parlare su questo Titolo terzo: «Rapporti economici», ma una noiosa raucedine ed anche la febbre mi impedirono di attenermi al mio proposito. Mi permetterò oggi di dire solo poche parole. Io ritengo che questo Titolo terzo sia di estrema gravità; e molte di quelle cose che oggi ci proponiamo di votare, facilmente potranno costituire per l'avvenire un grave peso su tutta l'economia nazionale. La massa enorme di promesse che vi sono contenute non potremo mantenerle.

Mi limito oggi a spiegare per quali ragioni io vorrei che gli articoli 31 e 32 fossero in parte modificati o soppressi. Noi affermiamo nell'articolo 31 che la «Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto». Ciò non manca di gravità, perché costituisce peso enorme e indefinito. È naturale che il lavoro abbia le sue esigenze, e per quanto è possibile noi dobbiamo cercare di dare al lavoro il posto che merita nella nostra società. Si afferma che «ogni cittadino ha il diritto di svolgere una attività o una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta»; e si aggiunge (e non è proprio necessario) che «l'adempimento di questo dovere è condizione per l'esercizio dei diritti politici». Si afferma poi che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia. Il lavoratore ha diritto non rinunciabile al riposo settimanale ed a ferie annuali retribuite». Buoni propositi! Chi ha scritto questo articolo vorrei che me lo spiegasse. Esso costituisce un fatto nuovo. Che questo articolo possa essere scritto come una aspirazione, poetica e sentimentale, io mi spiego. Questo articolo sembra inspirato da una concezione russa. Né meno in Russia ora è realizzabile, ma potrebbe essere in lontano avvenire. Un paese che ha estensione immensa, abbondanza di materie prime — seppure attualmente manchi di tutto — può esprimere questo come un proposito, come una volontà avvenire. L'Italia può veramente fare queste cose come promesse? L'Italia non può vivere da sé sul suo territorio. Chi fa queste promesse non solo per l'avvenire ma per il presente vaneggia. L'Italia ha un piccolo territorio dove su 310 mila chilometri quadrati deve vivere una massa enorme di uomini. Sopra un ettaro di terreno coltivabile devono vivere due uomini e mezzo. L'Italia non ha materie prime. È il solo paese d'Europa che si trovi in queste gravi condizioni. Non vi sono che due grandi paesi continentali in Europa che hanno un territorio limitatissimo, la Germania e l'Italia.

L'Italia ha press'a poco la stessa densità di popolazione della Germania, presso a poco 140 abitanti per chilometro quadrato. Ma la Germania ha infinite risorse: oltre ad avere un territorio quasi tutto in pianura, molto più fertile di quello dell'Italia, con una rete di canali, ha una più grande quantità di materie prime, sovratutto carbone e altri combustibili fossili. Quindi, essa ha tutte le condizioni per una grande industria. La sola Ruhr, che ha un territorio piccolo come quello di un circondario italiano, ha produzione tale che può comperare all'estero tutte le materie prime per tutta la Germania con i soli prodotti della Ruhr.

Noi facciamo promesse sulla carta: garantiamo condizioni di vita, che poi non potremo dare mai, per gran tempo al popolo italiano. Noi non possiamo garantire nulla di ciò che promettiamo. Il popolo italiano dovrà vivere di sforzi. Esso non è mai vissuto delle risorse del proprio territorio. L'Italia, per formarsi, ha dovuto mandare all'estero fino ad un milione di uomini all'anno, in via temporanea o in via definitiva. L'Italia ha dovuto utilizzare tutte le sue risorse, per poter vivere. E noi ci mettiamo a garantire qui, seriamente, che alle famiglie italiane noi daremo ora un alto tenore di vita. Non potremo dare mai ciò che l'Italia non ha mai avuto.

Avendo adottata la formula politica che abbiamo adottato, non dobbiamo discreditarla, promettendo cose che l'Italia non può ora e non potrà dare né meno in avvenire prossimo.

Io devo dire che noi dobbiamo dare al popolo italiano, con ogni sforzo, una sensazione di vita, non false illusioni. Il popolo italiano non può vivere nelle difficoltà attuali che penosamente e dovrà incontrare terribili difficoltà per molti anni. Mentiscono coloro che adesso affermano che in pochi anni la situazione italiana diventerà non solo normale, ma facile e che di nulla mancheremo. Costoro dicono cose non vere. L'economia italiana si potrà riprendere solo lentamente, penosamente e con grande sforzo e fatica.

Ora, come possiamo promettere a cuor leggero che daremo al lavoratore, in ogni caso, un'esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia? Non l'ha mai avuta. Potremo garantirla solo perché abbiamo la Repubblica e diciamo di essere una democrazia?

Noi possiamo proporci tutte le buone ed oneste cose che vogliamo, ma non potremo dare ciò che non è possibile.

Noi possiamo assumere degli obblighi di ordine morale, ma non di ordine materiale. Noi dobbiamo rimanere nella realtà.

Quando da una parte e dall'altra di questi settori si raggiunge, per sentimenti diversi, un accordo nell'espressione di tendenze ottimiste, io so che gli uni e gli altri non manterranno, non potranno mantenere, perché la realtà è più forte delle illusioni.

Io non vorrei far diffondere queste illusioni nell'animo popolare.

Parlerò dopo, se mi riuscirà, su quanto riguarda il lavoro, i diritti al lavoro, lo sciopero e i conflitti del lavoro.

In sede di discussione degli articoli mi permetterò di fare solo qualche osservazione.

Voglio ora limitarmi a dire che non intendo, da parte mia, garantire alcune promesse che so non potere essere mantenute. Quindi ho proposto di sopprimere le parole che esprimono impegni non realizzabili. Si parla facilmente di rendere dignitose e prospere le condizioni della famiglia! La famiglia in Italia è più numerosa che, quasi, in qualunque altro paese civile. E vi sono persone inconsce che sperano in famiglie che diventino più numerose. Mussolini premiava le famiglie numerose, quasi non bastasse che la famiglia italiana sia, fra i grandi Stati di Europa dell'occidente, la più numerosa. Mussolini la voleva numerosa solo perché aveva l'illusione che così avrebbe fatto esplosione, avrebbe portato la guerra nel mondo. Ora la famiglia italiana non può darsi nemmeno questo lusso. La famiglia italiana deve essere elemento di ordine e di pace e deve prima di tutto conquistare la vita, il diritto di esistenza, non pensare a niente di quello che turba il mondo. E però, dunque, io spero che il tempo delle follie ideologiche in un senso o nell'altro sia definitivamente finito.

Nella unione attuale fra democristiani e comunisti non si può procedere troppo avanti senza danno. Unioni provvisorie d'azione politica per scopi temporanei e temporanee esigenze sono possibili qualche volta forse senza danno. Ma unione permanente di programmi non è verosimile senza danno di tutti o senza infingimenti. La falce e il martello e la croce e l'aspersorio non possono avere né gli stessi ideali, né la stessa azione. In avvenire ognuno deve seguire la sua via. La libertà deve essere difesa contro tutte le insidie. Se la concordia in tempi calamitosi è utile, non sempre è utile, spesse volte è dannosa. Io non ho da dire che poche parole per mettervi in guardia, e cioè che gli articoli 31 e 32, così come sono stati concepiti, non sono possibili, perché promettono delle realtà non reali, promettono cose che non possono essere mantenute, stabiliscono impegni dello Stato che lo Stato non potrà mantenere né meno in avvenire anche in paesi ben più ricchi.

Mi riservo, in seguito, di dimostrare come qualche altra illusione sia non meno pericolosa. Mi limito oggi a questa semplice osservazione o piuttosto a qualche semplice richiamo.

Presidente Tupini. L'onorevole Ruggiero Carlo ha presentato il seguente emendamento:

«Al terzo comma, tra la parola: dovere, e le parole: è condizione, inserire: salvo i casi di provata impossibilità».

Ha facoltà di svolgerlo.

Ruggiero Carlo. Onorevoli colleghi, l'ultimo comma dell'articolo 31 ha gettato un po' di confusione in molti spiriti, tanto è vero che con molta insistenza, da parte di parecchi settori della Camera, sono pervenuti emendamenti, i quali chiedono concordemente la soppressione del comma stesso.

Io debbo osservare che, se noi consideriamo il comma come fatto a sé stante, indipendentemente dal contesto della Costituzione e come avulso da questa, il comma ultimo dell'articolo 31 potrebbe apparire come eccessivo, perché potrebbe creare una specie di menomazione a quella che è la dignità o la libertà del cittadino. Ma, se voi considerate questo comma in rapporto al complesso delle norme costituzionali approvate fino a questo momento, voi vedrete che questo comma appare come il corollario, come la conseguenza logica di quello che è stato da noi stabilito nelle norme costituzionali precedenti. Vedete, noi abbiamo assunto il lavoro nella Costituzione come fondamento della Repubblica, tanto è vero che nell'articolo 1 è scritto che l'Italia è una Repubblica che trova il suo fondamento nel lavoro. Questo significa che il lavoro viene considerato da noi come elemento sostanziale e come fatto fondamentale. Insomma, noi diciamo nella Costituzione che è il lavoro che dà un contenuto etico alla nostra vita di cittadini italiani.

Affermato questo principio, che oramai è irrevocabile, perché è stato sancito nella Costituzione, ci troviamo di fronte a questo dilemma: questa affermazione deve rimanere un'affermazione astratta, metafisica, rinviata e relegata nel campo ideologico delle astrazioni, oppure questa affermazione deve trovare riscontro nella realtà pratica? Perché, se si è di questo secondo avviso, io penso che in un solo modo noi possiamo tradurre in realtà pratica il principio fondamentale che abbiamo assunto, cioè il lavoro: dando al principio la sanzione, e propriamente la sanzione che è contenuta nell'ultima parte dell'articolo 31. Perché io vedo l'ultimo comma dell'articolo 31 come una sanzione. Colui il quale non lavora, colui il quale non osserva il principio che deve essere considerato come lo spirito informatore della Carta costituzionale, andrà incontro a questa misura, cioè alla privazione dell'esercizio dei diritti del cittadino, inteso come elettore.

Quindi, o riteniamo che l'articolo 1 debba avere attuazione pratica; e allora, necessariamente dobbiamo addivenire all'accettazione dell'ultima parte dell'articolo 31; se no l'articolo 31 — ripeto — resterà un'affermazione vuota di ogni vero contenuto giuridico, assolutamente improduttiva di effetti, assolutamente inefficace e inoperante.

Ora, quando si parla di sanzione, onorevoli colleghi, si pensa a qualche cosa che possa mortificare un po' la dignità e la libertà del cittadino. Nella specie mi sembra di no. C'è stato il collega onorevole Zotta, il quale diceva che in una Costituzione moderna era sancito il principio — che poi è il principio di San Paolo — per cui chi non lavora non mangia. In quella Costituzione, esiste la sanzione, ma intesa in senso direi materialistico o, diciamo la parola più esatta, in senso corporale. Qui invece esiste una sanzione, la quale — secondo il mio modesto parere — non vale a mortificare la dignità e la libertà del cittadino, ma vale invece a conferire prestigio al principio del lavoro, cioè a quel principio che abbiamo assunto come fondamentale elemento della Carta costituzionale. Perché? Perché, quando si dice che l'elemento essenziale del cittadino è la sua attività, il suo lavoro, e si assume il lavoro a tale elevazione di concezione, è giusto che la sanzione abbia lo stesso valore cioè corrisponda ad una privazione che incide sul diritto e sulla funzione del cittadino. L'esercizio dei diritti politici costituisce una funzione e un diritto squisitamente propri del cittadino. La sanzione che consiste nella privazione di questo diritto assume un valore direi quasi etico, che è corrispondente al valore dato al principio del lavoro. Non è quindi sanzione di ordine materiale e corporale, che angustia e mortifica, ma sanzione che — secondo me — dona prestigio al lavoratore in quanto ne aumenta la sensibilità morale e corrisponde ad una funzione squisitamente personale. Quindi non dovrebbe sgomentare ed impaurire, secondo me, questa forma di sanzione contenuta nell'articolo 31.

Io vorrei fare osservare ai colleghi democratici cristiani che furono proprio i rappresentanti del loro partito, in seno alla Sottocommissione, che proposero l'ultimo comma dell'articolo 31. Infatti il collega Basso inizialmente volle che si stabilisse un principio così formulato: «Tutti i cittadini concorrono all'esercizio di questo diritto, tranne quelli che ne sono legalmente privati, o che volontariamente non esercitino attività produttive». L'onorevole Merlin aderiva senz'altro alla proposta, ma l'onorevole Moro, che pur era d'accordo sul principio, propose questa formula: «L'adempimento di questo dovere al lavoro è presupposto per l'esercizio dei diritti politici». La formula, come vedete, è dell'onorevole Moro. E l'onorevole La Pira, che faceva parte della stessa Sottocommissione, si associò all'emendamento di Moro. Non capisco questa levata di scudi all'ultimo momento contro questo articolo da parte della Democrazia Cristiana. Debbo fare notare però che non può essere accettato il comma dell'articolo 31, così come è formulato, perché in effetti ha una enunciazione troppo generica e non comporta né distinzioni né discriminazioni. La dizione è troppo cruda perché l'articolo non prevede i casi di chi non può adempiere, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, a questo dovere. Ho proposto perciò un emendamento che tiene conto di questi casi particolari: «L'adempimento di questo dovere, salvi i casi di provata impossibilità, è condizione per l'esercizio dei diritti politici». L'emendamento verrebbe a rientrare in un ambito più ristretto e forse più aderente alla realtà pratica perché prevederebbe così i casi di deficienza fisica e psichica come l'involontaria impossibilità in cui uno può trovarsi a causa della disoccupazione. Per tutti questi casi io ritengo che si possa far luogo all'accoglimento di questo emendamento.

C'è poi una questione di carattere, diciamo così, procedurale, perché si dice che il comma ultimo dell'articolo 31 sarebbe in contrasto con l'articolo 45. Mi permettano, onorevoli colleghi, di fare osservare, che se è vero che l'ultimo comma dell'articolo 31 va inteso come una sanzione, mi pare che la sanzione debba accompagnare il principio, e prevedere i casi di inosservanza di quel principio, mentre l'articolo 45 parla della facoltà di un diritto e quindi noi, se omettessimo qui l'ultimo comma dell'articolo 31, non statuiremmo la necessaria sanzione e compiremmo un piccolo errore di carattere tecnico.

Per le ragioni da me modestamente espresse, penso che debba essere accettato l'emendamento. È una piccola battaglia che la Costituzione ingaggia contro ogni parassitismo. Questo è il contenuto etico, politico, e, diciamo anche pratico, dell'articolo in questione. Ed io mi sono permesso di formulare l'emendamento perché esso allarga un po' il concetto contenuto nella formulazione originaria.

Presidente Tupini. L'onorevole Bubbio ha presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere all'ultimo comma:

«Tale condizione non è applicabile agli uomini che hanno compiuto il cinquantesimo anno di età, a quelli che godono di pensione, né alle donne qualunque sia la loro età».

Ha facoltà di svolgerlo.

Bubbio. Il mio emendamento ha carattere necessariamente subordinato agli emendamenti di soppressione del terzo comma, perché devo dichiarare subito, in linea pregiudiziale, la perfetta mia adesione ai concetti espressi dagli onorevoli Zotta, Gabrieli, Bosco Lucarelli, Dominedò e Foa per la soppressione del terzo comma dell'articolo 31. Ho sentito l'onorevole Ruggiero, pochi minuti fa, accennare al fatto che in seno alla Commissione, che ha trattato la suddetta materia, ci sono stati colleghi di questo Gruppo i quali sono stati un po' quasi gli innovatori in materia ed i promotori di questa disposizione. Possiamo prenderne atto, ma ciò non impedisce a me, come singolo, quale investito di una rappresentanza politica, di manifestare la mia fiera avversione a questo comma, e quindi di dissentire completamente dalle finalità propugnate dai proponenti. In sostanza, quando parliamo di libertà e di diritti politici intendiamo che essi siano tutelati e che spettino al cittadino, indipendentemente dalla loro particolare condizione in rapporto al lavoro. Il diritto politico è connaturato all'uomo, e qualunque sia la condizione sua, non è ammissibile che possa essere assoggettata a restrizioni, salvi casi di condizioni particolari di indegnità, che la legge attuale già contempla.

Ciò premesso, dichiaro di svolgere il mio emendamento in tesi unicamente subordinata, nell'eventualità cioè che non sia accettata la soppressione del predetto capoverso. Se eventualmente, come non ci auguriamo, la Camera fosse di tale avviso e quindi si dovesse lasciare nella Costituzione che i diritti politici del cittadino sono subordinati all'esplicazione di un'attività, bisognerà necessariamente attenuare la portata di questa norma, come già il collega Ruggiero ha accennato col suo emendamento, nel senso che venga contemplato un certo numero di esenzioni o di eccezioni, non potendosi a tutti applicare un principio così rigoroso. È un concetto d'altronde che sarebbe di assai difficile pratica attuazione. Se è già difficile accertare le condizioni per essere elettori, a quali complicazioni si perverrebbe se si dovesse anche introdurre un altro requisito, per poter essere elettori? Basta questa considerazione per dimostrare la necessità assoluta, in cui ci troviamo, anche per ragioni pratiche, di abolire il comma, o, in subordine, di accogliere emendamento aggiuntivo da me proposto.

Il fondamento su cui questo si basa mi pare sia abbastanza chiaro, senza bisogno di speciali chiose. Se l'esercizio dei diritti politici, secondo l'articolo in esame, è subordinato all'adempimento del dovere di svolgere un'attività o una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società, è ovvio che tale condizione non si possa opporre quando si tratta di persone pervenute ad una tale età per cui si debbano considerare come raggiunte ed esaurite l'attività o la funzione sopraindicate.

Gli è perciò che si è stabilito nell'emendamento l'età del 50° anno per gli uomini. A tale età si può dire che ogni uomo abbia, in linea generale, già esplicato buona parte della sua missione civile e familiare, e quindi non risulta più inderogabile pretendere un ulteriore periodo di attività ovvero il mantenimento della condizione di attività per poter continuare a godere dei diritti politici. Sarebbe invero ingiusto e strano che giunto a tale età, dopo venti, trenta anni di duro lavoro, l'uomo si vedesse defraudato del diritto di voto, che fino allora ha esercitato, solo perché non continua ad esplicare la sua attività, sino all'esaurimento delle sue forze. Basta porre questo dubbio, per persuadersi della necessità dell'apposizione di un termine, che non può essere che quello indicato o quello di una età a tale limite vicina.

L'orientamento della legislazione sociale, in corrispondenza all'estendersi della disoccupazione, all'intensificarsi del lavoro meccanico, all'aumento della natalità, lascia del resto prevedere non lontano il giorno in cui l'uomo a 50 anni potrà godere del giusto assegno di pensione il che naturalmente non gli impedirà di dedicarsi ancora ad una qualsivoglia attività lavorativa della mente o del braccio. Ad ogni modo, pensionato o meno, l'uomo cinquantenne non deve vedersi estromesso dall'esercizio dei suoi diritti politici. All'uomo cinquantenne dovrà, per lo stesso ordine di ragioni, essere parificato chi abbia conseguito un diritto a pensione od assegno, che si presuppone sia appunto maturato in virtù e per effetto dell'opera anteriormente prestata.

Per la donna, invece, si è voluto nell'emendamento proporre che la condizione stabilita nel capoverso anteriore sia inoperante ed inapplicabile. Ciò non è dettato soltanto da un dovere di riguardosa cavalleria verso il così detto sesso debole, che pure da tempo dà luminoso esempio di laboriosità e di iniziativa in questo campo, ma anche soprattutto dalla concezione cristiana della figura sociale della donna, la quale deve essere riguardata essenzialmente quale custode del santuario della famiglia, che è un interesse della società di conservare e di custodire ed irrobustire. È vero che le necessità economiche ognor più gravi hanno spesso distratta la donna da questa altissima missione; nessuno intende qui ostacolare questo incessante movimento di emancipazione, il quale per altro non può essere in antitesi, ma in armonica connessione con l'essenziale funzione della donna in seno alla famiglia, nucleo essenziale della società. Tutti sentiamo tuttavia la potenza della poesia che fa della donna la regina del focolare quale sposa, madre, sorella. Essa, quindi, qualunque sia la sua funzione nell'attività economica e spirituale, solo perché donna ed in quanto tale, ha diritto di godere dei diritti politici senza la limitazione di cui al terzo comma dell'articolo in esame. La proposta trova d'altronde la sua giustificazione nelle gravi difficoltà che bisognerebbe superare per catalogare le donne in rapporto alla loro attività, non potendosi pensare che si debba escludere dai diritti politici chi, in ipotesi, si limitasse ad essere la compagna del marito, senza l'esplicazione di una specifica attività familiare.

La donna, in quanto tale e per sua stessa natura, è imprescindibilmente portata ai lavori domestici e alle cure familiari e si deve considerare come esplicante in ogni età ed in ogni momento un'attività utile alla società. Il lavoro vero e proprio è, invece, appannaggio dell'uomo, perché non dobbiamo dimenticare il motto divino che, se la donna partorirà con dolore, spetta all'uomo di guadagnarsi il suo pane con il sudore della fronte. Quindi confido che l'emendamento proposto sarà approvato, sempre nella ipotesi subordinata che non sia accettata la soppressione dell'intero capoverso che da ogni parte è invocata e sulla quale ancora una volta anch'io insisto.

Presidente Tupini. Segue l'emendamento degli onorevoli Nobili Tito Oro e Condorelli:

«Trasferire l'ultimo comma dell'articolo 10 al primo comma dell'articolo 31 che avrà in tal modo la formulazione seguente:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuove le condizioni per renderne effettivo l'esercizio e tutela il lavoro italiano all'estero».

Chiedo al proponente se non ritiene che questo emendamento sia già assorbito dalla deliberazione dell'Assemblea, che, accettando l'emendamento Dominedò, ha anche accolto questo concetto.

Nobili Tito Oro. L'emendamento che si propone non consta solo dell'elemento aggiuntivo ma anche di un altro elemento, quello modificativo dell'espressione «promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto». Questa espressione si chiede di sostituire con l'altra, indiscutibilmente più propria, «promuove le condizioni per renderne effettivo l'esercizio». Il diritto è diritto: è o non è. Non si può parlare di un diritto in attesa di divenire effettivo. Quindi, nel concetto dell'emendamento proposto, l'espressione «per renderne effettivo l'esercizio» è quella che rispettando l'essenza del diritto, corrisponde in pari tempo allo spirito del progetto.

Quanto all'altra parte dell'emendamento, onorevole Presidente e onorevoli colleghi, sono d'accordo che il voto testé emesso dall'Assemblea sull'emendamento dell'onorevole Tremelloni l'abbia assorbita; ma assorbita fino ad un certo punto, nella sostanza; e per questa parte mi compiaccio che il principio della tutela del lavoro italiano all'estero sia stato assunto qui, nel titolo dei rapporti economici. Ma c'è l'altra questione, quella insita nella proposta di inserire questo principio nell'articolo 31 anziché altrove.

A tale riguardo ha già osservato l'onorevole Presidente che questa può essere materia di riesame da parte dell'onorevole Commissione in sede di coordinamento e di definitiva redazione del testo.

Io ne prendo atto volentieri, ma non posso trattenermi dal raccomandare fin da ora alla Commissione di considerare che il punto sul quale l'inserzione deve aver luogo è proprio questo in cui, dalla linea concettuale del riconoscimento a tutti i cittadini del diritto al lavoro si sviluppa prima il conseguente obbligo, da parte dello Stato, di promuovere le condizioni per rendere effettivo l'esercizio di questo diritto e poi, conseguenza a sua volta di questo obbligo, il dovere di tutelare il lavoratore, nell'esecuzione del suo lavoro, dovunque esso sia compiuto.

Siccome non sempre sarà possibile procurare al cittadino lavoro in patria, sarà compito del Governo favorirne l'emigrazione. Onde si rende necessario che lo Stato tuteli il lavoro del cittadino anche all'estero, perché, se lo accompagnasse con la propria assistenza soltanto fino al piroscafo o al treno che deve condurlo oltre frontiera, esso renderebbe inoperante e annullerebbe tutta la tutela prestatagli fino a quel momento.

La Repubblica, che è fondata sul lavoro, che chiama i lavoratori alla partecipazione effettiva al Governo dello Stato e delle pubbliche amministrazioni, che protegge il lavoro in tutte le sue manifestazioni, che per tutti i cittadini ne fa un dovere e, corrispondentemente, un diritto; la Repubblica, che promuove le condizioni per l'effettivo esercizio di questo diritto, deve proprio per effetto dell'assunzione di tali obblighi, tutelare i cittadini costretti ad emigrare per necessità di lavoro dovunque si rechino; e tutelarli non soltanto nelle persone, ma anche nei diritti che dal lavoro ad essi derivano e nel prestigio della Patria, che è condizione preliminare del rispetto ad essi dovuto.

Se tale è lo sviluppo logico e necessario del riconoscimento del diritto dei cittadini al lavoro e del dovere dello Stato di promuovere le condizioni per il suo esercizio, la tutela del lavoro italiano all'estero, come conseguenza indispensabile di tali premesse, deve trovare proprio nell'articolo 31 il logico collocamento.

E pertanto, mentre ritiro con questa raccomandazione la parte aggiuntiva dell'emendamento, senza pregiudizio — beninteso — delle determinazioni riservate all'onorevole Condorelli. Per quanto riflette la parte sostitutiva vi insisto.

Presidente Tupini. Prego l'onorevole Relatore di esprimere l'avviso della Commissione sugli emendamenti presentati.

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. La Commissione non accetta l'emendamento soppressivo dell'intero articolo, proposto dall'onorevole Cortese. Quanto alla prima parte dell'emendamento dell'onorevole Colitto, essa enunzia un fine dello Stato: procurare lo sviluppo economico del Paese. Sembra inutile la indicazione di questo fine, fra i tanti che lo Stato si propone, a meno che l'onorevole Colitto non abbia inteso di condizionare l'attuazione del diritto al lavoro a quest'unico evento (di un maggiore sviluppo economico del Paese), nel quale caso non ci può trovare consenzienti perché noi riteniamo che anche altre provvidenze possano e debbano essere prese al fine di rendere effettivo il diritto al lavoro.

L'emendamento continua: «Predispone le condizioni generali per assicurare più che possibile ai cittadini l'esercizio del loro diritto al lavoro»: «Predispone le condizioni», è detto invece nel testo; mentre qui si specifica «generali». Questa specificazione è indubbiamente una limitazione, che la Commissione non può accettare perché vi possono essere anche condizioni particolari, oltre a quelle generali; condizioni cioè riferentisi a determinati settori dell'economia o a determinate categorie.

Il voler escludere tali condizioni particolari ci sembra non provvido divisamento, quando, in ispecie, si tratta del lavoro e di un diritto al lavoro per il quale si dice che la sua assicurazione è talmente problematica da dar luogo ai dubbi di cui particolarmente hanno parlato l'onorevole Nitti e l'onorevole Calamandrei.

L'emendamento dell'onorevole Colitto conclude quindi: «per assicurare più che possibile ai cittadini l'esercizio del loro diritto al lavoro»: e qui la forma attenua il concetto che vuol essere di vivo incitamento al legislatore per conseguire il massimo impiego.

La Commissione non può quindi accettare l'emendamento.

L'emendamento dell'onorevole Zuccarini è stato abbandonato e, quindi, mi astengo dal farne parola.

Passo ora all'emendamento presentato dall'onorevole Foa: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto»: fino a questo punto, non abbiamo che la riproduzione testuale del primo comma del nostro articolo 31; ma aggiunge l'onorevole Foa: «...ed assicura l'apprestamento dei piani economici per la difesa dei consumatori e per garantire a tutti i cittadini il soddisfacimento dei minimi bisogni vitali».

Egli pensa, dunque, in sostanza, che la formulazione breve e sobria del primo comma del testo non contenga nulla di concreto e di preciso, che sia un'enunciazione troppo vaga e indeterminata e che, come tale, non dia garanzia di soddisfacimento del diritto. A noi pare, invece, che le formulazioni ampie e indeterminate (per le quali anche ieri ci è stato mosso rimprovero da un onorevole collega) abbiano la loro giustificazione e la loro spiegazione; precisamente la stessa che ho dato ieri in risposta all'onorevole Cortese. Non è, quindi, necessario che mi ripeta.

Dice l'emendamento: «assicura l'apprestamento dei piani economici per la difesa dei consumatori e per garantire a tutti i cittadini il sodisfacimento dei minimi bisogni vitali»: Sennonché bisogna tener presente che dei piani economici si parla nello stesso Titolo III; se ne parla all'articolo 37, secondo comma, del testo. E se ne parla ancora all'articolo 40. A noi pare che sia preferibile ciò che è stato fatto dalla Commissione perché, mentre l'emendamento dell'onorevole Foa limita la difesa ai consumatori e accenna a un piano che dovrebbe avere per destinatari i consumatori, noi invece parliamo in genere di piani di produzione e di distribuzione. Per questo motivo non ci sembra opportuna l'aggiunta fatta dall'onorevole Foa e riteniamo preferibile il testo da noi proposto come quello che è più ampio e concreto.

Per quanto riguarda l'emendamento Villani-Cairo: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. Promuove e disciplina le condizioni per rendere effettivo questo diritto», anche in questo caso la Commissione apprezza quelle che sono le intenzioni che ha esposto oggi l'onorevole Villani; però pensa che le finalità che si propone coll'aggiunta della parola «disciplina» siano egualmente conseguite con la formula da noi proposta. Nel «promuove le condizioni», si capisce, è implicito anche il concetto espresso colla parola. «disciplina» e, quindi, non occorre aggiungere altro.

L'onorevole Romano ha proposto un emendamento che consta di due parti. La prima è questa: «La Repubblica promuove le condizioni per eliminare la disoccupazione», e qui, in forma negativa, non si fa in sostanza che esprimere quanto in forma positiva è già detto nell'articolo 31. Poi c'è la seconda parte: «e garantisce l'assistenza a quei cittadini che devono emigrare per trovare lavoro». Anche questa seconda parte è già inclusa nella disposizione che abbiamo approvato poco fa: «tutela il lavoro all'estero». Ecco perché la Commissione non ritiene necessario l'emendamento.

L'onorevole Nobile propone di aggiungere al primo comma: «Essi potranno esercitare la loro professione, arte o mestiere in qualsiasi parte del territorio nazionale». Che sia ragionevole, non lo neghiamo affatto, ma osserviamo: si tratta di un diritto di libertà. Quando un diritto di libertà non è negato, è implicitamente concesso e, quindi, non c'è bisogno che venga enunciato.

L'onorevole Nobile si preoccupa di ovviare a inconvenienti o ad errori che si possano commettere nell'avvenire. Ci sembra una previdenza eccessiva e, quindi, non crediamo opportuna l'aggiunta.

L'onorevole Cortese propone di sopprimere il secondo comma. La Commissione non è di questa opinione. Si parla del lavoro come dovere che dovrebbe avere anche la sanzione dell'ultimo capoverso. Ma, indipendentemente da ogni sanzione, deve restare come affermazione di un principio etico di indubbio valore.

A sua volta l'onorevole Foa propone:

«La Repubblica può richiedere ai cittadini la prestazione di un servizio del lavoro».

In sostanza, l'emendamento, ha un sapore di lavoro coatto. Questa è la nostra impressione. Abbiamo già una disposizione (approvata all'articolo 18) che dice:

«Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».

In essa è implicito che la legge può imporre al cittadino un determinato lavoro. Ma soltanto la legge. In questo appunto sta la garanzia di libertà.

«Ogni cittadino ha il dovere di lavorare, conformemente alle proprie possibilità». È l'emendamento proposto dagli onorevoli Morini, Taddia, Persico ed altri.

Il testo parla anche di «scelta», e la Commissione, in maggioranza, non ha ritenuto di dover permettere l'esclusione di questa parola come quella che è ispirata a un fine di libertà.

L'onorevole Federici Maria propone, in relazione al secondo comma, che si sostituisca la parola «attitudini» alla parola «possibilità». Ma ha rimandato il suo emendamento e quindi non ne parliamo per adesso.

L'emendamento degli onorevoli Zotta e Cassiani propone, al secondo comma, di sopprimere le parole: «conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta» e di sostituirle colle seguenti: «Ogni cittadino è libero di scegliere la propria occupazione».

Rispondo come ho risposto all'onorevole Nobile: è un diritto di libertà che non viene negato. Non vi è quindi necessità di affermarlo.

Gli onorevoli Caso, Coppa e De Maria propongono, al secondo comma, di sopprimere le parole «e alla propria scelta» e di aggiungere, dopo la parola «possibilità» le parole «fisiopsichiche e tenuto conto delle preferenze individuali».

Ripeto a questo proposito che non occorrono tante specificazioni. L'espressione adoperata nel capoverso primo dell'articolo 31 è: «conformemente alle proprie possibilità»; e ci sembra che esprima un concetto molto più ampio di quello che si racchiude nelle determinazioni e specificazioni che si vorrebbero includere dagli onorevoli proponenti. Sarebbe una limitazione e, come limitazione, non aggiunge ma diminuisce.

Vi sono poi parecchi emendamenti, tutti dello stesso tenore e tutti intesi alla soppressione del terzo comma.

Vi è pure un emendamento dell'onorevole Mortati nonché degli onorevoli Caso, Coppa e De Maria perché sia rinviata la discussione del terzo comma al momento dell'esame dell'articolo 45. La Commissione si è fermata su quest'ultimo emendamento e ritiene che non sia il caso di discutere il tema in questa sede, essendo più appropriato il Titolo IV «Dei diritti politici». Ad ogni modo la Commissione, qualora si dovesse addivenire al voto, non è contraria alla sua soppressione.

Implicitamente ho risposto anche agli onorevoli Ruggiero e Bubbio e quindi non ho bisogno di insistere ulteriormente.

Sull'emendamento proposto dall'onorevole Nobili Tito Oro osservo che la dizione «tutela il lavoro italiano all'estero» è già stata inclusa nell'articolo 30 e sulla questione del suo collocamento, si è già stabilito che ne parleremo quando verremo alla redazione del testo.

Avrei così finito se non dovessi una breve risposta all'onorevole Nitti. Gli osservo anzi tutto che la sua critica di assoluta inattuabilità delle disposizioni concernenti il lavoro non può avere logico riferimento all'articolo 32. Anche nel caso che il suo scetticismo avesse pieno fondamento e fosse vero che il Progetto contiene disposizioni illusorie, non attuabili né oggi né domani né mai, anche in questo caso la sua censura reale si appunterebbe contro l'articolo 32. Basterà la sua lettura: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro ed in ogni caso adeguata alle necessità di una esistenza libera e dignitosa per sé e per la famiglia». Nessuno al mondo può contestare che la disposizione sia profondamente giusta ed umana. Nessuno può negare che il salario debba essere adeguato, non solo alle necessità del lavoratore singolo, ma che debba comprendere anche un di più, qualunque ne sia la forma, di assegno familiare o d'altro. Il lavoratore non vive solamente per sé ma deve impiegare la sua fatica anche perché la sua famiglia viva. Su questo concetto non v'è dubbio e non lo contesta, nella sua umanità, l'onorevole Nitti. Egli invece contesta che sia attuabile tale diritto. Ci sembra un errore. Lo Stato deve curare il rispetto del diritto, ma la sua attuazione spetta al datore di lavoro: è lui che deve corrispondere al lavoratore una retribuzione la quale sia nei termini di giustizia che sono indicati all'articolo 32. Ecco perché, in linea logica, l'appunto è destituito, a nostro parere, di fondamento.

Invece, per quanto riguarda l'altra parte del testo «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto», io ieri sera ho parlato lungamente e non mi ripeto: l'Assemblea non lo tollererebbe ed avrebbe ragione. Mi limito a confermare il concetto, aggiungendo una sola osservazione: appunto al fine di non promettere oltre ciò che si possa attuare in un avvenire non troppo lontano, la Commissione ha sostituito alla dizione originaria della terza Sottocommissione: «Lo Stato... predispone i mezzi per il suo godimento (del diritto al lavoro)», la dizione più temperata attuale: «promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto». Ciò premesso, non ci sembra audace affermare che questo compito più limitato incombe allo Stato e che non vi possa essere dubbio nella sua attuabilità anche immediata.

Ho così risposto ancora una volta a quanti ci accusano di avere lusingato il popolo italiano con vane promesse. L'accusa potrebbe forse avere una parvenza di verità quando la legge costituzionale fosse una legge temporanea, di vita breve. Non mai se si pensi che è una legge destinata a vivere una lunga vita e che deve considerare non solo il presente ma anche l'avvenire: un avvenire che sia — com'è nell'augurio comune — meno misero e meno fosco dell'oggi.

(La seduta, sospesa alle 18,10, è ripresa alle 18,20).

Presidente Tupini. Passiamo alla votazione degli emendamenti.

L'onorevole Cortese ha presentato la proposta, non accettata dalla Commissione, di soppressione dell'articolo 31. Vi insiste?

Cortese. Insisto.

Presidente Tupini. Pongo ai voti la proposta di sopprimere l'articolo 31.

(Non è approvata).

L'onorevole Colitto ha presentato la proposta, non accettata dalla Commissione, di sostituire l'articolo 31 col seguente:

«Lo Stato promuove lo sviluppo economico del Paese e predispone le condizioni generali per assicurare più che possibile ai cittadini l'esercizio del loro diritto al lavoro».

Poiché l'onorevole Colitto non è presente, si intende che abbia rinunciato al suo emendamento.

L'onorevole Zuccarini ha ritirato il suo emendamento sostitutivo del primo comma.

L'onorevole Foa ha presentato il seguente emendamento non accettato dalla Commissione:

Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto ed assicura l'apprestamento dei piani economici per la difesa dei consumatori e per garantire a tutti i cittadini il soddisfacimento dei minimi bisogni vitali».

Fanfani. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Fanfani. Noi voteremo contro la proposta di emendamento presentata dall'onorevole Foa per la ragione che, mentre la prima parte si trova già contemplata nell'articolo 31, quale appare nel progetto della Commissione, la seconda parte ci sembra costituire materia, se mai, di discussione a proposito dell'articolo 37.

E poiché ho la parola, se il Presidente permette, vorrei dire qualcosa per definire la nostra posizione anche per i due emendamenti presentati rispettivamente dagli onorevoli Villani e Romano.

Presidente Tupini. Prosegua pure.

Fanfani. L'onorevole Villani propone la variante, rispetto al testo della Commissione della parola «disciplina».

Ora, a noi sembra che le condizioni si promuovano, ma non possano essere disciplinate.

Per quanto riguarda l'emendamento Romano esso parla di preoccupazioni di eliminare la disoccupazione. Questo è solo un aspetto del concetto che ha preoccupato i formulatori dell'articolo 31. E per quanto riguarda la garanzia dell'assistenza a quei cittadini che devono emigrare per trovare lavoro, mi sembra che tale garanzia sia stata già fissata dall'articolo 30, approvato.

Poco fa è stato, a proposito dell'articolo 31, accennato a qualche dubbio circa i motivi per i quali noi del gruppo democristiano avremmo appoggiato il testo della Commissione. Ora, non è un incontro avvenuto in questi giorni o in questo mese con colleghi di altre parti, che ci ha portato ad appoggiare il testo della Commissione. V'è tutta una complessa dottrina, alla quale noi risaliamo come alla fonte del nostro programma, che ci ha portato ad accettare la dizione del riconoscimento del diritto al lavoro.

E anche per quanto riguarda la seconda parte, cioè l'instaurazione delle condizioni atte a rendere effettivo questo diritto, non facciamo altro che risalire ad alcuni testi che costituiscono il fondamento della nostra dottrina. E mi rifaccio semplicemente e per brevità ad un solo passo di una celebre enciclica, la «Libertas» del 1888, in cui si affermava il dovere dello Stato di promuovere le condizioni esterne atte a consentire a tutti gli uomini di usufruire delle occasioni favorevoli per vivere onoratamente, col proprio lavoro.

D'altra parte si è obiettato: ma voi fate una magnifica promessa, promessa che non potrete mantenere. Mi consenta L'onorevole Nitti di citare un passo di un'opera che proprio in questi giorni un autorevole maestro di vita politica e di studi economici come egli è, ha dato alla luce e precisamente quelle «Meditazioni dell'esilio» nelle quali a pagina 277 si dice: «Chi ricorda come la maggior parte degli economisti si è opposta dapprincipio alla legislazione sociale, alla limitazione delle ore di lavoro, alla protezione di salari, deve anche ammettere che le loro obiezioni spesso non avevano fondamento». Ora proprio la meditazione di questo passo ci invita ad andare incontro alle attuali perplessità dell'onorevole Nitti con grande cautela.

È per questi motivi che il Gruppo democristiano voterà a favore del primo comma dell'articolo 31, quale appare nel testo della Commissione dei settantacinque.

Foa. Chiedo di parlare per spiegare le ragioni per le quali ritiro il mio emendamento.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Foa. Non avrei ritirato questo emendamento nonostante le dichiarazioni della Commissione, perché mi pare che la Commissione col richiamarsi ad un supposto contenuto più ampio negli articoli 40 e 37, sia incorsa in un equivoco.

L'articolo 40 tratta della nazionalizzazione, cioè di un argomento del tutto estraneo alla materia da me trattata.

L'articolo 37 parla dello Stato nei suoi rapporti di controllo o di armonizzazione nei confronti dell'attività privata, mentre la materia da me proposta riguarda lo Stato come soggetto economico.

Ritiro l'emendamento perché ho avuto notizia che poco fa è stato presentato un emendamento analogo dall'onorevole Montagnana e da altri, con una formulazione, a mio giudizio, più precisa e sostanzialmente altrettanto congrua di quella da me proposta.

Per queste ragioni, associandomi all'emendamento dell'onorevole Montagnana, ritiro il mio.

Presidente Tupini. Segue l'emendamento degli onorevoli Villani e Cairo non accettato dalla Commissione:

Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. Promuove e disciplina le condizioni per rendere effettivo questo diritto».

Onorevole Villani, lo mantiene?

Villani. Lo mantengo.

Presidente Tupini. Lo pongo in votazione.

Taviani. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Taviani. Il Gruppo democristiano voterà contro l'emendamento, attenendosi al testo accettato dalla Commissione.

(L'emendamento non è approvato).

[Presidente Tupini.] Segue l'emendamento sostitutivo dell'onorevole Romano:

Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica promuove le condizioni per eliminare la disoccupazione e garentisce l'assistenza a quei cittadini che devono emigrare per trovare lavoro».

Onorevole Romano, lo mantiene?

Romano. Lo ritiro.

Presidente Tupini. Sta bene. Non essendovi altri emendamenti sostitutivi del primo comma dell'articolo 31, possiamo metterlo in votazione.

Giannini. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Giannini. Noi voteremo contro questo primo comma; come voteremo anche contro gli altri commi, perché siamo convinti che tutta questa materia non è pertinente alla Costituzione, ma ad una legge sul lavoro che non va discussa da questa Assemblea, bensì dalla regolare Camera dei deputati.

Presidente Tupini. Pongo in votazione il primo comma dell'articolo 31:

«La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto».

(È approvato).

L'onorevole Nobile ha presentato il seguente emendamento aggiuntivo, non accettato dalla Commissione:

«Al primo comma aggiungere: Essi potranno esercitare la loro professione, arte o mestiere in qualsiasi parte del territorio nazionale».

Chiedo all'onorevole Nobile se lo mantiene.

Musolino. Non essendo presente l'onorevole Nobile, dichiaro che faccio mio l'emendamento da lui presentato e lo mantengo.

Presidente Tupini. Procediamo, allora, alla votazione dell'emendamento dell'onorevole Nobile che l'onorevole Musolino fa suo.

Taviani. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Taviani. Il Gruppo democristiano vota contro l'emendamento, ritenendolo superfluo nel testo costituzionale e implicito in altre norme.

Einaudi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Einaudi. Voterò a favore di questo emendamento, perché mi pare sia la sola cosa che abbia un significato in tutto questo articolo. Per il resto si tratta di dichiarazioni astratte, che non hanno nessun contenuto comprensibile. L'emendamento Nobile invece ha per scopo di evitare un danno gravissimo che si manifesta già nelle regioni alle quali è stato dato o si sta per dare uno statuto particolare. Nelle regioni, a cui è stato già concesso lo Statuto regionale, si manifesta la preoccupante tendenza a mettere vincoli ai cittadini non nativi quanto al libero esercizio da parte loro di una libera professione o di un'arte. Per ciò l'emendamento Nobile mi pare quanto mai necessario ad impedire che si stabiliscano pericolose differenze di trattamento e nuove barriere tra regione e regione che aggiungerebbero altri danni a quelli che sono la conseguenza degli impedimenti posti dagli Stati esteri alla nostra emigrazione. (Commenti).

Presidente Tupini. Onorevole Ghidini, quale è il parere della Commissione in merito alla dichiarazione di voto dell'onorevole Einaudi?

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. Se è come dice l'onorevole Einaudi, mi sembra opportuno che si debba parlare di questo argomento quando si discuterà delle regioni.

Presidente Tupini. Onorevole Musolino, mantiene l'emendamento nonostante il parere della Commissione?

Musolino. Mi rimetto al parere della Commissione.

Einaudi. Faccio mio l'emendamento Nobile.

Presidente Tupini. Pongo in votazione l'emendamento Nobile, fatto proprio dall'onorevole Einaudi:

«Al primo comma aggiungere:

«Essi potranno esercitare la loro professione, arte o mestiere in qualsiasi parte del territorio nazionale».

(Dopo votazione per divisione, l'emendamento non è approvato).

Passiamo al secondo comma dell'articolo 31:

«Ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività od una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società, conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Gli onorevoli Cortese e Nitti, hanno proposto di sopprimerlo.

Pongo in votazione l'emendamento soppressivo.

Dominedò. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Dominedò. A nome dei colleghi del mio Gruppo dichiaro che noi voteremo contro la proposta soppressiva.

(L'emendamento non è approvato).

L'onorevole Foa ha presentato il seguente emendamento, non accettato dalla Commissione:

«Sostituire il secondo comma col seguente:

«La Repubblica può richiedere ai cittadini la prestazione di un servizio del lavoro».

Chiedo all'onorevole Foa se lo mantiene.

Foa. Lo mantengo.

Presidente Tupini. Pongo in votazione l'emendamento sostitutivo.

Bubbio. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Bubbio. In considerazione delle menomazioni subite dal popolo italiano durante la guerra sotto la forma di prestazioni di lavoro e per evitare che con il prevalere di eventuali totalitarismi, eguali menomazioni abbiano a ripetersi, mutando il cittadino in uno schiavo di Stato, voterò contro l'emendamento Foa.

(L'emendamento non è approvato).

Presidente Tupini. Dobbiamo ora porre in votazione il seguente emendamento degli onorevoli Morini, Taddia, Persico, Gullo Rocco, Bennani, Di Giovanni, Lami Starnuti, non accettato dalla Commissione:

«Sostituire il secondo comma con il seguente:

«Ogni cittadino ha il dovere di lavorare, conformemente alle proprie possibilità».

Presidente Tupini. Onorevole Morini, lo mantiene?

Morini. Lo mantengo.

Dominedò. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Dominedò. A nome del mio Gruppo, dichiaro che il riconoscimento del dovere del lavoro, il quale costituisce uno dei due cardini dell'articolo in votazione e precisamente la seconda faccia della medaglia rispetto al diritto al lavoro contemplato nel primo comma dell'articolo, deve essere, a nostro avviso, considerato in tutta la pienezza della sua espressione.

Di conseguenza appare opportuno snodare l'idea del lavoro, contemplando così le «attività» come le «funzioni»; appare opportuno considerare tutta la gamma della possibile espansione del concetto di lavoro, da quello manuale a quello intellettuale; appare opportuno sottolineare che l'idea del lavoro si ricollega così allo sviluppo materiale come a quello spirituale della società, nella interdipendenza e nella inscindibilità di questi due aspetti fondamentali.

In vista di queste considerazioni, voteremo contro l'emendamento e per la formulazione del testo originale del progetto di Costituzione.

Foa. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Foa. Essendo stato respinto l'emendamento da me proposto, voterò a favore dell'emendamento Morini, perché mi pare che prospetti con assai maggiore nettezza, in confronto al testo della Commissione, il contenuto del dovere del lavoro, in quanto toglie quell'equivoco, contenuto nel testo della Commissione, per cui il dovere del lavoro sarebbe subordinato a quella incerta facoltà di scelta.

Presidente Tupini. Pongo in votazione l'emendamento sostitutivo testé letto.

(Non è approvato).

Segue l'emendamento della onorevole Federici Maria:

«Al secondo comma, sostituire la parola: attitudini, alla parola: possibilità.

Onorevole Federici, conferma di rinviarlo ad altra sede?

Federici Maria. Confermo quanto ho già dichiarato.

Presidente Tupini. Segue l'emendamento degli onorevoli Zotta e Cassiani:

«Al secondo comma, sopprimere le parole: conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta, e sostituirle col seguente comma:

«Ogni cittadino è libero di scegliere la propria occupazione».

Onorevole Zotta, lo mantiene?

Zotta. Lo ritiro.

Presidente Tupini. Segue l'emendamento degli onorevoli De Maria, Caso e Coppa.

«Al secondo comma sopprimere le parole: e alla propria scelta, e aggiungere, dopo la parola: possibilità, le parole: fisiopsichiche e tenuto conto delle preferenze individuali». (Commenti).

Onorevole De Maria, lo mantiene?

De Maria. La parola «fisiopsichiche» avrebbe potuto essere sostituita con «organiche». Comunque, lo ritiro.

Presidente Tupini. Poiché anche gli emendamenti parzialmente sostitutivi del secondo comma sono stati respinti o ritirati, dobbiamo procedere alla votazione del secondo comma nel testo della Commissione:

«Ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività od una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società, conformemente alle proprie possibilità e alla propria scelta».

Canevari. Chiedo di parlare.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Canevari. Chiedo che la votazione avvenga per divisione: si dovrebbe, cioè, votare per prima la seguente parte del comma:

«Ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività o una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società, conformemente alle proprie possibilità».

Le restanti parole: «...e alla propria scelta» dovrebbero essere votate in un secondo tempo.

Dichiaro che voterò a favore della prima parte e contro la seconda.

Presidente Tupini. La richiesta fatta ora dall'onorevole Canevari costituisce un suo diritto e pertanto noi dobbiamo accedere ad essa.

Giannini. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Giannini. Dichiaro che voterò contro tutto il comma.

Presidente Tupini. Pongo in votazione la prima parte del secondo comma:

«Ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività od una funzione che concorra allo sviluppo materiale o spirituale della società conformemente alle proprie possibilità».

(È approvata).

Passiamo alla votazione della seconda parte del comma: «e alla propria scelta».

Lucifero. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Lucifero. Dichiaro che voterò contro la soppressione della seconda parte del comma propugnata dal collega onorevole Canevari; voterò cioè a favore del testo della Commissione.

Confesso che sono sommamente preoccupato, perché ho visto affacciarsi l'ipotesi che, in uno Stato libero, degli uomini liberi possano essere costretti ad esercitare un lavoro diverso da quello da essi liberamente prescelto: io non credo che un giorno in Italia, culla del diritto, si possa dire a un cittadino qualunque: ad metalla, abbandona la professione che hai liberamente scelto! Sono convinto pertanto che questa Camera non voterà per una simile vessazione. (Applausi a destra).

Villani. Chiedo di parlare.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Villani. Poiché l'onorevole Canevari non ha creduto di spiegare le ragioni per le quali egli ha dichiarato di votare contro la seconda parte di questo comma, ritengo che sia opportuno che tenti di chiarirlo io.

Noi, votando tutto l'articolo, dobbiamo riconoscere — è stato già detto e ripetuto qui dentro — che lo Stato assumerebbe un cumulo enorme di impegni verso i cittadini, per quello che riguarda il lavoro, e che davvero nessuno di noi può sapere in quale misura tali impegni potranno venir soddisfatti. Ora, se è bene che sia stato fatto tutto quello che è stato fatto, se noi abbiamo riconosciuto che lo Stato ha questi diritti e questi doveri nei confronti del cittadino, a me pare che lo Stato non possa assumersi nei suoi confronti l'obbligo non solo di procurare il lavoro, ma di procurarlo nelle condizioni che ogni singolo cittadino pretenda. Io mi riferisco anche a quello che ha detto l'onorevole Foa. È impossibile pensare che si possano soddisfare interamente queste esigenze, soprattutto se si respinge ogni criterio di pianificazione.

Giannini. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Giannini. Fermo restando il nostro atteggiamento verso tutto l'articolo e verso i singoli commi, noi dovremmo però votare a favore di questa dicitura perché votando contro, dopo che è stata approvata la prima parte, noi ci assoceremmo ad una violazione della libertà. Quindi voteremo a favore, pur mantenendo la nostra pregiudiziale.

Cappa. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Cappa. Noi voteremo per il mantenimento delle parole «alla propria scelta» e faccio osservare che la soppressione di queste parole sviserebbe in realtà il concetto completo ed integrale di tutto l'articolo.

Canevari. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Canevari. Voterò per la soppressione delle parole «alla propria scelta», e chiarisco il mio pensiero. Noi abbiamo riconosciuto che ogni cittadino ha il dovere di svolgere una attività conformemente alle proprie possibilità. Aggiungendo «alla propria scelta» mettiamo lo Stato nelle condizioni di assicurare il lavoro, a compimento di questo dovere, indipendentemente dalle possibilità del cittadino. Potrebbe darsi che diversi cittadini chiedessero di occupare dei posti nei quali non hanno nessuna possibilità di esplicare un'attività utile per la collettività. Ecco perché sono preoccupato di questa parte dell'articolo. Potremmo avere una richiesta numerosa, più di quella che si verifica oggi, di occupare dei posti nell'Amministrazione dello Stato, di diventare funzionari dello Stato. (Rumori Commenti).

Queste sono le ragioni per cui ho chiesto che la votazione avvenga per divisione.

Laconi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Laconi. Non è senza stupore che abbiamo assistito a questa incredibile discussione e abbiamo udito la singolare proposta che si limiti la libera scelta dei cittadini laddove è riaffermato il dovere al lavoro. Io credo che nessuno possa ingannarsi sul significato di questa votazione. Escludendo poco fa il servizio obbligatorio ed affermando in questo punto il dovere del lavoro, è chiaro che l'Assemblea vuol fare soltanto un'affermazione morale e politica che non comporta dei vincoli e delle coazioni per il cittadino. Può darsi che domani vi siano norme di legge che potranno orientare tutto lo sviluppo dell'economia e tutto l'ordinamento sociale del nostro Paese in un determinato senso; ma nessuno può pensare oggi ad una coazione nei confronti del cittadino che vincoli la sua libertà, soprattutto nel campo in cui questa libertà gli è più peculiare come persona umana, e cioè nella scelta del lavoro.

Si dice: ma lo Stato dovrà necessariamente fornire ad ogni cittadino per l'adempimento di questo suo particolare dovere il posto che il cittadino pretenderà. Questo è un assurdo. Qui si vuole affermare che, nella scelta dell'occupazione in cui il cittadino adempirà il suo dovere, il cittadino è completamente libero di dirigersi secondo le proprie capacità e le proprie preferenze. Non si intende affatto stabilire degli obblighi per lo Stato. Per questa ragione noi voteremo per l'accoglimento integrale dell'articolo.

D'Aragona. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

D'Aragona. Dichiaro, anche a nome di alcuni amici del mio Gruppo, che voteremo in favore di tutto il comma, così come proposto dalla Commissione perché alla votazione di quest'ultima parte di questo comma diamo questo significato: noi riconosciamo a tutti i cittadini italiani la libertà di scegliersi il proprio mestiere, la propria professione, la propria occupazione. Con questo significato noi voteremo a favore.

Codacci Pisanelli. Chiedo di parlare per mozione d'ordine.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Codacci Pisanelli. Il Regolamento prevede quattro specie di votazioni. Chiedo che non si voti per alzata di mano, onde evitare che i legulei abbiano possibilità di inficiare i risultati delle nostre votazioni. (Commenti).

Presidente Tupini. I legulei in questo caso stanno al suo banco.

Einaudi. Chiedo di parlare per dichiarazione di voto.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Einaudi. Voterò in favore del mantenimento delle parole: «alla propria scelta», non solo per le ragioni esposte dagli onorevoli Laconi e D'Aragona, ma anche perché (questa è una mia motivazione personale) siccome queste parole negano il primo comma ed io l'ho negato, sono ben contento che nell'ultimo articolo sia espresso un concetto il quale renda logicamente impossibile l'applicazione del primo comma.

Presidente Tupini. Pongo in votazione l'ultima parte del secondo comma:

«e alla propria scelta».

(È approvata).

Avverto che gli onorevoli Montagnana Mario, Pajetta Gian Carlo, Pesenti, hanno presentato il seguente emendamento aggiuntivo, al quale si è associato l'onorevole Foa:

«Dopo il secondo comma aggiungere il seguente:

«Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l'attività produttiva dei singoli e di tutta la Nazione, secondo un piano che dia il massimo rendimento per la collettività».

Chiedo all'onorevole Presidente della terza Sottocommissione di esprimere il suo parere.

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. La Commissione viene soltanto ora a conoscenza dell'emendamento. Perché possa pronunciarsi su di esso chiede che le sia concesso il termine regolamentare di 24 ore.

Presidente Tupini. Penso che la Commissione abbia il diritto di chiedere il tempo necessario per essere in condizione di esprimere il suo pensiero. Sennonché, per non rinviare i lavori dell'Assemblea, potremmo procedere alla votazione dell'ultimo comma dell'articolo 31 immediatamente, salvo domani, quando conosceremo il pensiero della Commissione, esaminare il comma aggiuntivo proposto ora.

Taviani. Chiedo di parlare.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Taviani. Si è detto che gli emendamenti avrebbero dovuto essere presentati con un certo anticipo perché la Commissione li potesse esaminare; ma rilevo che sono stati esaminati degli emendamenti presentati stamani. Invece di rinviare a domani, si potrebbe ora sospendere per dieci minuti la seduta, dopo di che la Commissione potrebbe pronunziarsi.

Presidente Tupini. Onorevole Taviani; questo invito più che a me deve rivolgerlo alla Commissione. Se la Commissione crede di essere in grado di dare il suo parere nel termine di dieci minuti, io ne sarò lietissimo, e credo che lo sarà anche l'Assemblea. Chiedo, in proposito, il parere del Presidente della Commissione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi sembra che non si possa contestare al Relatore il diritto di chiedere l'applicazione del termine regolamentare.

Presidente Tupini. L'onorevole Ghidini insiste?

Ghidini, Presidente della terza Sottocommissione. Insisto, perché in questo momento non potrei che esprimere un'opinione personale.

Martino Gaetano. Chiedo di parlare.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Martino Gaetano. Desidero ricordare che all'inizio dell'esame del progetto di Costituzione si concordarono per i nostri lavori alcune norme, fra le quali quella che gli emendamenti dovessero presentarsi almeno 48 ore prima della discussione. Ora, poiché la Commissione non intende accedere al desiderio manifestato che oggi stesso ci dia il suo parere, devo credere che il Presidente abbia il dovere di non accettare questo emendamento presentato all'ultimo momento, perché ciò costituirebbe un pericoloso precedente. (Interruzioni Commenti).

Presidente Tupini. Il precedente a cui si richiama l'onorevole Martino è formalmente esatto. Sennonché egli sa bene che durante il corso di questa discussione si sono fatte numerose eccezioni, per cui credo che l'Assemblea non possa agire diversamente nei confronti dell'emendamento testé presentato. Non so se l'onorevole Martino voglia fare una proposta formale, da porre in votazione.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Chiedo di parlare.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Mi pare che la questione regolamentare sia chiarissima. Il regolamento dice che durante la discussione possono essere proposti emendamenti purché firmati da dieci deputati. Quando ciò si verifica gli emendamenti devono essere ammessi allo svolgimento ed alla votazione. Ma v'è un'altra disposizione del regolamento, e stabilisce che la discussione di un articolo aggiuntivo o di un emendamento proposto nella stessa seduta sarà rinviata all'indomani quando lo chiedano il Governo o la Commissione competente o dieci deputati. Poiché il Relatore ha fatto questa proposta, non c'è che da applicare il regolamento. La proposta dell'onorevole Martino non ha quindi ragione di essere.

Maffi. Chiedo di parlare.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Maffi. Vorrei richiamarmi al buon senso elementare e proporre che, superando la discussione sul regolamento, si sospenda per dieci minuti la seduta, in modo che la Commissione possa fare un esame preliminare del comma proposto. Se, dopo la breve sospensione, la Commissione non sarà in grado di esprimere il proprio parere, potrà decidersi il rinvio.

Malagugini. Chiedo di parlare.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Malagugini. Nessuno contesta l'esattezza del richiamo al regolamento fatta dall'onorevole Presidente della Commissione; ma l'onorevole Ruini non ha contestato quanto ha detto il nostro Presidente, che cioè, sarebbe la prima volta che la Commissione non accetta un emendamento presentato fuori termine.

Cingolani. Chiedo di parlare.

Presidente Tupini. Ne ha facoltà.

Cingolani. Vorrei pregare la Camera di lasciare la questione nei termini molto semplici e niente drammatici in cui l'ha posta l'onorevole Ghidini. Noi ci troviamo di fronte ad un emendamento abbastanza complesso. Il Relatore ci chiede il tempo necessario per poterlo studiare: non c'è una ragione al mondo perché ci si possa opporre alla sua richiesta. Né possiamo riferirci a quanto è accaduto per la presentazione di altri emendamenti che sono stati immediatamente accettati e discussi, perché erano più facilmente percepibili nel loro valore politico. Quindi a me pare che, una volta che la Commissione, nella quale tutti abbiamo fiducia, ci chiede, di fronte all'emendamento presentato da un gruppo di deputati, la cortesia di rimandare la discussione di 24 ore perché possa esprimere il suo pensiero, questo desiderio debba essere accolto. D'altra parte non sono del parere di andare avanti saltando dall'uno all'altro articolo, perché la complessità dell'emendamento presentato è tale che potrebbe modificare il seguito dell'articolazione del Titolo. Ritengo quindi che si debba rimandare il seguito della discussione di 24 ore. Siamo a disposizione della Commissione.

Presidente Tupini. Onorevole Ruini, ella insiste nella richiesta di rinvio?

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. La Commissione insiste per il rinvio. Si tratta di un emendamento aggiuntivo che merita riflessione ed esame, perché tocca il tema del piano, e va messo anche in relazione con l'articolo 37. Una decisione non meditata sopra un emendamento che tocca un solo aspetto del piano, e si presta a divergenze e possibili riserve anche in chi è favorevole ad una ampia applicazione di piani, potrebbe compromettere le linee di una opportuna soluzione nei riguardi dell'articolo 37. La questione dunque va meditata ed impostata bene. Il rinvio deve essere accolto, a termini di regolamento. Veda l'Assemblea se non è possibile procedere intanto alla discussione di altri commi ed articoli che non sono connessi con l'emendamento, e che possono essere subito affrontati.

Noi siamo di fronte ad un emendamento che inserisce il concetto di piano nel primo e nel secondo comma. L'onorevole Ghidini, interpretando le difficoltà in cui si trova la Commissione, ha detto che non possiamo vedere su due piedi ciò che può ripercuotersi su tutto il tema dei piani. Il terzo comma, che riguarda i diritti politici, può essere esaminato, indipendentemente dall'emendamento.

Se si vuole, si può procedere.

Presidenza del Presidente Terracini

Togliatti. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Togliatti. Mi pare che la richiesta di rinvio di 24 ore fatta dalla Commissione sia del tutto giustificata e non saprei oppormi.

Gronchi. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Gronchi. Questa discussione, pur così complicata, a volte si impiglia stranamente in questioni puramente formali e procedurali come quella che ora ci si presenta.

Credo che gli onorevoli presentatori del comma aggiuntivo potrebbero agevolare la risoluzione della questione se consentissero a riproporre il loro emendamento in sede di discussione dell'articolo 37.

Il secondo comma dell'articolo 37 dice:

«La legge determina le norme e i controlli necessari perché le attività economiche possano essere armonizzate e coordinate ai fini sociali».

Ritengo che questa forse sarebbe la sede logicamente più adatta alla presentazione dell'emendamento.

Lucifero. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Lucifero. Evidentemente, l'onorevole Gronchi prospetta l'ipotesi che i presentatori ritirino l'emendamento, salvo a ripresentarlo in altra sede; ma, qualora essi lo mantengano in questa sede, io penso che non solo la Commissione, ma tutti noi abbiamo bisogno di meditare su un emendamento di questa importanza, che è nella Costituzione, in certo senso, rivoluzionario, perché introduce un concetto nuovo in una forma definitiva.

Quindi sarei non solo d'accordo con la Commissione, ma certamente uno di quei dieci deputati — sarebbe facile trovare gli altri nove — che chiederebbero 24 ore per aver tempo di pensarci, perché l'argomento è grave.

Mi pare, poi, impossibile proseguire la discussione sugli altri articoli, mentre rimane in sospeso una questione di tanta gravità.

Se vogliamo rinviare di 24 ore, dobbiamo interrompere al punto in cui cade questo emendamento e riprendere il filo quando questa questione sarà risolta.

Foa. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Foa. Penso — come ho già sostenuto, nel ritirare il mio emendamento — che il comma aggiuntivo in esame abbia attinenza con l'articolo 31 e non con l'articolo 37. Si potrebbe, pertanto, accettare la richiesta del rinvio di 24 ore.

Presidente Terracini. Ove l'invito rivolto dall'onorevole Gronchi ai firmatari fosse accolto, il problema sarebbe superato; se no, resta la richiesta del rinvio di 24 ore fatta dalla Commissione. Ove fosse accettata questa richiesta, sorgerebbe la questione se si possa procedere o no nella discussione: cioè, se l'emendamento presentato, per il suo valore e la sua importanza, condizioni senz'altro qualunque altra norma contenuta in questo articolo.

Vediamo di sciogliere successivamente i tre quesiti.

L'onorevole Foa si è già espresso in risposta alla richiesta dell'onorevole Gronchi, riconfermando la necessità che l'emendamento venga inserito nel testo dell'articolo in esame.

Se gli altri firmatari dell'emendamento sono dello stesso avviso — ed il loro silenzio lo conferma — non possiamo che passare alla seconda possibilità.

La Commissione ha richiesto il rinvio di 24 ore per potere esprimere il proprio parere sull'emendamento proposto.

Ritengo che la Commissione abbia pienamente diritto di fare questa richiesta, che non ha bisogno di votazione per essere attuata. Pertanto credo che possiamo senz'altro stabilire che ogni decisione in relazione all'emendamento presentato è rinviata e cioè alla seduta pomeridiana di domani.

E allora c'è da risolvere il terzo punto per potere proseguire i nostri lavori questa sera, se cioè il rinvio di 24 ore nell'esame dell'emendamento in causa debba portare con sé la sospensione di tutti i lavori se, cioè non sia possibile decidere per intanto sul terzo comma dell'articolo 31, che è così formulato:

«L'adempimento di questo dovere è condizione per l'esercizio dei diritti politici».

Ora, salvo l'avviso della Assemblea, mi pare che il problema posto da questo comma sia del tutto indipendente dai precedenti.

Esso stabilisce infatti una norma che non si riporta al processo produttivo o alle forme nelle quali esso si deve realizzare, ma alla posizione dei cittadini nell'esercizio dei loro diritti politici, in quanto lavoratori o meno.

Ritengo quindi che si possa senz'altro decidere in relazione a questo terzo comma, per il quale è stata presentata una proposta soppressiva, che può votarsi indipendentemente dalla decisione sull'emendamento al comma precedente. Chiedo all'Assemblea di esprimersi a questo proposito.

Cingolani. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Cingolani. Il nostro Gruppo, onorevole Presidente, non è favorevole a considerare un comma qualsiasi di un articolo separato talmente dal resto dell'articolo, da potere essere, oltre che discusso, votato a parte. Ogni articolo è un tutto per sé stante, anche se la formulazione giuridicamente esatta di ogni comma sia tale da poterlo fare vivere come elemento proprio nell'articolo stesso.

Quindi noi ci manifestiamo, con nostro dispiacere, perché si allunga certamente domani di mezz'ora la discussione, contro il passaggio alla discussione dell'ultimo comma dell'articolo e facciamo nostro il pensiero già manifestato da altri di rinviare senz'altro a domani la prosecuzione della discussione di questo articolo.

Giannini. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Giannini. Io ritengo che si possa benissimo continuare la discussione se i presentatori di questo emendamento invece di chiedere che esso sia inserito fra il secondo ed il terzo comma dell'articolo lo propongano come un articolo a parte, che potrebbe benissimo seguire l'articolo 31.

Non vedo la ragione per cui debba inserirsi fra il secondo e il terzo comma.

Può benissimo formare un articolo a sé, l'articolo 3l-bis. (Commenti).

Zotta. Chiedo di parlare.

Presidente Terracini. Ne ha facoltà.

Zotta. Penso che questo emendamento possa costituire l'ultimo comma dell'articolo in esame; il terzo in verità non è che un complemento del secondo comma, in quanto nel secondo si stabilisce un precetto e nel terzo la sanzione per l'inadempimento di questo precetto. L'inserimento dell'emendamento tra l'uno e l'altro sta addirittura fuori luogo, per cui chiederei — in appoggio a quello che chiedeva l'onorevole Giannini — che costituisca un comma a sé, a completamento dell'articolo.

Presidente Terracini. Mi pare che, comunque, debbano essere i presentatori dell'emendamento ad esprimere a questo proposito il loro pensiero.

Onorevole Foa, vuole parlare lei a nome dei presentatori?

Foa. Ho già spiegato il mio dispiacere di non poter accedere a questa richiesta di una così larga parte dell'Assemblea. Effettivamente ho già cercato oggi, nell'illustrare il mio emendamento, di spiegare la stretta connessione che esiste fra l'emendamento da noi proposto e il problema del diritto al lavoro. Se noi accettassimo la diversa collocazione di questo emendamento, evidentemente verremmo meno ai motivi per cui è stato proposto questo emendamento. Mi rincresce veramente, ma credo che molti colleghi avranno perfettamente inteso questo legame. (Commenti).

Presidente Terracini. Mi pare che di fronte alle dichiarazioni dell'onorevole Foa, non vi è che prenderne atto e trarne le conseguenze in ordine ai nostri lavori.

Mi limiterò ad osservare ai presentatori dell'emendamento che, da un punto di vista di successione logica, questo emendamento avrebbe dovuto essere inserito dopo il primo comma che parla del diritto al lavoro. E per l'appunto tutte le motivazioni dell'onorevole Foa in relazione agli emendamenti che egli aveva anche presentato in precedenza, stavano ad indicare che soggetto di questo emendamento è il diritto al lavoro; mentre il secondo comma si riferisce al dovere del lavoro. Ed è per questo che vi è poi il terzo comma, il quale stabilisce la sanzione per chi questo dovere non osservasse.

Ad ogni modo, a parte il problema dell'inserimento definitivo, poiché i presentatori dell'emendamento non accedono all'invito che è stato loro fatto, mi pare che dobbiamo restare a questi punti:

1°) l'emendamento deve tessere discusso come parte conclusiva del secondo comma;

2°) poiché da alcuni onorevoli colleghi è stato fatto presente come questa decisione abbia comunque un'influenza anche sul terzo comma e sulla economia generale dell'articolo, occorre rinviane a domani l'esame non solo dell'emendamento, ma anche della parte successiva dell'articolo.

(Così rimane stabilito).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti